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Autore: Johnee    05/10/2022    1 recensioni
Una storia parallela alla trama principale di Inquisition che concerne: due nevrotici, i traumi™, gufi appollaiati su trespoli impossibili e la ricerca della reciprocità.
Genere: Malinconico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Cullen, Hawke, Inquisitore
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Tematiche delicate
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CW: Episodio psicotico acuto

 

19 - Reale

 

Non era iniziata come la migliore delle giornate, per Cullen.
Indossava un cerchio alla testa da prima dell'alba e i preparativi per il ballo al Palazzo d'Inverno l'avevano impegnato per gran parte della mattinata, accrescendo il suo malessere. Arrivò per ultimo in sede di consiglio, con Rylen che gli leggeva un rapporto appena giunto, riga per riga.
-Mi serve una soluzione immediata.- disse Lavellan, con lo sguardo fisso su Josephine. -Se tardiamo anche solo di un minuto, potremmo perderli.-
-Possiamo intervenire.- intervenne Cullen, recuperando il rapporto dalle mani del suo secondo in comando. -Abbiamo un gruppo nei paraggi che sta seguendo un'avanguardia dei Templari Rossi. Potremmo dispiegarli in difesa dei nostri. Lo sconsiglio, ma è un'opzione.-
-Elabora.-
-Ho motivo di sospettare che quei Templari stessero catturando dei civili per trasferirli in una delle loro miniere di lyrium rosso. Se facessimo deviare il gruppo, perderemmo le loro tracce. In più, rischieremmo le vite dei civili già catturati e di molti altri.-
-Ma riusciremmo a preservare le nostre truppe e a trarre in salvo sorella Paulette.- disse Josephine. -Sono pur sempre i nostri soldati. Non possiamo abbandonarli.-
-Sono preparati al sacrificio. Capirebbero che non abbiamo avuto altra scelta.- ribadì Cullen, rauco. Si schiarì la voce, poi recuperò un boccale dal tavolo e bevve un sorso d'acqua. -Inoltre, se inviassimo dei soldati da Skyhold, arriverebbero troppo tardi.- si passò una mano sulla gola, totalmente riarsa.
-Una scelta difficile.-
Cullen sollevò lo sguardo su Leliana, anche se era certo che non fosse stata lei a parlare. Le rivolse un cenno d'assenso, attirandosi un'occhiata perplessa in tutta risposta.
-La soluzione sarebbe...- iniziò Lavellan, fornendo al gruppo una replica che arrivò distorta e lontana alle orecchie di Cullen, sovrastata da un fischio basso che gli regalò un brivido lungo la schiena. Non si trattava di un rumore limpido, era piuttosto una vibrazione sonora, come se qualcuno stesse percuotendo la pancia di un liuto rotto con un accordatore.
Rivolse l'attenzione a Lavellan, che lo fissava con insistenza. Attorno a lei, l'aria vibrava del calore profuso dal suo corpo; a dire il vero, ogni elemento della stanza era circondato da un'aura di calore, come se fossero stati lungamente esposti alla luce di un sole estivo.
-Ser Cullen?- si sentì chiamare, con rabbia, dal suo secondo. -Comandante?-
Eppure Cullen, ancora una volta, avrebbe giurato che nessuno avesse aperto bocca. Difatti, Rylen era impegnato a scrivere una nota, a qualche metro di distanza dalla discussione.
-Comandante!-
Cullen sobbalzò, riconoscendo la voce dell'Inquisitrice. -Posso pensarci subito.- disse, intuendo di dover essere lui a procedere. -Continuiamo a perseguire i Templari?-
-Mi sembra ovvio che abbia compiuto quella scelta.- gli rispose Josephine, perpetrando quella stranezza telepatica che il gruppo pareva condividere. -La priorità sono i civili. È la soluzione logica.-
-Lo so.-
Si ritrovò assediato da tre sguardi confusi. -Come hai detto?- gli domandò Josephine.
-Ti davo ragione. È la soluzione logica.- rispose Cullen, recuperando di nuovo il boccale per bere. Faceva un caldo immane e la sua gola non riusciva a trovare sollievo. Era come se fosse rivestita da un tessuto ruvido e idrorepellente.
Josephine inarcò un sopracciglio. -Va tutto bene?-
Cullen si pulì la bocca con il dorso della mano, osservandola con sospetto. Eppure, era certo di averla sentita parlare.
-Forse dovresti controllarti le orecchie.-
-Le mie…?- Cullen alzò di scatto la testa, sgranando lo sguardo verso la parte opposta del tavolo. Una poltiglia incandescente si stava arrampicando su di esso. Mentre si muoveva, sezioni di carne bruciata viaggiavano lungo tutto quel corpo, che grondava materia mielosa sul tavolo e sul pavimento.
-Ah...- Cullen distolse immediatamente lo sguardo, sfregandosi le mani in un unico gesto nervoso. -Sì, va tutto bene. Stavo riflettendo a voce alta.- si scusò, cercando di ignorare il demone che si disperdeva sul tavolo come una colata d'olio bollente, ferendo le mani di Leliana e divorandole fino all'osso, producendo un attrito effervescente. -Invierò subito un corvo.- disse, tastando il tavolo con mani tremanti per recuperare un foglio di pergamena. La poltiglia glielo impedì, avvolgendo tra le sue spire incandescenti carta e calamaio, facendogli ritrarre immediatamente le dita, ustionate.
-Rylen, prendi il suo posto.-
Cullen alzò uno sguardo sconvolto su Lavellan, che lo guardava con un'espressione intrisa di rabbia. Il demone si stava arrampicando sulle sue braccia, sciogliendo i suoi vestiti e la sua carne, bruciandole i capelli. -Esci, vai a farti una passeggiata e dormi un po'. Non mi servi in questo stato.- disse lei, con la voce distorta dal calore.
-Sono in grado di fare il mio lavoro. È solo un mal di testa.- si difese Cullen, sforzandosi di concentrarsi. Sapeva che niente di quello che gli stavano presentando i suoi sensi era reale, doveva solo liberare la testa.
-A quanto pare non è solo un mal di testa.- rispose il demone, corrodendo il viso di Lavellan con una carezza.
Rylen gli appoggiò una mano sul braccio, spingendolo appena nel prendere il suo posto al tavolo.
-Non è reale.- mormorò Cullen, posandosi le dita sulle tempie nel chiudere gli occhi. -Non è...-
-Comandante?-

Si svegliò di soprassalto, nel suo ufficio.
Era seduto alla sua scrivania, con la parte superiore del corpo protesa verso la mappa, il capo racchiuso tra i suoi avambracci e le dita allacciate tra loro, in preghiera.
China su di lui c'era Cassandra, che lo osservava con una vena di preoccupazione nel suo sguardo severo.
-I soldati... Templari rossi.- bofonchiò Cullen, sentendo gli eventi del consiglio di guerra scuotergli la memoria e rievocare il senso d'urgenza che aveva provato nell'esporre la sua idea.
Cassandra aggrottò la fronte. -Non ci pensare. Hai appena avuto una crisi.- disse, passandogli una mano sulla schiena. -Cos'hai visto?-
Cullen si passò una mano sul capo, poi raccolse un bicchiere d'acqua dal tavolo, vuotandolo con grandi sorsate. -Un demone dell'Ira.- rispose, con una smorfia di sollievo per essere riuscito a placare, in parte, il senso di arsura che tormentava la sua gola. -Come sono arrivato qui?-
-Da solo.- replicò Cassandra, drizzando la schiena per poi raggiungere il capo opposto della scrivania. -Leliana mi ha fatta convocare immediatamente. L'hai fatta preoccupare.-
Cullen deglutì, serrando la mascella. Si prese qualche istante per riprendersi, poi rivolse alla sua interlocutrice un'occhiata desolata. -Non era mia intenzione.- disse.
-Va tutto bene, Comandante. È il lyrium. Sapevamo a cosa saresti andato incontro quando hai deciso di smettere di assumerlo.-
-Pensavo che le allucinazioni sarebbero cessate, dopo qualche mese.-
-Siamo in un terreno sconosciuto, Cullen. I pochi che ci hanno provato, prima di te, o sono morti, o sono impazziti. Possiamo ritenerci fortunati che la tua croce si limiti ai mal di testa e alle visioni sporadiche.-
Cullen sospirò. -Fortunati.- ripeté, con scetticismo. -Ho scritto più biglietti di scusa nell'ultimo anno che rapporti militari in vent'anni di servizio.-
Cassandra gli rivolse un sorriso rassicurante. -Esagerato! Non ne ho contati così tanti.- fece. -Te la senti di discutere con me di ciò che stavate discutendo in mia assenza? Sono stata trattenuta in cortile da Ser Denam.-
Cullen fece per rispondere, ma si vide costretto a rinunciare. Osservò Cassandra con attenzione, poi ritrasse appena la testa, dubbioso. -Il Capitano Denam?-
Cassandra inarcò un sopracciglio. -Qualche problema?-
-Il Capitano Denam che hai sconfitto durante l'assedio di Haven assieme all'Inquisitrice?- precisò Cullen, sentendo lo stomaco annodarsi in risposta al sospetto.
Cassandra prese a guardarlo con un accenno di preoccupazione. Fece un passo in avanti, appoggiando una mano sulla scrivania. -La situazione è più grave del previsto.- ammise. -Cullen, sono io l'Inquisitrice.-
Il cuore di Cullen prese a battergli furiosamente nel petto, mentre il suo sguardo andava via via sgranandosi. -Non è possibile.- sussurrò, chinando il capo verso la mappa distesa sul tavolo. Solo in quel momento realizzò che non era quella che usava consultare religiosamente durante le riunioni con i suoi sottoposti. Era una cartina del Ferelden e Skyhold era inesistente. Persino le sue note, a margine, sembravano scritte da una mano diversa.
-Credi davvero che ci sia stato un assedio alla sede del Conclave?- gli domandò Cassandra. -La Divina Justinia ha disposto misure di sicurezza invalicabili. L'unico tentativo di sabotaggio che abbiamo riscontrato è stato sventato immediatamente.-
-Cos'è, uno scherzo?- sbottò Cullen, alzandosi di scatto.
-No, non è reale.- rispose Cassandra, senza aprire bocca.
-Mi sembra ovvio che non lo sia. Se non c'è stata nessuna esplosione, la Divina è sopravvissuta...- Cullen si dovette fermare, stordito da quell'idea. Le gambe gli cedettero e una forza sconosciuta lo costrinse a tornare a sedere, ammutolendolo di conseguenza.
Percepì nuovamente un calore incredibile, ma stavolta proveniva da se stesso. Sentiva ogni centimetro del suo corpo bruciare e vedeva i contorni delle sue dita sfocati, dato che era accecato dalle lacrime e dal sudore che scendeva copioso dalla sua fronte.
-Non. È. Reale.- scandì la voce di quella che non era Cassandra.
Cullen strinse i denti e chiuse gli occhi, ripetendosi quelle parole ancora e ancora nella sua testa, finché il calore scomparve, lasciandolo a fissare il soffitto dei suoi alloggi a Skyhold, inebetito dallo sforzo.
-Comandante?-

Cullen scattò a sedere, guardandosi intorno nervosamente. Era effettivamente salito di un piano senza rendersene conto e, altrettanto inaspettatamente, si ritrovava disteso a letto. In più, china su di lui c'era Lavellan, che lo osservava con aria curiosa.
Nel vederla, un gran senso di sollievo pervase il suo corpo, permettendogli di rilassarsi. Si mise immediatamente sulle ginocchia, prese il suo viso tra le mani e la baciò.
Ogni dubbio che aveva sulla validità della realtà che lo circondava si dissipò grazie alla carica emotiva sprigionata da quel bacio. Riconosceva il sapore di quelle labbra piene e seccate dal sole, sentiva il profumo di fiori e rabarbaro profuso dai suoi capelli appena lavati, percepiva la punta del suo naso, sempre fredda, che gli carezzava le guance mentre ricambiava il suo bacio con altrettanta passione. Lei era reale, tanto reale da farlo sentire finalmente al sicuro.
La prese tra le braccia e la trascinò sul letto, continuando a baciarla come mai aveva fatto, passando entrambe le mani sui suoi capelli e sul suo corpo, attirandola a sé perché anche solo l'idea di separarsi da lei gli faceva temere di ritornare nel precario stato di delirio che l'aveva sconvolto fino a quel momento.
-Pensavo che non sarebbe mai successo.- mormorò lei, tra le sue labbra, inarcando la schiena per permettergli di sfilarle la giacca.
Cullen sbuffò una risata imbarazzata. -Prima o poi doveva succedere, no?- disse, scostandosi appena per guardarla negli occhi.
Lavellan aggrottò la fronte, rivolgendogli un'occhiata divertita. -Conoscendoti, mi sarei aspettata che prima ti saresti degnato di fare quattro chiacchiere con Hawke.- replicò.
Cullen si fermò di colpo. -Cosa c'entra Hawke?- domandò, ridendo nervosamente.
Lavellan gli appoggiò una mano sul petto, scivolando sul materasso per acquisire un po' di distanza. Lo guardò con aria confusa, inclinando la testa di lato.
Non più accecato dall'istinto, Cullen si rese conto che la persona che aveva davanti non era la stessa che aveva visto poche ore prima, in sede di consiglio. Era Lavellan, quello era indubbio, ma aveva uno sguardo diverso e portava i capelli così come li teneva durante i mesi trascorsi ad Haven, prima di transigere che la sua diffidenza nei confronti degli Umani cessasse, abbracciando pienamente il suo ruolo di Araldo di Andraste.
-Non è reale.- mormorò, sconfitto dall'evidenza di ritrovarsi nell'ennesima illusione causata dal lyrium.
-Hawke è reale.- affermò Lavellan, appoggiandogli una mano sul braccio.
-Aiutami a pensare.- disse Cullen, imponendo una distanza maggiore per ricomporsi. -Com'è possibile che stia durando così a lungo? Non è una semplice allucinazione, questa è tortura.- gemette.
Lavellan, che si stava infilando nuovamente la giacca, gli rivolse un'occhiata perplessa. -Stai avendo delle allucinazioni?-
-L'astinenza da lyrium può portare anche a questo. Di solito sono molto intense nei primi mesi, ma dopo diventano meno frequenti e non sono altrettanto debilitanti.-
-Astinenza?- Lavellan sbuffò una risata, ma quando vide che la persona che aveva davanti non stava scherzando, gli indicò con un cenno il comodino accanto al letto. Con orrore, Cullen notò un mucchio di fiale di lyrium vuote, sparse lungo tutta la superficie del mobile.
Guardò subito se stesso, riconoscendo la tesa definizione dei muscoli che aveva prima di smettere con l'assunzione. Quella regressione a uno stato fisico malsano lo destabilizzò maggiormente.
-Non prendo lyrium da...- ci pensò attentamente. Quanto tempo era passato dall'ultima dose? Un anno? Due mesi? Da quanto tempo andava avanti quella fantasia?
Ogni muscolo del suo corpo acquisì una pesantezza immane, facendo sì che si curvasse in avanti.
-Non è reale.- mormorò, di nuovo.
-D'accordo, adesso mi stai spaventando.- disse Lavellan, alzandosi immediatamente dal letto. Allungò una mano verso di lui, con insistenza. -Vieni con me.-
Cullen sapeva che quella era una pessima idea, che doveva continuare a rifiutare quella realtà così come aveva fatto con le altre. Eppure, la sua mente era stanca di combattere, voleva solo delle risposte e Lavellan ne era una fonte inesauribile. Allora, dopo un tempo indefinibile, afferrò quella mano e subito si ritrovò catapultato nel giardino di Skyhold, uno splendido chiostro dedicato ad Andraste.
Si disse che anche quello era un dettaglio inesatto, ma preferì ignorare qualsiasi segnale d'allarme per seguire Lavellan. Era un'azione stupida e lui sapeva che non era la strada corretta da percorrere, ma voleva farlo. Il suo istinto gli diceva che facendo in quel modo sarebbe stato al sicuro.
Raggiunsero una panchina in pietra, circondata da fiori rossi e lei lo fece sedere, rassicurandolo che sarebbe tornata presto.
Cullen si fidò delle sue parole, immediatamente. Il giardino era sereno e lui aveva davvero bisogno di riposare. Chiuse gli occhi, inspirando profondamente il delizioso profumo di rose che aleggiava nell'aria fresca primaverile. Era un ricordo di casa, precisamente di un roseto nascosto a Honnleath, che sua sorella osservava tra le fessure di un cancello di pietra, sognando che un giorno ne avrebbe creato uno per sé e per la loro madre.
Sorrise al ricordo di Mia che si arrampicava su quel cancello e rovinava regolarmente a terra con una manciata di petali stretti nel pugno e le mani tempestate di tagli e spine. Gli tornò alla mente che, cavallerescamente, aveva provato lui stesso a cogliere una rosa per farla contenta, ma si era slogato un braccio nel processo e aveva dovuto rinunciare, dopo una predica eterna del padre.
-Non è reale.-
Cullen aprì gli occhi, mentre il sorriso scivolava lentamente via dal suo viso. -No, quello è reale.- affermò, rivolto alla persona che lo stava osservando. Era una donna bellissima, con i capelli neri, gli occhi grandi e chiari, alta e dalle proporzioni perfette. Lo fissava con aria preoccupata, tenendo le mani appoggiate sui fianchi.
-Lavellan mi ha detto che non sei in te, oggi.- gli disse.
Lui la identificò istantaneamente, ma non riuscì a riconoscere cosa ci fosse di sbagliato in lei. La sua mente infatti gli riferiva che la conosceva da anni e lei, di riflesso, conosceva lui nel profondo. Era un'amicizia talmente perfetta da non sembrare così impossibile.
-Scusa, Hawke.- si ritrovò a dire. -Non era mia intenzione preoccuparti.-
Hawke si sedette al suo fianco, raggiungendo la sua mano per stringerla tra le proprie. -Cos'è questa storia delle allucinazioni?- gli domandò, in un sussurro. -Sono ritornati gli incubi?-
Cullen scosse la testa. -No, queste sono vivide, sembrano reali.- spiegò. -In qualche modo sono reali. Come me e te in questo momento.-
Hawke si morse un labbro, spostando lo sguardo color ametista altrove. -Pensi che si tratti di un Maleficar?- chiese, assumendo un'espressione sorpresa.
Magia del Sangue. Aveva perfettamente senso. -Mi ha fatto credere che avessi smesso di assumere il lyrium. Per un istante, mi ha fatto dimenticare pure... noi.-
-Se è riuscito a debellare le tue difese, allora dev'essere un Mago molto potente. Dobbiamo tenere gli occhi aperti.- affermò Hawke.
-Non è reale.-
Cullen scacciò via quelle parole di intrusione così come avrebbe scacciato una mosca. Il viso di Hawke era teso e lui doveva fare qualcosa per rimediare. Avrebbe fatto tutto per lei. -Dobbiamo indagare approfonditamente, senza che nessuno si insospettisca.- le suggerì, allungandosi nella sua direzione.
Hawke sollevò uno sguardo attento su di lui, passandolo sul suo viso con perizia. -Hai già un'idea?- gli domandò, avvicinandosi per poter recepire meglio le sue parole.
Cullen annuì, con decisione. -Come ai vecchi tempi.- disse, rivolgendole un sorriso nervoso.
Hawke diede una risata profonda, chinando appena il capo. -I vecchi tempi che mi ricordo sono...-
-Toglietemi le mani di dosso, razza di ingrati!- berciò Dorian, mentre veniva trascinato in giudizio.
I Templari che scortavano Dorian lo spinsero bruscamente, forzandolo a mettersi in ginocchio di fronte all'Inquisitrice.
Cullen era alla destra di quest'ultima, a testa alta e teneva le mani aggrappate all'impugnatura della spada, pronto all'azione, se necessario.
Le navate della sala grande di Skyhold erano guarite dalle impalcature e gremite di persone dall'identità appannata; macchie di pioggia su un vetro che riflettevano l'arcobaleno.
Tutto sembrava corretto, dalla presenza di Hawke al posto che le spettava, a quella di Cassandra e Leliana, che visionavano la situazione alle spalle del trono.
Così doveva essere, senza nessun Araldo di Andraste, la cui utilità in un'organizzazione nata dalla santa Chiesa si limitava alla chiusura degli squarci.
-Non è reale.-
Era una Dalish. Pagana. Eretica. Senza una cultura e una religione. Perché se ne preoccupava?
Cullen si passò una mano sulla gola, arida più delle distese desertiche dell'Orlais. Si disse che non era il momento di pensare a lei, mentre Dorian tentava la fuga per l'ennesima volta e, per l'ennesima volta, Ser Carrol dissolveva le sue magie prontamente, costringendolo a terra.
-Dorian Pavus di Minrathous, sei stato citato in giudizio con l'accusa di tradimento e collusione con i Venatori di Corypheus. Inoltre, sei colpevole di aver usato la Magia del Sangue per controllare le menti dei consiglieri e trasmettere informazioni classificate al tuo padrone.- pronunciò Cullen, muovendo un passo verso di lui.
-Con quali prove?- domandò Dorian, sprezzante, rimettendosi in piedi per squadrare Cullen e Hawke con disprezzo. -Risparmia la voce e sbattimi direttamente in prigione con gli altri Maghi, Comandante. È questo quello che vuoi, no?-
Hawke si alzò in piedi, mostrando al pubblico presente un grimorio nero, rovinato dal tempo. -Le prove della sua colpevolezza giacciono tra queste pagine oscene.- annunciò. -I Templari l'hanno trovato nel suo studio, stamattina.-
-È un libro sulla Taumaturgia!- esclamò Dorian, incredulo. -Se fossi realmente la grande Maga che dici di essere, lo avresti capito solo sfogliandolo.-
-A meno che non sia un pretesto per toglierti di mezzo.- disse Cassandra, attirando l'attenzione di Cullen. Lei, però, sembrava fin troppo concentrata sul giudizio per aver aperto bocca.
-Non insultare la mia intelligenza, Maleficar! La Taumaturgia presente in questo libro viene spiegata come chiave per trattare gli schiavi e i sacrifici in seguito a perversi rituali di magia oscura che coinvolgono demoni e spiriti maligni.- proseguì Hawke, sollevando il tomo sopra di sé. -Un Mago meno esperto non se ne sarebbe accorto, ma io ho visto decine di questi libri a Kirkwall. Provengono dal Tevinter e sono tutto fuorché innocui.-
Dorian le rivolse un'occhiata di profondo disgusto. -Questo non è un processo, è una farsa. Potrei dire qualsiasi cosa e voi mi condannereste comunque.-
-Tu sei colpevole.- affermò Cullen, con decisione. -Non saresti qui se l'Inquisitrice non ne fosse certa!-
-L'unica cosa di cui sono colpevole è di avervi dato fiducia. Siete solo dei fondamentalisti, vigliacchi per giunta!- tornò alla carica Dorian. -Pensavo che l'Inquisizione fosse l'emblema del cambiamento, ma a quanto pare mi sbagliavo in tronco.-
Hawke appoggiò il libro nelle mani di Leliana, tornando a sedere compostamente sul suo trono. Guardò Dorian dritto negli occhi, poi aprì una mano verso l'uscita. -Che venga sottoposto al Rito della Calma.-
Lo sguardo di Dorian si spalancò, mentre lui scuoteva la testa nervosamente. -No, non potete farlo.- gridò. Ser Carrol lo afferrò per un braccio, strattonandolo a sé. Allora, Dorian si rivolse a Cullen, con il viso contorto da una smorfia rabbiosa. -Fermala, dannazione! Mi devi un favore, Comandante. Sii di parola!-
-Non è reale.-
Cullen si guardò intorno, con aria seccata. -Lo sta facendo anche adesso.- mormorò, stringendo saldamente l'impugnatura della spada. -Insinua il dubbio nella mia testa.-
-È il lyrium.- mormorò una voce.
-Skyhold è invasa dai Maleficarum. Dobbiamo estirpare la minaccia prima che questo cancro si diffonda. Prima che la uccidano. Non vuoi che succeda, vero?- sibilò un'altra voce.
Cullen sentì una fitta al cuore, intravedendo Lavellan tra il pubblico. Osservava la scena con occhi velati di rabbia, mentre Cassandra stessa prendeva Dorian per un braccio e lo conduceva all'esterno.
La mente di Cullen gli ribadì che tutto sembrava corretto, legittimando quell'ultima scena. Ciò che gli fece sovvenire il dubbio però fu la totale assenza di contentezza nello sguardo della Cercatrice.
-Loro non capiscono.-
Cullen ammiccò, in risposta a una folata di vento gelido proveniente dalle montagne, al di là delle mura di Skyhold. Lì si ritrovava ad accompagnare l'Inquisitrice in una passeggiata di ricognizione lungo i camminamenti, cosa che avveniva regolarmente da che avevano preso possesso della fortezza.
-Non capiscono che lo faccio per proteggerli. Pensano che lo faccia perché provo gioia nel vederli soffrire.- disse Hawke, stringendosi nelle braccia perché pativa il freddo. La sua espressione era tinta di desolazione. -Mi sento molto sola.- aggiunse, in un sussurro.
Cullen si sfilò il mantello e lo posò con gentilezza sulle sue spalle. -Lo capisco fin troppo bene, Marian.- ammise, pacatamente.
Hawke gli rivolse un sorriso triste. -Sei l'unico di cui mi posso fidare. L'unico in grado di comprendere.- gli rispose, carezzando il suo viso con il dorso delle dita. -L'ho sempre saputo che potevo contare sul tuo aiuto.-
Cullen ammiccò, mentre la sua mente gli proponeva scenari offuscati del passato che avevano in comune, da che si erano incontrati a Kirkwall. O era più in là nel passato, a Kinloch?
No, il ricordo risaliva a un dipinto impressionista di distruzione, sigillato da un accordo di fiducia perpetua e bagnato dal sangue dell'eretico Anders. Sullo sfondo, esisteva un lieve bacio d'addio di cui Cullen non ricordava il sapore, o l'intensità, che lui e Hawke si erano scambiati poco prima che lui venisse convocato al Conclave, da Cassandra.
-Non è reale.-
-Come può non esserlo?- mormorò Cullen. -I profumi e i sapori non permangono. Il lyrium rende certi ricordi inaffidabili. Ciò che resta sono solo macchie di colore ed echi lontani.-
Hawke gli donò un sorriso talmente perfetto da stordirlo. Un sorriso che profumava di caramelle al miele e vino passito, dandogli l'illusione che baciare quelle labbra avrebbe placato ogni arsura.
-Non è reale! Dannazione, Culls!-
Cullen si distrasse un istante soltanto, socchiudendo gli occhi per cercare la fonte di quella voce, ma ci rinunciò subito, tornando a cercare le labbra di Hawke, alla ricerca di conforto.
-Non è reale.- mormorò lui stesso, sentendo qualcosa dentro di sé respingere quello scenario di zucchero, mentre affondava le dita nei fianchi morbidi di Hawke, ricambiando i suoi baci.
-Credi di essere migliore di così?- gli domandò lei, stringendo i suoi capelli tra le dita. Era una presa decisa, calcolata apposta per dargli piacere senza farlo soffrire. -Il tuo desiderio è reale, la tua paura è reale, la tua sete è reale. Io sono reale.- mormorò al suo orecchio. -L'Araldo ti vorrebbe debole, assuefatto a lei e al suo senso di giustizia. Non le interessa capire, lei vuole solo assorbire la tua forza per usarla per la sua gente.-
-Non è reale.-
-Se tornassi a usarlo, lei non avrebbe più potere su di te. Ti farebbe da scudo con quelli che tentavano di assoggettare la tua mente. Ti renderebbe potente. Potente come lei non è mai stata.-
Cullen ringhiò un'imprecazione, cercando di scrollarsi di dosso quella finzione a cui si era stupidamente aggrappato per vanità.
-Le tue cazzate non devono essere legittimate.- sbottò una voce maschile, attraverso le labbra di Hawke, che stavano pronunciando tutt'altro.
-Andraste, guidami.- gemette Cullen, a denti stretti, cercando di sfuggire allo sguardo nero e viola che lo inchiodava in quell'allucinazione, senza difese. -Andraste, guidami.- ripeté, cercando di resistere alla tentazione di restare.
Lei, dal canto suo, emise una risata talmente limpida e scevra di malizia che rese arduo ogni suo tentativo di fuga, incastrandolo nell'impotenza. La bugia cresceva, affondando le unghie e i denti sul suo corpo, strappando la sua carne con decisione e sottoponendolo a un dolore atroce, mai provato prima.
Se avesse continuato a esitare, Cullen sapeva che il suo corpo si sarebbe disintegrato, ma era esausto. Era stanco di non riuscire a distinguere ciò che era vero da ciò che era finzione, stanco di odiarsi per ricadere nei dettami di una dottrina che gli avevano imposto fin da bambino, dandogli una scusa per essere un uomo malvagio. Voleva solo smettere di opporsi, abbandonandosi a un'esistenza di deliri e di meritata sofferenza.
-Non. Adesso.-
Gli occhi di Hawke tornarono a prendere possesso del suo universo. Stavolta, però, erano gialli e astuti, macchiati dell'umanità impulsiva e decadente che caratterizzavano il vero Hawke, quello che Cullen aveva disprezzato a tal punto da invidiarlo.
-Culls, non adesso.- gli ripeté, afferrandogli il dorso del collo con fermezza, nell'appoggiare la fronte sulla sua. -Riprendi il controllo.-
-Andraste, guidami.- gemette Cullen, in lacrime, mentre la voce bassa e seccante di Hawke combatteva al suo posto contro la pigrizia annidiata nella sua anima. -Andraste...-
-Mantieni il controllo.-

Cullen si aggrappò con forza ai bordi del comodino della sua stanza, rigettando nel secchio ogni fantasia assieme a tutto ciò che il suo stomaco non era riuscito a digerire durante una nottata di terrori.
Sollevò appena il capo, cercando di regolarizzare il respiro per contrastare la debolezza che vessava i suoi muscoli, costringendolo a tenderli fin tanto da arrivare a farlo tremare.
Esalò un gemito di stanchezza dietro l'altro, piangendo copiosamente mentre manteneva una presa salda sul legno del comodino, dato che piantare le ginocchia e i piedi a terra non sembrava essere abbastanza per sorreggerlo.
Era stremato, mentalmente e fisicamente, ma era finalmente libero.
-Va tutto bene, cimice?-
Cullen si schiarì la voce, passandosi una mano malferma sul viso per ricomporsi. -Sto bene, Mia.- rispose. Il suo timbro vocale non era diverso dallo stridio che compie la punta arrugginita di un chiodo quando scorre su una lastra di metallo.
-Non mi sembra proprio.- disse la sorella, raggiungendolo per pulirgli il viso con uno straccio umido, sbrigativamente. -Come va lo stomaco?- gli domandò, una volta terminata l'opera.
Cullen scorse uno sguardo stremato su di lei, riconoscendo nella nebbia la franchezza dei tratti somatici di suo padre e la devozione nello sguardo color nocciola di sua madre. -Sottosopra.- le rispose, sforzandosi di sorriderle.
-Se non fosse che è palese che tu stia male, direi che tu lo faccia apposta a farmi passare le mattine a pulire la tua stanza.- bofonchiò Mia, aiutandolo a sedersi sul bordo del letto, per assisterlo nel ricomporsi. Gli lavò il viso e i capelli, quindi appoggiò una pila di vestiti puliti sul comodino. Aspettò che si cambiasse, poi recuperò gli indumenti usati, ficcandoli senza troppe cerimonie sul fondo di un cesto di vimini. -Gli altri sono già partiti. Ci siamo solo noi due e i mocciosi in casa.- disse. -Ringraziami, eh! Sono riuscita a impedire a quell'orso di tuo fratello di divorare l'intera dispensa. Se fosse per lui, ci nutriremmo solo d'aria, mannaggia al Creatore!-
Cullen sorrise appena, mentre tentava in tutti i modi di infilarsi la giacca senza che i suoi muscoli soffrissero troppo. -Non è una novità.- chiosò. -Non preoccuparti, non ho poi così tanta fame.-
-Mangia il cavolo che ti pare e non rompere, cimice. L'importante è che ti riprenda in fretta, così puoi dare una mano in casa.-
Cullen prese un respiro profondo. -Ce la sto mettendo tutta, Mia.- disse, stancamente.
Lei gli si avvicinò, pizzicandogli una guancia tra l'indice e il medio. -Lo so.- lo rassicurò, passandogli ampie carezze sul capo, per riordinargli i capelli. -Ma l'immobilità non ti si addice.-
Cullen la osservò allontanarsi con un sorriso triste. Aspettò con pazienza che la nebbia che offuscava il suo sguardo si dissipasse, poi diede un'occhiata approfondita alla camera in cui si trovava, cercando di reprimere il senso di disagio che gli opprimeva il cuore.
Si trattava di un locale umile, caratterizzato dal crema e dal marrone, madido dei ricordi della sua infanzia e imbevuto del profumo dei fiori da campo, raccolti generosamente in molti vasi dipinti. Sulla cornice della porta, alla sua destra, c'erano diverse tacche che la risalivano verticalmente. Quelle lo riportarono davvero indietro nel tempo, all'epoca di infinite lotte inutili per prevalere sui suoi fratelli, che gli impedivano di imbrogliare e mettersi sulle punte dei piedi a suon di spintoni. Il sole la illuminava fiocamente dalla parete opposta, attraverso delle tende fatte a uncinetto e disperdeva il suo calore sulla schiena di Cullen, curva come mai lo era stata.
-Non è...- provò a dire, ma si impedì di continuare, perché l'arsura non gli dava tregua. Allora, si issò, aiutandosi con la seduta del letto. Una volta sicuro di riuscire a stare in piedi si mosse di qualche passo, caracollando per raggiungere la parete della porta.
Camminò a ridosso del muro, trascinando i piedi e rovinandosi la giacca per via dell'attrito con la granulosità dell'intonaco, quindi raggiunse la porta che, fortunatamente, gli era stata lasciata aperta.
Si lasciò guidare dal profumo fragrante di pane appena sfornato e di frutta bollita, percorrendo un breve corridoio fino ad arrivare a un tavolo di legno massiccio che fronteggiava una bella cucina, adatta per le esigenze di una famiglia numerosa.
Una bambina e un bambino, biondi, ricci e paffuti, giocavano a rincorrersi al di là della porta d'ingresso, tenuta bene aperta per far passare aria in casa. Le loro voci erano acute e le loro risa contagiose.
Mia, già indaffarata in cucina, rivolse al fratello minore un cenno, indicandogli che la sua colazione lo stava aspettando sul tavolo.
-È quello che ha costruito papà.- disse lui, sfiorando con i polpastrelli la superficie del mobile, solcata dalle cicatrici del legno, ma accuratamente laccata. Il profumo resinoso che emanava era inconfondibile. Gli ricordava la risata burbera di suo padre, quando lui andava a lamentarsi sulle sue ginocchia dell'irruenza dei suoi fratelli.
-Arriverà anche il tuo momento di crescere, Cullen.- disse la voce del genitore, un'eco profonda e rasposa. -Devi solo fidarti del tempo.-
I bambini, all'esterno, presero a cantare Il Mabari di Andraste allo stesso modo in cui la cantavano lui e i suoi fratelli, mentre Cullen prendeva posto di fronte a un piatto riempito con un mazzo di fette di pane ricoperte di marmellata rosso rubino.
Prese un sorso di tè alla rosa, chiudendo gli occhi per trattenere efficacemente nelle narici quel profumo delicato e stomachevole il più a lungo possibile, prima di dimenticarsene.
-Avrei dovuto risponderle che mi piacciono le rose.- mormorò, raccogliendo una fetta di pane tra le dita.
Mia si affacciò dalla cucina, asciugandosi le mani sporche con i bordi di un grembiule. -Come, scusa?- gli domandò, aprendo un sorriso confuso tra le labbra.
-Ti stavo chiedendo come procede con il roseto.- mentì Cullen, consegnando due fette ai bambini, che erano accorsi da lui a elemosinarle. La bambina gli rivolse un bel sorriso privo di metà incisivi, poi spinse il fratello a tornare a giocare.
-Non l'hai visto dalla camera?- gli domandò Mia, che nel frattempo si era messa a riorganizzare dei barattoli su un ripiano.
-No, ero troppo impegnato a guardare il fondo del secchio.- rispose lui, osservando i due bambini azzannare le fette di pane con aria divertita.
-Mi pare giusto.- commentò la sorella maggiore. -Stanno gemmando. Fra qualche settimana dovrebbero venire fuori i fiori.-
-Di che colore sono?-
Cullen non riuscì a sentire la risposta, a causa del latrato di un mastino mabari che si era appena affacciato alla porta.
-Quel dannato cane mi farà venire un infarto, uno di 'sti giorni!- si lamentò Mia, raccogliendo da terra i cocci di un barattolo che aveva rotto dallo spavento.
Cullen spostò la sedia e si sporse verso il mastino, che gli era corso incontro per ricevere attenzioni. Gli carezzò il muso con decisione, poi gli frizionò i fianchi, cercando allo stesso tempo di impedirgli di salire sul tavolo. -Bravo, Cane!- lo salutò, mentre l'animale gli faceva le feste, agitando il posteriore privo di coda per ribadire che lì, in quel momento, loro due erano migliori amici.
Poco dopo l'arrivo del cane, fu il turno del suo padrone di varcare la soglia di casa. Rivolse un'occhiata carica di rassegnazione a entrambi, poi si sfilò il bastone da mago per appoggiarlo sullo stipite della porta, usandolo come appendiabiti per il suo mantello. -Fedifrago di un cane, che fraternizza con il nemico.- commentò, appoggiando le mani sui fianchi.
Cullen gli rivolse un sorriso stanco. -Non è colpa mia se tratti un mastino da guerra come un comunissimo animale domestico, Hawke.- lo punzecchiò, senza smettere di riempire di coccole Cane, il quale dava zampate di pura goduria al pavimento tenendo le orecchie basse e la lingua penzoloni.
Hawke alzò gli occhi al cielo. -Lo tratto come un animale domestico perché è un animale domestico!- precisò, prendendo posto al tavolo, al fianco dei due. -Pulcioso maledetto!-
-Non dirgli cattiverie! Guarda che capisce benissimo.- lo rimproverò Cullen.
-Non lo stavo dicendo a lui, infatti.- disse Hawke, per poi indicare all'animale l'uscita. -Ci lasci soli un attimo, botolo? Tanto sei una sua proiezione mentale e non capisci un accidente di quello che sta succedendo.-
Cane drizzò le orecchie, ansimando rumorosamente nell'osservare il padrone con occhi curiosi. Quando Hawke tornò a indicargli la porta, decise che sarebbe stato più interessante andare incontro ai bambini, che lo chiamavano a gran voce.
Cullen sbuffò una risata, abbandonandosi a sedere. -Nemmeno quando sono io a immaginarti riesci a dimostrare un minimo di gentilezza nei miei riguardi.- disse. -A questo punto, sono certo di essere io il problema, non il lyrium.-
-Almeno stavolta non ho un paio di tette mediocri e la simpatia di una scoreggia sottovento.- replicò Hawke, rubando una fetta dal piatto. -Perché sei ancora qui, a proposito?- gli chiese, a bocca piena.
Cullen si voltò brevemente verso sua sorella. -Questa fantasia è facile da sgamare.- ammise. -Immagino che lo sia perché sono esausto e la mia mente sta facendo fatica a lavorare bene senza poter contare su cibo e acqua.- guardò Hawke dritto negli occhi. -E poi, ero curioso di vedere chi di voi tre avrei trovato.- aggiunse, con un mezzo sorriso.
Hawke si leccò le dita sporche di marmellata. -Sapevi che avresti trovato me, non dir cazzate.-
-A dirla tutta, volevo trovare te.- precisò Cullen, in difficoltà.
-Non temi che finisca per bullizzarti?-
-Anche quella sarebbe una fantasia facile da gestire, dato che l'ultima volta che sono stato male mi ha dimostrato nient'altro che empatia.-
-Effettivamente, ora come ora sei uno straccio.-
-Grazie.-
Si scambiarono un'occhiata d'intesa, poi Hawke gli schiaffeggiò amichevolmente il viso, lasciando sulla sua guancia un'impronta di marmellata. -Veniamo al punto, fustacchione. Come posso aiutarti, stavolta?-
Cullen ci rifletté attentamente, facendo ruotare la tazza di tè sulla superficie del tavolo con aria assorta. -Ho notato che c'è un denominatore comune, in queste allucinazioni. Appaiono come stanze finte, con un unico dettaglio vero che le rende credibili e, di solito, quel dettaglio risiede in uno di voi tre. Com'è possibile?-
-Perché la tua mente non è capace di presentare la realtà così com'è.- rispose tranquillamente Hawke. -È come trovare uno scenario di novità in una serie di libri che hai letto mille volte. Causa sorpresa nella tua testa perché le altre volte eri concentrato sulla narrazione, ma in realtà è sempre stato lì. Mia madre è morta a causa di un Mago del Sangue, come Amell, quindi hai sfruttato il mio odio nei confronti della situazione per creare un'immagine incoerente con la mia persona. O con la sua.- si strinse nelle spalle. -Cassandra sta ancora elaborando il suo lutto e tu le hai ribadito chiaramente che non sarebbe stata una guida degna per l'Inquisizione. La tua mente ti ha proposto uno scenario alternativo in cui avresti dovuto venire a patti con una realtà di quel genere. La cosa buffa è che hai preso subito le distanze da quella fantasia.-
-Perché la Divina è morta e Cassandra non sarebbe un Inquisitrice capace come Lavellan.- affermò Cullen, incrociando le braccia sul tavolo. -Lei almeno ha avuto le palle di sostituirmi quando ha visto che non ero in grado di fare il mio lavoro. Cassandra sta temporeggiando, seppure sia chiaro che la mia situazione stia peggiorando.-
Hawke recuperò un'altra fetta, bilanciandola con le dita per evitare che la marmellata cadesse a terra. -Perché sei così ansioso di farti licenziare, Culls?-
-Non lo sono.-
-Allora perché in ogni allucinazione fai regolarmente una cazzata, pur sapendo che ti costerebbe il posto? Sembra quasi che tu voglia che gli altri facciano il lavoro sporco per te. Se non te la senti di continuare, molla e basta, ma smetti di mettere il tuo destino nelle mani delle persone che ti vogliono bene, cosicché tu abbia la possibilità di colpevolizzarle in futuro.-
Cullen gli scoccò un'occhiataccia. -Non è assolutamente vero!- sbottò.
Hawke si soffermò a fissarlo, masticando il boccone lentamente. -Lo sai che io non sono realmente io, ma un'allucinazione prodotta dalla tua testa, no?- disse, dopo aver deglutito. -Sei tu a pensarlo, io gli sto solo dando voce.-
-Quindi tu e le ragazze... siete la mia coscienza?-
-Probabilmente, sì.-
-Non dovreste guidarmi, anziché indurmi in tentazione?-
-Ragiona, Culls. Che fine hanno fatto le persone che più di tutte tenevi su un piedistallo?- gli suggerì Hawke. -Prendiamo Greagoir, che ha tentennato, lasciando te e i tuoi fratelli in cima alla torre a farvi divorare dai demoni e torturare dai Maleficarum. Poi c'è stata Meredith, che...- Hawke spalancò lo sguardo, sbuffando briciole nell'assumere un'espressione eloquente. -Parlare di lei sarebbe come aprire un barattolo di vermi e il fatto che sia tu a pensarlo per primo mi rassicura.-
Cullen alzò gli occhi al cielo. -Vieni al punto, per favore.-
-Hai semplicemente una paura fottuta di essere deluso di nuovo.- dichiarò Hawke. -L'idea stessa dell'Inquisizione ti spaventa. Pensi di non riuscire a resistere al richiamo del lyrium perché credi di essere inutile senza di esso. Poi, pensi che ti butteranno via non appena arriverà qualcuno di più competente e meno problematico. Proprio come hanno fatto con Seggrit e Threnn.-
-Io ci credo nell'Inquisizione, non me la prenderei per una cosa del genere.-
-Soffriresti come un cane abbandonato in una casa in fiamme, Culls. Non dir cazzate. Non hai mai avuto una fantasia felice da che vivo nella tua testa. Diamine, nemmeno questa allucinazione melensa è una fantasia felice! Sei un uomo che ha paura della solitudine, ma non sta facendo niente per evitarlo.-
-So che me lo meriterei.-
-No che non te lo meriti! Così come loro non si meritano che tu ceda.-
-Lo penso davvero, quindi.-
-Certo che pensi di meritarti di meglio, lei e Cassandra te lo stanno ripetendo da quando ti hanno conosciuto. E io te l'ho detto chiaro e tondo, offrendomi di aiutarti con la magia pur di farti stare bene.- Hawke batté una mano sul tavolo, facendo sobbalzare Mia, nell'altra stanza. -Devi tenere duro, Culls. E devi farlo per loro.-
Cullen si passò una mano sulla fronte, chiudendo gli occhi. -E come faccio, se non riesco nemmeno a uscire dalla mia testa.- gemette.
Hawke avvicinò la sedia, afferrandogli una spalla. -Fidati di quello che ti abbiamo sempre detto.-
-E se anche quello non fosse reale?-
Hawke si zittì per un istante, scorrendo lo sguardo sul suo viso. Cullen si umettò le labbra, spostando la testa altrove. -Allora?-
-Non posso risponderti, o non ne verrai mai fuori.- mormorò Hawke, docilmente. -E tu hai un dannato bisogno di uscirne. Ora più che mai.-
Cullen annuì. -Abbiamo bisogno di ricapitolare la situazione, prima di raggiungere gli altri.- disse, con decisione. -Io so che siete le tre persone che ammiro di più al mondo. So che Lavellan mi vuole al suo fianco, so che tu sei caotico quanto una nota piatta e che Cassandra mi farebbe il culo se osassi mollare. Ci siamo su questo?-
-No, non ci siamo. Io sono caotico, stupidamente caotico, ma sono la cosa più vicina alla stabilità mentale che hai in questo momento.- lo corresse Hawke, mantenendo la presa sulla sua spalla. -Io ho il pieno controllo della mia magia e tu lo sai benissimo, o mi avresti sbattuto nella Forca subito dopo il nostro primo incontro.-
-Puoi aiutarmi, allora?-
-Ce la metterò tutta, sperando di non dare fuoco a qualcosa di valore, come al solito.-
Cullen raggiunse la sua mano per stringerla con tutto il vigore che gli restava. Hawke gli sorrise, indicandogli il piatto ancora pieno a metà con un cenno del capo. -Goditi la colazione, tigre. Non sei ancora pronto per andartene.-
Cullen sbuffò una risata, scuotendo la testa con rassegnazione. -Non so se è peggio l'accuratezza con cui la mia mente ti ha riproposto a me, o il fatto che tu sia nella mia mente di per sé.-
-Non mi avevi forse suggerito di provare a conoscerti meglio?- lo punzecchiò Hawke, lasciando che addentasse un pezzo di pane con la marmellata con aria divertita. -Cos'è questa fantasia, a proposito? Nemmeno ti piace la marmellata, o il non-pane.-
Cullen masticò il boccone, coprendosi la bocca con il dorso della mano. -È l'unica cosa che lei riesce a mangiare quando il suo stomaco è annodato dal nervosismo. Marmellata di frutti di bosco su pane di riso.-
-Oh.-
Cullen diede una smorfia schifata, lasciando metà fetta sul piatto, poi si bagnò la gola con il té. Aspettò di aver mandato giù bene il boccone, poi sorrise. -Prima di lei non ci avevo mai pensato e ora che vedo tutto questo... è tutto così costruito che mi viene quasi da ridere. Questa è la casa dove sono cresciuto, poi non ho mai più messo piede in un'abitazione che non fosse una celletta, una tenda da campo o un letto rimediato all'ultimo a due passi dal luogo in cui lavoro. Non è triste che non sappia nemmeno costruire una casa per noi nella mia mente?-
Hawke si strinse nelle spalle. -Stai con un'Elfa dalish, Culls. Immagino che non gliene freghi assolutamente niente di avere una casa.-
-Proprio perché è così che per me è imperativo darle stabilità. Non ha mai avuto una prospettiva di questo genere perché a lei e alla sua gente è stato imposto il nomadismo. A quanto pare, riesco a fallire con lei pure su questo.- si passò una mano sullo stomaco, contratto dal disagio. -Dovrei renderla felice il più possibile adesso, dato che è destinata a vedermi impazzire.-
-Non è detto che tu impazzisca. Lo ha detto anche Cassandra: quello che stai affrontando è un percorso ignoto. Chi ha smesso il lyrium, o l'ha fatto troppo tardi, o non è riuscito a gestire il senso di abbandono e ha deciso di farla finita. Tu sei ancora in tempo per vivere la tua vita serenamente.-
-Ti sembra che sia sereno?-
-No, ma mi sembra che tu ti stia fasciando la testa prima di essertela rotta.-
Cullen gli scoccò un'occhiata stanca. -Come sai, prima di incontrarla mi ero rassegnato a concentrarmi su questo progetto, finché la mia mente avrebbe resistito. Avevo paura, certo, ma non mi importava. Riuscivo in qualche modo a concentrarla su altro. Adesso, invece...- posò lo sguardo fuori, sui bambini che rincorrevano Cane, incespicando e ridendo. -Voglio di più e questa cosa mi terrorizza.-
Hawke ridacchiò. -Sei uno di quei personaggi patetici che progettano persino il numero di figli che avranno?-
-Te l'ho detto: è tutto molto triste. L'unica cosa che dovrebbe esserci in questa casa non c'è.-
-E tua sorella, allora?-
-Non ho idea di che aspetto abbia, adesso. Quella che vedi è decisamente mia madre. Un ricordo neanche tanto accurato, dato che non ricordo altro di lei se non il colore dei suoi capelli e che era costretta a pulire dalla mattina alla sera perché in casa eravamo in tanti.-
Hawke sospirò, scorrendo sul suo interlocutore uno sguardo scettico. -Almeno di qualcosa sei sicuro.- commentò. -Sei pronto per andartene?-
Cullen prese un respiro profondo, poi un altro, infine diede un cenno d'assenso.

Si ritrovò a sobbalzare, mentre sfilava un compendio sulle strategie militari dell'Orlais dalla sua libreria, a Skyhold. La transizione era stata così repentina da fargli dubitare di essere tornato alla realtà.
-Allora, questo libro?-
Cullen si voltò di scatto, facendo cadere il compendio a terra. Hawke lo aspettava di fronte alla scrivania del suo ufficio, rivolgendogli un'espressione confusa.
-Non è reale.- mormorò Cullen, scorrendo lo sguardo su di lui. Indossava un'armatura pesante e teneva l'avambraccio appoggiato a una splendida spada dall'impugnatura dorata. Alle sue spalle era assicurato uno scudo a mandorla, con l'emblema della sua casata.
-Cosa non è reale? La competenza degli orlesiani nel combattimento?- domandò Hawke, rivolgendogli un sorrisetto.
Cullen fece un respiro profondo, poi recuperò il compendio da terra, per offrirglielo. -Hai minimizzato l'unica cosa in cui gli orlesiani riescono a eccellere.- commentò, cercando di concentrarsi su Hawke e basta, non su ciò che l'ambientazione in cui si trovava gli suggeriva di fare. -Hai bisogno di qualcos'altro?-
Hawke sfogliò il libro, poi se lo mise sottobraccio con noncuranza. -Solo di uscire da qui.- ammise, muovendosi verso la porta centrale dell'ufficio.
-Siamo in due.-
-Non è reale.-
-Io sono reale.-
Hawke gli appoggiò una mano sulla spalla, guidandolo attraverso Skyhold. -Penso sia un buon inizio.- disse, una volta che furono entrati in sede di consiglio.
A presiedere la seduta come Inquisitrice c'era una donna robusta, con i capelli rossi acconciati in un taglio corto e il naso dritto. I suoi profondi occhi azzurri scrutavano la mappa con attenzione, mentre si carezzava il labbro inferiore con l'indice.
-Lei ti mancava, no?- domandò Hawke, mentre Cullen prendeva posto al tavolo di guerra, osservando l'Eroe del Ferelden con tanto d'occhi.
Era molto alta e dava l'idea di riuscire tranquillamente a sollevare il massiccio tavolo che le stava di fronte e a lanciarlo per diversi metri senza sforzo.
-Non è strano che la persona che hai odiato di più al mondo per anni sieda al posto della donna che hai amato istantaneamente fin dal primo momento in cui l'hai vista?- tornò alla carica Hawke, porgendo un calice di vino all'Eroe del Ferelden, che gli rivolse un bel sorriso in segno di ringraziamento.
Cullen gli rivolse un'occhiata eloquente. -Stai cercando di aiutarmi, o vuoi farmi spedire al di là del mare del Risveglio a suon di mazzate?-
L'intero consiglio si voltò nella sua direzione, con aria confusa, al che lui esibì un sorriso di circostanza molto poco credibile.
-Allora, questa soluzione?- domandò l'Eroe del Ferelden, pacatamente. -Comandante, prima del suo arrivo il suo secondo ha accennato a un gruppo di soldati che potrebbe trarre in salvo i nostri uomini sulle montagne.-
Cullen si vide allungare un rapporto alla sua destra, lo prese e lo lesse con attenzione, rendendosi conto che era lo stesso che aveva letto molto tempo prima, prima che il demone dell'Ira lo forzasse a chiudersi in se stesso.
-Ecco, questa è decisamente una fantasia.- affermò Hawke, ridendo. -Di quelle del tipo che ti risvegli con un sorriso, o con un gran mal di pancia.-
Cullen guardò lui, poi spostò l'attenzione sul suo secondo, assumendo improvvisamente un'espressione sorpresa. -Lavellan.- la salutò, sforzandosi di tornare a leggere.
-Comandante.-
-Sta bene in divisa, no?- commentò Hawke, rigirando il dito nella piaga.
-Benissimo.- rispose Cullen, per poi alzare lo sguardo verso l'Eroe del Ferelden. -Possiamo intervenire. Abbiamo un gruppo nei paraggi che sta seguendo un'avanguardia dei Templari Rossi. Potremmo dispiegarli in difesa dei nostri. Lo sconsiglio, ma è un'opzione.-
-Elabora.-
-Ho motivo di sospettare che quei Templari stessero catturando dei civili per trasferirli in una delle loro miniere di lyrium rosso. Se facessimo deviare il gruppo, perderemmo le loro tracce. In più, rischieremmo le vite dei civili già catturati e di molti altri.-
-Ma riusciremmo a preservare le nostre truppe e a trarre in salvo sorella Paulette.- disse Josephine. -Sono pur sempre i nostri soldati. Non possiamo abbandonarli.-
-Concordo.- affermò l'Eroe del Ferelden. -Ma allo stesso tempo, concordo con il Comandante. La nostra priorità sono i civili, i nostri soldati sono preparati al sacrificio. Immagino che non sia possibile inviare una truppa leggera da Skyhold, o me l'avrebbe già proposto.-
-Arriverebbero troppo tardi.- confermò Cullen, lanciando una rapida occhiata alla sua destra. -Dare la priorità ai civili è la soluzione logica, Inquisitrice, se fossi in lei io mi muoverei in quella direzione.-
Lavellan sollevò le sopracciglia su uno sguardo sorpreso, ma non aprì bocca.
-Possibile che in ogni allucinazione lei sia in uno stato di subordinazione?- domandò Hawke, aprendo le braccia con un gesto d'enfasi. -Cos'è, una tua idea di compensazione?-
-Di insicurezza.- precisò Cullen, portandosi al suo fianco per porgergli un foglio di pergamena. Aspettò che l'Eroe del Ferelden aprisse bocca, poi si sporse verso di lui. -Perché ci sono dei momenti in cui non riesco a starle dietro e la cosa mi manda ai matti.- mormorò, al suo orecchio. -Ma tu questo dovresti saperlo.-
-E io che ho detto? Compensazione.-
Cullen roteò lo sguardo, seccato.
-Che devi lavorarci sopra lo sai, no?-
-So solo che non mi sei di nessun aiuto in questo momento.-
Hawke gli circondò le spalle con un braccio. -Ricordati che è stata lei a portarti da me, per permetterti di trovare una via di fuga.- disse.
Cullen chiuse gli occhi, prese un respiro profondo, poi li riaprì. -Ha senso che dovessi ritornare qui per trovarla. Quello che non ha senso è...- ci rifletté per minuti interi, fallendo nel trovare la risposta. Ogni cosa sembrava corretta, al suo posto, per l'ennesima volta.
-Ritrova il controllo.- disse Lavellan, attraverso Hawke.
Cullen digrignò i denti, chinando lo sguardo a terra. -Non è reale.- disse, realmente esausto. -Non è reale.- ripeté, sollevando lo sguardo di fronte a sé, mentre le figure diventavano ombre e le ombre demoni che torreggiavano su di lui, divorando lo spazio per trascinare ogni cosa nel buio totale.
-Non è reale.-
-Tu sei reale.-

Cullen inspirò l'aria nei polmoni così intensamente da strozzarsi.
Cadde in ginocchio e prese a tossire sonoramente, più e più volte, sentendo il cuore risuonargli nelle orecchie e nella cassa toracica come se volesse abbandonare il suo corpo ed esplodere tra le sue mani.
-Va tutto bene, va tutto bene.- lo rassicurò Lavellan, sferzandogli energicamente la schiena con la mano sinistra mentre con la destra gli impediva di cadere in avanti. -Siamo qui.-
Cullen spalancò lo sguardo, spostandolo da una parte all'altra alla ricerca di conferme visive. Era decisamente a Skyhold, nei suoi alloggi e di fronte a lui c'erano Cassandra e Lavellan, che sembravano essere appena uscite da un incontro di lotta libera con la manifestazione dell'insonnia.
-Ti sembra in sé, adesso?- domandò Lavellan, passandogli un fazzoletto umido e fresco sulla fronte.
Cassandra si chinò su Cullen, con cautela, poi esalò un sospiro liberatorio. -Sembrerebbe di sì. Ben tornato, amico mio.- disse.
Lavellan gli scoccò un bacio sulla tempia, mantenendo il contatto per diversi secondi prima di distanziarsi e rivolgergli un bel sorriso, impregnato di sollievo.
Cullen, senza fiato e con la gola dolorante, smezzò uno sguardo scettico su entrambe, poi raccolse il bicchiere d'acqua che Cassandra gli stava porgendo e lo vuotò, sentendo immediatamente il senso di arsura placarsi. Esalò un respiro tremante, poi chiuse gli occhi, abbandonandosi all'abbraccio di Lavellan, troppo esausto per ribellarsi.
-I soldati?- domandò, rauco.
Lavellan gli lisciò il capo, dolcemente. -Abbiamo risolto, non pensarci.-
-Ti prego.-
Cassandra gli porse un secondo bicchiere, stavolta riempito a metà. -Abbiamo seguito la tua proposta. I rapporti sono sulla tua scrivania. Potrai leggerli in mattinata.- disse, con una nota autoritaria nel tono di voce.
Cullen si distanziò appena da Lavellan, imponendole con un cenno di mantenere le distanze.
A fatica, appoggiò la schiena al comodino, poi trasse un sospiro stanco. Si guardò attorno con perizia, mentre le allucinazioni iniziavano a frammentarsi nella sua memoria, confondendolo. Si sforzò di restare vigile, ancora una volta, alla ricerca di qualcosa che non gli quadrasse, sapendo che la sua testa gli avrebbe presentato concetti e immagini talmente coerenti da sembrargli corretti. Quando si ritrovò stranamente a fallire, i suoi occhi trovarono la realtà nella tridimensionalità della stanza. -Ho bisogno di sapere.- mormorò. -Rylen non era alla riunione.-
-No.- dichiarò Lavellan.
-Hawke è partito.-
-Sì.-
-Da quanto tempo sta andando avanti questa crisi?-
Lavellan e Cassandra si scambiarono un'occhiata d'intesa, ma fu la prima a rispondere, nuovamente. -È iniziata stamattina. Hai detto la parola di sicurezza e ti ho portato qui di peso.-
-Parola di...?- Cullen strinse lo sguardo, chinando la testa, alla ricerca di un ricordo. Quando lo trovò, assieme alla spiegazione imbarazzante che si portava dietro, si ritrovò a sollevare le sopracciglia sopra un'espressione sorpresa. -Mi hai cacciato e hai chiesto a Ryl... a qualcuno di prendere il mio posto.- borbottò.
Lavellan si passò una mano tra i capelli, nervosamente. -Decisamente no.- lo contraddisse. -Ti ho chiesto di fare due parole in privato, per mantenere la discrezione, poi ho fatto convocare Cassandra affinché prendesse il mio posto temporaneamente.- gli spiegò.
-A proposito, la prossima volta cerca di usare una scrittura leggibile nelle note.- protestò l'altra, rivolgendogli un'occhiataccia. -Ho dovuto chiedere a un ufficiale di decifrare i tuoi appunti e nemmeno con due paia d'occhi siamo riusciti a capire cosa diavolo intendevi con "Emp av due tra in dieci".-
-Due trabucchi in arrivo all'avamposto di Emprise in dieci giorni.- tradusse lui, velocemente. -Quindi sei stata effettivamente tu l'Inquisitrice, per...-
-Per un'ora lunga un millennio.- confermò Cassandra, sedendosi sul bordo del letto. -Ci siamo date il cambio affinché fossi sempre sotto controllo.-
-E a tuo agio, soprattutto.- aggiunse Lavellan. -Come abbiamo concordato dopo l'ultima crisi.-
Cullen annuì, piano. -E io vi ho rubate all'Inquisizione per tutto il giorno.- disse, con una nota di disappunto nel tono di voce.
-Abbiamo mantenuto il controllo.- ribadì Cassandra. -Su questo e sul resto. Te lo abbiamo promesso.-
-Non mi avete mai lasciato da solo?-
Lavellan deglutì. -No, mai.- rispose. -Non potevamo rischiare che uscissi da qui e ti mostrassi vulnerabile in quel modo di fronte alle truppe. Per te sarebbe stato umiliante.-
-Perché, riservare unicamente a voi la versione peggiore di me non è abbastanza umiliante?-
-No, permetterci di aiutarti è la massima forma di fiducia che potresti riservarci.- sbottò Cassandra, aprendo un braccio nella sua direzione. -E noi siamo qui per ribadire che non devi affrontare questo schifo da solo.-
-Non voglio che mi facciate da balia per il resto dei vostri giorni, maledizione!-
-Non è una cosa che puoi controllare, Cullen!-
-Ora basta!- esclamò Lavellan, alzando le mani in segno di ferma. -È la terza volta che sento lo stesso identico litigio e sappiamo tutti dove andrà a finire, quindi risparmiate il fiato e fate un bel respiro.-
I due si guardarono in cagnesco per diversi istanti, poi eseguirono l'ordine.
-Benissimo. Adesso fatene un altro.-
Cassandra esitò, poi fece come le era stato chiesto, di malavoglia.
Lavellan rilassò i lineamenti del viso, rivolgendosi a Cullen. -Hai bisogno di qualcosa, prima che ti lasciamo solo?-
Lui aggrottò la fronte, poi chinò lo sguardo a terra. -No, posso arrangiarmi.-
-Te lo ripeterò finché non mi risponderai sinceramente. Hai bisogno di qualcosa, prima che ti lasciamo solo?-
Cullen fece per eseguire un cenno di diniego, ma si bloccò in tempo. Ci rifletté, ascoltando ciò che il suo corpo gli chiedeva a gran voce, poi annuì.

Dopo essere riuscito a ricomporsi, sentendosi in difetto per dover imporre la propria debolezza alle due persone che rispettava di più a Skyhold, Cullen si sforzò di mandare giù un boccone di minestra, accompagnandolo con un infuso che odorava terribilmente di valeriana.
Una volta che fu riuscito a vestirsi, insistendo di doverlo fare da solo, si buttò il mantello sulle spalle e raggiunse Lavellan nella porzione del camminamento in cui si trovavano di solito per fare quattro chiacchiere e scambiarsi un bacio veloce durante la giornata.
Era notte fonda. Nonostante Skyhold brulicasse di addetti ai lavori, i camminamenti erano stranamente sgombri, fatta eccezione per i pochi soldati di turno che controllavano la situazione nella valle circostante.
Lavellan rivolse un bel sorriso a Cullen, appoggiando la schiena su un merlo nell'usarlo come supporto. -Hai dei tempi di recupero straordinari.- si complimentò, indicando al nuovo arrivato di affiancarsi a lei.
Cullen ricambiò il sorriso, con un velo di tristezza nello sguardo. -Sto a malapena in piedi, cuore mio.-
-Però sei sulle tue zampe.-
-Stai cercando di tirarmi su di morale?-
Illuminato dalla luce delle torce, il viso di Lavellan sembrava indossare una stanchezza atavica, confermata dalla pesantezza delle sue palpebre e dal gonfiore derivato dalle occhiaie che le spingevano lo sguardo a stringersi. Nonostante ciò, lo guardava con affetto e il suo sorriso era sincero. -Tra le due, penso di essere l'unica ad avere una chance di riuscirci.- scherzò, mentre Cullen si portava di fronte a lei. -Cassandra è brusca, la conosci, ma raramente ha torto. Non sei un peso.-
-Lav, è decisamente un peso. Lo è per me, per primo.- replicò. -Come hai fatto a portarmi fin qui?-
-Con le braccia.- rispose lei, ridendo. -Ti ricordo che tendo archi da trent'anni. Sorreggerti non è stato difficile.-
Cullen raccolse le mani di fronte al petto, sfregandole con lentezza mentre cercava di dare un'identità a un pensiero orribile. Lavellan lo precedette, perdendo il sorriso mentre andava ad appoggiargli una mano sul braccio. -Cosa vuoi sapere?- gli domandò, con pacatezza.
-Tutto.- rispose lui, a mezza voce. -Com'è iniziato, cos'è successo, quando...- si bloccò. -Ho fatto male a una di voi?- aggiunse, mentre il suo viso si contraeva in una smorfia di nervosismo.
-Non hai alzato un dito su di noi. Ti sei limitato a passeggiare molto, a fissare il vuoto e a borbottare frasi senza senso.- rispose lei, in un sussurro. -Eri completamente isolato dal presente e dai presenti.-
-Ho detto o fatto qualcosa che ti ha fatto soffrire?-
Lavellan esitò, prima di scuotere la testa. -Non eri tu a parlare, Cullen.- affermò, ostentando sicurezza.
Lui la osservò con attenzione. -Mi dispiace.- disse.
-Non hai motivo di dispiacerti. L'ha detto anche Cassandra: è una cosa che...-
-Che non posso controllare, lo so.- concluse Cullen, stancamente. -Dammi qualche ora per riprendermi e sarò pronto a ritornare al mio posto. Non preoccuparti.-
Lavellan fece un sorriso tirato, poi si avvicinò per appoggiargli un bacio sulla guancia. -Prenditi tutto il tempo che vuoi e qualcosina in più, se necessario.- disse. -Io rimarrò nei paraggi, nel caso avessi bisogno ancora di me.-
Cullen si ritrasse appena, sentendo il peso della vergogna gravare sulle sue spalle. -Preferisco essere lasciato un po' da solo, se non è un problema.- mormorò.
-Tutto quello che vuoi.- lo rassicurò lei, rispettando le distanze. Fece per allontanarsi, ma qualcosa la trattenne dal muoversi.
Cullen chiuse gli occhi, sentendo le pareti della gola contrarsi in risposta a un sentimento di dolore e tristezza. Lo sguardo di Lavellan gli tornò quelle stesse sensazioni, mentre cercava in tutti i modi di trattenersi dal dire qualcosa di cui si sarebbe pentita.
-Nemmeno io so com'è fatta una casa.- sussurrò lei, con voce tremante. -E più mi dico che non mi importa, più penso che è quello che vorrei da noi, una volta che sarò riuscita a mettere un punto a questa storia. Abbiamo un bisogno assurdo di essere stabili, di poter esserci l'uno per l'altra, senza una platea pronta a divorarci nel caso ci mostrassimo deboli.- fece una pausa. -So che non dovrei tirarlo in ballo, ma è una cosa a cui penso spesso e sapere che anche tu stai soffrendo per questo...- prese un respiro profondo. -Forse dovremmo parlarne, prima o poi.- tagliò corto, dato che non era il caso di elaborare altrimenti.
Cullen annuì, stranamente sollevato di non essere l'unico dei due a porsi certi interrogativi. -Mi piacerebbe.- ammise.
Lavellan gli rivolse un mezzo sorriso. -Era dalle Tombe che non stavamo così tanto tempo insieme. La prossima volta, che ne dici di offrirmi solo da bere?- scherzò, per alleggerire la tensione.
Cullen sorrise a sua volta, ringraziando mentalmente Andraste per averlo introdotto a quella donna, che riusciva a metterlo a suo agio anche nei momenti più tragici. -Basta che poi non finisca come l'ultima volta, che prendi a calciarmi gli stinchi nel sonno perché la branda è troppo stretta per due persone.-
Lavellan ritrasse appena il capo, confusa. -Che cosa stai dicendo?-
-Le Tombe.- rispose Cullen, passandosi una mano dietro il collo. -Hai capito a cosa mi riferisco. Non penso di essermi sognato pure quello.-
Lavellan perse immediatamente il sorriso, nel cercare di decifrare le sue parole. Entrambi realizzarono cosa stesse succedendo simultaneamente e si scambiarono un'occhiata desolata.
-I Giganti erano veri? Il drago era... io mi sono addormentato abbracciandoti.- disse lui, sentendo un brivido di paura percorrergli la schiena.
Lavellan si sporse immediatamente verso di lui, appoggiandogli una mano sul petto. -Eri lì, abbiamo parlato, hai visto i giganti, hai combattuto il drago al mio fianco.- gli confermò, con decisione. -Era tutto vero.-
-Tutto tranne uno dei momenti più significativi della mia vita.- gemette lui, stringendo i pugni con forza. -Lasciami da solo. Ti prego.-
-Cullen, io...-
La guardò con il viso sconvolto dal dolore, poi si voltò, per ritornare con decisione ai suoi alloggi.


-Nota-

https://gif-free.com/uploads/posts/2017-04/1491848185_woman-drinking-wine.gif
Terzo disclaimer, anche qui necessario: se i temi trattati dovessero risultare scritti superficialmente, o in maniera offensiva, avvisatemi in modo che possa rimediare al volo.
Ah, lo stesso vale per i content warnings, se vedete che è necessario aggiungerne per evitare a qualcuno di soffrire, daje. Ce la sto mettendo tutta a segnalarli, ma spesso mi sfuggono.
Tornando un attimo leggeri, avviso che la prossima settimana non ci sarà un aggiornamento, perché vorrei aggiungere il capitolo 2 di 3 alla one shot che sto postando in parallelo e vorrei un attimo riprendere fiato dopo un paio di settimane un po’ così.
*versa spritz* Un abbraccio <3

   
 
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