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Autore: In_This_Shirt    05/10/2022    1 recensioni
1986 - Hawkins, Indiana. Chrissy Cunningham è una brava ragazza ma con grandi segreti; Eddie Munson, invece, sembra quasi non aver paura di niente - ribelle e sfacciato, vive la sua vita in modo libero e senza preoccuparsi dei giudizi degli altri. Chrissy non riesce a non invidiarlo, a non guardarlo di nascosto, a desiderare di essere simile a lui e avere la sua stessa forza di tirare i propri sogni fuori dal cassetto. Entrambi si scrutano di nascosto prima con diffidenza, poi con curiosità. Una storia dedicata al modo in cui si cresce, alla scoperta delle proprie imperfezioni e alla loro unicità. [ Chrissy x Eddie | What If - il racconto riprende dall'ultima scena Edssy, senza tener conto dei fatti avvenuti nella serie. ]
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Chrissy Cunningham, Eddie Munson
Note: What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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Il piano inferiore della casa verte in un silenzio surreale – vuoto, amplificato dal terrore che Chrissy sente come un ragno agitarsi dentro di sé.
Non ci sono né suo padre, né sua madre, né tantomeno suo fratello. La televisione è spenta, l’isola di marmo della cucina tirata a lucido, le finestre chiuse. Non si muove nulla, non ronza un insetto, non si sentono i suoni della strada. Tutto sembra fermo in un’attesa spaventosa e quando appoggia il piede sul primo scalino, lo scricchiolio che ne consegue è insopportabile, echeggia tra le mura di tutta la casa.
- Mamma? – prova a chiamare, col cuore in gola.
Sa che c’è. La porta era aperta, le sue scarpe all’ingresso.
Quando arriva di fronte alla porta della sua stanza, non è troppo stupita del fatto che lei sia lì ad aspettarla. Quello che la coglie davvero di sorpresa è la presenza di suo padre, seduto sul letto immobile: ha la fronte appoggiata tra le mani, i gomiti sulle ginocchia, l’aria di chi è invecchiato di cent’anni tutti insieme.
A lui, e solo a lui, Chrissy vorrebbe dire che le dispiace.
È ancora il papà che la chiama principessa, che l’accompagna dappertutto, che le ha comprato il vestito per il ballo. Ma è anche il marito di Eva. Forse è una dicotomia troppo difficile tra gestire, quella tra amore filiale e doveri matrimoniali. Forse è per questo che preferisce passare tanto tempo fuori casa, invece che con loro. Forse sono tutti vittime della stessa, crudele manipolatrice narcisista che adesso cammina come una fiera in attesa su e giù per la stanza. I suoi occhi glaciali scivolano sul viso di Chrissy, dietro la porta semichiusa. Quando si apre in un sorriso che non promette niente di buono, la paura aumenta.
- Vieni, vieni.
Chrissy entra in quello che dovrebbe essere il suo porto sicuro in punta di piedi e gli occhi, immediatamente, le cadono sulla scrivania.
Qualcuno ha rovistato dentro i suoi cassetti e ha scoperto il doppiofondo. Sul tavolo in noce, sparsi, ci sono i suoi quaderni, i suoi disegni e, peggio ancora, c’è la bustina di Special K.
- Adesso ci spieghi cos’è questa, che ne dici? – il tono di sua madre, falsamente dolce e conciliante, le fa desiderare di tenere la bocca chiusa.
Eppure aveva trovato il coraggio.
Quello di dire basta, non sono così, voglio essere come voglio essere, voglio la libertà, la felicità, mangiare, Eddie, correre via, vivere, perché me lo merito.
Ma quel coraggio ora sembra finito chissà dove, svanito sotto le suole delle scarpe, nel ghirigori del tappeto che fissa con intensità feroce.
- Chrissy – la voce di suo padre, più conciliante, prova a insinuarsi nel discorso – Dicci la verità, ti prego. Così possiamo capire come aiutarti.
- Aiutarla – sbotta Eva, irretita dal fatto che qualcuno abbia osato toglierle il controllo della conversazione – Tua figlia si fa di questa merda e tu vuoi pure aiutarla?
- Io non mi faccio di nulla, l’ho solo comprata una volta perché avevo ansia.
Lo dice con un soffio di voce, così piano che le riesce difficile sentirsi da sola.
- Capito? Aveva ansia. Vive in una casa bellissima dove non le manca niente, e ha ansia. È prima nel suo corso, ottime possibilità future, una borsa di studio, un fidanzato bellissimo e ha ansia. Cristo, Chrissy, ma sei completamente imbecille? Cosa pensi che ti manchi di preciso?
Una madre, tanto per cominciare. Una che capisca che proprio tutte quelle cose sono quella che la mettono in difficoltà, che la fanno sentire schiacciata come una sardina. Il fatto di star vivendo una vita non sua, le pressioni sociali, la fatica di mantenere l’asticella delle aspettative sempre su, alta, in cima.
L’amore. La dolcezza, il sostegno, le cure.
Gli occhi le bruciano così forte che non riesce a trattenere le lacrime, mentre dalla bocca gli esce un lamento sottile, simile al pigolio di un uccellino.
È arrabbiata, terrorizzata, vorrebbe fuggire da lì ma non può.
- Avanti, rispondi, cretina.
- Non sono una cretina.
- No, dici? A me non sembra. Perdi il tuo tempo a disegnare, hai una busta di chissà che schifezza che, ci scommetto, ti ha dato il nipote di Wayne. È con lui che te ne sei andata oggi?
- Lascia stare Eddie.
Il pensiero che lei possa, in qualche modo, fare del male anche a lui la sveglia all’improvviso. La scuote, mandandola in uno stato di protezione che risveglia un angolo impigrito del suo cervello.
- Eddie. Sai che non appena avrò finito con te andrò a denunciarlo, vero? Ha venduto droga a mia figlia minorenne.
- Gliel’ho chiesta io, cazzo! Gliel’ho chiesta io perché non ti sopporto più. Non sopporto più te, la tua casa, le tue stupide regole, le tue aspettative, il modo in cui ci tratti tutti. Io, Michael, papà.
Stavolta non si limita a pensarlo. Se ne rende conto solo dopo averlo detto. Non sente più il proprio corpo tremare di paura, troppo agitata da altro. Lo sente muoversi, con un controllo che non le appartiene, per lanciarsi contro sua madre. Alza le braccia per darle uno spintone, ma Eva è più rapida e le rifila uno schiaffo forte con la mano sinistra, quella che ha piena di anelli.
Il contraccolpo è talmente forte che Chrissy cade sul pavimento mentre suo padre, in contemporanea, si alza.
- Eva, basta così. Non è questo il modo di chiarire con lei.
- Lo decido io, qual è il modo di chiarire.
- Non dentro casa mia.
- Pensi davvero che questa sia casa tua? O è la casa che ci ha comprato mio padre, per assicurarsi che avessimo tutto, mentre i tuoi a malapena sono riusciti a regalarci un servizio scadente di tazze per il matrimonio? Da dov’è nata la nostra attività, da te o da me?
Il signor Cunningham stringe gli occhi, prendendola per un braccio.
- Stavolta no – le dice, strattonandola. Ma Eva, fiera come le appartiene essere, rimane immobile e crudele.
Chrissy osserva la scena raggelata, vedendo crollare pezzo per pezzo tutto quello in cui credeva. I suoi rispettabili genitori alto borghesi non solo non si amano, ma sono vittima l’uno dell’altra, sono vittima e carnefice, fossilizzati nei loro ruoli. Forse è questo che fa il matrimonio alle persone, pensa.
- Papà…
A quel punto, inorridita, gira la testa verso la porta.
Michael, in piedi, li guarda.
È solo un bambino.
Non va neanche ancora al liceo, è un corpo lungo intrappolato in un pigiama piccolo, coi capelli tagliati a scodella e l’aria smarrita.
Il signor Cunningham lascia il braccio della moglie, forse intuendo quanto doloroso possa essere, per un ragazzino, vedere i genitori in procinto di picchiarsi mentre la sorella è ancora accucciata sul pavimento. Un tableaux vivant del orrore, senza soggetti sacri, ma solo mostri.
Guarda Chrissy, poi il figlio.
E Chrissy lo capisce al volo, che non potrà proteggerli entrambi. Gli fa un cenno di muto consenso, lasciando che lui prenda Michael e lo porti via, abbandonandola nella morsa del giaguaro che ora, soddisfatta, sfila la cintura dalla gonna a vita alta.
 
*
 
Quando Ruth viene in camera sua, in punta di piedi, Chrissy è sdraiata su un fianco.
Sua madre l’ha colpita ovunque: sulla schiena, sulle braccia, sulle cosce. È un unico vestito di lividi – le ha lasciato intonso solo il viso, definendolo il suo unico lasciapassare valido per il mondo.
- Chrissy – la chiama la domestica. Ed è sicura di sentire nella sua voce una nota di rammarico, di tristezza profonda. Si siede sul letto a fianco a lei ed esita un po’, prima di farle una carezza che Chrissy nemmeno sente.
È così straordinariamente piena di dolore che non c’è spazio per altro. Addirittura, il primissimo tocco la fa scattare di terrore.
- Mi dispiace tanto.
Sente le sue mani dolcissime, piene di tenerezza, passarle un panno caldo e bagnato sulla schiena. Le ferite bruciano e le fanno venire da piangere di nuovo.
- Ruth – la chiama piano – Voglio andare via.
- Perché non chiedi a Kelly se può ospitarti, per un po’? Sono sicura che sua madre non farà storie.
- Non voglio andare da Kelly.
Vuole andare da Eddie. È l’unico posto al mondo dove si senta davvero al sicuro, l’unica persona in grado di sollevarla, alleggerirla dal peso della propria vita.
Ripassa il pomeriggio mentalmente, prima che succedesse tutto. La sua stanza, la sua chitarra, il giradischi, il suo corpo sdraiato vicino a lei, il loro bacio. Quello lo ripassa in loop, all’infinito, come fosse un balsamo calmante. È l’unica cosa che le permette di respirare, adesso.
Ma sa che se ora si avvicina a lui, rischia di metterlo nei guai.
Sua madre è stata chiara: se lo vedrà di nuovo, andrà a denunciarlo. Gli toglierà tutti i suoi sogni, la possibilità di andare via, di suonare nei locali di New York, di essere felice.
Ed è solo colpa sua.
Nient’altro che colpa sua.
Affonda la faccia nel cuscino, senza sapere bene che fare.
Ruth, che continua a medicarla, ha cominciato a cantare una canzoncina in italiano -  suo padre è emigrato dalla Sicilia dopo la seconda guerra mondiale.
L’ha insegnata anche a lei, quand’era più piccola, spiegandole il significato.
E ora la capisce meglio, ne coglie una sfumatura più oscura, mentre con lei canta:
c’era una casa molto carina senza soffitta senza cucina, non si poteva entrare dentro perché non c’era il pavimento, non si poteva fare pipì perché non c’era il vasino lì, ma era bella, bella davvero, in via dei matti numero zero.
   
 
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