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Autore: Knight_7    30/09/2022    1 recensioni
Nella mia mente ho sempre paragonato il movimento del respiro a quello delle onde.
Forse perché il mare è il primo ricordo che ho, oltre a una delle pochissime immagini nitide che conservo dei miei primi anni di vita.
L’oceano riempiva ogni mio pensiero all’epoca, perciò non mi sorprende che abbia finito per spazzare via tutto il resto nella mia memoria.
Ora che sono cresciuta è tutto diverso, certo…
Anche se ultimamente ho scoperto che l’immagine delle onde mi aiuta a inspirare ed espirare lentamente quando nel cuore della notte vengo svegliata dagli attacchi di panico.
Ma questo è successo dopo.
Molto dopo.
E forse per evitare che anche l’ultimo briciolo di sanità mentale che mi resta venga sommerso dalla marea, meglio ricordare tutto dall’inizio.
Genere: Avventura, Azione, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Clarisse La Rue, Luke Castellan, Nuovo personaggio, Percy Jackson
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!, Violenza
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Devo riconoscere di aver avuto almeno una grande fortuna nella mia tragica vita da mezzosangue: non faccio sogni profetici.
Non capisco perché, dato che si tratta di un’abilità tendenzialmente comune tra i semidei, ma di certo non sono così sciocca da lamentarmene.
Francamente preferisco concedermi il beneficio del dubbio in merito a disgrazie.
 
Infatti, durante la prima notte di navigazione, mentre una coppia di orche spingeva la vela verso sud, sognai un ricordo risalente a sei mesi prima: la gita sull’Olimpo durante il Concilio Invernale.
 
Premettendo che allora nessuno era a conoscenza dell’identità di mio padre, ero stata esclusa a priori dalla gita, in quanto Chirone aveva decretato che solo i determinati avrebbero partecipato.
Come biasimarlo, dopotutto? Sarebbe stato alquanto imbarazzante portare un branco di disconosciuti ragazzini arrabbiati al cospetto dei loro incuranti genitori.
 
Ma, ovviamente, infransi le regole.
Avevo da poco ricevuto brutte notizie ed ero parecchio irrequieta. In più tutti i miei amici ci andavano e non avevo intenzione di rinunciare a un’esperienza simile.
 
Sgattaiolai fuori dal campo, seguii il gruppo fino alla più vicina stazione della ferrovia di Long Island e salii sul treno, tenendo una distanza sufficiente a non farmi notare.
 
“Hai rubato il travestimento a un molestatore?” chiese una voce alle mie spalle.
 
Sobbalzai sul sedile, rovesciando metà della mia tazza di caffè sulla rivista che tenevo davanti al viso.
 
Luke rise della mia reazione. Era in piedi accanto a me, anche se non riuscivo a capire da dove fosse saltato fuori, visto che avevo tenuto d’occhio il gruppo di ragazzi con le maglie arancioni per tutto il tempo e non avevo notato che si fosse alzato.
Ma era sempre stato un mago nello sparire e apparire, quando e dove meno uno se lo aspetta.
 
In ogni modo, ero troppo scioccata e al contempo infastidita per trovare qualcosa da rispondergli.
Non ci eravamo quasi più parlati dopo l’Impresa. Praticamente un anno prima.
 
Era colpa mia se avevamo fallito, questo non l’avevo mai negato; se fossi stata più sincera con Luke e gli avessi confidato tempo prima di conoscere l’identità di mio padre, saremmo stati sicuramente in grado di coordinarci meglio durante gli attacchi e di pianificare un piano migliore, e non saremmo tornati a casa a mani vuote, sfigurati da cicatrici e ustioni di secondo grado.
Ma così facendo, Luke non solo aveva dovuto sopportare l’umiliazione del fallimento della sua impresa, ma anche scoprire nel peggiore dei modi che la sua migliore amica non si fidava abbastanza di lui da rivelargli chi fosse realmente.
 
Tremendo, lo so. Ma avevo passato ogni singolo minuto di ogni giorno, nei successivi tre mesi, a scusarmi in ogni modo che conoscevo e a fare i salti mortali pur di ripristinare il nostro rapporto.
Ma Luke aveva reso palese che avesse perso interesse nella nostra amicizia, ignorando ogni mio tentativo.
E all’improvviso se ne usciva con una battuta e una risatina di scherno?
 
Vedendo che non davo corda alla sua confidenza, smise di ghignare e mi porse la felpa blu che teneva sulla spalla.
 
“Togliti capello, occhiali, sciarpa e cappotto. Il modo migliore per passare inosservati è muoversi con disinvolta semplicità”
 
Continuai a guardarlo in cagnesco e ostinato silenzio.
 
“Quando arriviamo a New York raggiungi il gruppo, tirati su il cappuccio e tieni la testa bassa. Al resto penso io”
 
Odiai dargli la soddisfazione di seguire i suoi consigli, ma finii per fare come aveva detto.
 
Scoprii poi che la tecnica di Luke consisteva nel nascondermi dietro di sé per tutto il tempo.
Un piano talmente banale da far pensare a un fallimento assicurato, ma le abilità di Luke erano sovrannaturali tanto quanto le mie.
Certo, io potevo controllare le correnti, respirare sott’acqua e comunicare con qualsivoglia animale marino, ma questo non mi aveva mai portato a sottovalutare le capacità del mio amico.
L’avevo visto più volte scassinare serrature di ogni genere, orientarsi perfettamente in posti sconosciuti, quasi avesse una bussola incorporata nel cervello, riuscire a rendersi invisibile anche in campo aperto.
Una volta era stato perfino capace di rubare l’apparecchio a Katie Gardner mentre dormiva. Non ho mai voluto sapere i dettagli.
 
Diventai invisibile anche io, riparata dalle sue larghe spalle; tutti quanti, compresi Chirone e il Sig. D, deviavano inspiegabilmente lo sguardo ogni volta che questo si avvicinava alla sagoma di Luke, come fosse un buco nero nel loro campo visivo.
 
Poco dopo, quando le porte dell’ascensore si spalancarono sul seicentesimo piano dell’Empire State Building, fui perfino incapace di emettere un gemito di sorpresa.
Potrei descrivervelo, davvero, ma non sarei mai in grado di rendere giustizia alla meraviglia che si stagliava davanti ai miei occhi.
Provate a pensare in modo superlativo a ogni cosa possibile: profumi, luci, melodie, immagini, poi moltiplicate il risultato per dieci e vi sarete avvicinati al concetto.
La stessa aria che respirai mi parse dolce come miele mentre mi scendeva nei polmoni e incomprensibilmente calda, data la stagione.
E le stelle, ragazzi… Fidatevi, non avete mai visto niente di simile.
La volta celeste pareva così vicina da poterla toccare facendo un salto.
 
Attraversammo il lungo viale con non poche difficoltà, dato che venivamo distratti a ogni passo dalla meraviglia che ci circondava, soffermandoci ad ammirare le splendide botteghe d’artigianato o attirati dalle deliziose leccornie vendute ai bordi della strada.
Chirone dovette riprenderci più volte, intimandoci di proseguire verso la maestosa sala del trono che si stagliava sulla vetta del monte.
 
Vederli, poi, tutti seduti sui loro giganteschi troni, fu uno spettacolo a cui non ero preparata.
Erano di una bellezza inconcepibile, tutti loro; perfino il rozzo aspetto di Efesto e quello micidiale di Ade ispiravano un fascino unico.
 
C’era anche mio padre.
Fu come se non fosse passato nemmeno un giorno dall’ultima volta che l’avevo visto, ovvero quasi una dieci anni prima.
Capii di non aver mai sentito la sua mancanza perché era sempre stato con me, anche se in forma diversa. Se nei suoi occhi si vedeva l’oceano, voleva dire che nell’oceano ci avevo sempre visto lui.
 
Ci squadrarono tutti da capo a piede, chi con ghigni di orgoglio, chi con smorfie di disapprovazione.
Certo era che nessuno di loro avrebbe mai vinto la medaglia di genitore dell’anno.
 
Noi ragazzi passammo l’intera durata del Consiglio seduti in un angolo e in rispettoso silenzio, ascoltando i lunghi e vivaci dibattiti che animavano la sala del trono. Solo i figli di Atena prendevano ossessivamente appunti sui loro taccuini.
Fummo stupiti – ma neanche tanto riflettendoci – dei punti all’ordine del giorno, che nulla avevano a che fare con questioni del tipo guerre, riscaldamento globale, povertà del Terzo Mondo, … 
Gli Dei discussero unicamente di argomenti che riguardavano loro stessi. Del tipo, quello ha sconfinato nel mio territorio, quell’altro mi ha risposto male, c’è da organizzare la festa di compleanno per i tremila anni di Dioniso…
Sembrava a tutti gli effetti una normalissima, estenuante rimpatriata di parenti.
Mi sorpresi a tenere i pugni serrati e la mascella contratta per il fastidio.
 
Il potere di Luke continuò a proteggermi per tutto il tempo, ostacolando lo sguardo di chiunque provasse a rivolgere nella nostra direzione.
Solo una volta mi sembrò che gli occhi blu di mio padre si soffermassero un attimo di troppo su di me.
 
Finito il Consiglio, Chirone ci accompagnò all’accampamento di tende allestito per noi ai piedi della sala del trono, ordinando di prendere posto nei sacchi a pelo e di rimanerci fino alla mattina.
Probabilmente nemmeno lui ripose troppe speranze in quell’ammonimento.
 
“CHE CAVOLO CI FAI QUI?!” mi urlò Clarisse nell’orecchio, saltandomi addosso.
 
“SHHHH!” sibilai, riparandomi dietro un’imponente colonna dorata.
“Vuoi che Chirone mi scopra?!”
 
Girai su me stessa, stupefatta. Come aveva fatto Clarisse a notarmi, nonostante la magia di Luke?
Molto semplice: Luke non si vedeva da nessuna parte.
Se ne era andato. Sparito nel nulla, senza neanche avere la decenza di avvertirmi, ma anzi usando su di me la stessa tecnica illusoria che aveva utilizzato su tutti i presenti per nascondermi.
Digrignai i denti, maledicendomi mentalmente per essermi quasi fatta addolcire da quella apparente premura nei miei confronti.
 
“Quello sarà già andato a dormire nelle stalle dei pegasi. Noi invece non possiamo proprio permetterci di dormire in un posto del genere”
Non avevo mai visto Clarisse così euforica.
“Ci stai, vero?!”
 
“VIA!” esclamai, per poi metterci a correre giù per il viale principale.
 
Poco dopo, ci raggiunsero anche i fratelli Stoll, Chris Rodriguez, Chard Ersen, figlio di Efesto, e Katie Gardner.
Chiesero a me e a Clarisse se avessimo visto Luke, dato che l’avevano cercato ovunque per invitarlo a unirsi a noi, senza scovarlo da nessuna parte.
 
“Ve lo dico io, sarà imboscato con Silena da qualche parte!” Ridacchiò Chris.
 
Ecco spiegato; quell’idiota mi aveva piantata in asso senza degnarmi di una parola, rischiando così che venissi scoperta da Chirone, solo per andare a infilarsi in qualche angolino a pomiciare con la sua nuova fiamma.
Soffocai la frustrazione e mi costrinsi a pensare solamente a godermi quel momento con i miei amici.
 
Dei, non mi ero mai divertita così tanto in tutta la mia vita.
 
Potemmo finalmente comportarci come dei normalissimi adolescenti, in giro di notte a ridere, scherzare e fare chiasso, proprio come era giusto che fosse.
Ci rimpinzammo di dolci dal sapore talmente squisito da non somigliare nemmeno lontanamente a niente che avessimo mai assaggiato, fumammo degli strani sigari che triplicarono la nostra euforia, suonammo i campanelli delle case per poi filarcela, ridendo a crepapelle.
 
Fu tutto molto divertente fino a che Connor, correndo, non inciampò su un ciottolo dissestato, finendo addosso al profilo di una giovane fanciulla in chitone bianco che si stava esibendo con uno strumento musicale. Sfortunatamente, accanto alla giovane, si esibivano altre otto bellissime ragazze, ognuna con uno strumento diverso, e tutte quante caddero a terra a per colpa dell’effetto domino innescato da Connor.
 
Consiglio: non interrompete mai uno spettacolo delle Muse, perché lo prendono parecchio sul personale.
 
Costretti a darcela a gambe, con nove dee alle calcagna che brandivano chitarre e liuti come mazze da baseball, ci lanciammo tra le intricate vie della città sacra.
Per forza di cose, dovemmo dividerci sempre di più, finché io non decisi di dare una chance di farcela a Chris e Clarisse, prendendo un bivio diverso dal loro e ritrovandomi sola, inseguita dalle più accanite Clio e Calliope.
 
Arrivai in una piccolissima e isolata terrazza che dava sullo strapiombo del cielo, adornata solamente da una fontana composta da una grande vasca circolare piena di alghe dorate e che si sviluppava in altezza, creando giochi d’acqua.
 
Un’idea mi sorse spontaneamente, ma dovetti scartarla e mi lanciai verso il vicolo dall’altro lato della piazzetta.
Ma una sagoma indefinita si materializzò al mio fianco, mi afferrò per un braccio e mi tappò la bocca con una mano.
Gridai per la sorpresa, convinta che le due muse fosse riuscita a raggiungermi.
 
“Zitta! Vieni presto, qua sotto!” sibilò la voce di Luke, trascinandomi verso la fontana e scavalcando il bordo della vasca.
 
Feci per oppormi, ma sentendo i passi veloci e le esclamazioni delle due muse avvicinarsi, capii di non averne più il tempo e mi lasciai sprofondare nell’acqua insieme a Luke.
 
L’altezza della vasca non superava i cinquanta centimetri e fummo costretti a sdraiarci per essere completamente sommersi.
Costrinsi l’acqua a fermare il moto causato dal nostro tuffo e di tornare placida, poi spinsi le alghe dorate che giacevano brillanti sul fondo a risalire in superficie, creando uno strato in grado di nasconderci.
 
I suoni giunsero ovattati per via dell’acqua, ma riconobbi dei passi fermarsi vicino alla fontana e delle voci sommesse dal tono adirato. Passò più di un minuto prima che sentissimo le due muse allontanarsi di nuovo, scoraggiate.
 
“PUAH!” boccheggiò Luke, quando riemergemmo.
 
“Si può sapere da dove accidenti sbuchi?” sbottai, uscendo dalla fontana.
 
“Sarebbe stato gentile da parte tua creare una bolla d’ossigeno o che so io” mi domandò di rimando, tra un colpo di tosse e l’altro “Come ringraziamento per averti salvato il fondoschiena perlomeno”
 
In effetti l’avevo sentito agitarsi per la mancanza d’aria mentre eravamo sott’acqua, ma avevo pensato fosse una punizione che ben gli si confaceva.
 
“Ringraziarti?! Hai idea in che guaio avresti potuto cacciarmi?!  Se quelle due svampite mi avessero scoperto non credi si sarebbero fatte due domande sulla mia capacità di respirare sott’acqua o di controllarne il movimento?”
 
Un bagliore di sorpresa attraversò gli occhi di Luke per un secondo.
Evidentemente, era davvero tanto pieno di sé da aver pensato che l’idea di nascondermi nell’acqua non mi avesse sfiorata.
 
Sospirai, frustrata.
“D’accordo, senti. Ti sono grata per gli aiuti che mi hai dato oggi. A quest’ora Chirone mi avrebbe già rispedita al Campo a zoccolate nelle chiappe se non fosse stato per te”
 
Gli porsi una mano e lo aiutai a tirarsi in piedi.
Quando fu uscito, posai il palmo della mano sul suo petto e feci evaporare l’acqua che gli inzuppava i vestiti, cosa che gli fece emettere un sospiro di piacere.
 
“Ora vado a cercare Clarisse e gli altri” affermai, facendo per allontanarmi.
 
“Non l’ho mai detto a nessuno, Mel. Mai.” Giurò con fermezza, cercando approvazione nel mio sguardo.
 
Annuii “Lo so. Ti credo”
 
“E allora perché sei così diffidente con me?”
 
“Diffidente?! Io?!” la rabbia tornò a solleticarmi il petto “Luke, tu non mi hai più parlato! È passato quasi un anno da quella stramaledetta impresa, un anno in cui hai faticato a rivolgermi la parola! E stamattina ti sei svegliato convinto di poterti comportare come se non fosse successo nulla?”
 
Aprì la bocca per parlare, ma ormai ero un fiume in piena.
 
“Sono stata una bugiarda, ti ho nascosto la verità per anni, è vero, ma non mi meritavo questo!!” soffocai le lacrime e il magone che mi strozzava.
 
“Mi ha ferito che tu non ti sia fidata di me” mormorò con un tono che manifestava un dolore sincero, ma ormai privo di risentimento.
 
“Avresti dovuto riempirmi il letto di ortiche o spingermi giù dal muro di arrampicata! Comportarti come se non esistessi più, dopo tutto quello che abbiamo passato insieme è stato… ingiusto” calcai la voce sull’ultima parola, serrando la mascella.
 
Mi fissò con i suoi occhi limpidi per lunghi e irritanti secondi, senza rispondere.
 
“Beh, nessuna giustificazione? Nessuna storiella da recitare degna di un Oscar?” lo sfidai.
 
“Non darò la colpa a nulla, al di fuori della mia idiozia e del mio stupido orgoglio. Riguarda me, ogni cosa. Il fatto che abbiamo fallito l’Impresa, che abbiamo litigato e tutto il resto. Ho fatto del male a entrambi. Avrei voluto riavvicinarmi a te tanto tempo fa, ma a un certo punto non sapevo più come farlo. Poi ho scoperto che questo potrebbe essere l’ultimo anno che passerai al Campo e ho capito di aver buttato nel cesso del tempo che avremmo potuto goderci ancora assieme…
Così stamattina ti ho visto sul treno e… non lo so, ho pensato di sfruttare l’occasione per chiederti di ricominciare da capo…”
 
Si era sforzato di guardarmi negli occhi tutto il tempo, ma dopo aver concluso, rivolse lo sguardo verso il basso, palesemente a disagio.
 
Incrociai le braccia al petto, ancora sulla difensiva.
Poi però sospirai e feci ricadere le braccia lungo i fianchi: quanto a orgoglio, non potevo certo permettermi di fargli una predica.
 
“Dai, andiamo a cercare gli altri. A quest’ora si staranno chiedendo che genere di sevizie ci stiano infliggendo le Muse”
 
Luke abbozzò un sorriso e mi seguì fuori dalla piazzetta.
 
Non potevo aspettarmi che il bello dovesse ancora arrivare.
Dopo una lunga ricerca, che diede modo a me e Luke di fare due chiacchiere e rompere il ghiaccio, trovammo i nostri amici in una grande piazza circondata da templi e colonnati marmorei, immersi in una gremita folla di ninfe e divinità che danzava.
 
Nessuno fu più stupito di me nel vedere Clarisse ballare.
E lo faceva anche con una certa grazia, seppure tutti intorno a lei si impegnavano a tenere una distanza di almeno un metro.
 
La musica sull’Olimpo è qualcosa di totalmente celestiale.
Entra dalle orecchie e finisce per irradiarsi in ogni centimetro del corpo, rilassandolo o agitandolo in base al ritmo.
 
Io e Luke raggiungemmo i nostri amici, che esibirono delle espressioni stupite nel vederci insieme dopo che ci eravamo ignorati per così tanto tempo. Solo il bel volto di Silena lasciò trasparire, oltre che allo stupore, anche una scintilla di stizza.
 
Ballammo per ore sotto il cielo stellato, senza avvertire la benché minima stanchezza.
Danzammo in gruppo al ritmo di melodie incalzanti, poi in solitaria, lasciando che ciascun corpo seguisse una propria coreografia, e in coppia, cullati da musiche dolci e romantiche.
 
A un certo punto, sulle note di una sinfonia che mi ricordava una canzone di Ed Sheeran, mi trovai a pomiciare con Chard Ersen, il figlio di Efesto di un anno più piccolo di me, senza avere idea del perché stesse succedendo.
 
Quando i primi raggi del mattino iniziarono a schiarire il cielo notturno, la musica finì e la folla si disperse, probabilmente diretta alle rispettive abitazioni.
 
Improvvisamente, il peso e la fatica di una notte passata a ballare e saltare si riversò su di noi.
 
“Non mi sento più le gambe!” strepitò Katie Gardner.
 
Non le sentivo neppure io; si erano trasformate in due blocchi rigidi e tremolanti, come succedeva dopo gli allenamenti più intensi.
 
Tutti presero la strada per l’accampamento, sbadigliando e trascinandosi a fatica.
 
“Andiamo?” mi spronò Clarisse, che, insieme a Chris, aiutava Silena a reggersi sulle gambe.
 
“Non ho sonno. Preferisco farmi ancora un giretto” ribattei, anche se mentii sul fatto di non essere stanca.
 
Vidi Chard rivolgermi uno sguardo speranzoso e aprì la bocca per dire qualcosa, ma fortunatamente Luke lo precedette:
 
“Ti faccio compagnia, nemmeno io ho voglia di andare a dormire”
 
Annuii, realizzando che era proprio ciò che segretamente speravo che dicesse.
 
Iniziammo a girare alla cieca, seguendo i viali acciottolati che si allontanavano dal centro.
Riprendemmo a chiacchierare, sforzandoci di ricordare di quali argomenti eravamo soliti discutere un tempo, quando eravamo amici.
 
“Com’è stato… rivederlo?” mi chiese lui a un certo punto.
 
Non ci fu bisogno di chiedergli a chi si riferisse.
 
“E per te?” domandai di rimando.
 
Ci guardammo per qualche secondo negli occhi, poi entrambi distogliemmo lo sguardo in silenzio; conversazione finita.
 
Inaspettatamente, ci trovammo di nuovo nella piccola piazza con la fontana in cui ci eravamo nascosti e la terrazza che si stagliava sul sole che albeggiava.
 
I giochi di colore dell’alba si riflettevano sulla superficie del marmo bianco e facevano risplendere le misteriose alghe dorate che avevano preso a vorticare in circolo nella vasca.
 
“E così hai deciso di far felice il piccolo Chard” ridacchiò Luke mentre ci appoggiavamo al parapetto della terrazza.
 
“Oh, quello…”
 
“È innamorato di te dalla volta in cui hai usato la carrozzina di Chirone per falciare le zampe di quella dracena che si era infiltrata nel campo”
 
“Ho sempre detto che varrebbe la pena brevettarla come arma bianca”
 
Luke sogghignò.
 
“E invece che mi dici di te e Silena? È vero che state insieme?”
 
“No, non direi. Per ora è solo una cosa così” rispose, scrollando le spalle.
 
Annuii. Nè io nè Luke eravamo molto avvezzi alle storie durature.
Nel corso degli anni ci era capitato di stringere qualche relazione un po’ più impegnativa, in mezzo ai frequenti divertimenti casuali, ma, forse complice la nostra giovane età, non erano mai sfociate in qualcosa di veramente stabile.
 
Una strana malinconia si impossessò improvvisamente di me.
Non so se fu il dislivello emozionale dovuto all’estinguersi della smisurata euforia suscitata dalla magia della musica e dalle danze, o se desideravo semplicemente poter finalmente tornare a sfogarmi con il mio amico.
 
“Non andrò ad Harvard” le parole mi uscirono sorprendentemente fluide dalla bocca, come se la cosa non stessi riconoscendo che il sogno della mia vita si era infranto.
 
Sentii lo sguardo di Luke su di me e proseguii:
“La mamma ha parlato con il liceo che dovrei iniziare a frequentare il prossimo autunno per completare il quarto anno. La scorsa settimana sono andata a Manhattan per un colloquio di orientamento e… beh, diciamo che non si sono dimostrati così fiduciosi nei miei confronti”
Rievocare le espressioni sogghignanti e i toni divertiti dei tutor quando avevo confessato che il corso di laurea in biologia marina di Harvard fosse il mio sogno, mi fece male al punto che dovetti prendere una pausa.
 
“È solo perché non ti conoscono” rispose lui “Avranno pensato che tutti questi anni di istruzione privata non ti abbiano preparata a dovere, ma non hanno la benché minima idea di quanto siano spietati i figli di Atena come professori”
 
“Ho aggredito un’insegnante”
Ammetterlo questa volta fu più difficile. Strinsi i pugni sul bordo del parapetto e fissai il sole che nasceva all’orizzonte in un tripudio di luci e colori, pensando di non meritarmi quello spettacolo.
“In terza media, poco prima che ci incontrassimo. Mi avevano assegnato questa professoressa di sostegno appena laureata. Giovane, gentile. Un giorno, io e una compagna stavamo litigando e lei ha tentato di convincermi a tornare seduta al banco. Mi ha preso il gomito pianissimo, quasi in una carezza. L’ho spinta contro la lavagna talmente forte che è caduta a terra”
 
Sentii gli occhi inumidirsi al ricordo di quel tonfo sordo e del silenzio agghiacciante che ne seguì.
 
“Non esattamente il genere di cose che si possa smacchiare facilmente da un curriculum… E nemmeno di quelle che a un’università piaccia leggere” continuai, soffocando una risata amara.
 
Quando ebbi il coraggio di alzare lo sguardo, trovai gli occhi di Luke che mi fissavano.
Non avevo mai dimenticato quanto mi facessero sentire a casa.
 
“Mel, i mortali non potranno mai capire. Lascia che ridino e giudichino, come solo chi ha una vita insulsa può fare. Pensa solo a dare il meglio che puoi e a prendere il diploma. Qualsiasi università a cui farai domanda ti spalancherà le porte, credimi”
 
“Ho paura di non saper essere persuasiva quanto te”
 
“Tu meriti tutto quello che desideri. E io ti aiuterò ad ottenerlo”
 
 
Caspita… ecco cosa intendeva…
  
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