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Autore: melianar    03/10/2022    1 recensioni
Mentre a Caligola viene finalmente data degna sepoltura, per Agrippina è tempo di prendere le giuste decisioni per non finire come il fratello.
Genere: Angst, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Antichità greco/romana
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“Il suo corpo fu portato di nascosto nei giardini di Lamia e, semicombusto su di un rogo allestito in gran fretta, fu coperto d’un leggero strato di terra. In seguito, le sorelle tornate dall’esilio, lo riesumarono, lo cremarono e gli diedero sepoltura”.
[Svetonio, Vite dei Cesari, libro IV]



Chissà se adesso c’è un trono anche per te, Gaio, accanto a quello di Giove Tonante.
Chissà se vi spartite il governo del mondo come due buoni amici, oppure combattete per la supremazia a suon di fulmini.
O forse sei nel luogo più profondo dell’Averno, a scontare una a una le follie della tua arroganza.
Sarebbe così confortante credere a una di queste favole, una qualunque, non ha importanza. Ma agli dei ho smesso di credere presto.
Gli dei non sono altro che uomini, che immolano altri uomini sull’altare delle loro ambizioni.
Anche tu lo sapevi, Gaio, anche tu dalla nostra infanzia apprendesti la stessa lezione?
Sapevi che di te non sarebbe rimasto altro che questo mucchietto di cenere, così misero da far rabbrividire?
Basterebbe un soffio di vento a farti scomparire, altro che Giove, altro che eternità! 
O forse quando eravamo bambini e Tiberio sacrificava nostro padre, nostra madre, i nostri fratelli uno a uno sull’altare delle sue ossessioni, tu apprendevi una lezione diversa. La lezione sbagliata.
Non lo so, Gaio, a un certo punto ho smesso di capirti. Ho smesso di saper leggere l’intelligenza dietro le tue follie e ho visto qualcos’altro, qualcosa che mi terrorizzava perché minacciava tutto, anche me.
Volevo fermarti, ma giuro, non volevo ucciderti. Nemmeno Livilla, sai, nemmeno lei lo voleva.
Lei è l’unica che riesca a piangere, ora, su queste ceneri che solo a guardarle mi fanno stringere lo stomaco e nemmeno so spiegarmi il perché.
Mi fa quasi rabbia, nostra sorella, con le sue lacrime irrefrenabili e quel lamento convulso da prefica.
«Agrippina, abbiamo perso tutto» ripete tra i singhiozzi.
Ma cosa, Gaio, cos’abbiamo perso con la tua morte? Un fratello che diceva di amarci più di chiunque altro e che non ha esitato a mandarci in esilio per un sospetto, un sussurro, una voce insinuante?
Dimmelo, Gaio, senza di te che cos’abbiamo perso? Perché ho la gola così stretta da non riuscire a respirare?
Perché ho accettato di inginocchiarmi come una supplice davanti a quello zio scemo che abbiamo sempre deriso insieme e l’ho pregato, implorato di permetterci di darti una sepoltura degna di un Cesare?
Sì, perché adesso è proprio lui, Claudio lo stupido, a vestire i tuoi panni di principe.
E come dev’essersi sentito magnanimo, davvero un grande uomo, quando dall’alto di un trono che lo rende ancor più ridicolo ha comandato il nostro ritorno a Roma.
A prelevarci da Ponza ha mandato un centurione dall’aria feroce e soddisfatta: «Lo sai, domina, che tuo fratello è morto? Lo pugnalavano mentre implorava pietà, come una donna. Dopo è toccato a quella cagna di sua moglie. La bambina, poi, l’hanno sbattuta contro un muro. Una prole del genere non merita  di vivere, ti pare?»
Parlava e mi guardava dritto in faccia, cercando sul mio viso segni di un qualche cedimento da riferire a quell’idiota.
Livilla tremava, e per questo so che me la porteranno via presto. Io invece sono rimasta di pietra. Anche questo l’ho imparato da bambina, ma sembro l’unica tra noi ad aver appreso come si deve la lezione.
Non ho abbassato lo sguardo nemmeno per un istante. E se vuoi saperlo, Gaio, in quel momento non provavo niente.
Soltanto dopo, la notte, sono cominciati i sogni. Quella bambina, la tua bambina, gettata contro il muro.
Solo che nei sogni non era più tua figlia. Nei sogni era il mio Lucio.
E allora, finalmente, ho capito.
Ho capito che per mio figlio anche io diventerò una dea, anche io sacrificherò le mie vittime sull’altare del potere. E per farlo devo lasciarti andare, fratello mio. Per sempre.
Devo saperti libero, sepolto con un po’ di quell’onore che hai sempre ricercato in vita.
Ci sarà tempo per capire se ti ho amato, se ti ho odiato, se la tua perdita mi ha recato sofferenza o gioia.
Adesso è tempo di andare avanti.
È il mio tempo, il tempo di Agrippina.
Tempo di conquista.



Note

Torno a svolazzare su questi lidi con la mia disagiatissima famiglia del cuore, su cui tanto si è detto e troppo ancora ci sarebbe da raccontare.
Non c’è molto da dire su questa storia, se non che Agrippina mi è tanto cara e che questa è la mia risposta ai mille interrogativi grandi come una casa che mi si affollano alla mente ogni volta che penso a lei e alla sorella mandate in esilio da Caligola e che, rientrate a Roma dopo la sua morte, desiderano dargli degna sepoltura, perché la sola idea mi strazia il cuore.
Ringrazio come sempre Kan per il betaggio ricco di spunti di riflessione, e ringrazio chiunque abbia letto.
Ci rivediamo a breve questa volta, ovviamente alla stessa corte, in compagnia di un’altra donna, giusto qualche anno più avanti ;-)
A presto

Mel

  
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