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Autore: Ciuscream    02/10/2022    12 recensioni
Daphne le ha detto che, ormai, ha perso smalto; Pansy ha messo su una smorfia strana – un miscuglio indefinito di sufficienza e terribile consapevolezza – poi è passata oltre.
Se lo è chiesto spesso se, davvero, finire a fare l'amante significhi aver perso quell'altezzosa fierezza di cui si è sempre fatta vanto. Oppure è stata, dopotutto, una strategia come un'altra per ottenere, con poco sforzo, quello che le è sempre stato negato. Che cosa sia quello che le è sfuggito dalle mani, quello che ancora brucia sulla lingua, ancora non lo ha ben compreso. Forse, voleva soltanto una vendetta su Draco per quella scelta scellerata di sposare una Greengrass, la più sbiadita, o, forse, rincorreva un'attestato di vittoria su Narcissa, che le ha sempre posato addosso occhiate poco lusinghiere.
Mentre il sole tiepido di settembre le solletica le gote, però, la risposta le sembra poco rilevante.

[Lucius/Pansy – Questa storia partecipa al Writober di Fanwriter.it]
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Lucius Malfoy, Pansy Parkinson
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace
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- Questa storia fa parte della serie 'Pozzi di pece (mai di pace) – Lucius/Pansy'
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Autres temps

PROLOGO

[#writober, 2ott. – respiro]

 

Daphne le ha detto che, ormai, ha perso smalto; Pansy ha messo su una smorfia strana – un miscuglio indefinito di sufficienza e terribile consapevolezza – poi è passata oltre.

Se lo è chiesto spesso se, davvero, finire a fare l'amante significhi aver perso quell'altezzosa fierezza di cui si è sempre fatta vanto. Oppure è stata, dopotutto, una strategia come un'altra per ottenere, con poco sforzo, quello che le è sempre stato negato. Che cosa sia quello che le è sfuggito dalle mani, quello che ancora brucia sulla lingua, ancora non lo ha ben compreso. Forse, voleva soltanto una vendetta su Draco per quella scelta scellerata di sposare una Greengrass, la più sbiadita, o, forse, rincorreva un'attestato di vittoria su Narcissa, che le ha sempre posato addosso occhiate poco lusinghiere.

 

Mentre il sole tiepido di settembre le solletica le gote, però, la risposta le sembra poco rilevante.

 

Respira. L'aria dell'autunno sgomita per rimpiazzare l'afa dell'estate e un pizzicore fresco le invade il petto ed i polmoni, allargandoli. Rue Cortot è, per lei, una zona franca e Montmartre è il piccolo pezzo di mondo che, da subito, ha sentito accoglierla, senza se e senza ma. Non ci sono giudici e giudicati, sulle pietre che hanno visto gente sfilare verso lo Chat Noir, hanno visto modelle scoperte d'ogni cosa, protette soltanto dalla loro pelle, nude di fronte all'immensità di due occhi che tutto colgono, per poi riversarlo sulla tela. Nei sentieri acciottolati, nei fili delle edere che si arrampicano sulle case e le nascondono agli occhi degli altri, lei si sente a casa.

Per questo, Lucius ha scelto quella strada, per incastrare tra le case Babbane un piccolo appartamento, con geranei colorati al balcone e un tenue color avorio a dipingere le pareti.

Per questo, Lucius le ha chiesto di restargli accanto, anche se nell'ombra, e ha cercato di comprare quel sì con ogni punto debole di Pansy conosciuto. Quella strada, quei colori, quell'odore tutto tipico di un luogo intriso di storia antica e indimenticata, d'arte e passato, di bellezze senza tempo e con tutto il tempo del mondo addosso. Le ha posato in mano le chiavi, le ha detto di seguirla, le ha riversato nel respiro il suo respiro e, senza suppliche o preghiere, le ha donato uno stralcio di magia, che della magia però non ha nulla.

E, Pansy si è detta, il suo smalto forse l'ha perso davvero. Perché, per dire di sì, per cedere, per permettere alle mani di lui di posarle addosso le prime di milioni di carezze, ha impiegato meno di un secondo, un brevissimo battito di ciglia, un respiro che si è mozzato e in cui l'aria ha perso la strada di casa.

Ha detto sì e, adesso, un pezzo di Rue Cortot è sua. Solo sua.

 

Il cielo è terso, il respiro pulito, i battiti regolari. Non c'è niente per cui avrebbe dovuto privarsi di tutto questo – non l'orgoglio, non vetuste e ormai anacronistiche regole sociali. Il rumore delle sue scarpe sull'acciottolato, il silenzio tutt'intorno denso come panna, le danno ragione. E lei, con un sorriso molto meno amaro, risale la strada. Gli occhi si perdono tra le piccole margherite che sbocciano contro ogni logica, cancelli di legno sbeccati e ridipinti di un verde acceso e così lontano dalla regalità della Parigi che dorme molto più in basso. Ci sono case piccole e finestre piccole, gatti grandi, invece, e glicini ormai sfioriti che aspettano di tornare alla gloria. I suoi occhi vengono sempre rapiti dalla stessa cosa, però, un giorno dopo l'altro, come se non avesse studiato ogni piccolo angolo e cono d'ombra di quella struttura rimodernata alla bell'e meglio.

La vecchia casa di Suzanne Valadon – quell'immensa donna di cui ha percorso e ripercorso la storia migliaia di volte – si frappone fra lei e il sole, salvandola da raggi tiepidi ma invadenti. Alza gli occhi su quello che ormai è un museo, sulle crepe alle pareti coperte di stucco, sul passato rivestito da una bella passata di vernice. Le gambe le tremano appena, se pensa che la modella di tutti gli Impressionisti – ventre in cui un pittore è nato, viso che di dipinti ne ha fatti nascere a decine, mano che ha mosso colori su tante tele – lì dentro viveva e, adesso, lei ha la fortuna di dimorarle accanto, come se fossero due vicine, due amiche, due che hanno tanto da raccontarsi – della passione, dell'arte, dell'essere amanti sempre alla ricerca di qualcosa di più.

 

Varca la soglia, come ogni volta che passa lì davanti. Non si sofferma sulle indicazioni per turisti ignari, sicuramente incapaci di cogliere la grandezza di così tanto. È sempre la stessa routine: Pansy sorride alla cassiera che le chiede se vuole acquistare un biglietto d'ingresso, le annuisce, senza conoscere nemmeno come siano le fattezze delle inutili monete Babbane, mima con le labbra un Confundus e sfila dietro la porta che dà sul giardino, mentre la giovane donna che le sorrideva prende a trafficare con qualcosa di cui si è ricordata all'improvviso.
Entra nel piccolo giardino che è sempre uguale e sempre diverso ogni giorno, pieno di occhi e visi nuovi, stupiti, stupidi. Questa mattina ospita qualche Babbano dalle grandi macchine fotografiche, due bambini che giocano coi rispettivi cappelli, gente che osserva rapita le aiuole grandi e curate, di cui ormai conosce ogni angolo. Non si sofferma su nulla in particolare. Scivola, come se le gambe andassero da sole, verso il suo posto preferito, verso quella che per lei è calamita a cui non riesce a fare resistenza 
l'altalena che Renoir ha reso eterna, con pennellate che non riesce a non credere intrise di magia  e si stringe appena nell'abito troppo leggero per quell'aria rinfrescata, con un brivido che forse non è solo figlio di temperature che calano a picco.

Respira, ancora. C'è così tanto in quel poco spazio – la vigna, la casa di Suzanne, la sua stanza al piano di sopra, i suoi quadri, la sua fotografia, così innaturalmente inanimata. Quelle stanze che ogni giorno ripercorre, rapita, attratta, risucchiata.

La vedesse Lucius adesso, persa com'è nei meandri Babbani di una vita fa, la prenderebbe in giro per la sua ingenua capacità di sorprendersi, per riconoscere così tanto in cose così prive di magia. Ma adesso lui non c'è e Pansy non pensa. Non pensa e respira. Parigi sembra lontana e vicinissima, un po' come quel suo così desiderato amante.
Se li sente impressi addosso, entrambi, adesi fin dentro le cellule; allo stesso tempo, gli sembrano lontani mille ere, stesi ai suoi piedi, sotto il suo cuore così poco sacro.

Respira, Pansy. E non riesce a non pensare che tutto, intorno a lei, sembra fare lo stesso.


 



Note: ciao a tutti! Non so come sia nato questo piccolo “prologo” e, confesso con sincerità, non so dove andrà di preciso a parare questa storia. Ma complice un recente viaggio a Parigi e la lontananza da questa coppia da troppo tempo, sono arrivata a partorire questo. Ho balzato alla grande il primo giorno di Writober e mi sento sinceramente incapace adesso di seguire un calendario giornaliero. Spero di riuscire almeno a postare nei giorni pari, come oggi, e sperare che qualcosa ne esca fuori – seppur sicuramente folle e confuso. Grazie di essere arrivati fin qui, comunque! 
Vi abbraccio

 

   
 
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