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Autore: theGan    05/10/2022    3 recensioni
PARTE 1: Amburgo, 1986.
Genzo Wakabayashi inizia la sua nuova vita in Germania.
Karl Heinz Schneider decide di non farci amicizia, Hermann Kaltz è più pragmatico.
La long-story mai richiesta sulla storia del terzetto amburghese.
[CONCLUSA]
PARTE 2: Giappone ‘45 / Germania ‘87. 
Tatsuo Mikami vuole essere un calciatore, non un padre.
La vita è piena di sorprese.
Genere: Commedia, Drammatico, Hurt/Comfort | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai, Yaoi | Personaggi: Genzo Wakabayashi/Benji, Hermann Kaltz, Karl Heinz Schneider, Taro Misaki/Tom, Tatsuo Mikami/Freddy Marshall
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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* questa fiction viaggia parallela al canon: ci flirta insieme, ma non se lo sposa.


 

6. Grandi pulizie.

 

 

 

Hermann Kaltz ha questa tendenza ad adottare le persone. A vent’anni Samantha Bronski, la sua fidanzata presto ex, gli dirà attraverso denti stretti una cosa come:

- Ti circondi di sfigati per sentirti migliore di loro.

Non è vero. Probabilmente. No, non lo è. Avrà pure marcato Schneider così stretto da farselo amico perché gli faceva un po’ compassione. Avrà anche avvicinato Genzo perché, accidenti, qualcuno in squadra lo doveva fare. Ma non è la ragione per cui se li è tenuti. Se li è tenuti perché li ama.

E poi perché i suoi amici sono esilaranti. In modo del tutto spontaneo, perché quando cercano di esserlo sul serio i risultati sono disastrosi. Specialmente Schneider.

Karl, quando non è in campo, si distrae per ogni cosa. Ora, sa, intellettualmente, che è una risposta dell’amico al trauma e una predisposizione di carattere ereditata dalla madre, ma se non fosse spaventoso vederlo quasi schiacciato da un tir perché si è dimenticato di guardare il semaforo, ci sarebbe da farsi delle grasse risate. Genzo fallisce sempre di vedere il lato comico della cosa.

Wakabayashi viaggia su tre binari diversi: il primo è lo shock culturale. Nelle prime settimane in cui la tentativa collaborazione in campo si trasforma in un rapporto vero, Hermann trova continue ragioni di spasso nel vederlo decriptare il prezzo in marchi di ogni cosa, consumare litri di caffè nero e bevande energetiche, masticare cibo piccantissimo con una straordinaria faccia da poker e strozzarsi con l’ayran perché “non se lo aspettava così viscido”.

- Ma se mangiate il pesce crudo!

- Ma che ci fa lo yogurt nel bere?

Così Hermann gli spiega l’azione dei latticini nel contrastare l’eccessivo piccante e Genzo si converte velocemente al credo: quando vai a mangiare in un ristorante di cucina turca tradizionale, prendi il latte da bere.

Il secondo binario è: l’oggettiva stranezza del carattere. Se Schneider, con le sue tendenze possessive e gli altarini fatti con magliette rubate, è strano, Genzo è oltremodo bizzarro. Nel corso dell’aprile del 1986, il portiere diventerà una presenza fissa a casa Kaltz prendendo parte a tutti gli obbligatori riti famigliari come le grandi pulizie. Schneider ha imparato a sconigliare quando l’ultimo martedì del mese, cioè il giorno in cui il ristorante di papà è chiuso, si approssima. Genzo no. Dice qualcosa della sua follia interiore che ci parteciperà volentieri per anni.

- Questo a che serve?

- Lo spruzzi per pulir… NON SUI VETRI!

Quel ragazzo si comporta come se non avesse mai visto uno sgrassatore in vita sua. O non avesse mai pulito un bagno. C’è da dire che impara in fretta. Un giorno molto lontano, Hermann Kaltz deciderà di passare la convalescenza insieme all’amico in Giappone, precisamente a Nankatsu, dove abitava, proprio vicino al Monte Fuji. Vedrà la casa dei suoi genitori, saluterà un’anziana donna vestita da cameriera, fisserà passivamente i giardini in stile italiano, l’argenteria, le porcellane antiche, la piscina interna e molti pezzi del puzzle andranno a posto. Sarà motivo di un certo orgoglio avere avuto in svariate occasioni il giovane rampollo di un antico casato nobiliare a pulire il suo vomito. O aiutarlo con le lavatrici delle mutande sporche. Beccati questo Samantha.

Ecco, per esempio: Genzo non si schifa quasi di fronte a niente, ma ha tipo un rifiuto per i piatti sporchi.

- Ci sono dei resti di cibo, sopra.

- Ma se non hai avuto problemi con la lettiera del gatto!

- Quella non conteneva cose che vanno in BOCCA!

Davvero, non c’è mai da annoiarsi. Ai suoi Genzo piace più di Schneider anche se non vogliono ammetterlo. Forse per via del cognome o forse perché il giapponese non si è mai alzato a metà della cena per andarsene senza salutare. Verso maggio Emilia gli chiede se Genzo stia cominciando ad adattarsi a scuola e squadra, o meglio: se scuola e squadra si stiano adattando a Genzo, quel tipo è come un panzer, conviene siano gli altri a spostarsi. Hermann scrolla le spalle, a scuola le cose dovrebbero andare meglio, ma per l’altra cosa...

Fratello e sorella hanno notato come il portiere porti maniche e pantaloni lunghi anche in pomeriggi torridi passati a scrostare e riverniciare imposte. I loro sospetti sono infondati: a Genzo piace vestire a strati e, pur avendone il cervello, manca dello spirito per occultare le prove. Ma i lividi c’erano.

Un settimana fa mister Friedman gli ha fatto un complimento e alla sera qualcuno gli ha imbrattato l’armadietto. Hermann è entrato negli spogliatoi e ci ha trovato Genzo con il naso ficcato nel borsone. Quando il portiere l’ha sentito arrivare si è tirato su di scatto e ha impiegato mezzo secondo per riordinare la faccia in un’espressione noncurante alla “che ci vuoi fare”. Genzo ha tirato fuori dalla sacca guanti, spugna e sgrassatore liquido. Hermann è rimasto interdetto: se aveva i prodotti con sé significava che questa non era la prima volta.

Quando? Quante volte? Non lo sa. Qualcosa sta succedendo alla sua squadra, fuori dalla sua vista o dal suo controllo. Non gli piace. Aveva aiutato Genzo a finire di pulire e poi erano usciti a mangiare.

L’incidente rimane pallido e isolato nel suo cervello. Macera. Un caso. Scherzi puerili. Un giorno di questi mister Friedman farà una strigliata generale e rimetterà le cose a posto come era successo con Schneider. Hermann è sveglio, dovrebbe sapere che le cose non sono mai semplici.

***

Il terzo binario, cioè la terza ragione per cui Genzo Wakabayashi è suo amico è… perché è Genzo. Semplicemente. A metà aprile Hermann appoggia male il piede, scivola e cade. Ha piovuto per due giorni e il terreno zuppo attutisce la caduta. Sorride a Mayer quando lo aiuta a rialzarsi, commemora la precoce dipartita del suo stecchino anti-stress e stringe i denti attraverso il resto dell’allenamento. O almeno, fino a quando Wakabayashi non decide di saltare fuori dal nulla e dire:

- Uno degli assistenti ti cerca, seguimi.

Hermann “non” zoppica fino agli spogliatoi, quando arriva fa un cenno a Mikami che risponde con una piega divertita delle labbra prima di invitarlo a sedersi. Genzo è sparito a recuperare un contenitore di plastica trasparente pieno di una crema viscida e un kit del pronto soccorso.

- Forse è meglio se fai una doccia prima. – Il suggerimento di Mikami nasconde un ordine.

Quando Hermann torna con un asciugamano legato in vita e uno attorno ai capelli, l’assistente del coach è andato, rimane Genzo.

- Siediti, che non ho mica tutto il giorno.

Il portiere ha mani sorprendentemente delicate, gli massaggia la caviglia dolorante con il viscidume misterioso che è come ghiaccio sulla pelle e un’esplosione di menta per il naso. È quasi piacevole e Hermann lascia che le preoccupazioni scivolino insieme alla stanchezza. Genzo gli fascia la caviglia in un gesto naturale praticato un milione di volte. Hermann emette un verso basso e nasale che l’altro interpreta correttamente. Come sempre. Decide di rispondere:

- Mikami mi ha insegnato quando avevo sette anni. Ho fatto un sacco di pratica col povero Izawa.

Genzo e i suoi amici giapponesi… gente di cui si preoccupa e descrive con l’orgoglio del fratello maggiore. Una settimana prima Schneider, i piedi allungati e stiracchiati sul divano per impedire l’altrui accesso, aveva detto una cosa come:

- Lo sai che tu e Genzo vi somigliate un sacco?

Hermann aveva riso e negato: che ci piglia un giapponese alto e testardo, con un tedesco basso, biondo e... Ah.

Anche Genzo adotta le persone.

Questo significa che Hermann è stato adottato. Non se lo aspettava, non se n’era accorto. Ma gli va bene. Si possono adottare a vicenda. Dopotutto ci sono modi più strani per formare una famiglia.

Se Genzo fosse stato una donna o Hermann meno etero, sarebbero stati una coppia perfetta. Tipo anime gemelle. Anche se fosse, non sono fatti per vivere insieme: lo scopriranno a diciannove anni, quando Hermann deciderà che se Genzo ha una camera che non usa in un appartamento vicino allo stadio, tanto vale diventare coinquilini. Durerà tre mesi e verranno quasi alle mani quattro volte, una riguarderà la spazzatura.

- Non l’ho lasciato in giro! L’ho buttato nel cestino!

- L’hai buttato in quello per la raccolta del vetro!!! KALTZ!

L’oggetto in questione: un preservativo usato. Ora ama Genzo, è suo fratello e tutto il resto, ma quel ragazzo si fissa un po’ troppo sui dettagli. E sul pulito.

Per il resto Genzo è una delle persone più rilassanti che abbia mai incontrato e ci si può parlare insieme di tutto. Hermann adora quel piccolo fetente di Schneider, ma, onestamente, saranno uomini, ma non si può sempre stare a discutere di calcio e motori. Le donne sono una casistica a parte.

Per tutte le stranezze, invece, visto che il 1998 con Google è ancora lontano, chiede prima a Genzo. Impara questa lezione quando sua sorella, in quei mesi dell’86 che mordono la coda all’estate, arriva con una specie di trottola di legno che non riesce a far funzionare bene, così Hermann la porta a scuola. Nell’intervallo si manifesta nell’altra sezione dove ci stanno Reinhard e Schroder che adorano questo genere di stronzate, i suoi amici non sono eccessivamente utili.

- Forse la devi ruotare in senso antiorario? – Prova il primo.

- Nah, secondo me è la punta che sta sproporzionata. – Sostiene il secondo.

- Manca la corda. – Genzo si manifesta. – Prestami il laccio delle scarpe.

Si arrabattano un attimo, ma poi la trottola funziona. Apparentemente si chiama una cosa tipo “Edo Goma” e nessuno capisce bene come un giocattolo giapponese abbia fatto ad arrivare a un mercatino delle pulci tedesco. Forse è una metafora. In ogni caso Genzo ne sa un sacco, racconta che queste cose sono state persino un oggetto di lusso, prima di una riforma che non colpiva proprio i giocattoli, ma ha contribuito a renderle tali.

- Da appannaggio dei daimyo a spasso per i bambini. È buffo se ci pensi.

Hermann non sa che sia un daimyo, ma annuisce e sta a sentire quando Reinhard chiede se al portiere interessino questo genere di cose. È una domanda trappola: questi due stanno disperatamente cercando gente per il loro gruppo di D&D. Non hanno fortuna, sapeva della trottola perché un certo Hajime Taki dal Giappone, o meglio suo padre, ha un negozio di giocattoli.

Genzo c’ha questa cosa per cui memorizza un sacco di stronzate che riguardano i suoi amici. Hermann crede che sia il suo modo di amare. Così quando il portiere stabilisce di esplorare la città per mandare documentazione fotografica a tale Taro Misaki, Hermann decide che è un’ottima idea, si trascina dietro Emilia e la trasformano in una gita di famiglia.

Genzo mantiene quella giapponese con una caparbietà che non lascia trasparire chi tra la sua nazione di arrivo e partenza sia la signora e chi l’amante. A una settimana dalla fine di maggio, il portiere viene a cercarlo per sganciargli circa un quintale di cioccolato.

- Ti piacciono i dolci, no?

Sì ed Hermann è stato decisamente adottato. Le scritte sulle confezioni sono in un alfabeto assurdo, tipo disegnato, ma è abbastanza sicuro che Genzo non stia cercando di avvelenarlo. Sarebbe uno schema un po’ troppo sottile per un tipo così quadrato. La roba è buona, un po’ troppo zuccherata, ma buona. Hermann cerca di allungare le mani su delle cose che sembrano Kitekat, ma verdi e Genzo glieli porta via.

- Ehi, questi sono per Schneider!

C’è un’altra cosa che il portiere non gli fa toccare: una bustina con un fiocco che studia con distratta delicatezza.

- È fatto a mano. – Spiega Genzo che di tanto in tanto decide di non restituirgli pan per focaccia sulla cripticità. – Il pacco è arrivato in ritardo, non so se dopo un mese e mezzo sia ancora commestibile.

Hermann fa un paio di conti. Oh. Ma ‘sta roba gliel’hanno mica spedita per San Valentino? In effetti, ora che ci pensa, Genzo è un mezzo marpione: c’ha la Kuster, la Aydin e pure la Özkan a ronzargli attorno. Lui dice che sono amiche, ma è la stessa scusa di Schneider. Oh. Improvvisamente la questione si fa interessante.

Genzo affonda rapidamente le teorie: non ha una fidanzata (o una serie), ma una squadra. Di calcio.

- Sì, maschile, Kaltz! Per quella femminile a scuola c’è mancato il numero!

Ora, va bene lo stacco culturale, ma ad Hermann non sembra troppo normale. Il portiere fa spallucce.

- È che per anni non gli ho detto quand’era il mio compleanno. – Spiegazione debole. Hermann si appunta di scoprire quando Genzo sia nato. – Così hanno scelto un giorno. Penso siano stati Izawa o Teppei a decidere per il quattordici febbraio, sarebbe una cosa da loro.

Apparentemente in Giappone esiste qualcosa come “cioccolato platonico tipo di ringraziamento”. Future ricerche gli confermeranno che è più una cosa da ragazze e che comunque non spiega il cioccolato a mano.

- Oh, questo è di Morisaki. È bravissimo in economia domestica.

Hermann Kaltz è pronto a scommettere il suo alluce sinistro che l’idea di scegliere San Valentino come giorno neutro abbia un preciso artefice e che questo Morisaki sia un genio del male con una terribile, terribile cotta.

Uhm. Nuova teoria: Genzo è un idiota, ma non gli dà le stesse vibrazioni di Schneider. Quasi. Non proprio. Magari è una cosa giapponese. O forse la pubertà avrà pure innaffiato l’amico come una gramigna, ma non l’ha corrotto alle gioie del gentil sesso. Ancora. 

Hermann Kaltz non prende tante cantonate sui propri amici. Questa è una di quelle.

***

Le ultime partite della Bundesliga si giocano in maggio, ma l’Amburgo SV versione poppanti ha la sua personale fissata con il Borussia Dortmund juniores alla prima domenica di giugno.

Hermann ha iniziato a giocare nell’under tredici da titolare da alcuni mesi, non si stupisce che mister Friedman lo scelga per la rosa dell’amichevole. Sarà la formazione che il coach si trascinerà per tutta l’under sedici, con pochi cambiamenti, fino a conquistare la medaglia d’oro alle giovanili, attirare gli occhi del Bayern su Schneider e tutte cose. Ovviamente il sopracitato gioca titolare da quando di anni ne aveva dieci.

Mister Friedman disegna sulla lavagna, Hermann batte un cinque discreto a Genzo che starà in panchina, ma non si perde una parola. Hermann dovrà marcare Peter Magath, il capitano e miglior realizzatore della squadra avversaria. Curiosamente in Nazionale Magath sarà poi fisso in difesa, Hermann apprezza un giocatore complesso.

Dopo il riscaldamento molla Schneider a Genzo. Ringrazia Iddio di avere avuto l’idea di farli conoscere: Karl ha smesso di appestare il campetto come una nube scura e limitato il numero di interventi fallosi sui propri compagni di squadra. O le pallonate in pancia. O in faccia. Ha pure preso a partecipare regolarmente, cosa che l’ha fatto risalire nella stima di gente che si fa il mazzo come Mayer, Strauss e Briegel.

Gli viene da ridere. Certo se la gemella di Strauss si presentasse in campo in calzoncini anche Hermann si sentirebbe ugualmente motivato. C’è da dire che Genzo quando può indossa più strati di una cipolla, ma ciò non impedisce a Schneider di fissarlo con un’intensità che scioglierebbe il ghiaccio.

Non pensa che Karl se ne sia accorto. Quel ragazzo ha l’introspezione di una mazza di legno. Finché gente come Hertz non fa due più due e Hinmel mantiene la promessa di starsene zitto, Hermann non ha alcuna ragione per non divertirsi alle spalle dei suoi amici.

Poi ha indagato: Genzo è super ok sulla cosa. Hermann gliel’ha appoggiata pianissimo ieri mentre tiravano giù le tende per metterle in lavatrice perché era martedì e il portiere l’ha seguito dopo scuola per sapere se avessero bisogno.

- Cioè, metti l’ipotetico caso che un nostro compagno di squadra sia gay.

Aveva aspettato che Genzo fosse in bilico sulla scala per parlare. Ora, di norma Hermann è più sottile, ma puoi capire molto di una persona quando le schiaffi una domanda del genere mentre è in equilibrio su un piede solo. Il portiere non aveva traballato. Dopo trenta secondi di mutismo, la cosa si è fatta strana.

- Genz-man?

- Che? Ehi, ma lo vuoi tenere fermo questo aggeggio del male?!

Afferra la scala con due mani, finiscono con la cucina e vanno verso il salotto. Hermann risente la conversazione in testa e si accorge di non aver mai fatto una domanda. Sta merdina nipponica.  C’ha pure su quel suo ghigno storto. Aspetta che sia salito di due gradini per scuotere la scala. Il bastardo si mette pure a ridere.

- Cosa faresti? – Si sente in dovere di specificare. – Cosa faresti se saltasse fuori che a un nostro compagno di squadra piacciono gli uomini?

- Niente, mica sono cazzi miei. - Genzo sbuffa e inizia a passargli le gruccette. Un battito e si irrigidisce. – Perché se la stanno prendendo con qualcuno per questo? Chi? Uno di quelli grandi o dei piccoli?

Hermann lo stoppa prima che parta per la tangente. È rassicurante questa cosa di Genzo: Hertz ieri gli ha tirato apposta una gomitata in pancia mentre lo marcava, Hinmel da un mese lo chiama “piccolo Mao”, gente in gamba come Lintz o Mayer ha paura a parlarci assieme perché teme ritorsioni da parte del resto degli idioti e Genzo trova pure lo spirito di indignarsi e dichiarare guerra in nome di un completo sconosciuto. Gli viene come naturale. Hermann ha fatto bene ad appioppargli Schneider.

Ci vogliono altre quattro ore per finire con camere e bagni. Ovviamente Genzo rimane per cena, poi si fa così tardi che Emilia lo convince a rimanere a dormire. Preparano il materasso gonfiabile comprato per Karl e lo piazzano vicino al suo letto. Ora, mamma si è tanto raccomandata di trattare bene gli ospiti (specialmente quelli che ti aiutano a pulire casa come attività ricreativa), ma Hermann è convinto che a Genzo non dispiaccia evitare le sue lenzuola sporche e cioè l’unica cosa che non hanno fatto in tempo a cambiare. Ha ragione. Il portiere solleva un sopracciglio.

- Sei sicuro di volerci dormire in quello schifo?

E poi parte con qualcosa del tipo “abbiamo passato il pomeriggio a pulire” e “dov’è che tieni le altre che ti aiuto a cambiarle”. Genzo a volte è una versione un po’ più gentile di sua madre. Si arrende quando gli fa notare che l’unico paio pulito l’hanno messo al materasso gonfiabile e poi gli mostra la pila di panni sporchi nascosta in un anfratto dell’armadio. Lo sguardo di Genzo è quasi ammirato.

- Come? – No, Hermann si era sbagliato, non ammirato: orripilato.

Avrebbe dovuto capirlo allora che ritrovarselo come coinquilino sarebbe stata una pessima, pessima idea.

- Un sacco di pratica.

Poi spegne la luce e li costringe a dormire. O almeno ci prova. Hermann ha giusto preso sonno, quando la voce di Genzo taglia l’oscurità come una fetta di pane.

- È Schneider, giusto?

Hermann dà una zuccata al cuscino, è troppo stanco per avere questa conversazione ora. L’altro interpreta correttamente il muggito, ma procede ugualmente.

- Hinmel ha detto una cosa… Lascia perdere.

E ora, ora che Hermann è allerta, preoccupato e necessita spiegazioni, Genzo si gira su un fianco e si mette a russare. Gli lancia un cuscino. Il fetente lo prende al volo e lo aggiunge a quello dietro alla testa. Nessuna protesta serve a farselo restituire.

Il mattino dopo, Kaltz blocca Hinmel al cancello della scuola, lo trascina in bagno e rende molto chiaro cosa gli farà se proverà ad aprire di nuovo bocca con qualcuno. Stranamente lo starà a sentire. Salterà fuori che degli orribili coglioni che Hermann ha scoperto di ritrovarsi in squadra, Hinmel è il meno peggio. E di un discreto margine.

***

Domenica primo giugno arriva a veloci falcate. Mister Friedman si conferma per tempismo e incapacità di leggere gli umori dello spogliatoio quando lancia la fascetta di capitano a Schneider. Ha senso, perché da quando Hardwig si è trasferito ed è passato alla giovanile dello Schalke 04, la posizione è rimasta scoperta. Ma proprio adesso? E proprio a Schneider?

Se spera che il ruolo aiuti Karl a prendere maggiore consapevolezza del suo posto in squadra, Friedman ha dannatamente ragione. Però non è un affare immediato, nel frattempo l’ostilità quadruplica e qualcuno la dovrà pagare. Non sarà Schneider.

Sta per entrare in campo quando Hinmel lo avvicina. Il trequartista non è lì per rivangare l’amichevole discussione del mercoledì.

Un giorno l’ex numero cinque dell’Amburgo SV juniores gli confesserà come quel suo gesto, cioè quello di trascinarlo per una spalla e sbattergli la testa contro un lavandino di ceramica, gli avesse fatto cambiare idea sul suo compagno di squadra. Non Schneider. Con lui non si riuscirà a vedere per il resto della vita, ma idea su di lui: Hermann Kaltz.

- Pensavo fossi uno stronzo tutto sorrisi, tipo Krüger. – Dirà, il naso nascosto dalla schiuma della birra. – Avresti dovuto incazzarti più spesso.

A quindici minuti dall’inizio della sua sesta partita come titolare, Hermann non sa di essere risalito di almeno ventisette posizioni nella stima di Bernd Hinmel, così quando il compagno dice un verissimo:

- Per me il mister avrebbe dovuto fare te capitano. 

La risposta di Hermann Kaltz è un rutto. Poi va in campo ed inizia col riscaldamento.

L’under tredici dell’Amburgo SV non è una squadrona, non come la loro under quindici o diciassette o quello che diventeranno tra qualche anno. Friedman è un bravo coach, ma uno che ragiona sul lungo termine, il che ha abbastanza senso visto che si trova a gestire un branco d’adolescenti con manie di grandezza.

Il loro centrocampo è buono, ma Hermann, uno dei sopracitati adolescenti, tende a pensarlo perché se lo gestisce lui. La loro difesa scricchiola e il loro attacco, beh, è tipo un one-man-show.

Schneider è il perno attorno cui la squadra si muove.

In ventun partite disputate, Karl ha centrato una tripletta in diciannove. Sta diventando una sorta di marchio di fabbrica. Però solo dieci di quelle partite le hanno poi vinte.

Se Schneider arriva in area con la palla fa goal. È tautologico. Però gli avversari possono sempre rispondere e lo sbilanciamento in attacco li rende troppo suscettibili al contropiede. L’under tredici è scoordinata, litigiosa ed Hermann prova a metterci una pezza, ma non può essere ovunque.

Karl sarà pure un trascinatore, ma non è integrato. Parte troppo di testa sua e la sua assenza agli allenamenti si fa sentire, c’è da dire che ci sta provando. A cambiare. Mister Friedman piazza Lintz in difesa, sembra tanto una manovra alla spera in Dio. 

Hermann si concentra sul suo compito che è quello di bloccare Magath e disturbare lo schema d’attacco avversario. E passare a Schneider… che ovviamente ha più giocatori addosso che palline su un albero di Natale. No. Vediamo chi c’è.

Cerca e trova Strauss, ma Milews intercetta e ora sono loro a doversi difendere. Magath prova a svicolarsi, ma col cazzo. Schneider si è sparato metà del campo per entrare in scivolata sul numero sei del Borussia, solo che Milews quel pallone lo passa. L’arbitro lascia giocare ed Egora, uno dei giocatori più piccoli della squadra avversaria, segna con un tiro impossibile dal punto cieco che la difesa ha lasciato al portiere.

Quindici minuti e sono sotto di un goal. La rimessa di Krüger arriva ai piedi di Hinmel che si coordina con Hertz per il contrattacco. Solo che Hertz è in fuorigioco e questa volta l’arbitro fischia. Il pallone arriva a Magath e tutta la buona volontà di Hermann non impedisce al numero dieci di arrivargli dritto in area e segnare, ancora.

Venticinque minuti e la situazione è parecchio frustrante. Schneider si avvicina a Krüger:

- Il prossimo mandalo a me.

Un passaggio lungo è impensabile: prima di tutto il loro portiere è parecchio impreciso, secondo appena Schneider arriva nella metà campo avversaria ha gli altri addosso come mosche. Così il loro nuovo capitano si piazza vicino al dischetto, al loro dischetto.

Krüger dà un buffetto al pallone e poi Schneider parte. Hermann non si stancherà mai di vederglielo fare. Schneider si fa tutto il campo di corsa, salta gli avversarsi come birilli e non passa manco a pagare. Non è da solo. Hermann tiene occupato Magath mentre Strauss distrae la difesa e Heintz diventa l’ombra arretrata di Schneider. Karl non arriva all’area avversaria, si ferma prima e spara un tiro al volo veloce, angolato e imprendibile.

Due a uno. Dieci minuti dopo Schneider ripete il miracolo. Due a due.

L’arbitro fischia la fine del primo tempo, Karl cerca il capitano avversario allunga una mano verso di lui e gli punta un dito contro, in un gesto che diventerà poi iconico e che causerà svariati travasi di bile ai giocatori che se lo vedranno rivolgere. Magath la prende sportivamente, dice:

- Vi schiacceremo.

E finisce lì. Mister Friedman non è felice, i primi due goal erano evitabili. Fa un mazzo un po’ immeritato a Krüger. Gongels prende le sue difese, ma il mister non ha finito.

- Ne abbiamo parlato un milione di volte. – Dice Friedman. – Non puoi rimanere incollato alla linea di porta per tutta la partita. Il calcio non funziona più così.

L’assistente giapponese di Friedman tende a non impicciarsi, ma oggi emerge dall’ombra: mette una mano sulla spalla del coach e fa un gesto amichevole verso il loro numero uno. Linguaggio universale: ci parlo io. Friedman alza gli occhi al cielo, espelle una quantità sorprendente di aria, poi sorride e fa un cenno d’assenso. I rapporti tra i due sono migliorati negli ultimi mesi.

Soprattutto da quando è risultato a tutti evidente che provenire da una differente tradizione calcistica non ti rende un totale idiota. Tatsuo Mikami è in gamba. Molti dei suoi compagni hanno iniziato ad orbitare su di lui per consigli che trascendono il calcio. Un po’ aiuta l’aria generale da “saggio maestro asiatico”. Poi il tizio viaggia sulla quarantina, gliene aveva dati almeno dieci in più. I capelli fanno tanto.

Krüger non ha simpatie per il Giappone in generale, quando si riunisce al resto della squadra è praticamente livido:

- Ma chi li ha mai sentiti questi Gyula Grosics e Jan Jongbloed. – Un sacco di persone in effetti, la faccia che mette Mayer al secondo è tra il costipato e l’incredulo. – Questi stupidi musi gialli che pretendono di insegnarci il calcio…

Se queste fossero le prime settimane di marzo i suoi compagni avrebbero sorriso, annuito e aggiunto un qualche commento brillante su occhi troppo stretti per vedere dove va il pallone.

Questo è giugno e alla squadra Mikami, con la sua presenza gentile e discreta, piace. Se avesse parlato male di Genzo sarebbe stato diverso. O forse no. Non per tutti. Mayer, Haness, Lintz e persino Briegel iniziano ad avere se non un debole, almeno un certo rispetto per il loro giapponese. Il suo essere una testa minchia incapace di capire quando è ora di stramazzare al suolo ha aiutato.  

A sorpresa è Hinmel a uscirsene con un:

- Hans, se il portiere libero non lo sai fare, non sono loro che hanno un problema.

Il gioco riprende.

Hermann arretra definitivamente in difesa. Non sa quanto aiuti. Schneider non ha più tre uomini addosso, ma direttamente Magath che è un cazzo di francobollo. Questo libera due giocatori avversari e, nei venticinque minuti successivi, il Borussia Dortmund dimostra ampiamente perché quest’anno è arrivato secondo ai giochi juniores. Dopo il Werder Brema.

Quattro a due. La loro difesa fa schifo. Il mister ha sostituito Gongels con Haness durante l’intervallo e ora sembra pronto a tentare di nuovo. Il pallone esce.

Non capita spesso che ti sostituiscano il portiere. Se si fa male è un conto, ma Krüger è fresco come un fiore. Un fiore allarmato certo, perché c’è solo un giocatore che Friedman sta facendo scaldare: Genzo Wakabayashi.

***

Negli anni Settanta, la posizione del libero nel calcio è definitivamente tramontata. L’idea però era buona e gente come i sopracitati Grosics e Jongbloed, pensano qualcosa come: ehi, chi è l’unico giocatore che non ci incasina con il fuorigioco? Il portiere.

Inizia in Ungheria, sale alla ribalta in Olanda e si diffonda a macchia d’olio in Germania, è ovvio quindi che siano gli inglesi a darci un nome: sweeper-keeper, il portiere libero.

Una posizione che comporta una serie di limiti, ovviamente. Prima di tutto c’è bisogno di un giocatore con una forte presenza fisica e mentale, capace di leggere il campo e ricoprire posizioni che vadano al di là della semplice difesa. Qualcuno di affidabile e anche un po’ idiota, perché, diciamocelo, ci vuole un certo coraggio per abbandonare la propria porta ed arrivare palla al piede nella metà area avversaria. Se fai giusto sei un genio. Se sbagli il tempo e ti apri a un goal a porta vuota viceversa…

Genzo Wakabayashi è tutte queste cose. Hermann a dodici anni non aveva l’esperienza per vederlo. Coach Friedman sì e tante cose sull’allenamento a cui ha sottoposto il portiere negli ultimi mesi acquistano senso. Tatsuo Mikami non era stato il solo ad averlo capito: l’altro era stato Schneider.

Ora, a Karl il termine sweeper-keeper viaggia sopra la testa, ma quel ragazzo ha per il calcio la stessa fame di un coyote per una bistecca. Ah. Ecco con cosa si stavano esercitando. Cioè, oltre a quello stupido tiro che Karl si è messo in zucca di perfezionare.

Genzo entra, non è chiaro se dica qualcosa a Krüger, ma il primo portiere fa una faccia strana. Hermann se ne dimenticherà presto. Hanno meno di venti minuti per ribaltare il risultato.

- Non fateli entrare in profondità. – Dice Genzo serafico. – Usate il fuorigioco per convincerli a tirare da fuori. Hermann avrò bisogno di te.

La voce di Wakabayashi è chiara, dura, ha un che del generale o del mister. È tranquillizzante. Ti dà l’idea di non essere sotto di due goal, ma in vantaggio di uno. Gongels non sarebbe stato ad ascoltare una parola, ma Lintz, Mayer ed Haness annuiscono e si lasciano guidare alle posizioni che gli indica il portiere.

Così Hermann ignora Milews, mentre Briegel lo guarda con un’aria da “che cazzo fai”. Schneider rimane sbilanciato in attacco, in attesa. Hanno davvero fiducia in quella bestiaccia dagli occhi a mandorla, eh?

Fanno bene. L’azione del Borussia si scontra con quel muro umano che è Wakabayashi, Hermann non si volta e inizia a correre. Sa che Genzo parerà e sa che quel pallone ha il suo nome sopra. Non rimane deluso. La sfera arriva ai suoi piedi come se avesse una calamita, Magath era andato in avanti a dar manforte a Milews e questo lascia Schneider praticamente solo. Grosso errore. Il capitano del Borussia se ne accorge subito, ma non fa in tempo. Hermann passa al volo. Karl salta i due poveri difensori rimasti ed entra in porta col pallone.

Quattro a tre. Tripletta di Schneider. Rimangono quindici minuti, sono sotto di un goal, ma l’atmosfera è cambiata. Non sa se sia solo lui a sentirla questa sicurezza che proviene alle loro spalle. O forse è solo la voce di Genzo che dimostra notevoli polmoni mentre strilla ai suoi difensori schemi che hanno provato alla nausea, ma che l’essere in svantaggio a venti minuti dalla fine aveva come cancellato dal cervello.

Il Borussia non ci sta, nel quarto d’ora che gli separa dal fischio dell’arbitro, Magath stabilisce che la migliore difesa sia l’attacco. Sono al settantacinquesimo e l’Amburgo è stanco. Persino Schneider che ha passato tutto il primo tempo a correre su è giù come un pazzo. Hanno bisogno di…

Di nulla, hanno Genzo. E i suoi difensori parrebbe. Il quadrilatero formato dai tre giocatori, più portiere, non è quella macchina oliata che diventerà nel giro di mesi, ma per ora, quando il Borussia non se l’aspettava, basta. Cinque minuti alla fine, Magath è pronto a tirare da fuori, il pallone gli sparisce da sotto i piedi. Genzo è uscito e ora corre verso la metà area avversaria. Schneider è marcatissimo, così urla.

- MAO!

E passa, di tutte le persone in squadra, all’unica veramente ben piazzata: Bernd Hinmel. Se è sorpreso, il suo sorriso non lo dimostra. Hinmel insacca la palla nell’angolo destro. Un tiro lento che per loro fortuna Franz Stein non intercetta.

Quattro a quattro. Un’amichevole che potrebbe benissimo finire in pareggio.

Hermann sputa lo stecchino a terra. Col cazzo. Sono qui per vincere.

L’arbitro concede cinque minuti di recupero, ne hanno così sette per dare una lezione a quelle merdine perfide. La palla ce l’hanno loro. Magath nella sua area sembra avere tutto il tempo del mondo, passa pigramente a Milews e aspetta che si sbilancino. Che provino a prendergliela. Mancano cinque minuti e mezzo, così lo fanno. Magath scatta in profondità, arriva in area… Hertz gli entra su un piede e lo manda lungo e tirato.

L’azione fallosa costa un cartellino giallo e un rigore. Schneider non protesta, il resto della squadra sì.

Magath si prende tutto il tempo prima di calciare. Tre minuti. Due minuti e mezzo.

Hermann sente il fischio e inizia a correre in avanti, Schneider uguale. Hinmel si piazza a centro campo ed aspetta. Un minuto e mezzo. Magath tira, Genzo para. Un minuto e quindici. Il pallone gli atterra sui piedi. Schneider finta sulla destra, una manovra che hanno provato insieme. La boccheggiante difesa del Borussia si prepara ad intercettare il passaggio, ma non arriva. Hermann si butta sul lato cieco del portiere e calcia.

L’arbitro fischia. Il pallone entra.

Quattro a cinque. Strauss ed Heintz arrivano e lo prendono in braccio. Il resto dei difensori gli si butta addosso come una simpatica montagna umana. Tanto Hermann è troppo felice per respirare.

Non vincono una medaglia o una coppa. Schneider marcia verso Magath e gli stringe diplomaticamente la mano. Genzo è da qualche parte, incerto, verso la metà campo. Hermann scivola da sotto, lo insegue e lo sbatte a terra. HANNO VINTO! Genzo ride, Mayer e Lintz hanno notato la grande fuga ed arrivano a buttarsi contro di loro. Rotolano. HANNO VINTO! Schneider lo pungola con un piede, leggermente scettico. Il braccio di Genzo scatta dalla pila, lo agguanta per i calzoncini e lo tira giù.

Gli era mancato sentire Schneider ridere. Forse non lo aveva mai sentito davvero.

Quando si ricompongono mister Friedman ha tutta una serie di appunti da fare sui quei primi venti minuti del secondo tempo, ma poi sorride e apre la Coca-Cola per festeggiare. Hermann pensa che lo spumante ci sarebbe stato meglio, ma tant’è.

Strauss ed Heintz cercano Schneider spontaneamente e sono tutto un rivangare il momento in cui la punta ha saltato la squadra avversaria. Stranamente Karl non se ne va, non sorride, ma dice qualcosa come:

- È stato possibile perché c’eravate voi a distrarmi la difesa.

Che è un avvenimento così straordinario che Strauss arrossisce e balbetta ed Heintz quasi si commuove. C’è speranza per il loro capitano.

Dall’altra parte Mayer, Lintz e Haness sono tutti un chiocciare attorno a Genzo. Hinmel arriva per rifilargli una pacca “amichevole” sulla schiena che non muove il portiere di un millimetro. Genzo sorride storto e dice qualcosa probabilmente di stupido che Hermann non riesce a sentire, Hinmel si gonfia, ma poi scoppia a ridere. Progressi parte due, insomma.

I festeggiamenti si protraggono per diverse ore e quando Hermann, docciato e distrutto, si ricongiunge col letto di casa, non si sente più le gambe, ma è pienamente felice. Hanno vinto. Hanno lavato la zozzeria che si era incancrenita come pus nel cuore della squadra. Il domani si srotola pacifico e carico di sfide che sono pronti a vincere.

Hermann ha torto. Il domani sarà tutt’altro che pacifico.

 


 

NOTE:

 

DUM-DUM eccoci di nuovo, tra ospedali ed esami vari in qualche modo si sopravvive e si finisce quella BESTIACCIA del capitolo 8 che è levitato a 17.000 parole e che dovrò seriamente considerare se spezzare in due.

Ancora un enorme abbraccio a voi che mi lasciate sempre un commento, davvero <3.

 

Ogni volta che da piccola vedevo il caro Genzo partire in quarta e lasciare la sua porta ero spaccata tra il "EPICO" e il "DO' CAZZO VAI?!". Per la stesura della partita ho fatto ricerche (perché calcisticamente sono poco ferrata) e, ohi, ho scoperto l'esistenza del "portiere libero" che è praticamente il ritratto del caro Genzo come giocatore. Mannaggia a te Takahashi!

I capitoli di Hermann sono assai difficili da scrivere, però mi lasciano più allegra: l'unica persona stabile e sana di mente di CT, davvero. La scena della trottola è liberamente tratta da un "omake" del manga in cui ero incappata un secolo fa che mi aveva fatto un sacco ridere e che non potevo non includere. Mi ci vedo invece gli Shutetsu a spedire cioccolato in modo del tutto non ironico.

ALSO se siete curiosi sulla crema usata per la botta/slogatura: ESISTE! Tecnicamente è per cavalli, ma va bene anche per le persone.

 

Al prossimo mese per il compleanno della piccola Maria e un certo Karl Heinz Schneider che dovrebbe riflettere prima di fare certe cagate.

 

 

>>> Cose che capitano.

A Karl la vita capita come addosso.

  
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