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Autore: Flofly    11/10/2022    4 recensioni
“a-lḗtheia” è l' assenza di cose nascoste, ciò che è svelato nell’accezione di aderenza a sé. Tre donne così diverse tra loro, eppure accumunate dallo stesso sangue.Tre sorelle nel momento in cui cadono tutte le maschere e si scoprono nel loro essere.
La prima storia partecipa contest "Birdwriting – Pesca un dialogo" indetta da Sia_ sul Forum Ferisce più la penna.
Genere: Angst, Drammatico, Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Andromeda Black, Bellatrix Lestrange, Narcissa Malfoy | Coppie: Lucius/Narcissa, Rodolphus/Bellatrix, Ted/Andromeda
Note: Missing Moments, Raccolta | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Malandrini/I guerra magica
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Bellatrix

Quando aveva sentito il Marchio Nero bruciare come mai aveva fatto prima, Rodolphus Lestrange aveva capito da subito che il mondo non sarebbe stato più lo stesso. Un grumo di dolore incandescente incideva la sua carne, riversando un magma corrosivo all’interno delle sue stesse vene prima di esplodere nel suo petto, mozzandogli il respiro... e poi più nulla… il vuoto.

E subito dopo il terrore nel non sapere dove fosse lei, l’unica persona che avesse mai amato, la sola di cui gli fosse davvero importato. Era la sera di Samhain del 1981, la sera in cui la sua vita sarebbe cambiata per sempre.

Era uscito di corsa dalle stanze padronali senza una meta precisa, i passi che riecheggiavano folli sulle mura di pietra mentre gli elfi al suo passaggio cercavano inutilmente di dileguarsi, pietrificati all’idea di cosa avrebbe potuto fare in quello stato. La chiamava, inutilmente, inseguendo l’ombra del suo profumo.

L’aveva lasciata da Lord Voldemort quella mattina con la promessa di vedersi dai Malfoy per cena, Bellatrix che lo salutava con un cenno distratto, sempre bellissima e vibrante di potere. Ma lei non era mai arrivata.

Inizialmente aveva pensato che Lord Voldemort l’avesse trattenuta, la mente che si chiudeva alla sola idea del motivo. Non voleva saperlo, non aveva mai voluto saperlo. L’unica cosa che importava davvero era che tornasse ogni sera a casa da lui.

Ma le ore erano passate inutilmente, mentre una nuova era li attendeva nelle pieghe della notte, lasciandoli illudere di poter restare eternamente giovani e potenti come il Marchio Nero inciso a fuoco nella loro anima.

Narcissa aveva provato a distrarlo, ma né le sue eleganti maniere né l’incessante insieme di parole senza senso del piccolo Draco erano riuscite a trovare una scusa plausibile per quella sedia inesorabilmente vuota. Li aveva guardati a lungo, mentre giocavano alla perfetta famiglia felice. Come se le mani di Lucius non grondassero di sangue tanto quanto le sue anche quando accarezzava la gamba della moglie sotto al tavolo o quando prendeva in braccio il figlio finalmente silenzioso per portarlo a dormire.

Poveri illusi, nessuno avrebbe mai creduto a quella farsa, erano solo schiavi delle loro stesse bugie. Aveva osservato Narcissa: sottile, elegante, pacata, sempre impegnata in una danza incessante che le evitasse di partecipare alla guerra, rimanendo perennemente ai bordi a osservare dietro le lunghe ciglia dorate. Una bellissima quanto inutile statua.

L’esatto contrario di Bellatrix, la sua Guerriera, il fuoco che ardeva dietro gli occhi scuri come l’ossidiana, la forza che irradiava in ogni suo minimo gesto, la passione delle sue labbra contro le sue. Bellatrix era la quintessenza della magia e come una vera strega l’aveva legato a lei dal primo sguardo di un pomeriggio lontano di settembre quando il destino aveva intrecciato le loro strade.

Erano passati giorni ormai e l’assenza di Bellatrix allargava a ogni respiro la voragine che si era formata nella sua anima, se mai ne avesse avuta una. Ora che l’impensabile era accaduto, adesso che Il Signore Oscuro era caduto e neanche la sua amata stella incandescente era lì a illuminare il suo cammino, l’oscurità di cui finora si era nutrito sembrava soffocarlo come le acque gelide del Lago Nero.

«Sono certo che sta bene, Rod, smettila di camminare avanti e indietro come se avessi un Avvincino attaccato alle spalle.»lo blandì Rabastan seduto nella grande poltrona di pelle del suo studio, lo stesso che una volta era stato di loro padre, mentre sfogliava distratto le lettere appena portate dal loro gufo gettandole noncurante in terra una dopo l’altra. «E di’ a tua cognata di piantarla di scriverci…Merlino sarà il decimo biglietto in cui chiede se abbiamo notizie della sorella. Aveva ragione Lady Black...tanto bella ma per Salazar Serpeverde... è stupida come un elfo domestico.»

Rodolphus si sentì invadere da una rabbia folle… come poteva il suo stesso fratello starsene lì tranquillo, ospite a casa sua, a leggere la sua posta e commentare il bollettino dei caduti nei giorni di caos che erano seguiti alla scomparsa del Signore Oscuro, indifferente al fatto che nessuno avesse notizie di Bellatrix da giorni.

«Tu non ti preoccuperesti se io sparissi, fratello?»

Rabastan sembrò perplesso. «Certo che no. Tanto se fossi morto non credo che cambierebbe molto se mi agitassi come fai tu. E poi stiamo parlando di Bellatrix… probabilmente sarà impazzita e si sarà gettata da una scogliera», commentò, scandendo le parole, quasi stesse parlando con un bambino un po’ lento. Poi, visto il ringhio basso che sembrava provenire dalla gola del fratello maggiore aggiunse conciliante aggiunse: «Però sono certo che prima di farlo abbia sventrato almeno un paio di babbani, ha sempre avuto stile.»

Un leggero crack, un’increspatura dell’aria attorno come durante un temporale e la sua rosa nera era lì, di nuovo a casa, lacera e coperta di sangue rappreso, ma al sicuro.

Era tornata da lui, ancora una volta.

«Oh per Merlino…dove diavolo eri finita?» Rodolphus aveva chiuso velocemente lo spazio tra di loro, percorrendo con poche falcate ansiose l’intera lunghezza della stanza fino a stringerla a sé, le mani sulle guance, tra i capelli, sulla vita e le labbra che premevano con forza sulle sue. Ma questa volta sotto il suo tocco non c’era nessuna fiamma ardente, nessuna supernova bruciante.

Quella che stringeva tra le braccia non era più la sua amazzone ma solo una sua pallida ombra, un guscio vuoto tenuto in piedi solo dalla disperazione.

«Il Signore Oscuro… Il Marchio Nero...» parole spezzate e febbrili che uscivano da quelle labbra così amate.

«Andato. Sparito. Adieu.» la voce annoiata di Rabastan era stata poco più di un bisbiglio eppure ebbe l’effetto della prima scintilla dell’ardimonio su una catasta di legna secca.

Bellatrix si raddrizzò, staccandosi da Rodolphus e guardando il cognato con disprezzo. Un secondo dopo la sua bacchetta ad artiglio era puntata sulla gola di Rabastan.

«Non… osare…» sibilò, sputando le parole con una tale rabbia che fu davvero un miracolo che la testa elegante del giovane Lestrange non venisse recisa di netto dalla lama affilata del suo odio.

Rodolphus le si avvicinò di nuovo, stringendola per le spalle e sussurrandole nell’orecchio: «Non c’è niente che possiamo fare, Bella, Lo abbiamo cercato per giorni ma di lui non c’è traccia.»

«Il bambino! Il bambino è la chiave! Dobbiamo trovarlo!» Bellatrix si divincolò dalla sua stretta e iniziò a camminare rapida per la stanza, le mani che si muovevano come tarantolate nell’aria seguendo il flusso sincopato della disperazione. «Ne sono sicura! C’erano solo i cadaveri di quei due mentecatti e quello stupido di Sirius è stato portato ad Azkaban... non c’era traccia del dannato bambino. Capisci? Se troviamo lui riusciremo a sapere cosa è accaduto!»

Rodolphus si avvicinò di nuovo, tentando nuovamente di intrecciare le dita alle sue per riacciuffare un briciolo della donna che aveva sempre amato.

«E poi cosa succederà, Bella? Ti rendi conto di quello che sta accadendo lì fuori? Senza la sua protezione non siamo più al sicuro!»

«Io devo trovarlo!» urlò di nuovo la strega mentre dietro di lei i preziosi vasi di porcellana settecentesca esplodevano in mille frammenti taglienti.

A sentire quelle parole il buco nell’anima di Rodolphus sembrò allargarsi sino a inghiottire ogni suo pensiero. Si fermò a guardare la sua bellissima moglie che dopo essere sparita per giorni non sembrava avere altro pensiero che Lui, Il Signore Oscuro, l’immateriale presenza onnipresente nel loro matrimonio.

«Perché mi fai questo, Bella? Perché non puoi lasciar stare? Siamo insieme, siamo vivi… andiamo via, scappiamo in Francia o in America o dove Merlino vorrà e ricominciamo. Non ci manca niente. Sono disposto a qualsiasi cosa pur di non rivivere questi giorni. E’ stato peggio di una Cruciatus, Bella e la cosa terribile che sei stata tu a maledirmi e sembra che non ti interessi.» La voce dell’uomo era poco più che un sussurro eppure l’eco del suo dolore era talmente chiara che persino Bellatrix si fermò, incerta.

«Che cosa vuoi dire?»chiese, gli occhi diventati una fessura.

«Quando pensavo che fossi tu, che fossi morta… è stato insopportabile.» ammise Rodolphus, mentre il volto trasfigurato dal dolore davanti a lui ritornava per un attimo quello della ragazzina che aveva fermato il tempo con il suo primo bacio sotto la neve di Hogwarts.

La donna rimase in silenzio a lungo, troppo a lungo, immobile.

«Io sono quello che sono, non posso rinunciarci» disse infine, con un tono di amarezza della voce che non le si addiceva. «Sai quante volte hanno cercato di cambiarmi? Di trasformarmi in qualcun altro! Ma io non posso, Rod, io non posso rinunciare a me. Neanche per te.»

«Non ti sto chiedendo di rinunciare, non lo farei mai.»

«Preferisci rinunciare a me? Sacrificheresti questo? Se lo facessi, è come se fossi morta per davvero.» Bellatrix finalmente si mosse verso di lui fino ad arrivargli davanti fissandolo senza alcuna ombra nello sguardo, non più come un serpente pericoloso ma come quella ragazza che percorreva la sala grande di corsa solo per saltargli in braccio ignorando le urla dei professori.

Rinunciare a lei? Alla sua Bellatrix, la sua fiamma ardente nella notte? Come poteva anche solo pensarlo? La sola idea gli dilaniava l’anima con artigli infuocati lasciandone brandelli senza alcuno scopo.

Il tocco delicato della sua mano sulla guancia lo riportò alla realtà, l’unico legame che gli impedisse di perdersi. Quando si era innamorato di una Black l'avevano preso per folle. L’antichissima e sempre pura famiglia dei Black. Inflessibile, capace di spazzare via ogni debolezza, ogni caduta dalle altezze siderali di cui portavano i nomi.

«Mai, amore mio. Mai.» mormorò, baciandole il palmo della mano, inspirando a fondo il suo profumo di tuberosa narcotica e suadente, antico come il suo sangue. E poi nascosto quel sentire cuoiato e animalico che solo Bellatrix Black in Lestrange poteva avere e che aveva rincorso ogni notte nei suoi sogni.

«Mi aiuterai a trovarlo quindi?» Gli occhi di Bellatrix brillavano di nuovo, le belle labbra di nuovo in un sorriso mentre lui annuiva senza riuscire a staccarle gli occhi di dosso.

La sua Bella, era lì con lui, ancora una volta.

«Io avrei un’idea di chi può sapere dov’è il piccolo, giovane e tenero Harry Potter».

Rodolphus e Bellatrix si girarono di scatto verso Rabastan, che si era avvicinato sornione con una fotografia in mano e uno strano ghigno.

Per un attimo il loro sguardo si incontrò con quello dei soggetti della foto, un insieme mal assortito di traditori del sangue e di Babbanofili. James e Lily Potter erano morti, così come i Prewett. Sirius Black era stato portato ad Azkaban, Remus Lupin era sparito e Alastor Moody era troppo folle da affrontare in quel frangente.

Restava solo una coppia.

«E’ ora di andare a giocare.» pigolò Bellatrix con una vocetta sottile da bambina dandogli un bacio leggero a fior di labbra.

Un secondo crack ed era andata di nuovo via. Sempre la prima, incapace di essere qualcuno di diverso da quello che era sempre stata, di rinunciare anche solo a un'oncia del suo essere.

Bellatrix Black, l’indomabile. La guerriera. La stella più brillante incapace di piegarsi indispensabile alla sua sopravvivenza come l’aria stessa.

Impossibile rinunciare a lei, cento volte meglio cadere tra le sue fiamme fino a perdersi del tutto. Perché perderne anche un solo frammento avrebbe significato scomparire.

 

Nota del 412/22: Grazie a Sia ho potuto correggere una serie di problemi presenti nella prima stesura ( trovate tutte le sue correzioni puntuali nei commenti e la ringrazio enormemente per tutto il tempo che ci ha dedicato) relative a typo, impaginazione e grammatica. Per quanto riguarda invece lo stile, credo proprio che su quello dovrò lavorare ancora un bel po’!
Eccoci qui nelle note finali. Come detto la storia partecipa al contest "Birdwriting – Pesca un dialogo" indetta da Sia_ sul Forum Ferisce più la penna”
Io ho scelto il pacchetto “Cormorano di Mancón” ( a proposito ma non è adorabile già il nome?) e il dialogo era il seguente:
Che cosa vuoi dire?”
“Quando pensavo che fossi tu, che fossi morta… è stato insopportabile.”
“Io sono quello che sono, non posso rinunciarci.”
“Non ti sto chiedendo di rinunciare, non lo farei mai.”
“Preferisci rinunciare a me? Sacrificheresti questo? Se lo facessi, è come se fossi morta per davvero.”
Per me il punto fondamentale era quello di cogliere un momento in cui ogni sovrastruttura cade e ci si ritrova in un momento cruciale capendo che non si può rinunciare né al proprio essere né all'altra persona.
Ed è da questa riflessione che deriva il titolo grazie al suggerimento di una cara amica : Aletheia è spesso tradotta come la verità ma guardando l’etimologia della parola “a-ltheia significa assenza di cose nascoste, ciò che è svelato nellaccezione di aderenza a sé. Bellatrix in un momento cruciale per lei, la scomparsa dellOscuro Signore, agisce in un modo terribile ma corrispondente alla sua verità e di conseguenza al suo tutto. Al contempo però capisce di amare Rodolphus, forse come mai prima.
Ovviamente il fatto che Rodolphus sia follemente innamorato di Bellatrix al punto da fare qualsiasi cosa per lei è puramente una mia costruzione mentale, così come il fatto che Rabastan sia un sociopatico che mi bullizza Narcissa.
Nota a margine 2:- aggiornata Appena letto il dialogo subito ho pensato alle sorelle Black. Inizialmente l’idea era quella di giocare con il dialogo su tre prospettive diverse quanto le tre sorelle nel momento in cui capiscono di non poter rinunciare ad essere quello che sono, il momento in cui con le loro azioni non lasciano più spazio a nulla di nascosto, viste dalla prospettiva di coloro che le amano e che amano.Ora che il contest è ampiamente finito ho iniziato a scrivere le storie su Andromeda e Narcissa ( mi conservo la possibilità di aggiungere Nymphadora, visto che è una mezza Black).
L'idea di base è semplice: prendere lo stesso dialogo e utilizzarlo per raccontare il momento fondamentale in cui ciascuna delle sorelle Black si scopre pienamente, senza più veli e maschere. Stesso dialogo, stessa attesa da parte dei compagni della loro vita, stessa nota olfattiva che le accumuna: la tuberosa. E' un fiore spesso definito narcotico, lussureggiante, poco usato nei profumi commerciali e che secondo me rende bene l'idea di tre donne nate nella sempre pura e nobile famiglia Black. Ma così come le loro scelte portano a momenti completamenti diversi nell'uso del dialogo, anche la nota evolve in combinazioni sempre diverse.


Nota a margine 3 : il profumo che ho pensato per Bellatix è Boa Madre di Cristian Cavagna.


 
   
 
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