Libri > Il Signore degli Anelli e altri
Segui la storia  |       
Autore: Kanako91    08/10/2022    1 recensioni
Chi erano l’Esterling Nero e il Re Stregone di Angmar prima di diventare famosi come Nazgûl?
Come sono entrati in possesso dei rispettivi anelli?
Nove erano gli anelli dati agli Uomini e questa è la storia di due di loro, tra Númenor e l’Est della Terra di Mezzo.
Genere: Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Khamûl, Sauron, Stregone di Angmar
Note: Lime, Missing Moments | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Parte I. Il tenente - Capitolo 5. Un nuovo potere


Nomi utili:

Khamûl: futuro tenente dei Nazgûl (unico con un nome canonico)
Hurren: zia di Khamûl
Badem: secondo marito della zia di Khamûl
Rahamadi: generale haradrim, suocero di Khamûl
Harshani: moglie di Khamûl, figlia di Rahamadi
Samir: primogenito di Khamûl e Harshani
Ramaj: secondogenito di Khamûl e Harshani
Urri: terzogenita di Khamûl e Harshani
Hamed: quartogenito di Khamûl e Harshani
Farah: quintogenita di Khamûl e Harshani (da cui discende Khamûl IV in “Caccia Grossa nell’Est”)
Gente del Sole: gli Esterling
Gente del Serpente: gli Haradrim
Doragzûl: grande città a Est della Terra di Mezzo
Vaharabadi: capitale dell’Harad e poi dei Regni del Sole
Uomini della Morte: i Númenóreani
Doragmalik: titolo per "Gran Re"
Sempregiovani: gli elfi che hanno rinunciato alla chiamata dei Valar e sono rimasti a Est della Terra di Mezzo (Avari)
Demoni pallidi: gli elfi partiti per l'Ovest e che abitano l'Ovest della Terra di Mezzo (Eldar o Amanyar)




5. Un nuovo potere




La giungla non emanava alcuna aura maligna, come tutte le dicerie e le disavventure di quei mesi gli avevano lasciato intendere, e lungo il perimetro era ben praticabile. Peccato che nessuna delle guide locali osò oltrepassare la prima linea di alberi.

«Oltre disturbiamo i demoni della giungla» osò giustificarsi una di loro.

«Immagino come il cantiere potrebbe disturbarli, questi vostri demoni immaginari».

Le guide rimasero in un silenzio sospetto. Khamûl non aveva idea se fossero loro a distruggere il cantiere ogni notte. I soldati che aveva mandato a protezione gli avevano raccontato di sparizioni e manomissioni che non sembravano opera di esseri umani, ma la paura faceva tirare fuori alle persone capacità sorprendenti.

Restava il fatto che le guide non erano di alcun aiuto e, finché non avesse fugato i suoi sospetti, era meglio non addentrarsi nella giungla in compagnia di nessuna di loro. Per quanto ne sapeva, potevano pure essere in combutta con questi demoni di cui parlavano tanto.

Così, lanciata un’occhiata di monito alle sue guardie perché tenessero d’occhio le guide locali. Khamûl avanzò da solo in cima all’olifante.

Oltrepassò i primi alberi e procedette, le orecchie tese a cogliere qualsiasi rumore fuori dall’ordinario. Se il pericolo fosse stato a terra, sopra all’olifante sarebbe stato al sicuro. Se fosse venuto dal cielo, aveva una visione privilegiata che a piedi non avrebbe mai avuto.

Inoltre l’olifante era nativo proprio di quella giungla. Se non la temeva lui, perché doveva temerla Khamûl sul suo dorso?

Andarono avanti per qualche centinaio di cubiti tra i grossi alberi nodosi, su cui si arrampicavano piante dalle foglie lucide e carnose e fiori con i petali sgargianti, disposti in un modo che gli ricordava la vista tra le gambe di Harshani. Allungò la mano per coglierne uno, le labbra incurvate in un sorriso. Avrebbe trovato un modo per portare una di quelle piante da lei. Per il momento, però, avrebbe pressato un fiore e glielo avrebbe mandato nella prossima lettera.

Mandò avanti l’olifante, finché la bestia non si bloccò di sua sponte sulla riva di un torrente. Non era così ampio da impedirgli di procedere, eppure qualcosa lo aveva fermato lo stesso.

Khamûl si sporse a vedere oltre la spalla della bestia e, quando si raddrizzò, notò qualcosa tra i rami di uno degli alberi di fronte.

Due occhi grigioscuro ricambiarono il suo sguardo tra il fogliame.

Khamûl sbatté le palpebre, incerto di quel che aveva visto, e portò una mano al pugnale infilato nella fusciacca. Era coperto dall’armatura a placche e aveva una spada al fianco, ma il pugnale lo avrebbe comunque aiutato a distanza.

Chiunque ci fosse tra i rami non parve intenzionato ad attaccarlo.

«Chi sei?» chiese Khamûl, nell’unica lingua del Sud che conosceva bene, quella di Harshani.

Gli occhi tra i rami si mossero e una mano dalla pelle bruna, come quella dei locali, spostò delle foglie.

Sul ramo emerse una donna, a giudicare dalle modeste curve disegnate dalla tunica morbida sul petto e sui fianchi. Per il resto aveva tratti spigolosi, il corpo esile e flessuoso come un giunco, e persino le orecchie non erano del tutto tondeggianti.

I capelli lunghi e scuri erano raccolti in trecce che scendevano lungo il collo e sul petto.

Non gli parlò, ma saltò sulla testa dell’olifante.

«Sei uno dei demoni di cui parlano tutti là fuori?» le chiese, nella speranza che almeno su quella domanda potesse ottenere una risposta.

La donna inarcò le sopracciglia folte e scure.

«Demoni, no» disse, con tono di scherno e rise piano. «Mortali sciocchi».

Khamûl si ritrovò a sorridere, entusiasta per la scoperta. C’erano dei Sempregiovani in quella giungla. Con loro poteva ragionare.

«Sono qui per costruire una strada al limitare della giungla, che colleghi le diverse provincie del mio regno».

La donna Sempregiovane scrollò le spalle.

«Oltre fiume, nostra casa» disse, indicando il fiume. «Se superate, noi–» e si passò un dito di traverso sulla gola.

Khamûl annuì. «Grazie».

La donna gli rivolse un cenno del capo e saltò via dalla testa dell’olifante per sparire di nuovo tra i rami.


* * *


Non importarono le rassicurazioni della Sempregiovane, perché era la giungla stessa a opporsi a loro. A ogni colpo di ascia, a ogni movimento delle grandi seghe, gli alberi si lamentavano e una volta Khamûl aveva visto con i suoi occhi una liana afferrare un operaio e scaraventarlo contro un tronco. Il rumore di schiena spezzata gli riecheggiò nelle orecchie per tutto il giorno.

Qualsiasi accordo avesse preso con quella Sempregiovane, non era stato comunicato al resto della giungla.

O forse quella Sempregiovane non aveva mai avuto l’autorità per parlare a nome di altri se non sé stessa, e quindi nessun altro era mai stato parte di quell’accordo, soprattutto gli alberi. Sempre ammesso che la giungla fosse un’entità a sé, cosa che Khamûl non credeva proprio. Doveva essere qualche strana magia dei Sempregiovani: aveva sentito che alcuni vivevano così in comunione con le loro abitazioni da dargli vita.

Quale che fosse la verità, i lavori erano bloccati. Di nuovo.

Proprio allora lo straniero si ripresentò.

«Hai una propensione a presentarti nella notte. Potrei arrivare a crederti un incubo».

Lo straniero gli rivolse quel suo mezzo sorriso, per una volta genuinamente divertito e per gli stessi motivi che poteva aspettarsi Khamûl.

«Oppure un sogno» disse lo straniero. «Ma suppongo l’associazione con gli incubi sia dovuta al tuo umore».

«Che ne sai del mio umore?»

«Diciamo che sono bravo a leggere la gente».

Khamûl inarcò le sopracciglia e tornò a guardare la notte davanti a sé.

Quasi prendendolo come un invito, con un fruscio di vesti lo straniero gli si sedette di fianco sul baule.

«Nonostante tu stia rispettando le loro richieste, gli abitanti della foresta ti stanno dando fastidi, non è così?»

Khamûl grugnì la sua risposta. Quello era un modo di vederla.

«Tipico degli immortali» disse lo straniero.

Al che Khamûl si girò verso di lui. «Cosa ne sai di loro?»

Lo straniero assunse un’aria pensosa, lo sguardo rivolto alla giungla.

«Quelli con cui hai a che fare sono lontani parenti di quelli che hanno sconfitto il Doragmalik» disse lui. «Più selvaggi e pericolosi, meno raffinati nelle arti e nel modo di vivere, ma non meno letali. Hanno in antipatia qualsiasi novità, non a caso si sono rifugiati dove niente di nuovo possa raggiungerli e stanno osteggiando il tuo encomiabile progetto. Un progetto che neppure il precedente Doragmalik ha mai osato immaginare».

Khamûl avrebbe preferito meno adulazione, ma era abbastanza abile dal girare intorno alle parole inutili per andare al cuore di quel che lo straniero gli stava dicendo.

«Ci hai avuto a che fare».

«Più volte, in tempi diversi. Non sono mai cambiati».

Khamûl lo scrutò. «Più volte nell’arco di molti anni. Più di quanto potrei viverne io».

Lo straniero gli lanciò un’occhiata e un sorrisetto gli tirò le labbra.

«Sei molto acuto».

«E tu lasci indizi molto vistosi».

Lo straniero rise piano. «Suppongo che risulti così per una mente fine come la tua».

Khamûl sbuffò. Ancora con quell’adulazione. Avrebbe preferito che la lasciasse da parte una buona volta.

«Ho vissuto per molte ere, sì» gli disse lo straniero. «Ma sbagli quando dici che ho vissuto più di quanto potresti tu: se lo volessi, avresti la stessa possibilità. Come il Doragmalik che ti ha preceduto».

«Se il precedente Doragmalik è vissuto tanto a lungo, è stato perché lui era davvero qualcosa al di là dell’umana comprensione».

«L’ho conosciuto e ti assicuro di no».

Khamûl guardò lo straniero, in attesa che elaborasse.

«Era diventato uno stregone così potente da poter combattere la morte» proseguì quello e sollevò la mano destra. «Il tutto con l’aiuto di un oggetto così piccolo».

L’anello dorato al suo indice scintillò come di luce propria.

«Suppongo sia quello che mi stai mostrando» disse Khamûl, incapace di reprimere un sorriso. Le sue tattiche drammatiche lo divertivano sempre di più.

Lo straniero ricambiò il sorriso e abbassò la mano, per infilarla nell’altra manica.

«Sembra nulla, ma non ti farebbe comodo avere più tempo per stabilire meglio il tuo dominio su queste terre? Dopotutto il periodo senza il Doragmalik ha fatto rialzare teste molto in fretta. Ci vorranno anni perché si abituino al nuovo re che li governa e a te non resta molto, o sbaglio?»

Ovvio che non sbagliava, lo sapevano entrambi. Lo straniero era informato, ma Khamûl non poteva sorprendersi più di tanto. C’era qualcosa di poco umano in quelle conoscenze. Forse venivano con quell’anello.

«Mi permetterebbe di comparire dalle ombre come ti piace tanto fare?»

Lo straniero scoppiò a ridere e la sua risata era così ricca di suoni, che Khamûl li sentiva ma non riusciva a distinguerli tutti.

«Ti dirò di più: ti permetterà di camminare tra le ombre, dove nessun mortale può andare» disse. «Ma per il signore dei Regni del Sole, le ombre sono servitori che non esisterebbero senza la sua luce».

Khamûl mugugnò.

«E dimmi, cosa dovrei darti in cambio per questo dono così generoso e magnanimo?»

«Un dono non richiede nulla in cambio» notò lo straniero, con un sorrisetto che diceva l’esatto contrario. «Ma se proprio vuoi darmi qualcosa in cambio, ti chiedo solo una preghiera».

Khamûl inarcò le sopracciglia.

«A chi?»

«A chi avete sempre venerato: il Signore di Tutto».

«Quindi saresti uno dei suoi misteriosi sacerdoti?»

Lo straniero strinse la testa nelle spalle. «In un certo senso, sono il solo nel mio genere. L’unico che può farti questa offerta».

Khamûl lo scrutò meglio. Il volto era sereno e poteva essere la serenità di chi non aveva nulla da nascondere, di chi aveva imparato così bene a dissimulare i segreti che proteggeva che non doveva nemmeno impegnarsi.

Non aveva idea di chi avesse davvero davanti.

Non aveva nemmeno idea se questo anello che lo straniero gli offriva avesse davvero le capacità di cui parlava lui. Poteva essere della paccottiglia che funzionava solo se era quello che si voleva vedere o solo se, come doveva aver fatto il sacerdote, avevi studiato le arti magiche per farlo funzionare.

Khamûl non era un mago, non lo era mai stato. Né credeva di avere l’inclinazione per diventarlo. Ma ricordava le voci che giravano sul Doragmalik e i poteri inspiegabili che aveva avuto. La stessa nube che ne aveva annunciato la caduta era stata un segno degli strani poteri che lo avevano circondato, come se –quando era morto– i suoi incantesimi avessero perso la forza che li reggeva.

Se il Doragmalik aveva davvero usato un anello come quello dello straniero, quando Khamûl avrebbe iniziato a manifestare quegli stessi poteri, nessuno avrebbe più messo in discussione il suo diritto a reggere i Regni del Sole.

Al che avrebbe passato l’anello ai suoi figli, perché anche loro potessero avere la sua forza a disposizione e nessuno avrebbe potuto opporsi.

Era qualcosa da provare.

Dopotutto che male poteva fargli? Doveva solo continuare a pregare il Signore di Tutto, come faceva già e come tutti facevano. Magari avrebbe avuto davvero qualche decennio in più davanti per assicurarsi di lasciare la sua eredità in buone mani.

«Se quell’anello funziona davvero, non mi limiterò a darti una preghiera in cambio. Ti costruirò un grande tempio a Vaharabadi e ristrutturerò quello di Doragzûl».

Lo straniero sorrise, luminoso.

«Non vedo l’ora di vedere il segno che lascerai nella storia del mondo» gli disse e si sfilò l’anello.

Lo offrì a Khamûl, sul palmo della mano dalle dita affusolate.

Sembrava inerte e non sfolgorante come quando lo straniero lo aveva indossato. Ma lo chiamava e Khamûl si sentiva pronto a rispondere.

Avrebbe costruito quella strada attraverso la giungla. Avrebbe riappacificato le ribellioni. Avrebbe opposto resistenza agli Uomini della Morte. Avrebbe tenuto insieme il regno per il suo degno erede.

E avrebbe dimostrato di essere l’unico Doragmalik che avrebbe potuto succedere al precedente. La sua stirpe avrebbe segnato la storia delle Terre del Sole e del Serpente.

Khamûl lanciò un’ultima occhiata sottecchi allo straniero, che non sembrava molto interessato al suo indugiare. Come se non gli importasse se lui avesse accettato l’anello o meno.

Così Khamûl allungò la mano e lo prese.

Se lo rigirò tra le dita, lo sollevò contro lo sfondo del cielo stellato.

Lo infilò.

E il mondo cambiò aspetto.

La notte era ancora cupa e scura, ma c’era una luce nuova alla sua sinistra.

Quando si voltò verso lo straniero, non era più lo stesso che aveva avuto davanti. Al suo posto c’era una creatura di fuoco, che irradiava luce dalla pelle dorata, gli occhi che non si limitavano a luccicare come braci, ma ardevano. I capelli stessi erano fatti di fiamme e bruciavano intorno alla testa e lungo le spalle.

«Cosa sei?»

Lo straniero si alzò dal baule.

«Una leggenda» disse lui. «Quel che diventerai anche tu d’ora in avanti».

E Khamûl vide come faceva lo straniero a sparire nelle tenebre.

Semplicemente… svaniva.

Se qualcuno glielo avesse raccontato, non ci avrebbe mai creduto. Ma lo aveva visto succedere con i suoi stessi occhi.

Ora vedeva molte cose in modo diverso.

Avanzò verso la giungla, a piedi, noncurante di non essere armato. Voleva vedere cosa sarebbe successo se vi si fosse addentrato con l’anello al dito.

Raggiunse il cantiere e proseguì tra gli alberi, finché non giunse al fiume. Lì, posò la mano su un tronco, non desiderando altro se non la sua distruzione.

Un alone nero si espanse dal punto di contatto e su, fino ai rami che si allungavano verso il cielo. L’albero avvizzì, le foglie rinsecchirono e caddero come una pioggia di cenere. E poco a poco anche l’albero si ridusse in polvere, sotto i suoi stessi occhi.

Dall’altra parte del fiume vide brillare –fioche– delle forme umane. Ma non aveva dubbio di chi fossero.

I Sempregiovani che abitavano la giungla.

Erano lì, a guardarlo.

Bene.

«Avete finito di ostacolare i miei piani!» urlò nella loro direzione. «Voi e questa giungla maledetta!»

Non ottenne alcuna risposta.

I Sempregiovani si ritrassero tra gli alberi da cui erano emersi, fioche fiammelle nella notte.

E da allora, per tutta la durata dei lavori, nella giungla regnò solo il silenzio.


* * *


Una nube di polvere annunciò l’arrivo di un gran numero di uomini a cavallo. Le guardie alle porte però non portarono a Khamûl notizie sugli Uomini della Morte.

«Il principe Ramaj!» annunciò un messaggero.

Dopo anni a combattere lungo le provincie costiere e nel profondo Sud, ecco di ritorno il suo secondogenito. Khamûl era tentato di accorrere all’ingresso della città, ma rimase nella corte ad attendere che la truppa di suo figlio lo raggiungesse, e non era da solo. Con lui c’erano anche Harshani, e i loro figli, con la moglie e i bambini di Ramaj.

Erano tutti pronti a riaccoglierlo a casa.

Ma, mentre i soldati si avvicinavano al palazzo, quelle che gli erano sembrate urla di gioia della gente di Vaharabadi si trasformarono in urla di dolore.

Allora Khamûl corse verso la porta, giusto in tempo per vedere le bandiere –bianche con la serpe rossa che si mordeva la coda– a mezz’asta mentre i soldati di Ramaj entravano nella corte del palazzo e si allargavano a mezzaluna, a eccezione di due di loro, che portavano tra i cavalli una barella di fortuna coperta da un drappo nero .

Khamûl incontrò lo sguardo di Harshani, che aveva le mani premute al ventre, il volto pietrificato. E si affrettò verso la barella.

«Doragmalik» disse uno dei soldati, saltando giù dalla sella. «Dobbiamo portarti un grande dolore».

Khamûl si chinò sulla barella e allontanò il drappo da quella che sembrava una testa.

Ramaj.

Al di sotto del drappo c’era il suo secondogenito, il volto esangue –eccetto per un angolo della bocca macchiato di marrone rossiccio–, i capelli a ciocche sporche di sangue raggrumato. Bastò abbassare ancora un po’ il drappo per vedere la ferita aperta alla gola.

Al suo fianco, Harshani emise un verso strozzato.

Quella visione e quel suono rubarono la forza alle ginocchia di Khamûl. Si ritrovò a crollare sul selciato, il drappo nero stretto tra le mani, incapace di emettere suono.

Poco male, perché Harshani emise il lamento a cui lui non riusciva a dar voce. Qualcosa gli serrava la gola e la mano corse alla catena che reggeva l’anello.

Forse avrebbe potuto fare qualcosa con i suoi poteri, forse–

Lo infilò e il mondo si fece opaco e ovattato, le persone intorno a lui sbiadite ma presenti, mentre suo figlio... non c’era. Khamûl allungò le mani dove ricordava di averlo visto, steso su quella barella e lo sentì, ne percepì il corpo freddo col tatto, ma non lo vedeva con chiarezza.

Sul suo indice destro, l’anello brillava come in fiamme.

Ma nulla poteva contro la morte.

Era il signore di tutto, ma non aveva alcuna possibilità contro la morte di suo figlio.

Khamûl sfilò l’anello e i suoni assaltarono prepotenti le sue orecchie. Ai lamenti funebri di Harshani, interrotti da singhiozzi, si erano uniti i pianti della moglie di Ramaj, mentre i figli guardavano confusi il loro padre immobile e insanguinato, senza sapere bene cosa fare.

Samir avvolse le braccia intorno alle spalle dei due più grandi e mormorò loro qualcosa, per poi prendere la più piccola in braccio. I bambini andarono con lui, dopo aver gettato un ultimo sguardo incredulo a Ramaj.

Ma Khamûl non riusciva a distogliere lo sguardo da suo primogenito.

Non era toccato da quella morte!

Forse era addirittura sollevato che fosse sparito un rivale molto più bravo di lui. Qualcuno che valeva di più, qualcuno che a ruoli invertiti sarebbe stato lì a disperarsi con i suoi fratelli, e non avrebbe portato via i bambini dal loro padre.

Khamûl si alzò, determinato a raggiungere Samir, togliergli i bambini di Ramaj e riportarli davanti al corpo del padre, ma le braccia di Harshani gli si strinsero intorno alla vita. Lei gli premette il viso contro il petto e le sue lacrime gli bagnarono la camicia, i singhiozzi gli scossero l’anima.

La rabbia che lo aveva posseduto fino a un attimo prima evaporò e Khamûl si ritrovò a stringere la moglie a sé, per poi affondare il viso nei suoi capelli e far sue quelle lacrime e quei singhiozzi.

Tutto ciò che lui non era in grado di tirare fuori.


* * *


La rabbia per la morte di Ramaj poteva aver risparmiato Samir, ma aveva bisogno di uno sfogo e Khamûl lo trovò molto presto.

Radunò le truppe che gli avevano riportato il suo secondogenito e raggiunse quelle rimaste indietro a tenere il territori sotto attacco degli Uomini della Morte. Non sentì quasi le condoglianze che offrirono gli altri ufficiali. Voleva solo tutte le informazioni possibili sul nemico, dove si trovasse, quali fossero stati gli ultimi movimenti.

Poche settimane dopo, la rabbia bruciava con più intensità di prima, ma era diventata un’amica e un’amante, l’anello all’anulare il modo in cui lo accarezzava e lo rassicurava.

Avrebbe vendicato il suo Ramaj.

Avrebbe reso impossibile per gli Uomini della Morte di dimenticare il suo nome.

Non avrebbero più dormito la notte, sapendo che se avessero messo piede nelle sue terre avrebbero ottenuto solo perdite e sofferenza.

Trovarono gli Uomini della Morte in un’insenatura a Nord-Ovest delle Terre del Serpente. Erano venuti con molte navi, donne e bambini, e avevano già stabilito un grande accampamento che aveva tanto il sapore di città in embrione.

Non sarebbe sorta alcuna città in quel territorio.

«Attaccheremo domani, prima dell’alba» annunciò Khamûl agli ufficiali, dopo aver esposto i suoi piani.

C’era un dettaglio, però, che aveva tenuto per sé.

Il mattino successivo, mentre le stelle sbiadivano poco a poco, Khamûl sollevò la mano destra al cielo e parlò in una lingua che non aveva mai saputo di conoscere, ma che era un sussurro costante nella sua testa quando indossava l’anello.

Il deserto rispose.

E avvolse lui e i suoi soldati in una nube. Come narravano le storie del precedente Doragmalik.

Gli Uomini della Morte non li videro nemmeno arrivare.






Nota dell'autrice


Sono felicissima di aver avuto l’occasione, in questa storia, di presentare un’altra delle tribù degli Avari: i Kindi! Avevo accennato a loro in "Caccia Grossa nell’Est" e finalmente ho potuto scriverli (secondo la mia visione), per quanto due ere prima e in tutt’altra fase della loro storia.
Penso sia facile immaginare che lo scherzetto giocato da Khamûl non sia stato propriamente d’aiuto a questa tribù di elfi.

Quanto al resto, è tornato Sauron, visto? Sempre una gioia rivedere il suo bel faccino, in qualsiasi forma si presenti, eh eh eh.

Per l'anello, ho provato ad allinearmi il più possibile a quel che si intravede dal pov di Frodo nel capitolo "Un coltello nel buio" (qualche influenza filmica ci sarà stata perché sarebbe impossibile non averne), ma tenendo a mente che questo è un anello degli Uomini e che, secondo me, chi lo indossa influisce sulla visione che ha dell'Invisibile (e non solo).
È complicato. Ho provato a fare qualcosa di sensato per le scarse info canoniche, per il personaggio e per la mia visione.

Grazie a chi sta seguendo la storia e ci vediamo la prossima settimana per l'ultimo capitolo di Khamûl,

Kan


   
 
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Il Signore degli Anelli e altri / Vai alla pagina dell'autore: Kanako91