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Autore: FrancyT    03/10/2022    3 recensioni
9-10 Novembre 1939, Germania
All'interno dell’hotel Rheinischer Hof, due individui si accingevano a discutere di argomenti di notevole importanza. Seduti comodamente in una di quelle stanze, i due uomini discussero a lungo, arrivando a prendere un importante decisione. Quel loro incontro stabilì una direttiva che non ammetteva obiezioni.
Quella che noi oggi ricordiamo come “Notte dei cristalli”, scaturì l’inizio di questa storia.
Durante quella stessa notte numerose azioni violente si riversarono contemporaneamente nella città, seminando il panico generale. Alcuni individui iniziarono allora ad abbandonare le città, in cerca di un posto migliore dove poter vivere. Fra di essi troviamo la figura di Inuyasha, un giovane locandiere che, in seguito a quella notte, si è ritrovato costretto ad abbandonare la propria abitazione.
La “notte dei cristalli” segnò l’inizio della sua storia, quella di un ibrido alla ricerca della libertà.
Nel suo lungo viaggio il ragazzo incontrerà persone che tenteranno di aiutarlo, che lo sosterranno nella fuga, che lo proteggeranno dai generali tedeschi ma...
Inuyasha riuscirà davvero a raggiungere il confine?
Genere: Avventura, Guerra | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Inuyasha, Miroku, Naraku, Sesshoumaru | Coppie: Inuyasha/Kagome, Miroku/Sango
Note: AU, OOC | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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Germania, Aprile 1939 

Ore 22:00 

Immerso nella semi oscurità di una delle stanze all’interno del centro di alto comando delle forze armate tedesche, una figura osservava con sguardo assorto il paesaggio fuori dalla finestra. 

Nel silenzio della stanza, rifletteva sugli ultimi accordi che aveva stipulato con l’Italia. Sei mesi prima aveva mandato Kagura, sua più fedele compagna, nel territorio italiano per proporre a Benito Mussolini un accordo. Durante il colloquio Kagura cercò di convincere il Duce dell’importanza di quella loro proposta, argomentando che, forse nel giro di tre o quattro anni, un confronto armato contro Francia e Regno Unito sarebbe stato inevitabile.  
Ovviamente la demone del vento non aveva deluso le sue aspettative. Con poche e semplici parole era riuscita a raggirare l’uomo italiano che, nel Gennaio 1939, accettò di aderire al patto italo-germanico. 

Un sorriso malvagio si dipinse sul volto del demone. Un’altra pedina era stata abilmente mossa all’interno del suo tavolo da gioco. Gli uomini e i demoni erano così facili da manipolare.  
Proseguendo in questa maniera avrebbe conquistato l’Europa in poco tempo e successivamente avrebbe mirato al resto del mondo.  

Il Führer era convinto che presto l’intero globo sarebbe caduto sotto il suo potere. 

Stanco di osservare il paesaggio oltre quella finestra, Naraku si accomodò su una delle due grandi poltrone poste dinanzi il camino. In silenzio osservò il fuoco scoppiettante dinanzi ai suoi occhi e rifletté su tutto ciò che aveva affrontato per giungere a quel punto. Con fatica e dedizione era riuscito ad ottenere il potere necessario, adesso doveva solo attendere il momento giusto prima di avere il controllo sull’intera popolazione. Per far ciò però, doveva eliminare a tutti i costi i mezzo demoni.  

Quegli esseri... 

Il viso pallido del Führer si corrucciò, i suoi occhi rossi assunsero una tonalità più intensa, intrisi di rabbia. La sua aura parve macchiarsi di quel sentimento negativo. Naraku avrebbe fatto di tutto per eliminare quegli esseri immondi, l’unico ostacolo che gli si piazzava sulla strada spianata. 

La presenza di qualcuno dietro la porta di ingresso della sua stanza, gli fece recuperare la concentrazione di cui aveva bisogno. Non poteva far cedere la sua copertura, non poteva permettere ai suoi sottoposti di vederlo in quello stato. 

- Entri pure generale Banryu, mi aggiorni sulle ultime novità. - 

Bankotsu fece presto il suo ingresso in stanza, non affatto sorpreso della perspicacia del suo superiore. Dopo il consueto saluto, si posizionò dinanzi il camino e attese un gesto del Führer per poter parlare. 

Naraku osservò il suo sottoposto. Il generale Banryu si era rivelato un'ottima pedina. Aveva adempito al compito da lui assegnato durante la notte dei cristalli in maniera impeccabile. Nell’arco di pochi mesi era riuscito a reclutare un discreto numero di umani da addestrare e, nei mesi a seguire, non aveva mai deluso le sue aspettative. Eppure, quel giorno non era giunto al suo cospetto per aggiornarlo dei risultati della sua ultima missione, lo sapeva. 

Il Führer fissò il generale negli occhi. Bankotsu stava per rivelargli qualcosa che non gli avrebbe fatto piacere. Già da giorni giravano strane voci all’interno dell’alto comando delle forze armate e, quella presenza nella sua stanza, testimoniava il fatto che non fossero semplici voci. 

Con un gesto della mano, Naraku concesse all’unico generale umano presente nel suo esercito di proferire parola. 

- Führer, mi spiace disturbarla a quest’ora ma è una questione urgente. L’assassino ha colpito nuovamente. - 

La questione sembrava essere più seria di quanto avesse immaginato.  
Quando il mese precedente gli era giunta voce di uno strano individuo che stava assassinando i suoi soldati, Naraku non si era minimamente preoccupato della cosa. Il capo del gruppo di oppositori del regime era stato eliminato e, in assenza di Aaron Schmidt, era certo che il gruppo non avrebbe potuto organizzare, in così poco tempo, una tattica per colpirlo. Pertanto, all’epoca dedusse che, con ogni probabilità, si trattasse di un singolo individuo con strane manie di giustizia, nulla che i suoi sottoposti non avrebbero potuto eliminare.  

Adesso, però, si ritrovava a pensare che, forse, la questione fosse più seria di quanto avesse pensato. A quel primo attacco, avvenuto a febbraio inoltrato, ne erano susseguiti altri, tutti svolti nella medesima maniera. 

- Capisco. - 

Il demone poggiò i gomiti sopra le gambe e congiunse le mani. Il suo indice destro picchiettava ritmicamente contro quello sinistro. Era stranamente preoccupato, quella situazione gli stava sfuggendo di mano. 

- Come si è presentata la scena del crimine questa volta? - 

Bankotsu osservò il Führer per qualche secondo, consapevole che la sua risposta non avrebbe fatto piacere al suo superiore. 

- Stesse dinamiche mio signore. Il nostro assassino colpisce le sue vittime alle spalle, squarciando i loro corpi con gli artigli. Nessuno è mai sopravvissuto per fornirci ulteriori dettagli. L’unica cosa che diamo per certa è la presenza di sangue demoniaco nel suo corpo. Non possiamo però confermare se sia un demone o un mezzo demone. - 

Infastidito da quelle insinuazioni, Naraku interruppe bruscamente il rapporto del generale. 

- Sciocchezze! Un mezzo demone non farebbe mai qualcosa di così avventato. Quegli esseri inutili pensano solo a salvarsi la pelle. Qualche altro dettaglio? - 

Bankotsu annuì. 

- Sembra che nessuno si accorga della sua presenza. Le sue vittime non sono solo umane, numerosi demoni sono stati eliminati nella medesima maniera. - 

Naraku fermò il gesto ritmico delle sue dita e portò una mano ad accarezzarsi il mento. 
Forse la cattura di quell’individuo avrebbe portato delle piacevoli scoperte. 

- Interessante... - 

Bankotsu poté giurare di aver visto uno strano luccichio prendere possesso degli occhi del demone. 

- Führer, come pensa che dovremmo agire? - 

Naraku parve pensarci un po’ su e, con un sorriso malvagio, si rivolse al suo sottoposto. 

-  Va dal generale No Taisho e avvisalo che la sua missione è cambiata. Il suo compito adesso sarà quello di fermare questa nuova minaccia per il paese. Una volta trovato, dovrà portarlo vivo al mio cospetto. - 

Bankotsu osservò il demone interdetto. Pensava che quel compito sarebbe stato affidato a lui e, senza rendersene conto, diede voce ai suoi pensieri. 

- Perché proprio No Taisho? - 

Naraku, mantenendo un'espressione impassibile, diede al generale la sua tanto attesa spiegazione. 

- Lui è l’unico che, quando si mette sulle tracce di qualcuno, non molla finché non cattura la sua preda. - 

Ancora indispettito, il generale accettò l’ordine e, in silenzio, raggiunse l’uscio della porta. Prima di poterla varcare, il Führer si rivolse nuovamente a lui. 

- Bankotsu, un’ultima cosa. Come va con i cadetti? - 

Un ghigno deformò le labbra del militare. Voltatosi nella direzione del demone, osservò la sua figura avvolta nella penombra.  

- Oggi il primo gruppo ha finito i due mesi di addestramento. Domani alcuni di loro verranno mandati ai campi, mentre altri affiancheranno le squadre di pattuglia nelle città. - 

Il Führer era soddisfatto di quella risposta, aveva scelto bene le proprie pedine. 

- Il secondo gruppo è già pronto? - 

Il generale riuscì a leggere il significato nascosto dietro quelle parole e rispose con tono sicuro al demone. 

- Certo mio signore. Quando sarà giunto il momento, avrà il giusto numero di soldati semplici, non si preoccupi. - 

Naraku osservò un’ultima volta la figura del giovane, dopodiché spostò lo sguardo su quella piccola fiammella che continuava ad ardere nel suo camino. I suoi piani erano lievemente cambiati ma, forse, ciò avrebbe giovato a suo favore. Se davvero l’assassino aveva il potere di nascondere la sua presenza, avrebbe potuto sfruttare quella caratteristica a suo vantaggio. Doveva solo aspettare che il generale No Taisho portasse al suo cospetto quell’essere dalla caratteristica così particolare. 

Quella stessa sera 
All’interno dell’accampamento del generale No Taisho, una piccola bambina dai lunghi capelli castani si aggirava silenziosamente fra le tende disposte su file parallele. La piccola Rin era sgattaiolata fuori dalla tenda del generale, nonostante le raccomandazioni che il vecchio colonnello Jaken le aveva rivolto. 

Un sorrisetto divertito sfuggì dalle labbra di Rin. 
Quante volte aveva fatto infuriare il piccolo demone kappa a causa della sua curiosità? 
Non sapeva dirlo con certezza, eppure, la piccola considerava l’atteggiamento di Jaken decisamente esagerato.  

Rin non era mai stata scoperta. Ogni volta che si avventurava per le sezioni dell’accampamento, nessun demone pareva notarla; alcuni troppo ubriachi per dar retta al loro udito, altri stranamente ignari della sua presenza. 
L’obbiettivo delle sue perlustrazioni non era malvagio. Rin non voleva di certo mettersi nei guai, né tantomeno tradire la fiducia che il signor Sesshomaru stava riponendo in lei. La piccola voleva solo curiosare un po’ in giro e ripagare il debito che aveva con il suo salvatore. 

Già da tempo, infatti, la piccola aveva notato il malcontento generale della divisione di Sesshomaru e temeva che questo clima potesse causare problemi al militare. Anche quella notte, infatti, la piccola Rin era nascosta dietro delle grandi casse e osservava con curiosità due demoni cane che, seduti per terra, sorseggiavano dell’alcol ed esponevano il loro malcontento.  

La piccola non sapeva dire con precisione che età potessero dimostrare i due, né tantomeno riusciva a decifrare il loro grado militare, però, se fosse stato necessario, avrebbe potuto offrire al Signor Sesshomaru la loro descrizione fisica. 

- Non mi aspettavo che stare nella divisione di No Taisho comportasse questo trattamento. Da quanto siamo bloccati in questo accampamento? Due mesi? Sono stufo di aspettare. - 

A parlare era stato il più alto dei due demoni. Aveva una corporatura massiccia, dei lineamenti marcati e un'espressione rassegnata sul volto. La sua pelle era ambrata mentre i suoi occhi, neri come la pece, erano contornati dai marchi demoniaci. 

- Di cosa ti sorprendi Eike? Il generale ci considera meno di zero. Siamo delle semplici pedine per lui, non importa se gli siamo fedeli o meno, ci sfrutta tutti alla stessa maniera. - 

Seduto di fianco ad Eike, il secondo demone cane degnò di una risposta il suo compagno d’armi.  
Rispetto ad Eike, lui possedeva dei lineamenti quasi femminili. La sua pelle color latte risaltava ancor di più messa a contrasto con i lunghi capelli neri che il demone portava legati in una bassa coda di cavallo. I suoi occhi stanchi, color del cielo, osservavano distrattamente il bicchiere vuoto che teneva fra le mani. 

- Sai Dolf, ho sentito che i più anziani rimpiangono Toga. Si dice che lui fosse un vero generale, che organizzasse in maniera impeccabile le sue truppe e che facesse di tutto per evitare perdite inutili. Tutto il contrario di suo figlio che preferisce svolgere il lavoro sa solo. - 

Un sonoro sbuffo uscì dalle labbra di Eike. Non si era di certo arruolato nell’esercito per passare le sue giornate da sbronzo all’interno dell’accampamento. Il demone cane voleva combattere per gli scopi del Führer, voleva aiutare il grande Naraku ad espandere i territori tedeschi così da permettere ai demoni maggiori spazi. Stancamente si portò nuovamente il bicchiere alle labbra e bevve tutto d’un sorso il contenuto rimanente. La gola parve bruciargli per qualche secondo, poi riprese a parlare. 

- E se facessimo richiesta di trasferimento? Tanto a No Taisho non importa di noi. Ho sentito che il generale Yoro considera i suoi commilitoni come parte del branco. Più volte ha messo a rischio la sua stessa vita per salvare i suoi sottoposti da morte certa. - 

Dolf arricciò il naso in una smorfia disgustata. Non riusciva proprio a tollerare la puzza che i demoni lupo emanavano. Indignato e sconcertato da quella proposta, cercò di comunicare al suo compagno d’armi tutto il suo dissenso.  

- Abbandonare No Taisho per un demone lupo? Giammai! -  

Eike decise saggiamente di far cadere l’argomento “trasferimento” e, sbuffando, si versò un altro po’ di alcol nel suo bicchiere, che svuotò poco dopo. Con sguardo perso per via dell’alcol in circolo, Eike si rivolse nuovamente a Dolf. 

- Credi che dovremmo far rapporto al Führer? -  

Quelle parole fecero rizzare le orecchie della piccola Rin. Se quei militari avessero fatto rapporto al Führer molto probabilmente il signor Sesshomaru sarebbe finito nei guai. 
Con coraggio, la piccola si sporse un po’di più verso i due demoni e ascoltò la risposta di Dolf che arrivò poco dopo. 

- Il Führer Naraku ripone la sua massima fiducia nel generale, No Taisho ha sempre portato avanti con successo le sue missioni. Piuttosto che declassarlo, il Führer finirebbe con il condannare noi come nemici dello stato. - 

Tirato un sospiro di sollievo, la piccola Rin tornò sui suoi passi ma, non prestando la dovuta attenzione, finì con l’urtare una delle casse dietro le quali si nascondeva. 

I due demoni si scambiarono uno sguardo d’intesa, a nessuno dei due era sfuggito quello strano rumore. Qualcuno li stava ascoltando e non potevano permettere che le loro lamentele arrivassero al generale. A passo lento si avvicinarono allora alle due casse, poste a pochi metri di distanza da loro, e accerchiarono il ficcanaso di turno. 

- C-colonnello Jaken! -  

Esclamarono i due, colti di sorpresa. Non si aspettavano di trovare, nascosto dietro quelle casse, il braccio destro del loro superiore. 
Il demone kappa osservava i due demoni cane con sguardo severo. 

- Quello che hanno appena udito le mie orecchie è corretto? Avete intenzione di tradire il vostro generale? Come osate anche solo pensare di tradire il grande generale No Taisho per questi infimi motivi! - 

Mentre i due cercavano di giustificarsi con il colonnello, la piccola Rin corse a nascondersi nella tenda di Sesshomaru. Era stata sciocca, lo sapeva. Aveva rischiato di farsi scoprire da quei demoni. Aveva rischiato di far arrabbiare il signor Sesshomaru. Aveva rischiato di morire un’altra volta. 

Un brivido scosse la piccola. I ricordi di pochi mesi prima arrivarono prepotenti nella sua mente. L’immagine del suo papà sbranato dai demoni lupo, la corsa verso il bosco, poi il buio. In fretta, la piccola si accucciò nel suo sacco a pelo e chiuse forte gli occhi. Presto il signor Sesshomaru avrebbe fatto il suo ritorno, l’avrebbe protetta, e lei sarebbe tornata l’allegra bambina degli ultimi giorni. 

Per fortuna della piccola, anche il demone kappa in quei mesi si era molto affezionata a lei, nonostante la considerasse una pasticciona e una combina guai. Proprio per questa sua caratterista, Jaken non la perdeva di vista per un secondo e, anche quella sera, in silenzio aveva seguito la piccola Rin girovagare per l’accampamento, salvandola così dalle grinfie dei due demoni cane.  

Jaken sospirò, mentre ascoltava distrattamente le scuse da parte dei due militari. 
Il demone kappa era seriamente preoccupato per il suo signore. Non riusciva a comprendere perché avesse chiesto a lui di nascondere la ragazzina. Rin non sarebbe mai stata al sicuro nel loro accampamento, pieno zeppo di demoni dai pensieri poco casti. 

Il colonnello rabbrividì al pensiero di ciò che quei demoni avrebbero potuto fare a quella bambina. La divisione era già stufa del comportamento di Sesshomaru e se avessero scoperto la presenza di Rin, per il generale non sarebbe stato facile. Il Führer non gli avrebbe mai perdonato questo oltraggio. 

Alle prime luci dell’alba 
Il generale Sesshomaru fece il suo ritorno nell’accampamento. Non curandosi delle condizioni pietose dei suoi sottoposti, si diresse direttamente nella sua tenda. All’interno, la piccola Rin dormiva serenamente nel suo sacco a pelo, mentre Jaken le sedeva affianco con in volto un'espressione seria.  

Quando il demone kappa si accorse della presenza del suo generale all’interno della tenda, tirò un sospiro di sollievo. Adesso la piccola Rin sarebbe davvero stata al sicuro. 

- Jaken, puoi andare adesso. - 

Il piccolo demone osservò il suo superiore in viso. Doveva avvertirlo di ciò che aveva udito la sera precedente. 

- Mio generale, prima di congedarmi devo parlarle di una questione importante. - 

Il demone cane fece segno al colonnello di proseguire il suo discorso. Sapeva già che se avesse negato la parola al colonnello, quest’ultimo gli avrebbe esposto ugualmente la questione. Tanto valeva comportarsi in maniera civile. 

- I suoi commilitoni iniziano a tramare alle sue spalle generale. Sono stanchi di rimanere nell’insediamento, vorrebbero entrare in azione come voi. La loro ultima azione militare risale a due mesi fa e non ha portato a grandi risultati. - 

Sesshomaru non mutò espressione. Non gli importava di cosa i suoi commilitoni pensassero, se si fossero opposti al suo comando, avrebbe dato loro una giusta lezione. 

- Non temo quei demoni Jaken, puoi andare ora. - 

Jaken posò lo sguardo sulla bambina, poi si rivolse nuovamente al demone. Doveva avvertirlo del rischio che Rin aveva corso quella notte. 

- Generale, mi spiace dissentire, ma temo che Rin sia in pericolo. -  

Sesshomaru esortò, con lo sguardo, il demone kappa a parlare.  

- Ieri sera è stata quasi scoperta da Eike e Dolf. Se non fossi stato con lei, i due demoni l’avrebbero di certo uccisa. Mi permetta di dire generale che se vuole davvero tenerla al sicuro, credo sia più saggio portare la maggior parte dei suoi commilitoni con lei, nelle sue missioni. O affidare la bambina a qualche famiglia umana. -  

Sesshomaru riservò al colonnello un'occhiata truce. 

- Non dovevi impedirle di cacciarsi nei guai? Meglio che tu vada via Jaken. -  

Il piccolo demone kappa annuì e silenziosamente tolse il disturbo. 
Il suo tentativo di aiutare il suo signore sembrava essere fallito. Un sospiro sfuggì al colonnello. Sperava solo di aver mosso qualcosa nel suo superiore. 

Intanto, una volta rimasto solo nella sua tenda, Sesshomaru si avvicinò silenziosamente alla bambina, si accovacciò al suo fianco e le spostò una ciocca ribelle dalla fronte. Osservò quel volto infantile corrucciarsi al suo tocco e vide gli occhi della piccola Rin aprirsi poco dopo. Un sorriso si formò sulle labbra della bambina. 

- Signor Sesshomaru. Siete tornato! -  

Sesshomaru picchiettò con un dito la fronte della piccola. 

- Torna a dormire Rin. - 

Dopo aver osservato un’ultima volta la bambina, si issò in piedi e uscì dalla sua tenda. Mentre guardava un punto indefinito dinanzi a sé, ripensò alle parole di Jaken. Avrebbe davvero dovuto lasciare Rin ad una famiglia di umani? 

Molto probabilmente, così facendo Rin avrebbe sprecato la seconda opportunità di vita che lui stesso le aveva offerto. Inoltre, se avesse lasciato la bambina ad una famiglia umana, non avrebbe avuto occasione di poterla usare per attirare nella sua trappola il fratello. In quei giorni, Rin gli aveva infatti raccontato del breve soggiorno del mezzo demone nella sua abitazione, confermando al generale l’efficacia della sua strategia.  

Cosa avrebbe davvero dovuto fare con la bambina? 

Mentre cercava di trovare una soluzione a quei problemi, un odore specifico arrivò alle sue narici: il generale Banryu era giunto al suo accampamento. Deciso a non farlo avvicinare alla bambina, lo aspettò all’esterno della sua tenda. 

Bankotsu non lo fece attendere molto. Dopo una manciata di minuti lui e la sua squadra erano piazzati dinanzi la sua figura e pretendevano di essere ricevuti. 

- Generale No Taisho, vengo per conto del Führer. I suoi piani per lei sono cambiati. - 

Sesshomaru ascoltò in silenzio quelle parole e aspettò che il militare proseguisse il suo discorso. 

- Non crede sia meglio accomodarci nella sua tenda per discutere dell’argomento? -  

Sesshomaru rimase fermo nella sua posizione di ascolto. Non avrebbe permesso a quell’umano di entrare nella sua tenda personale. 

- Come preferisce generale. -  

Bankotsu scrutò il suo interlocutore. Ancora non riusciva ad ingoiare il fatto che il Führer avesse deciso di affidare quell’incarico al generale No Taisho. 

- Penso lei sia già a conoscenza della nuova minaccia del regime. Qualcuno sta decimando i nostri commilitoni. Questo essere attacca alle spalle, proprio come solo un codardo sa fare. Il Führer ha affidato a voi il compito di catturare e portare al suo cospetto questo individuo. - 

Se solo avesse potuto, Sesshomaru avrebbe volentieri rifiutato quell’incarico. Non gli importava nulla del regime, del Führer e dei suoi ideali. Il suo unico scopo in quel momento era trovare il fratello, ucciderlo e prendersi con la forza Tessaiga. 

Con calma disarmante chiese comunque al suo collega qualche informazione in più. 

- Cosa sappiamo di lui? - 

Bankostu sorrise malvagio. Forse poteva divertirsi un po' con il generale e nascondergli qualche dettaglio della missione. 

- Sappiamo che possiede del sangue demoniaco in quanto attacca le sue vittime con gli artigli. Con un solo colpo riesce a squarciare le loro carni. - 

Sesshomaru guardava Bankotsu con sospetto. Il Führer non avrebbe richiesto il suo aiuto solo per un codardo che stava uccidendo alcuni dei suoi soldatini. Sospettava ci fosse qualcosa sotto e non perse tempo a chiedere maggiori dettagli. 

- Devo sapere altro? Non penso che il Führer lo voglia al suo cospetto solo per vedere il volto di colui che sta decimando il suo esercito. - 

L’umano osservò sorpreso il demone. Non si aspettava che si appigliasse su quell’inutile dettaglio, credeva che Sesshomaru avrebbe accettato l’incarico senza obbiettare. Abbandonando l’idea di ingannare e mettere in cattiva luce il generale No Taisho, Bankotsu rivelò il vero motivo per cui era fondamentale portare quell’individuo al cospetto del Führer. 

- Perspicace, lo devo ammettere.  
Generale, questo individuo riesce in qualche modo a nascondere la sua presenza e il Führer intende appropriarsi di questa abilità. - 

A quelle parole, Sesshomaru comprese. L’individuo che il Führer cercava possedeva sicuramente il miscuglio magico che Rin portava legato al collo. Con ogni probabilità, il soggetto che il capo del regime voleva al suo cospetto era proprio suo fratello Inuyasha. 
Una nuova consapevolezza fece indurire impercettibilmente lo sguardo del demone cane. Se il Führer cercava Inuyasha per via di quel miscuglio, significava che anche Rin era in pericolo. 

A Bankotsu non sfuggi il lieve cambio di espressione del demone. Un sorriso beffardo gli deformò il volto. Il grande generale No Taisho aveva qualcosa da nascondere e lui avrebbe a tutti i costi scoperto cosa. Lo doveva per il Führer e, ancor più importante, per sé stesso. 

- Mi raccomando generale, il Führer Naraku conta su di lei. Non deluda le sue aspettative. - 

Sesshomaru osservò il generale lasciare con passo sicuro il suo accampamento.  
Non avrebbe permesso a nessuno di mettere la vita di Rin in pericolo. Doveva trovare Inuyasha e sbarazzarsi di lui una volta per tutte. Solo così il Führer avrebbe rinunciato al potere di quel miscuglio, solo così poteva proteggere quella bambina. 

- Jaken! - 

Il demone kappa si presentò immediatamente al suo cospetto. 

- Avvisa tutti di smontare l’accampamento. Tra due ore partiremo, il Führer ci ha affidato una nuova missione. - 

Il demone annuì poi, a voce bassa, parlò al suo capo. 

- Mio generale, come viaggerà Rin? -  

Jaken era davvero preoccupato. Se considerava pericoloso rimanere con Rin all’interno di un accampamento ricco di demoni, trovava ancor più insidiosa l’idea di dover marciare insieme alla bambina. 

- Voi due seguirete una strada parallela. Ora avvisa tutti. Io preparo i percorsi da seguire. -  

Liquidando il suo sottoposto, Sesshomaru si ritirò nella sua tenda. Avrebbe dovuto avvertire Rin e assicurarsi che la piccola avrebbe eseguito alla lettera i suoi ordini. 

Contemporaneamente  
Al campo Dachau, un gruppo di soldati semplici fu trasferito per occuparsi della sicurezza del campo. Il gruppo era formato interamente da giovani umani che, in quel momento, attendevano di essere affidati ad un collega più anziano. Per i primi tempi, infatti, avrebbero seguito un percorso di addestramento, affiancando un demone nelle mansioni di sicurezza, per poi essere assegnati definitivamente alla sezione in cui si sarebbero distinti maggiormente. Fra di essi, un giovane umano di poco più di sedici anni, si guardava intorno con un po’ di timore. Quelli che nella sede centrale definivano “campi di lavoro forzato” sembravano un vero e proprio luogo di massacro. 

Circondato da un reticolato di filo spinato elettrificato, un fossato e un muro con sette torrette di guardia, il campo era suddiviso in due sezioni: l'area che ospitava il campo di concentramento vero e proprio e l'area destinata ai militari. La zona centrale del campo era composta da trentadue baracche, inclusa una destinata agli oppositori del regime nazista. L'amministrazione del campo era invece situata nell'edificio del corpo di guardia, vicino all'entrata principale. In quella parte del campo c'era anche un certo numero di edifici di supporto che ospitavano le cucine, la lavanderia, le docce, i laboratori e una prigione. Un cortile tra la prigione e la cucina era usato per le esecuzioni sommarie dei prigionieri.  

- Soldato semplice Kuhn, in queste settimane affiancherà il tenente Wolf. - 

Il giovane scattò sull’attenti quando il suo nome uscì dalle labbra del colonello di turno e presto si ritrovò a seguire il demone alla quale era stato assegnato. 
Il tenente Wolf, vecchio demone lupo che serviva il paese già dalla grande guerra, camminava silenziosamente al suo fianco. Con passo regolato, il demone guidò l’umano verso la parte del campo destinata ai prigionieri. Arrivati lì, il ragazzo si ritrovò dinanzi numerosi mezzo demoni e umani etichettati come “pericolosi per la nazione”. 

Il soldato Kuhn li osservò per bene. I carcerati avevano un aspetto terrificante. Molti di essi sembravano malconci, denutriti e privi di forze. Coloro che avrebbero dovuto essere dei forti mezzo demoni, il cui sangue demoniaco scorreva nelle proprie vene, sembravano essere stati prosciugati della loro linfa vitale. 

A quei tempi, alcuni dei detenuti di Dachau venivano utilizzati per alcuni esperimenti medici, mentre altri erano destinati al lavoro forzato. Le condizioni nelle quali tali lavori venivano effettuati erano brutali e disumane. I lavori forzati erano spesso insensati e umilianti, effettuati senza le attrezzature, gli indumenti e il nutrimento che sarebbero stati necessari. Alcuni di questi lavori consistevano anche in attività necessarie al funzionamento del campo, così come in vari progetti di costruzione e in piccole industrie artigiane create all'interno del campo stesso. 

- Ragazzo, il tuo compito per questo periodo sarà quello di assistermi durante i miei turni di lavoro. Ti insegnerò come trattare con i prigionieri e come spronarli quando proveranno a battere la fiacca. - 

Il giovane soldato osservò preoccupato il suo superiore, poi annuì. Non si sentiva affatto tranquillo. La vista di quei corpi allo stremo delle forze lo aveva turbato parecchio e il tenente Wolf sembrò intuire il suo tentennamento. 

- Non temere ragazzo. Quando inizierai a lavorare tutto ti sembrerà più semplice da tollerare. Stare in questi campi è un privilegio per voi umani, quindi tieniti stretto questo posto soldato. -  

Il tenente Wolf mise una mano sopra la spalla del più giovane e gli sorrise.  
Il ragazzo osservò per qualche secondo l’espressione serena sul volto del tenente. Gli occhi scuri del suo superiore parevano volergli trasmettere forza e coraggio. Il giovane ringraziò mentalmente il demone. 

- Soldato semplice Kuhn, lo ha un nome? Devo fidarmi di colui che mi assisterà in questi mesi, quindi meglio partire dalle giuste presentazioni. - 

Il soldato Kuhn scrutò nuovamente il tenente. In quei mesi di addestramento aveva imparato a diffidare delle persone, demoni o umani che fossero, eppure Wolf sembrava un demone abbastanza affabile. La sua corporatura era piuttosto slanciata e longilinea. Aveva un volto squadrato, due occhi scuri e i capelli grigi. I segni demoniaci presenti sui suoi zigomi e sulla sua fonte raffiguravano particolari simboli di cui l’umano non conosceva il significato. Il tenente sembrava un tipo tranquillo e alla mano. Non sembrava detestare gli umani e ciò gli fece tirare un sospiro di sollievo. 

- Kohaku signore. Il mio nome è Kohaku. - 

Il demone lupo strinse affettuosamente la presa sulla spalla del giovane. 

- É un piacere per me assisterti in questo periodo di addestramento, soldato semplice Kohaku Kuhn. - 

Dopo questo primo tentennamento, il resto della giornata per i due militari trascorse tranquillamente. Il tenente Wolf si dimostrò un ottimo insegnante. Con calma mostrò al suo allievo le zone che giornalmente avrebbero pattugliato, lo informò degli orari di lavoro dei detenuti e spiegò, al nuovo arrivato, come avrebbe dovuto mostrarsi con i prigionieri. 

Kohaku doveva sembrare irremovibile. Non avrebbe dovuto cedere alle richieste dei detenuti, spronandoli anzi a continuare nel lavoro che stavano eseguendo. 

Quando fu sera, il tenente Wolf mostrò al suo allievo l’ultimo edificio che giornalmente avrebbero visitato: la prigione collocata fra la cucina e il cortile esterno.  
Oltrepassata la grata in ferro, i due iniziarono a scendere le ripide scale che portavano a quella zona di reclusione. L’aria che si respirava all’interno di quel cunicolo era viziata, le pareti molto strette. La luce era fioca e Kohaku dovette aspettare qualche minuto prima che i suoi occhi si adattassero a quella semi oscurità. 

- L'ultimo luogo che probabilmente ti troverai a frequentare spesso è il Bunker. Sulla carta è il luogo in cui dobbiamo portare tutti coloro che hanno fatto parte di un gruppo di oppositori. In esso i prigionieri sono costretti ad affrontare un periodo di isolamento che può variare da individuo a individuo, tutto dipende da quanto tempo impiegano a rivelarci informazioni. - 

Una volta raggiunto lo stretto corridoio nel quale erano collocate cinque porte in ferro, alcuni lamenti soffocati arrivarono alle orecchie di Kohaku. Istintivamente il giovane si irrigidì, ma continuò a seguire il suo superiore. Il tenente Wolf guidò il giovane soldato verso quello stretto corridoio, cercando di scortare il suo allievo verso la cella posta in fondo a quel vicolo buio.  

Posto dietro le spalle del suo mentore, Kohaku camminava in silenzio. Non si sentiva affatto tranquillo: rumori molesti e strazianti lamenti rendevano quel luogo estremamente inquietante. D’un tratto, la sua attenzione venne catturata da una cella aperta, collocata alla sua destra. Istintivamente sbirciò all'interno e rimase pietrificato da quello che vide.  

Tre militari, due demoni e un umano, stavano molestando sessualmente una giovane mezzo demone. A prima vista, la ragazza sembrava avere appena la sua età ed era palese che non fosse consenziente. In quel momento, la giovane puntò i sui occhi terrorizzati in quelli di Kohaku, in una silenziosa richiesta d’aiuto. 

Una presa salda sulla spalla spinse il ragazzo a voltarsi. Il tenente Wolf lo osservava un po’ preoccupato. Kohaku non era un ragazzo adatto per il lavoro al campo, il demone lupo lo aveva capito fin da subito. Proprio per questo lo aveva portato nel Bunker. Doveva mostrare a quel ragazzo cosa lo aspettava. Doveva aprirgli gli occhi sulla realtà che si viveva all’interno del campo e fargli comprendere come comportarsi. Se davvero il giovane avesse voluto avere una possibilità per aver salva vita, doveva imparare a sopportare la vista di quelle scene. 

- Per alcuni il Bunker è considerato un luogo di... come dire... “svago”.  
Quando avrai una giornata storta e vorrai sfogare le tue frustrazioni, potrai venire in questo luogo. Troverai sicuramente altre guardie già impegnate in qualche attività, quindi potrai in caso unirti a loro. - 

Quelle parole fecero riflettere il giovane. Non era uno stupido, né uno sciocco. Aveva già compreso che il tenente Wolf gli stava mostrando la realtà che si celava dietro i campi di lavoro forzato e gli era grato. Kohaku sapeva che avrebbe dovuto rafforzare il suo spirito dunque, cercò di dimenticare gli occhi rosa di quella ragazza e proseguì per la sua strada. 

- La ringrazio per l’informazione tenente Wolf, lo terrò a mente. -  

Wolf osservò il viso del giovane. I suoi occhi erano spenti, rassegnati. Il tenente sapeva che il giovane non avrebbe mai utilizzato il Bunker per “divertirsi”, ma notò con piacere il suo tentativo di resistere a quella situazione. Compiaciuto di quel piccolo risultato, il demone riprese il passo verso la loro meta. Giunti dinanzi la porta, il vecchio lupo si voltò nuovamente verso il suo allievo. 

- Al momento, nel Bunker abbiamo un unico prigioniero. É arrivato poco più di un mese fa, lo ha portato qui da noi uno dei tre generali più vicini al Führer. Il suddetto generale ci ha ordinato di mantenere la massima segretezza della sua presenza. Pare abbia avuto dei contatti con il capo del gruppo di oppositori ucciso qualche mese fa, Aaron Schmidt. Diciamo che ci ha chiesto di farlo parlare. - 

Kohaku osservò la porta in ferro dietro il suo superiore. Riusciva a distinguere senza problemi lo schiocco di una frusta al di là di quel varco. 

- Deduco che per essere ancora in isolamento non ha rivelato nessun'informazione. - 

Il demone annuì, dopodiché aprì la pesante porta della cella. Varcata la soglia, ai due si presentò uno scenario raccapricciante: un gruppo di tre soldati frustava senza ritegno un giovane prigioniero. 

La cella in cui stava rinchiuso il malcapitato era avvolta dalla semi oscurità. L’unico punto luce risedeva in una piccola finestrella sbarrata, posta in alto alla parete opposta alla porta d’ingresso. L’ambiente non era particolarmente spazioso ma, vista la scarsa presenza di arredo, permetteva di ospitare tranquillamente i cinque militari. 

Kohaku osservò il giovane che stava inginocchiato con le mani incatenate al muro. La pelle della sua schiena era stata lacerata e il sangue che colava da quelle ferite andava a riversarsi sul freddo pavimento in pietra. 
Uno dei militari, intenti a malmenare il povero prigioniero, si avvicinò a loro con la frusta ancora in mano. 

- Tenente Wolf, noto con piacere che ha portato compagnia. -  

Kohaku osservò quel demone per bene. Non sapeva dire a quale clan appartenesse, ma ai suoi occhi apparse come un essere viscido, privo di tatto. I suoi capelli neri sembravano unti e sporchi, gli occhi gialli si illuminavano nell’oscurità della cella. 

Senza attendere risposta da parte del tenente, il demone si avvicinò al giovane porgendogli quella frusta con la quale aveva deturpato il corpo del povero prigioniero. 

- Novellino, vuoi provare? - 

Kohaku rimase sorpreso da quella richiesta ma, dopo aver incrociato lo sguardo del tenente Wolf, prese senza esitazione l’oggetto che il demone gli stava offrendo. 
Il giovane soldato osservò per bene quell’arma e si ripeté mentalmente che se davvero avesse voluto aver salva la vita, doveva giocare allo stesso sporco gioco a cui si divertivano quei vigliacchi. Fu allora che, senza alcun tentennamento, Kohaku si avvicinò al corpo del detenuto e strinse saldamente il manico della frusta. Con decisione sollevò il braccio verso l’alto, per poi riabbassarlo bruscamente dinanzi a sé. Continuò così per svariati minuti, aumentando sempre più l’intensità del colpo.  

Ad ogni schiocco contro la pelle del prigioniero, Kohaku sentiva la rabbia espandersi sempre più nel suo animo. Era furioso per quel sistema, odiava il Führer per quello a cui stava sottoponendo quei poveri individui e detestava sé stesso per quell’azione tanto vile. Inconsciamente il giovane pensò che, in fondo, sopravvivere a quella realtà era più dura di combattere al fronte. 

Il tenente Wolf osservava il suo allievo un po’ preoccupato. Non credeva ai suoi occhi, era certo che il ragazzo avrebbe declinato quell’invito. Eppure, contro le sue aspettative, Kohaku stava sfogando su quel povero corpo già martoriato tutta la sua frustrazione. 

- Noto con piacere che il novellino si è ambientato bene. - 

Il demone che li aveva accolti al loro arrivo sembrava godere di quella vista, sorrideva soddisfatto e sembrava gioire ad ogni sussulto del giovane prigioniero. 

- Tenente Wolf, ricordi al suo cucciolo che il prigioniero deve restare in vita e si assicuri che quando avrà finito ripulisca tutto. - 

Wolf annuì a quelle parole e, dopo aver visto i tre militari congedarsi, raggiunse il suo ragazzo. Per l’ennesima volta in quella giornata, poggiò la sua mano artigliata sulla spalla sinistra del giovane che, a quel tocco, sembrò recuperare lucidità. 

Kohaku guardava sconvolto la frusta fra le sue mani e con sgomento osservò il tenente. Non voleva abbassarsi a quel livello. Non voleva sfogare tutta la sua rabbia contro qualcuno incapace di difendersi. Si sentì un codardo e sentì di aver deluso sua sorella, colei che temeva diventasse un mostro. 

Il tenente prese la frusta dalle mani del giovane allievo, poi puntò lo sguardo su quello sconvolto di Kohaku. 

- Ragazzo mio, hai dato prova di te stesso. Hai dimostrato di essere in grado di rimanere all’interno del campo. Non sarà facile, ma dovrai mantenere questo atteggiamento. - 

Il soldato annuì, non riuscendo a pronunciare parola. Era ancora turbato, Wolf lo sapeva. 
Dopo un sospiro, il tenente prese un secchio collocato in fondo alla cella e lo passò al suo sottoposto. 

- Adesso però dovrai ripulire questa cella e curare le ferite del nostro prigioniero. Ci serve vivo fin quando non ci rivelerà le informazioni che vogliamo. Io ti aspetterò fuori, fa pure con calma. - 

Kohaku prese il secchio tra le mani del demone lupo e ne osservò il contenuto. Quel recipiente sporco conteneva alcune garze, uno strano unguento e una pezza. Adesso doveva solo trovare il coraggio di vedere la conseguenza di quel suo gesto sconsiderato.  
Il giovane inspirò profondamente e, finalmente, poggiò lo sguardo su quella schiena contro la quale aveva fatto schioccare la frusta. Con calma si inginocchiò anche lui, macchiando i pantaloni della divisa con il sangue del detenuto. In silenzio prese dal secchio le garze e l’unguento, con l’intento di ripulire quelle ferite profonde. 

Il contatto tra le ferite e la garza fece sussultare lievemente il prigioniero. 

- Mi spiace di essere stato così vile. - 

Kohaku continuò a ripulire delicatamente quelle ferite, cercando di evitare di provocargli ulteriore dolore. 
Nonostante ciò, il prigioniero continuava a rimanere in silenzio. 

- Non avrei dovuto recarti altro dolore. - 

Uno sbuffo uscì dalle labbra del detenuto. Dopodiché voltò la testa per tentare di scrutare quella figura che stava ancora ripulendo la sua schiena.  

Quel militare pensava davvero che avrebbe creduto alle sue parole? Da quanto era in quel luogo?  

Oramai aveva perso la cognizione del tempo, ma sapeva che nessuno, di coloro che lo avevano torturato, si era mai pentito di averlo martoriato. Ogni giorno che trascorreva era identico al precedente. Con il tempo si era pure abituato a quel supplizio giornaliero, ma mai avrebbe perdonato coloro che continuavano a sottoporlo a quel rituale. Durante quel periodo di detenzione il suo corpo aveva subito una notevole trasformazione. Era molto smagrito, tanto che era possibile intravedere la sua struttura ossea sotto la pelle. Quest’ultima era sfigurata, cicatrici ed ematomi ricoprivano buona parte del suo corpo. Il giovane sapeva che, se avessero continuato con quel ritmo, non avrebbe retto ancora per molto. 

L’ombra di quello che avrebbe dovuto sembrare un sorriso sarcastico deformò le labbra del giovane prigioniero. Kohaku lo osservò confuso. 

- É il tuo lavoro no? Ti hanno ordinato di punire uno dei tanti che il tuo caro Führer ama definire nemici del regime. Che colpa dovresti avere tu? La colpa ricadrebbe su chi ti ha ordinato di farlo, no?  - 

La voce che uscì da quelle labbra secche era molto stanca e rauca. Da quanto non proferiva parola? Non lo sapeva. Non osava neanche più urlare per il dolore inflittogli. Non gli importava più di nulla. 

Il giovane soldato si sentì disarmato. Osservò un'ultima volta la schiena del prigioniero, poi si allontanò dal suo corpo, sedendosi per terra con le spalle poggiate al muro. La sua sanità mentale era stata messa a dura prova quel giorno. 

- Ti sbagli se pensi questo di me. Sei in errore se credi davvero che stare dall’altra parte sia così semplice. Non avrei neanche voluto essere qui. - 

Una risata sarcastica uscì dalle labbra dell’uomo, ancora incatenato alla parete. Probabilmente alla fine di quel meraviglioso teatrino avrebbe subito una lezione che si sarebbe ricordato, ma ormai era pronto ad affrontare anche la morte. Era stanco di reprimere il disprezzo che provava. 

- Ho capito, sei uno di quelli che preferisce provare l’adrenalina della guerra. Andare a combattere in prima linea per gli ideali del tuo caro Führer. - 

Il militare portò le gambe al petto e le abbracciò. Stremato da quella situazione, iniziò a sussurrare delle frasi. 

- Come se potesse importarmi qualcosa di quello che pensa il Führer. -  

Il prigioniero rizzò le orecchie a quella frase quasi impercettibile. Era la prima volta, da quando era stato catturato, che un soldato si lasciasse sfuggire una frase del genere. 

- Mi hanno prelevato a forza dalla mia abitazione, uccidendo la mia famiglia davanti i miei occhi. Hanno minacciato di approfittare del corpo di mia sorella se non mi fossi arruolato. Come vedi, neanche la vita di noi “umani volontari” è poi così spensierata. - 

Il prigioniero provò a voltarsi verso il ragazzo. Kohaku stava ancora con le gambe al petto, ma lo fissava intensamente. Il detenuto si stupì della giovane età che dimostrava quel militare, ma non si lasciò condizionare. Puntò i suoi occhi azzurri su quelli nocciola del soldato, leggendovi solo tanto dolore.  

Sospirò, poi parlò nuovamente, con più calma. 

- Ho visto i militari distruggere, senza batter ciglio, un’abitazione nel cuore della notte. Una casa in cui donne e bambini vivevano in attesa di una vita migliore. Non mi stupisco che abbiano minacciato la tua famiglia, però mi viene davvero difficile provare a crederti visto la divisa che indossi. - 

Kohaku alzò lo sguardo verso il suo interlocutore. Il dolore della perdita della sua famiglia era ancora vivido, quello stesso dolore che lo faceva sentire impotente. In quei mesi aveva provato rabbia verso sé stesso, verso il sistema e quel giorno era arrivata al limite.  

Le parole della sorella gli rimbombarono prepotenti nella mente. “Non voglio che tu diventi come loro”, aveva pronunciato, ma l’aver torturato un giovane prigioniero non faceva di lui un essere orrendo? 

- Non sono un mostro. Non sono come loro, te lo dimostrerò. -  

Il detenuto lo osservò perplesso. 

- I lividi sulla mia schiena affermano il contrario. -  

Il giovane soldato si issò in piedi e tornò vicino al suo interlocutore. Si inginocchiò nuovamente al suo livello e riprese a pulirgli le ferite. 

- Ti farò ricredere. Prometto che riuscirò a farti fuggire da questo luogo. - 

Un’altra risata sarcastica uscì dalle labbra del prigioniero. 

- Ragazzo, hai visto lì fuori? É un obiettivo che non potrai raggiungere. -  

Kohaku non rispose. Avrebbe trovato un modo, ne era certo. 

- Il mio nome è Kohaku comunque. Il tuo? - 

Il prigioniero sbuffò. Mille domande vorticarono nella sua testa. 

Doveva davvero fidarsi di un militare? Il suo nome non era un mistero, se Kohaku avesse consultato il registro dei prigionieri lo avrebbe sicuramente trovato, ma parlare con lui non poteva rivelarsi rischioso? E se avessero mandato quel giovane per farlo fingere suo amico così da farlo parlare? 

L’attimo dopo aver formulato quel pensiero, il giovane prese la sua decisione. Avrebbe finto di fidarsi, forse così facendo avrebbero allentato il supplizio alla quale lo sottoponevano ogni giorno. 

- Puoi chiamarmi Miroku. - 

Una volta terminato di pulire la schiena del prigioniero, Kohaku liberò il detenuto dalle catene ai polsi che lo tenevano legato alla parete. 
Mentre si massaggiava i polsi ossuti, Miroku ringraziò mentalmente il giovane militare. Spesso per punizione lo lasciavano tutta la notte in quelle condizioni, sperando così che il giorno seguente avrebbe rivelato loro nuove informazioni utili. Strategia del tutto inutile. Non avrebbe mai dato loro i nomi delle famiglie che, nei mesi passati, avevano aiutato decine di mezzo demoni. 

- Miroku, come hanno fatto a catturarti? - 

Miroku assunse una posizione più comoda ed osservò il giovane. Kohaku si era messo ad asciugare con uno straccio il freddo pavimento in pietra. Il più grande dei due sorrise per l’ingenuità del ragazzo, aveva decisamente frainteso le parole “ripulire questa cella”. Però, quando lo sguardo del giovane militare incrociò nuovamente quello di Miroku, il giovane non poté far altro che sospirare. 

- É una storia lunga. - 

Non aveva molta voglia di ricordare gli eventi dei mesi precedenti, inoltre, se si fosse lasciato sfuggire più del dovuto, avrebbe messo in pericolo la famiglia Bayer. In fondo, lui e Inuyasha erano diretti a Kemberg proprio per cercare ospitalità in quella famiglia tanto amica di Aaron. 

- Racconta dai. - 

Kohaku aveva interrotto il suo lavoro. Si era seduto di fronte a lui e lo fissava in viso, in attesa del suo racconto. Miroku non poté far altro di pensare quanto fosse infantile quell’atteggiamento. Kohaku sembrava proprio un bambino che attendeva con impazienza che il genitore gli raccontasse una storia. Il volto del giovane Mayer si sovrappose per un istante a quello del soldato. 

Quel ragazzino aveva lo stesso sguardo che il giovane mezzo demone assumeva ogni volta che, nel rifugio, qualcuno raccontava una storia ai bambini. Un sorriso amareggiato prese spazio sul volto di Miroku, forse avrebbe potuto raccontare a quel ragazzino una mezza verità. 

- Ero in fuga con un amico...  
Eravamo distrutti e, per cercare di recuperare le energie, ci siamo accampati in un piccolo bosco. Non so dirti con certezza che ora fosse quando la divisione del generale No Taisho ci ha accerchiati, ma posso assicurarti che in brevissimo tempo il generale è riuscito ad afferrare il mio amico per la gola e portarlo lontano. Ero rimasto solo, in balia dei demoni di Sesshomaru.  
Quando il loro generale si è alzato in volo, hanno iniziato ad attaccarmi. Non è stato facile per me schivare i loro colpi, ne sono uscito vivo per miracolo. - 

Miroku ritornò con i ricordi a quella notte di due mesi prima. Un brivido gli percorse la schiena. 
Quella notte pensò di morire. I demoni inizialmente si divertirono con lui. Lo spintonavano, gli procuravano dei tagli superficiali con i loro artigli e lo riempivano di pugni e calci. Ad un tratto, però, uno di loro sembrò perdere la pazienza. Con un gesto repentino estrasse la sua pistola dal fodero e la puntò nella direzione di Miroku. 

Prima che il demone riuscisse a premere la leva di scatto, il colonello Jaken aveva richiamato i suoi sottoposti. Il piccolo demone kappa aveva ordinato ai militari di non uccidere il giovane umano e di attendere l’arrivo del loro generale. In preda alla rabbia, il demone che era stato fermato premette il grilletto della sua arma, ferendo di striscio la gamba di Miroku. 

- Poi cosa è successo? -  

Il prigioniero osservò il ragazzo. La sua non sarebbe stata una fiaba a lieto fine, lo sapevano entrambi, ma forse parlarne avrebbe alleggerito il suo animo. D'altronde, non stava rivelando a quel militare qualcosa che gli altri non sapessero già. 

- Ho trascorso due giorni legato ad un albero. Ero ferito e al limite delle mie forze, ma per qualche assurda ragione non volevano uccidermi, ciò ovviamente non gli impedì di giocare con il mio corpo. - 

Miroku sospirò. Avrebbe di gran lunga preferito morire quel giorno. 

- Al termine del terzo giorno, il generale ha fatto il suo ritorno. Era stato ferito al braccio dal mio amico e tornò dalla sua divisione solo dopo aver recuperato le forze. Quella stessa sera mi portò in questo campo, chiedendo ai militari di farmi parlare. - 

- Il tuo amico invece? - 

Miroku guardò torvo il ragazzo. Ecco che provavano nuovamente ad estorcergli informazioni. 
Quella domanda, però, gli fece pensare ad Inuyasha. Era certo che fosse vivo, altrimenti Sesshomaru non lo avrebbe portato in quel campo per spingerlo a parlare. Sperava, con tutto sé stesso, che il mezzo demone avesse finalmente raggiunto la Svizzera, ma una parte di sé non riusciva ad essere pianamente felice per il ragazzo. 

- Boh, probabilmente avrà già raggiunto il confine. - 

Kohaku lo osservò perplesso. Non gli era sfuggito il tono duro del ragazzo, né tantomeno lo sguardo torvo che gli aveva riservato. Si chiese cosa avesse detto di sbagliato. 

- Non intendevo questo. Mi chiedevo se fosse tornato indietro per provare a salvarti. - 

Miroku non rispose. In quei mesi di reclusione aveva pensato molto al comportamento del suo amico. Se davvero fosse sopravvissuto allo scontro con il fratello, perché allora non era andato a cercarlo? Perché non si era assicurato delle sue condizioni? 

Quella stessa mattina, quella della loro separazione, si era inoltrato in una casa in fiamme senza pensarci due volte, perché allora non era andato a salvare anche lui? 

Sperava tanto che Inuyasha avesse avuto un motivo valido per quel comportamento. Sapeva quanto il ragazzo fosse provato per via degli eventi precedenti, ma non riusciva a non provare del risentimento nei suoi confronti. 

Mentre il silenzio calava in quella cella, nello stretto corridoio che portava all’uscita del Bunker, il tenente Wolf sorrideva soddisfatto. Il cucciolo d’uomo che gli avevano affidato si stava rivelando più utile del previsto. Forse con quel suo atteggiamento avrebbe finalmente dato una svolta a quella questione. 

Quella notte 
Una piccola pattuglia, formata da tre demoni gatto, girovagava tra i fitti sentieri della selva di Turingia. Erano stati mandati lì per accertarsi delle condizioni di un altro gruppo, mandato in quelle terre solo la mattina precedente. 

- Che noia avere il turno di notte. - 

A parlare era stato il più giovane del gruppo. Il suo viso era ovale, quasi paffuto, la corporatura piuttosto minuta e longilinea. I capelli, lucidi e soffici, erano di un nero intenso, mentre i suoi occhi assumevano nell’oscurità uno strano luccichio. 

Il demone alla sua destra prese sotto braccio il più giovane, per poi strofinargli affettuosamente la testa. 

- Felix, quante altre volte devo ripetertelo? Siamo dei demoni gatto e, in quanto tali, tendono sempre ad affidarci il turno di notte. -  

Max, questo era il nome dell’altro militare, era il fratello maggiore di Felix. Al contrario del vent’enne, lui era molto alto e massiccio. Come il più giovane, i suoi capelli erano di un nero intenso, mentre gli occhi verdi sembravano brillare al buio. 

- Non è giusto! Solo perché la nostra vista è superiore a quella di molti altri demoni, non vuol dire che non possiamo lamentarci! - 

Il più grande rise di gusto a quella affermazione. Il suo fratellino alle volte poteva sembrare un vero e proprio piantagrane. 

A richiamare l’attenzione dei due fratelli ci pensò il più anziano del gruppo. Il tenente Ben Jung aveva da poco raggiunto i quarant’anni, ma il suo fisico sembrava essere rimasto quello di un vent’enne. Dotato di un corpo agile, flessibile e massiccio, il tenente Jung era capace di camminare in modo silenziosissimo e di spiccare grandi salti, anche più ampi delle due giovani reclute.  

- Voi due avete finito questo teatrino? Ho sentito del movimento, state all’erta. - 

Al tenente, infatti, non era sfuggito uno strano fruscio di foglie. I suoi peli iniziarono a rizzarsi e ciò non preannunciava nulla di positivo. L’aria era carica di tensione ed era certo che qualcosa, di lì a poco, sarebbe accaduto. 

Dopo l’avvertimento del tenente, i due fratelli abbandonarono ogni sfumatura di ilarità e assunsero un atteggiamento serio. Cercando di non lasciare scoperte le spalle dei propri compagni, i tre iniziarono ad ispezionare l’ambiente circostante. 

Ban guardava con interesse dinanzi a sé, ma non notò nulla di strano. Prima di abbassare la guardia però, parlo ai suoi compagni. 

- Ragazzi, avete notato qualcosa? - 

Nessuna risposta arrivò dalle sue spalle, ma un tonfo sordo di qualcosa che cadeva al suolo gli fece sgranare gli occhi. Preoccupato, il tenente si voltò di scatto, trovando dinanzi il suo sguardo i corpi inermi dei suoi compagni.  

Il tenente si apprestò a raggiungere i due, ma prima che potesse raggiungerli, una mano artigliata lo colpì violentemente alla schiena. Il demone gatto cadde al suolo ma, ancor prima di poter anche solo pensare di rialzarsi, una mano artigliata gli strinse la gola e lo sollevò dal pavimento. 

Un ringhio basso e profondo si diffuse in quel momento nell’aria. Il tenente Ban sapeva di non aver più via di scampo. In breve tempo quella figura, che aveva sorpreso lui e i suoi uomini, gli azzannò la gola e mollò la presa solo dopo che il cuore di Ban smise di battere. 

Il corpo del militare crollò nuovamente sul terreno. Uno strano gorgoglio, proveniente dallo stomaco della creatura, spinse quest’ultima ad inginocchiarsi vicino al corpo. Senza pensarci due volte, ridusse a brandelli i vestiti del demone gatto e iniziò a strappare via la pelle del malcapitato. 

La creatura masticò per bene quel pezzo di carne, cercando di assaporarne il gusto. Dopo aver macinato per bene la carne del demone, mandò giù la poltiglia che aveva generato. Ancora affamato, quell’essere si chinò nuovamente sul cadavere del tenente ma, in quel momento, la sensazione di un rigurgito lo costrinse ad allontanarsi immediatamente. 

Ormai lontano da quel corpo deturpato, quella creatura si ritrovò a rigettare il pezzo di carne che aveva in precedenza ingurgitato. Il suo corpo si rifiutava di assumere quella sostanza. 

Una forte fitta alla testa gli fece stringere i capelli fra le mani, fin quando non cadde a terra, vittima di un dolore atroce. 

Strane voci iniziarono ad accavallarsi nella sua mente. Poteva sentire chiaramente una parte di sé spingerlo a tornare sui suoi passi e terminare il suo pasto. Aveva fame ed era inutile negarlo. Di contro, una seconda voce stava cercando di sovrastare la prima. Essa all’inizio sembrava quasi uno straziante lamento ma, quando aveva ingurgitato la carne di quel demone gatto, si era fatta sempre più forte. 

Un guaito uscì dalle sue labbra. La testa sembrava che stesse per scoppiargli, voleva solo trovare un po’ di pace. 

Improvvisamente, sentì una strana sensazione sul fianco destro. Sentiva qualcosa pulsare contro la sua pelle e, inconsciamente, portò la mano sopra quell’oggetto. Lo strinse forte in mano e, improvvisamente, il dolore sembrò attenuarsi. 

Gli occhi della creatura iniziarono a perdere il colore cremisi, tornando color dell’oro. Le zanne e gli artigli si fecero più corti e i segni viola sulle sue guance sparirono definitivamente. 
Recuperato il controllo, la caratura si alzò a sedere e si osservò sconvolto le mani, sporche del sangue di innumerevoli militari. In quel momento deglutì e si rese conto di avere il sapore del sangue in bocca. 

- Che cosa ho fatto...? Cosa è successo...? - 

In quel momento, immagini frammentate apparvero dinanzi gli occhi di quella creatura sconvolta. Ricordò della morte del signor Bayer, delle urla di Rin. Ricordò di aver frugato nell’abitazione del signor Bayer e di aver totalmente perso il controllo quando vide per la seconda volta il corpo sviscerato del povero uomo. I ricordi successivi sembravano essere quelli di un’altra persona. 

Dopo quell’evento la parte umana di Inuyasha era sprofondata nel buio più totale, venendo sopraffatta dal suo sangue demoniaco. Il suo animo era stato sopraffatto dalla rabbia incontrollata e la sua parte demoniaca ne aveva approfittato. Con quella trasformazione, tutte le sue caratteristiche fisiche erano cresciute a dismisura e non provava più alcun dolore fisico. In quello stato aveva ucciso tutti i militari che incrociavano la sua strada, colpendoli alle spalle proprio come un codardo. Durante quel lasso di tempo non era stato vittima della luna nuova e non aveva mangiato, almeno fino a quella notte. 
Ancora poteva sentire lo stomaco reclamare qualcosa, ma il mezzo demone ignorò quel suo bisogno primario. Il sapore della carne di demone gatto risiedeva ancora nella sua bocca e, a quel pensiero, un nuovo conato di vomito lo prese. 

Dopo aver rigettato i succhi gastrici, Inuyasha si asciugò la bocca con la manica della giacca che indossava. Si sentiva sporco, senza forze e affamato.  

- Ho ucciso senza pietà... Ho provato a mangiare una persona... - 

Il suo sguardo venne calamitato alla pistola posta nel suo cinturone. Quando aveva ripreso conoscenza stringeva forte il calcio di quell’arma. La prese fra le mani e la osservò. Tessaiga pulsò nuovamente fra le sue mani, come a volergli dare nuovamente il benvenuto. Quell’arma lasciata dal padre aveva fatto sì che Inuyasha recuperasse il controllo della sua mente, frenando così il suo sangue demoniaco. 

Mentre si rigirava l’arma fra le mani uno strano pensiero prese forma nella sua mente. Senza ulteriori preamboli aprì la bocca e infilò la canna dell’arma in essa. Con un sol colpo, avrebbe messo fine a tutte le sue sofferenze.  

Il contatto del freddo metallo contro le pareti della sua bocca lo fece sussultare. Istintivamente deglutì. Doveva solo premere la leva di scatto e il proiettile avrebbe disintegrato il suo corpo. Poggiò il suo indice sul grilletto ed esitò un attimo prima di premerlo. 

Stava davvero mettendo fine alla sua vita con l’arma che il padre gli aveva lasciato in eredità? 

Inuyasha deglutì nuovamente. I volti delle persone che avevano perso la vita a causa sua gli apparvero chiaramente nella sua testa. Tutte quelle persone si erano sacrificate per permettergli di raggiungere il confine Svizzero. Aveva portato loro solo sciagure e adesso stava mandando a benedire il loro sacrificio. Stancamente Inuyasha estrasse l’arma dalla sua bocca e fece ricadere il braccio al suo fianco. 

- Non ci riesco. Non posso rendere vano l’aiuto che mi hanno offerto. - 

Dopo aver rifoderato l’arma, Inuyasha prese tra le mani la sacca che ancora portava a tracolla. Non credeva di trovarla ancora con sé e non pensava di trovarci dentro ancora i risparmi che durante la notte dei cristalli aveva riposto in essa. Recuperata la calma, il mezzo demone prese la sua decisione e si issò in piedi. Avrebbe raggiunto da solo la Svizzera e avrebbe aperto in quel territorio la sua nuova locanda. 

 


FrancyT:

Emh... Ciao?
Eccomi tornata, dopo ben otto mesi, con un nuovo e orrendo aggiornamento! XD
Okey, sono consapevole delle forzature presenti in questo capitolo, davvero forse avre fatto meglio a lasciare la storia sospesa o eliminarla totalmente, ma non me la sono sentita.
Nonostante tanti dubbi e incertezze, adoro scrivere questa storia e, in fondo, tengo molto a questa idea. Dopo una lunga riflessione infatti, ho deciso di continuare a pubblicare la storia così com'è, nonostante le forzature e le "esigenze di trama". Sono sicura che più avanti la riscriverò, provando ad aggiustare quelle parti che mi fanno storcere il naso, ma per adesso preferisco lasciarla così.

Dopo questa piccola ed inutile parentesi, torniamo alla storia.
Al mio solito vi scrivo i miei pensieri su quello che ho scritto. Potete anche ignorare, tranquilli XD

1. Bhe, descrivere le scene con Naraku mi diverte tanto. Ho pensato molto al suo retroscena e mescolare la figura storica con questo personaggio di fantasia ha avuto dei pro e dei contro durante la stesura del testo. Ho in mente varie cosine per lui, spero solo di trattarle decentemente.

2. Avanti, aspetto il vostro: "Ma sei scema o cosa? Come fanno i demoni a non accorgersi di Rin?"
Emh... stanno sempre ubriachi? Non lo so gente, quando inizialmente avevo scritto il capitolo la cosa non mi pesava. Pensavo di aver scritto qualcosa di sensato, ma so già di essermi scavata la fossa da sola cercado di trattare la relazione "Sesshomaru-Rin", specialmente inserita in questa maniera. Spero solo che perdoniate questa povera stupida per le scelte idiote che ha fatto.

3. In questo capitolo appare nuovamente il piccolo Kohaku :3 
Anche qua, trattare l'argomento dei campi non è stato facile. Non volevo far diventare la storia troppo pesante, ma non mi sembrava neanche corretto saltare l'argomento. Ovviamente vi ricordo che nonostante il palese riferimento alla storia, sto mischiando ad essa moolta immaginazione.
Dicevo, in questa parte della storiella incontriamo anche un nuovo personaggio (l'ennesimo si, e non sarà di certo l'ultimo), che vedremo qualche altra volta all'interno della storia. Anche qua... Non nego che ho storto il naso per diverse cosine scritte, però posso dire cge personalmente non mi dispiace molto questa parte.

4. Finalmente vediamo Miroku :3
Gente, io davvero volevo farlo morire sto poveraccio. Poi mia cugina ha insistito così tanto che ho deciso di farlo rimanere in vita solo per farlo torturare .-. Sono cattiva lo so... 
La sua interazione con Kohaku... Bhe, esigenze di trama? XD
No davvero, sinceramente, nonostante tutto il loro incontro e la loro discussione non mi dispiace. Se avessi davvero disprezzato l'intero capitolo non avrebbe avuto senzo pubblicarlo.

5. Bhe .-.
So che probabilmente la scelta di descrivere un Inuyasha in "forma demoniaca" farà storcere il naso a molti. Specialmente visto quello che combina, però bhu bhu... Nella mia testolina era una conseguenza sensata visto quello che ha passato. Ho seriamente cercato di immedesimarmi nel suo personaggio per comprendere quanto le varie vicende potessero turbarlo e cambiarlo. Ma va bhee, dettagli?

Concludo con i classici ringraziamenti a tutti coloro che leggono e lasciano un proprio commentino alla storiella. Mi scuso sempre per gli errori grammaticali che saranno sparsi nel testo e spero solo non vi rendano difficile la lettura.

Un bacino,
FrancyT

   
 
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