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Autore: Quebec    07/10/2022    1 recensioni
In una città invasa da un'epidemia di vampiri e sigillata dall'esercito, un uomo e un bambino tentano una fuga disperata.
Genere: Drammatico, Horror, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Seguirono tre giorni tra silenzi e sguardi diffidenti. L'odore di muffa che ammorbava l'aria, i ragnetti che zampettavano lungo le pareti crepate. La donna era rimasta per tutto il tempo a letto. Dormiva, si agitava nel sonno e si svegliava di soprassalto tutta sudata. Cercava l'uomo con lo sguardo e si riaddormentava con il suo volto. Voleva tenerlo d'occhio, ma la stanchezza prendeva il sopravvento. Il secondo giorno si svegliò con un ragnetto che le sgambettava sulla guancia. Smorzò un grido e se lo levò di dosso con una manata. L'aracnide fuggì sotto il letto.
L'uomo se ne stava seduto davanti al laptop, il bambino accanto. Leggeva e rileggeva le stesse notizie. Voleva convincersi che forse sbagliava sull'esercito. Magari ora erano già entrati in azione. Poi guardava il bambino e tornava alla realtà. Loro non sarebbero mai venuti. Toccava a lui cercare una via di fuga. E quella via, seppure non sua, l'aveva già in mente da un po'.
Si alzò, si mise lo zaino in spalla e afferrò il martello.
Il bambino lo guardava con fare curioso. - Dove vai?
- Esco.
- Dove?
- Devo vedere un amico.
- Posso venire?
- No.
Il bambino si aggrappò al suo fianco. - Ti prego, farò il bravo.
- No, devi restare qui, al sicuro.
Il bambino scoppiò in lacrime. - Non te ne andare.
L'uomo si piegò sulle ginocchia e lo guardò negli occhi. - Tornerò. E mi raccomando, se vuoi giocare al computer muta il suono come ti ho fatto vedere, ok?
Il bambino annuì, ma non si staccò da lui. Voleva stare con l'uomo. Non gli importava di giocare. - Non voglio stare da solo.
- Non sei da solo.
- Non voglio stare con lei. Non mi piace.
L'uomo si alzò e allontanò le mani del bambino. - Devi stare qui. Non puoi venire là fuori. È pericoloso. - Lanciò uno sguardo alla botola, poi al bambino. - Se qualcuno cerca di entrare, non aprire. Non importa chi sia, tu non aprire. E non fare aprire nemmeno a lei.
- Ma così tu non potrai entrare.
- Entrerò.
- E come?
- Ti dirò di aprirmi.
- Però tornerai, vero? Non mi lascerai qui da solo?
- Tornerò.
Il bambino lo abbracciò forte.
L'uomo si sciolse dall'abbraccio, salì la scala e lanciò un ultimo sguardo al bambino. Non sapeva se fosse una buona idea lasciarlo con la donna. Lei non aveva fatto altro che mangiare e dormire. Non alzava mai lo sguardo e stava sempre in allerta. Ormai aveva capito che la sua storia era vera. Non poteva fingere di avere gli incubi. Forse stare un po' insieme al bambino le avrebbe giovato.
Non aveva altra scelta. Sollevò la botola.

La stazione di benzina era deserta. Il succhiasangue che aveva ucciso giaceva con le spalle al muro. Lui lo guardò per un momento. Poi lasciò l'edificio e proseguì lungo la strada secondaria che portava a downtown.
Veicoli abbandonati, cadaveri sull'asfalto. Due auto della polizia messe di sbieco sulla via. Tutt'attorno, cinque poliziotti morti e chiazze di sangue. Il quinto piano di un palazzo divorato dalle fiamme, le colonne di fumo nero che si levavano al cielo.
L'uomo si era abituato a quel tetro panorama. In ogni strada, in ogni angolo, in ogni edificio aleggiava la morte. E la morte non faceva distinzione.
Arrivò a downtown senza scorgere un solo vampiro e ciò lo rese guardingo. Era raro che accadesse. I succhiasangue erano sempre attivi e c'era sempre un vampiro solitario che vagabondava in giro. Altri che si nascondevano in agguato dietro gli angoli, sui tetti o dietro i veicoli, ma nemmeno loro si erano fatti vedere.
L'uomo si fermò accanto a una cabina telefonica e spaziò lo sguardo verso la centrale di polizia, le finestre sbarrate da assi di legno. Sacchi di sabbia circondavano il portone abbattuto e una moltitudine di bossoli puntellavano il marciapiede. Fori di pallottole sulle mura e sulle fiancate dei veicoli. Finestrini rotti, parabrezza distrutti.
Il suo piano era andato in fumo.
Forse erano morti tutti o erano fuggiti altrove. Sospirò e si guardò intorno. Il silenzio che aleggiava nell'aria non era un buon sogno. I vampiri potevano essere tutti nella centrale, magari in dormiveglia. Oppure non c'erano affatto.
L'uomo si avvicinò cauto al portone e sbirciò nel grande atrio. Nessuna traccia di sangue, cadaveri o vampiri. Forse i sopravvissuti erano fuggiti. Che l'esercito li avesse evacuati? Più ci pensava, più gli sembrava impossibile.
Entrò e si diresse verso l'ufficio del suo amico poliziotto Ethan Lindsay. Salì la tromba delle scale al secondo piano, percorse un lungo corridoio e aprì la porta.
Pistola e distintivo sulla scrivania. La sedia d'ufficio ribaltata. L'uomo raggiunse la scrivania e guardò confuso pistola e distintivo. Perché Ethan li aveva lasciati qui? Pensò nuovamente all'esercito. Magari era vero. Poi cacciò via quel pensiero.
Mentre scendeva al pianoterra, un vampiro entrò nell'atrio. Si muoveva lento, la testa sollevata a fiutare l'aria. Aveva percepito l'odore dell'uomo, ma non n'era sicuro.
L'uomo si poggiò dietro un pilastro e sbirciò. Aveva sbagliato a credere che non ci fosse nessuno nei paraggi. Questo chiuse definitivamente la questione dei sopravvissuti. Poteva essere fuggiti nel condotto fognario che lui aveva intenzione di usare. Ma senza la guida di Ethan sarebbe stato impossibile orientarsi in quel dedalo di canali maleodoranti.
Il vampiro barcollò nell'atrio per un momento, il corpo percorso da tremiti. Poi si diresse verso la tromba delle scale con il viso sollevato in aria. Appena fu vicino al pilastro, l'uomo gli piantò una martellata nel cranio. Il succhiasangue indietreggiò un poco, stordito. L'uomo lo colpì un'altra volta e il vampiro indietreggiò di nuovo. Allora l'uomo gli sferrò una serie di martellate finché il succhiasangue crollò sul pavimento, il sangue che sgorgava e formava una chiazza sotto la testa tumefatta e squarciata.
L'uomo si piegò in avanti per riprendere fiato, incredulo. Aveva ucciso un altro vampiro. Si pulì il sangue nerastro dalla faccia con la manica dell'impermeabile e si voltò.
Un altro succhiasangue gli balzò addosso con uno strillo acuto.

Il bambino e la donna si tenevano d'occhio da ormai tre ore. Entrambi non si fidavano dell'altro, ma i loro sguardi si cercavano spesso.
Il bambino avviò il flipper sul computer e la musichetta del gioco riverberò nello scantinato. La donna si voltò verso di lui. - Abbassa! Abbassa!
Il bambino andò in panico. Invece di mutare il suono, alzò il volume al massimo per un attimo. Poi lo mutò.
La donna si portò le mani nei capelli, gli occhi sbarrati dalla paura. - No, no, no! Ora arriveranno qui!
Il bambino abbassò lo sguardo.
Attimi dopo una moltitudine di grida acute si levarono in strada. I vampiri correvano eccitati verso la stazione di polizia. Alcuni si calpestavano nella fretta di arrivare primi, altri saltavano da un tetto all'altro. Salti di diversi metri, impensabili per un uomo.
Entrarono nell'edificio come un fiume in piena.
Il bambino chiuse il laptop e guardò la donna. Lei ricambiò lo sguardo, per poi spostarlo verso la botola. Non immaginava che sarebbero venuti così in fretta. Pensava che si fossero sparpagliati negli altri quartieri in questi ultimi tre giorni. Il bambino si arrampicò sul letto a castello e si rifugiò sotto le coperte, la testa affondata nel cuscino.
La donna si alzò dal letto, afferrò il fucile sul tavolo e lo puntò alla botola con le mani tremanti. Non aveva mai tenuto un fucile in mano. Nei film lo facevano sembrare facile, magari era davvero così. Doveva solo puntare e premere il grilletto. Non poteva essere difficile.
I vampiri si riversarono nello stanzino, altri si ammassarono e si incastrarono sull'uscio. Le loro grida giungevano come urla demoniache nello scantinato. E cominciarono a martellare la botola di pugni e calci.
Il bambino scoppiò in un pianto sommesso. La donna trasalì e quasi si lasciò cadere il fucile dalle mani. Non sapeva cosa fare. Avvicinarsi alla botola era l'ultima cosa che intendeva fare. Si guardò intorno. Una spessa porta di ferro arrugginita si trovava in fondo alla stanza. La raggiunse, posò il fucile contro il muro e girò la manovella. Non si spostava. Impresse forza nelle braccia e tentò nuovamente. Niente. Sembrava incastrata, oppure non era abbastanza forte da aprirla. Sospirò e ci riprovò finché i palmi della mani cominciarono a bruciare. Allora digrignò i denti e represse un urlo di frustrazione e di rabbia.
Si voltò verso la botola con un nodo alla gola. I vampiri picchiavano la botola con colpi violenti, veloci.
La donna raggiunse il suo letto con le gambe e le mani tremanti, gli occhi lucidi per la paura. Era in trappola. Se i succhiasangue fossero entrati, sarebbe stata la fine. E lei non voleva morire. La bocca asciutta, il cuore che le martellava in petto. Le sembrava di impazzire. Quei colpi la facevano impazzire. Si portò le mani sui capelli unti e increspati, se li tirò, si tappò le orecchie, si alzò, camminò in tondo e si sedette nuovamente. Voleva gridare, urlare.
Poi i vampiri allentarono i colpi sulla botola finché cessarono. Gemiti e gorgoglii giungevano dallo stanzino. I succhiasangue si erano calmati e barcollavano dentro e intorno all'edificio. Quelli incastrati sotto l'uscio presero a graffiarsi, a mordersi e presto si liberarono e girarono a zonzo.
Il bambino sbirciò da sotto le coperte. Il suo sguardo vagava nella stanza alla ricerca dei vampiri, finché si posò su un viso sporco e pallido. La donna si torturava la pellicina delle unghia e biascicava parole senza senso.
Il bambino si affossò nelle coperte, la faccia affondata nel cuscino, gli occhi arrossati per il pianto. - Mamma... dove sei? Vienimi a prendere. Ho paura... Vienimi a prendere... Mamma...
   
 
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