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Autore: Parmandil    09/10/2022    0 recensioni
Il pianeta Thalassa è un’isola di pace per gli avventurieri della Destiny, sperduti nel Multiverso senza le coordinate quantiche di ritorno. Ed è ancora più importante ora che l’esaurimento dei cristalli di dilitio minaccia di far restare la Destiny senza energia, il che equivale a morte certa. Ogni quarant’anni il pianeta appare nel Vuoto, rimanendovi un mese, per poi tornare nel nostro Universo. I suoi coloni appaiono pacifici e bendisposti. Per i nostri eroi è l’occasione perfetta per tornare a casa, o almeno per procurarsi il prezioso dilitio; ma gli abitanti si fideranno di loro? Non sarebbero più ospitali se li credessero veri ufficiali della Flotta Stellare? Intrappolati nella loro stessa rete di bugie e mezze verità, gli avventurieri dovranno decidere fin dove sono disposti a spingersi pur di ottenere ciò che vogliono.
Genere: Avventura, Azione, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo Personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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Star Trek Destiny Vol. IV:
Contatto
 
 
LA DESTINY DOVEVA ESPLORARE IL MULTIVERSO,
MA QUALCOSA È ANDATO STORTO
E L’EQUIPAGGIO È STATO UCCISO.
ANNI DOPO, UNA BANDA DI CONTRABBANDIERI
HA ABBORDATO LA NAVE ALLA DERIVA,
VENENDO RISUCCHIATA NEL MULTIVERSO,
SENZA LE COORDINATE DI RITORNO.
AGLI AVVENTURIERI NON RESTA CHE
ESPLORARE UNA REALTÁ DOPO L’ALTRA,
IN CERCA D’INDIZI SULLA VIA DI CASA,
MENTRE CERCANO DI RISCOPRIRE IN LORO
QUELLO SPIRITO CHE CREÓ LA FEDERAZIONE...
 
 
-Prologo:
Data Stellare 2605.67
Luogo: USS Harmony, presso Ferenginar
 
   «Attenzione, questa è un’esercitazione militare non programmata. Simulazione di attacco Breen, tutti gli addetti alla Sicurezza si rechino ai propri posti».
   La sirena dell’Allarme Rosso destò bruscamente il Tenente Rivera. Come addetto al turno Gamma – il famigerato turno di notte – aveva appena preso sonno. Per un attimo l’Umano, ancora intontito, pensò a un vero assalto; ma la voce del computer lo informò di come stavano le cose. La sua ansia diminuì di poco: le prove di quel genere erano una faccenda seria. Reagire con scarsa efficienza poteva minare la carriera; e lui si considerava un ufficiale di carriera. Se non altro, voleva schiodarsi dal sonnacchioso turno di notte e passare a quello principale. Così gli conveniva spicciarsi.
   «Caramba, ci risiamo!» borbottò Rivera, lasciando a malincuore le calde coperte. Era un giovane sui trent’anni, dal fisico scattante e i capelli castani dal corto taglio militare. Da quand’era sull’Harmony gli sembrava che le simulazioni di combattimento arrivassero con un’impressionante frequenza. Forse stavolta c’entrava la recente scomparsa della Destiny, svanita subito dopo il varo; ma Rivera non ne sapeva molto, trattandosi di una faccenda classificata.
   Rivestitosi precipitosamente, l’Umano lasciò il suo alloggio e corse alla vicina armeria. Come Tenente della sezione Sicurezza, era responsabile di quella precisa armeria, la numero 8. In caso di combattimento, vero o simulato, doveva aprirla e distribuire le armi ai colleghi. Quando arrivò ce n’erano già alcuni che aspettavano impazienti davanti alla porta.
   «Svelto, Rivera!» lo incalzò uno. Era un semplice Guardiamarina, ma del turno Alfa, e questo gli dava la sfrontatezza di riprendere un superiore.
   «Arrivo, arrivo!» borbottò l’Umano, infastidito. Aprì l’armeria col suo codice segreto. Sulla maggior parte dei vascelli di Flotta non occorrevano simili accorgimenti, ma la Harmony era di classe Universe e accoglieva le famiglie dell’equipaggio. Erano migliaia di civili, tra cui parecchi bambini; non gli si poteva permettere di scorrazzare in certi ambienti. Così tutte le zone riservate necessitavano di un codice d’accesso o comunque di una verifica dell’identità. Sbloccato l’ingresso, il Tenente entrò per primo e prese a distribuire gli armamenti: phaser, fucili polaronici, granate stordenti. Per risultare al massimo dell’efficienza, i suoi movimenti dovevano essere rapidi e meccanici. Prendere, girarsi, consegnare, rigirarsi. Prendere, girarsi, consegnare, rigirarsi. Prendere, girarsi, consegnare, rigirarsi...
   Rivera ebbe l’impressione di consegnare centinaia d’equipaggiamenti, anche se in realtà erano meno. Quando finalmente la lunga fila di colleghi fu smaltita, l’Umano si armò a sua volta. In quella l’astronave ebbe uno scossone, segno che il timoniere virava bruscamente per simulare il combattimento.
   «Computer, aggiornamento tattico!» chiese Rivera, recatosi a un pannello di controllo. Immagini e dati scorsero rapidi davanti ai suoi occhi. La simulazione era decisamente impegnativa: prevedeva che tre navi Breen attaccassero la Harmony mentre altre due cercavano di colpire il vicino pianeta. Dunque bisognava disimpegnarsi dal combattimento e neutralizzare le navi-bombardiere, prima che colpissero Ferenginar. Ovviamente nessuno correva rischi, trattandosi di una pura simulazione computerizzata; ma Rivera ci teneva a dare il meglio. Così lasciò di corsa l’armeria. Le sue istruzioni operative prevedevano di pattugliare la sala macchine, proteggendola da eventuali abbordaggi nemici. Abbordaggi che, nelle esercitazioni, potevano essere simulati con ologrammi. Il Tenente era certo che in una prova così impegnativa ci sarebbe stato lo scontro a fuoco; quindi si precipitò davanti alla sala macchine per prendere il comando della sua squadra. Nell’ansia e nella fretta, concentrato com’era sulle prossime mosse, scordò di richiudere l’armeria con il suo codice segreto.
 
   Come previsto, l’esercitazione proseguì con una simulazione di scontro a fuoco. I finti Breen apparvero nel corridoio, assai realistici nelle loro tute termiche dai grossi caschi, e la squadra di Rivera dovette affrontarli per proteggere la sala macchine. «Armi su minimo stordimento, non voglio incidenti!» si raccomandò Rivera, prima di aprire il fuoco. I suoi agenti lo imitarono, scatenando una gragnola contro gli avversari. Quando un finto Breen era colpito, si dissolveva. Il computer contava i colpi messi a segno, in rapporto al totale degli spari, e in tal modo elaborava un punteggio personalizzato per ogni agente. Se un agente veniva colpito, doveva buttarsi a terra e fare il morto. Non si poteva imbrogliare, perché il computer sapeva sempre chi era stato beccato. Subire un colpo e far finta di niente significava, nel migliore dei casi, beccarsi una ramanzina dal capo della Sicurezza; nel peggiore una nota di biasimo.
   «Forza che ce la facciamo! Mantenete la concentrazione!» gridò Rivera, sovrastando il frastuono. Alcuni dei suoi agenti furono colpiti e dovettero gettarsi a terra, senza più combattere. La situazione peggiorò ulteriormente quando altri Breen vennero dalla parte opposta del corridoio, prendendo i federali nel fuoco incrociato. Bisognava prendere una decisione.
   «Ritirata! Tutti in sala macchine!» ordinò l’Umano, indietreggiando senza smettere di sparare. Tutti quelli ancora in piedi varcarono l’ingresso dell’ingegneria. Rivera passò per ultimo e non appena il portone si fu richiuso lo sigillò con un codice.
   «E adesso, signore?» chiese un giovane Guardiamarina.
   «Adesso dipende dai parametri dell’esercitazione» rispose l’Umano, un po’ ansante. «Se va come al solito, dovremmo aver finito. Se i superiori vogliono strafare potrebbero mandarci altri Breen qui dentro o potrebbero aprire il portone. Restate in guardia!» ammonì.
   Passò quasi un’ora, nella quale gli agenti non osarono rilassarsi. Continuavano a sorvegliare l’ingresso, nel caso che gli toccasse un ulteriore scontro a fuoco. Ogni tanto la nave si scuoteva per rendere il tutto più realistico. Ma non ci furono altri attacchi; infine l’illuminazione tornò normale e il computer annunciò la fine dell’esercitazione.
   «Simulazione terminata. Il personale tattico può tornare ai propri posti. A breve riceverete la vostra valutazione d’efficienza».
   La tensione si spezzò subito. Gli agenti abbassarono le armi e si stiracchiarono, scambiandosi commenti sulla prova appena sostenuta.
   «Sissignori, è finita!» sbadigliò Rivera, ancora assonnato. Non vedeva l’ora di tornare al suo alloggio e tuffarsi sotto le coperte. Ma prima c’erano ancora delle incombenze da sbrigare. Riaperto il portone blindato, scambiò qualche parola coi colleghi rimasti fuori, ovvero quelli che erano stati “colpiti” nello scontro a fuoco. Poi andò a una consolle tattica per ricevere il punteggio della sua squadra, appena calcolato dal computer, e ritrasmetterlo ai singoli agenti. Per diversi minuti commentò con loro l’esercitazione, confrontandola con quelle dei mesi passati. Mise in evidenza i punti in cui avevano brillato e quelli in cui c’era ancora margine di miglioramento.
   «Direi che è tutto. Per la valutazione completa vi rimando al briefing di domani» concluse, soffocando un altro sbadiglio. «Ora seguitemi, rimettiamo a posto questa ferraglia» disse, alludendo alle armi.
   In testa alla squadra, l’Umano tornò all’armeria numero 8. E qui lo attendeva la prima brutta sorpresa, perché quando si avvicinò alla porta questa si aprì in automatico, prima che lui avesse inserito il codice di sicurezza.
   «Ha scordato di sigillarla, signore» commentò un agente a mezza voce.
   «Me ne sono accorto!» fece Rivera, seccato. Quella piccola distrazione avrebbe affossato un punteggio che altrimenti era ottimo.
   Entrato in armeria, l’Umano s’imbatté nella seconda – e di gran lunga peggiore – disgrazia. Qualcuno si era intrufolato nell’armeria mentre lui era via, approfittando dell’ingresso lasciato aperto. Era un bambino di circa sei anni, figlio di una coppia di bordo. Giaceva a terra, inanimato, accanto a una rastrelliera dei phaser. Rivera vide subito il perché: un raggio phaser ad alta energia gli aveva disintegrato il piede. La piccola mano impugnava ancora l’arma con cui si era sparato accidentalmente.
   L’Umano non avrebbe mai dimenticato il terrore che si era impossessato di lui in quel momento. Si era inginocchiato sulla piccola vittima, cercandone i segni vitali: il cuore batteva appena e c’era un debolissimo respiro.
   «Rivera a infermeria, emergenza medica! Codice rosso, è coinvolto un minorenne che necessita rianimazione. Per il teletrasporto agganciate le coordinate del mio comunicatore!» gridò, appuntandolo sulla maglietta del bambino.
   Il piccolo svanì nel bagliore azzurro del teletrasporto. Per lunghi attimi vi fu silenzio. Rivera era ancora inginocchiato a terra e cercava d’immaginarsi le conseguenze dell’accaduto... perché delle conseguenze ci sarebbero state senz’altro. Come si sarebbe giustificato coi superiori? Come avrebbe affrontato i genitori del bambino, specialmente se questi non fosse sopravvissuto?! Poco alla volta il giovane si rese conto che un incidente come quello poteva costargli la carriera. Era arrivato a questo punto quando sentì su di sé gli sguardi degli agenti che lo spiavano dall’ingresso, troppo intimoriti per parlare. Allora si riscosse. Si rialzò, ripose le sue armi e infine si girò, affrontando la sua squadra.
   «Lasciate qui i vostri equipaggiamenti, svelti. Dopo aver richiuso l’armeria andrò a consegnarmi in attesa del processo» disse con la gola secca.
 
   Parecchie ore dopo, Rivera era chiuso in una delle celle di bordo. Stava ascoltando il capo della Sicurezza – un Tiburoniano dal cranio calvo e le orecchie stropicciate – che lo aggiornava sulla situazione. C’era una buona notizia: dopo ore di delicati interventi, il bambino era fuori pericolo. Ma questa era l’unica nota positiva in un quadro pur sempre drammatico. Con crescente incredulità l’Umano ascoltò il superiore che, dall’altra parte del campo di forza, gli riferiva l’esito delle indagini. Alla fine rialzò lo sguardo, incredulo.
   «Vediamo se ho capito» commentò Rivera. «Quel bastardello è stato tanto furbo da pedinarmi nei miei spostamenti, localizzare l’armeria ed entrare approfittando dell’unico momento in cui non era sigillata. Ed è stato tanto deficiente da prendere un phaser, togliere la sicura, regolarlo a piena potenza, mirarsi alla gamba e fare fuoco».
   «Questa è la nostra ricostruzione» confermò l’Ufficiale Tattico. «Ora deve capire che lei si trova in una posizione difficile. L’armeria era sotto la sua responsabilità e c’è un minorenne coinvolto. Fortunatamente il bambino è sopravvissuto, ma il piede è andato, per cui dovrà sempre portare una protesi. I genitori hanno sporto denuncia contro di lei...».
   «Queste cose non accadrebbero, se la Flotta non facesse puttanate come tenere i bambini sulle navi stellari!» esplose Rivera, dando un violento pugno contro il campo di forza. «Poi la responsabilità è mia, se accadono incidenti?!».
   «Così dice il codice e nessuno può farci niente» confermò il Tiburoniano. «Ora subirà la corte marziale. Se avrà fortuna, riusciremo a evitarle il carcere. Ma sarò sincero con lei, la sua carriera nella Flotta è finita. Sarà espulso con disonore». Questo comportava la perdita dei privilegi sociali derivanti dall’essere stato in servizio.
   «Frell. E se facessi ricorso?!».
   «Le dico per esperienza che queste cose non finiscono mai bene. Nel suo interesse, le consiglio di accettare la sentenza» avvertì l’Ufficiale Tattico.
   Ci fu un lungo silenzio. Rivera continuava a passeggiare avanti e indietro nel piccolo spazio della cella, torcendosi le mani. A un tratto si fermò e fissò il superiore attraverso il campo di forza. «Cinque anni d’Accademia e altri cinque di servizio buttati via!» esclamò con amarezza. «Bell’affare, la Flotta. Vi siete presi la mia vita e mi lasciate senza niente!».
   «Suvvia, non sia così negativo» consigliò il Tiburoniano. «Troverà altre strade. Le sue competenze sono assai richieste in certi ambienti».
   «Quali ambienti?» chiese Rivera, poco convinto.
   «I mercanti indipendenti, ad esempio» rispose il superiore. «Dopo la Guerra Civile non siamo ancora riusciti a ripulire le rotte spaziali, per cui i mercanti sono sempre in cerca di ufficiali tattici con esperienza. Fossi in lei mi rivolgerei a loro. Vedrà, l’accoglieranno a braccia aperte».
   «Ci proverò» mormorò l’Umano, a capo chino. «Ma non sarà certo la vita che speravo quando mi sono arruolato».
   «La maggior parte delle persone non fa la vita che aveva sperato, ma solo quella che gli capita» convenne tristemente l’Ufficiale Tattico. «Possiamo elaborare tutti i protocolli, tutte le misure di sicurezza possibili e immaginabili... ma l’imprevisto è sempre dietro l’angolo. Gli incidenti accadono, purtroppo».
   «Già, gli incidenti accadono» disse cupamente Rivera. 
 
   
 
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