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Autore: Johnee    11/10/2022    0 recensioni
Raccolta di tre one shot che seguono rispettivamente Elanor Cousland, Hawke e Ankh Lavellan. Tre petali di tre fiori diversi che si ritrovano a galleggiare nella stessa acqua stagna.
Genere: Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai | Personaggi: Custode, Fenris, Hawke, Inquisitore
Note: Raccolta | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Gigli


Quando Isabela era apparsa sul suo uscio e gli aveva detto "vai a prendere il tuo ragazzo prima che si faccia male", con la faccia di qualcuno che aveva appena scoperto di avere due giorni di vita, Fenris aveva immediatamente pensato al peggio.
Di certo non si aspettava di trovare Hawke completamente ubriaco e seduto su un barile di birra, mentre divideva un vassoio intero di porchetta con un incantatore, un brigante e un templare. Il suo bastone da mago, la Chiave, giaceva poco distante da lui, infilato in un paiolo di salsa di pomodoro, segno che probabilmente era stato usato per mescolarla.
Sembrava l'inizio di una storiella analoga a quelle che raccontano gli uomini di mezza età pensando di essere simpatici, se non fosse che Hawke era praticamente immune all'alcol e quello era il contesto peggiore per cimentarsi in un'abbuffata.
Fenris rimase diversi istanti immobile sull'ingresso dell'Impiccato a chiedersi cosa stesse succedendo, mentre attorno a lui i guaritori e i cerusici si affaccendavano a occuparsi dei feriti dopo ciò che era successo negli ultimi terribili giorni a Kirkwall. Infatti, la taverna era l'unico posto abbastanza spazioso da poter ospitare molte delle vittime della Città Inferiore, cosa che aveva spinto Varric a mettere dentro un cassetto il suo cuore affaristico e dedicarsi a un'opera di bene senza dietrologie.
Fenris fece un passo indietro in tempo per evitare che una guaritrice elfica lo travolgesse, quindi si decise a muoversi verso Hawke, che nel frattempo aveva preso a stramazzare un canto di mare osceno.
-Brontolo!- chiamò Varric, sollevando il suo boccale di birra, da dietro il bancone del locale. -Prendi da bere e canta con noi!-
Anche lui era alticcio, per usare un eufemismo.
Fenris arricciò il naso, assumendo un'espressione seccata. Se a Kirkwall c'era una persona refrattaria all'avvelenamento da alcol, oltre a Hawke, quella era Varric. Vedere che anche lui versava in quelle condizioni non presagiva niente di buono. Il fatto che fosse comprensibile che entrambi si fossero rifugiati nell'alcol, anzi, giustificabile, purtroppo non aiutò Fenris a digerire meglio la situazione.
-...la polena della sirena fece la corte alla balena, la balena era una nana e come si suol dire era tutta...- Hawke ammiccò, bloccando il canto a metà nel notare che Fenris era entrato nel suo campo visivo. A bocca aperta, occhi stretti a fessura e il forchettone sospeso in aria con incastrato un boccone sproporzionato di porchetta, Hawke si fissò su di lui con aria confusa, stentando a identificarlo finché non fu nelle sue immediate vicinanze.
Fenris recuperò la Chiave, se l'assicurò sulla schiena, poi si portò al fianco del suo compagno, per appoggiargli una mano sulla spalla. -Sana.- concluse il canto, con una nota di rassegnazione nel tono di voce.
Hawke esalò una risata che lo fece piegare in avanti, procedendo a sghignazzare mentre oscillava sulla botte senza riuscire a trovare l'equilibrio. Fenris mantenne ferma la presa, per evitare che cadesse.
-Moribondi lì, mutilati là, emozionalmente feriti laggiù.- annunciò Varric, agitando il boccale di birra davanti a un paio di cittadini stravolti, che si sorreggevano al bancone in cerca d'aiuto.
Fenris lo sfiorò con lo sguardo, poi tornò a concentrarsi su Hawke. -Ti porto a casa?- suggerì.
-Casa? Non sono a casa?- biascicò Hawke, guardandosi attorno, spaesato. -Fenris? Fen... ah, eccoti! Cercavo giusto te. Bisogna che porti fuori Cane, è...- si bloccò, spalancando lo sguardo di fronte a sé. Rimase diversi istanti in silenzio, mentre la forchetta gli scivolava di mano. Mano che rimase a mezz'aria, ignara di essere vuota.
Fenris appoggiò anche l'altra mano su Hawke, stavolta per confortarlo.
-Devon, tocca a te pagare.- Hawke si rivolse al templare, che sonnecchiava con i resti della sua porchetta come cuscino. Lo scosse. -Devon? Dev... si chiama Devon, no?-
-Si chiama Frank.- intervenne l’incantatore, cercando inutilmente di afferrare il bicchiere di vino che gli stava davanti.
-Frank? Che cazzo di nome è Frank? Cos'è, un impiegato del censo?-
-Gliel'ho detto che era un nome stupido, ma non ha voluto sentir ragioni.-
-Va cambiato.- suggerì il brigante, per poi vomitare ai piedi dell’incantatore.
Hawke non parve accorgersene. -Dopo andiamo da Bran e gli diciamo che deve richiama... richie... ricalla... Devon. Da oggi in poi siamo tutti Devon. Fenris? Dov'è Fen... ah, eccoti! Devi cambiare nome in Devon.-
Fenris si accucciò, prese il braccio di Hawke, se lo mise attorno alle spalle e lo fece alzare dal barile di forza. -D'accordo, Devon.- disse, senza metterci troppo entusiasmo.
-Ehi, e l'ammazzacaffè?- protestò Varric, sbilanciandosi per finire abbracciato a una colonna.
-Dopo, Nano, dopo.- lo rassicurò Fenris, trascinando Hawke verso l'uscita.
Quella notte era fresca, resa pungente dal tanfo di zolfo e di visceri che butteravano le strade della Città Vecchia, segnata dal silenzio di chi non aveva più la forza di piangere. L'unica forza di Kirkwall ormai risiedeva nell'inerzia, condivisa da chi era sopravvissuto e da quelli che si erano presi carico dell'ingrato compito di iniziare a pulire le strade.
Nel cielo notturno, macchiato dell'inquinamento luminoso, si poteva ancora vedere la colonna di fumo che risaliva dalle macerie della Chiesa.
Fenris aiutò Hawke a procedere lungo le strade immonde, fermandosi di tanto in tanto per sorreggergli la fronte, o per rubare un sorso d'acqua a chi ne aveva realmente bisogno. Fu un percorso lungo e denigrante, perché purtroppo Hawke era davvero resistente all'alcol, tanto da digerirlo in maniera stupidamente rapida. La lucidità infatti ritornò troppo presto, assieme alla presa di coscienza che non c'era modo di sfuggire a quello che era successo nei giorni precedenti e che sarebbe sopravvissuto per anni nelle strade già ferite di Kirkwall e nella testa di chi aveva tentato in tutti i modi di salvare i suoi abitanti.
Fenris sapeva di dover continuare a tenere in piedi Hawke, finché non sarebbero arrivati in un posto altrettanto doloroso. Anche se non c'erano vie di fuga, lui sarebbe rimasto a raccogliere i pezzi per rimetterli insieme alla meglio, a costo di ferirsi le dita, così come faceva Hawke con lui.
-Giuro che se ti cambi davvero il nome, ti lascio la casa.- disse Hawke, una volta che furono a metà di una delle grandi scalinate che portavano alla Città Alta.
Fenris gli gettò un'occhiata rapida, aggrappandosi al tessuto del suo Mantello, sul fianco. -Non serve più Hawke, siamo da soli.- lo rassicurò.
L'altro ci mise un po' a metabolizzare l'informazione. -Ti ho fatto scendere fin qui.- mormorò, permettendo al suo viso di scrollarsi di dosso la maschera. -Sono un imbecille.-
Fenris non disse nulla.
Hawke sbuffò una risata secca. -Non so cosa mi sia preso, davvero.- biascicò. -So solo che non potevo restare lì, da solo, con i fantasmi. E non potevo mica venire da te, sennò ti avrei coinvolto in...- si indicò, rischiando di sbilanciare entrambi. Allora si fermarono, proprio sull'ultimo gradino e concordarono silenziosamente che era arrivato il momento di sedersi.
La vista era incredibile, nell'accezione peggiore del termine.
Il mare che abbracciava la Forca era tempestato di navi, stelle posticce che contrastavano una notte buia e senza lune, bagnando di luce fioca i contorni di ciò che restava delle statue degli schiavi. L'atmosfera della città, sotto ai due osservatori, era intrisa di polvere, proveniente dalle macerie illuminate sommariamente dalle lanterne a olio. Le poche persone che si arrischiavano a scendere in strada, oltre agli avvoltoi, avevano lo sguardo di chi vuole perdersi per non perdersi. Ogni cosa faceva catarsi, di quei tempi, dall'alcol alla scogliera più alta del porto.
-Non è colpa tua.- affermò Fenris, lasciando camminare lo sguardo sul degrado, mentre al suo fianco Hawke si copriva il viso con una mano.
-L'ho aiutato.- rispose Hawke, rauco. -Tutto questo l'ho causato io.-
-Ti ha ingannato.-
-Non trovarmi scuse. Avrei dovuto ricercare gli ingredienti, invece di lasciarmi accecare dall'amicizia.-
-Quel che è fatto è fatto, Hawke. Non possiamo rimediare.-
-Avrei dovuto fermarlo!- berciò Hawke, liberando il viso di colpo. Le lacrime gli bagnavano completamente le guance, mentre il suo respiro faticava a uscire correttamente, costringendolo a un moto veloce delle spalle e della testa.
Anche Fenris si sentì mancare il fiato, nel vederlo in quel modo. -C'ero anch'io quel giorno, Hawke.- rispose, protendendosi verso di lui. -C'eravamo tutti.-
-Io non sono "tutti", io avevo la possibilità concreta di convincerlo e invece ho girato la testa dall'altra parte per convenienza.-
-Hawke, basta.-
-No, non basta! Non basta mai! Io non...- tutto d'un tratto, Hawke si calmò, come se qualcuno avesse spento tra il pollice e l'indice la fiamma di una candela. -...ce la faccio più.-
Le lacrime continuavano a scorrere, senza freni, ma lui restava immobile, a fissare il terreno con il vuoto negli occhi. Fenris osservò il suo dolore trasformarsi in vacuità, sentendosi male da quanto doloroso fosse vederlo in quelle condizioni per qualcosa che non dipendeva assolutamente da lui.
-Bisogna portare fuori Cane.- disse Hawke, monocorde. -Non posso disperdere le sue ceneri in un posto del genere.-
Fenris raccolse le sue mani tra le proprie, appoggiando la testa sulla sua spalla. -Potremmo riportarlo nel Ferelden.- propose.
Hawke ci rifletté. -Verresti con me?-
-Non è che abbia così tante cose da fare qui. E poi, Cane se lo merita. È un bravo cucciolo.-
-Già, il migliore.-
Si scambiarono un'occhiata veloce, la stessa che si dividevano quando ogni cosa andava male e potevano contare solo sull'altro.
-Andiamo da me, coraggio.- disse Fenris, aiutandolo a rialzarsi. -Carver capirà.-

Ma Carver non ebbe la possibilità di capire, perché era già partito, senza dire niente a nessuno, sparendo come un'ombra in una notte senza lune e senza stelle.
Ma questo loro non lo sapevano, perché erano altrove.
Hawke aveva preso sonno subito dopo che Fenris l'aveva avvolto tra le braccia, in un divano liso del salone della villa di Danarius. L'abuso di alcol e la stanchezza avevano chiesto a gran voce la precedenza, imponendogli di prendersi una pausa dal dolore.
Nel buio, con il focolare spento, Fenris era invidioso, ma anche rasserenato che il suo compagno potesse finalmente trovare un po' di pace. Per qualche ora, permise semplicemente ai suoi pensieri di fluire, aiutato dal respiro pesante di Hawke che gli riscaldava il collo.
Questo finché non bussarono alla porta.
Le orecchie di Fenris si contrassero appena, mentre lui voltava uno sguardo stanco verso l'ingresso. Normalmente, avrebbe ignorato tutto e tutti, perché Hawke era in cima alla sua scala di importanza, ma quel bussare era strano. Non apparteneva a nessuno dei suoi compagni, né ai suoi insopportabili vicini.
Con tutta la cura che possedeva in corpo si sfilò lentamente dall'abbraccio, recuperando un cuscino da infilare sotto alla testa di Hawke, poi si diresse in punta di piedi alla porta.
Il suo sguardo si riempì di sorpresa quando attraverso lo spioncino riconobbe la sagoma di un templare. L'istinto gli suggerì di ignorare quell'ospite, perché avrebbe costituito un pericolo per l'uomo che amava, ma il lato sinistro del cervello gli impose di osservarlo bene e cercare di capire la situazione, prima di fare qualcosa di cui si sarebbe pentito.
Si trattava effettivamente di un templare in uniforme, con l'atteggiamento di chi è lì per un controllo casuale, ma anche lo sguardo di qualcuno che ha un'urgenza. Quell'ultimo dettaglio spinse Fenris ad aprire.
-Buonasera.- disse l'uomo, restando fermo a due passi dall'uscio.
Fenris lo squadrò da capo a piedi, soffermandosi sui tatuaggi che gli macchiavano il viso. -Posso aiutarti?- gli chiese, senza perdersi in formalismi.
Il templare parve apprezzare quell'approccio. -Rylen. Capitano. Sono qui per dirti che è il caso che ve ne andiate.- disse, asciutto.
Fenris inarcò un sopracciglio.
Rylen indicò con un cenno del capo l'interno della villa. -Lui, soprattutto, è il caso che se ne vada.-
-È una minaccia?-
-No, è un suggerimento da parte di qualcuno che sa come lavora la Chiesa in queste situazioni.- precisò Rylen, abbassando il tono di voce. -Lui è un eretico, sospettato di essere complice di chi ha perpetrato l'attentato alla Chiesa. Alla meglio, potrebbe finire in un Circolo e vista l'aria che tira nell'Ordine... beh, è il caso che non si faccia trovare qualora sguinzaglino i mastini.-
Fenris si irrigidì. -Come sai tutte queste cose?-
-Mi sono state riferite da chi mi ha mandato qui, nel cuore della notte, a tranquillizzare gli aristocratici con una ronda più finta dell'attestato di proprietà di questa villa.- rispose tranquillamente Rylen, infilandosi le mani in tasca. -A tal proposito: tutto bene, signore? Qualcosa da riferire?- aggiunse, cambiando drasticamente registro nell'esibire una professionalità unica.
Fenris appoggiò la spalla sullo stipite della porta, incrociando le braccia nell'assumere una posa rilassata. -Sì. Dì a chi ti manda che non deve preoccuparsi. Lui è con me.-
Rylen chinò il capo sbrigativamente in un cenno di assenso, quindi proseguì la sua ronda, senza dare troppo nell'occhio.
Fenris lo seguì con lo sguardo, mentre un moto di preoccupazione andava a formarsi nel suo stomaco. Quando si chiuse la porta alle spalle, trascinò la schiena sulla sua superficie, spinto a terra dal peso dell'avviso che gli era appena stato riferito.
Mentre cercava di raccogliere le forze per processare la situazione, appoggiò lo sguardo sul tavolino che anticipava le stanze del personale della villa, dove di solito appoggiava chiavi e mantello quando tornava a casa. C'era un giglio avvizzito, infilato in una bottiglia di Pavalli riempita d'acqua stagna, con i petali rugosi che osservavano tristemente il pavimento. Sembrava risentire pesantemente della situazione, così come il resto della città.
Era un regalo d'anniversario, l'ultimo sopravvissuto di un mazzo straboccante di gigli che Hawke gli aveva portato per festeggiare, prima che Anders impazzisse. Gli avevano profumato casa per giorni e il sorriso sfiorava le labbra di Fenris ogni volta che li curava, mettendo quelli che andavano degradandosi nei cassetti dei vestiti, per donare alla stoffa ciò che restava del loro profumo, e nascondendo i più belli tra le pagine dei libri che avrebbe sicuramente riletto, per essiccarne il ricordo.
In realtà, Fenris non riteneva la loro relazione come qualcosa definito da fiori, appuntamenti o regali; piuttosto, era costituita da una concretezza di intenti.
Ma dopo quell'atto di romanticismo, per Fenris quei fiori avevano assunto un'importanza vitale. Erano un prologo, una predizione, un segno che entrambi potevano semplicemente essere normali, che potevano avere un futuro che sapeva di pane appena sfornato e di domeniche passate a estirpare le erbacce in giardino, ballando senza musica in un salone pieno di scatoloni, esausti dalla quotidianità, mentre Cane rischiava di farli inciampare. E nonostante tutte le precauzioni, sarebbero rovinati a terra ridendo, per poi finire a osservare in silenzio il soffitto, con il corpo pervaso da un rilassante senso di conforto e appartenenza.
Quell'idea rimise l'urgenza nel corpo di Fenris, spingendolo a rialzarsi e a muoversi verso il salotto, perché era vitale che continuasse a sorreggere Hawke. Per un giardino pieno di gigli.
   
 
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