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Autore: magicaemy    13/10/2022    0 recensioni
La notte è fatta per dormire ma, a volte, il sonno riporta a galla sottoforma di incubi i ricordi peggiori, quelli da cui la mente umana spesso cerca di rifuggire. Non c'è via di fuga da essi, soltanto quando si riapre gli occhi si ritorna a vivere il presente.
Genere: Angst | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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INCUBUS




Kei non sa quantificare il tempo. C’è stato un momento, nella sua vita, in cui invece era solito scandirlo, contare i minuti, calcolare con esattezza ogni ora della giornata restando semplicemente chiuso nella sua stanza, senza mezzo alcuno per poter confermare. Erano sufficienti i rumori, gli odori, le voci. È durante quel periodo che, crede, le sue abilità percettive hanno iniziato a svilupparsi.
Quei giorni ora sono lontani, Kei ha smesso di valutare, di definire, di determinare, lascia che il tempo scorra senza dare ad esso più alcuna importanza.
Non sa quindi dire da quanto  si trova tra quelle quattro mura. Lì dentro non c’è null’altro se non orologi appesi alle pareti. Sono tanti, di tutti i tipi e dimensioni e il loro ticchettìo si fa più intenso ad ogni secondo che passa. Scuote il capo, perplesso, cercando di ricordare come ci sia finito in quel posto. Trova assurdo non riuscire a farlo e, per qualche istante, si domanda cosa può averlo spinto ad entrare in quella vecchia bottega di orologiai. I suoi interrogativi muoiono nell’attimo in cui tutti gli orologi iniziano a suonare, così forte è il rumore che risuona nella stanza che si trova costretto a portare entrambe le mani alle orecchie per attutire quei suoni. Suoni acuti, lugubri, intensi in grado di perforare la mente.
Poi, d’improvviso, tutto tace. Kei attende un paio di istanti così da essere certo che sia tornato il silenzio, solo allora, quando solleva gli occhi e osserva le pareti spoglie, vuote, lascia scivolare le braccia verso il basso, molli lungo i fianchi. Incerto, esitante, resta immobile senza capire. Ma ancora qualcosa accade. Seppur vaghe, lontane, voci di bimbi raggiungono le sue orecchie. Non riesce a riconoscere subito ciò che stanno dicendo. Come un’eco lontana sente un canto, una nenia che va a risvegliare in lui un ricordo dell’infanzia. Un gioco che spesso faceva da bambino e che mai gli è piaciuto fare. A lui è sempre toccato il ruolo dell’Oni in quelle occasioni, costretto a stare in centro con i compagni che tenendosi per mano gli girano intorno cantando quella fastidiosa canzone. La ode anche ora risuonare tra le mura della stanza.
 
“Kagome, Kagome  l’uccello è nella gabbia,
 
Quando, oh quando verrà fuori?
 
Nella notte dell’alba
 
La gru e la tartaruga scivolano
 
Chi è davanti alla schiena?”
 
Deglutisce a vuoto mano a mano che le voci si fanno più vicine e quando sembrano essere proprio a un passo da lui, d’un tratto, cambiano. Ora non sono più bambini a cantare, ora la voce è quella di un uomo adulto, di un uomo a cui Kei non può sfuggire. Il terrore lo coglie, le gambe iniziano a tremare. Porta immediatamente la mano alla gola, il respiro si mozza. È un ricordo, quello che riaffiora, che si sforza ogni giorno di cancellare. Adesso ė così reale, sembra di riviverlo. Davanti ai suoi occhi appare un se stesso ragazzino, raggomitolato in un cantuccio della sua cameretta, le mani premute sulle orecchie per non sentire il canto. E i passi che piano piano si avvicinano. Li conta, uno ad uno, sottovoce dondolando con il busto avanti e indietro.
  
“Kei, Kei   piccolo uccellino in gabbia,
 
Quando, oh quando verrai fuori?
 
Nella notte dell’alba
 
La gru e la tartaruga scivolano
 
Chi è davanti alla schiena?”
 
 
Prova a gridare ma nessun suono esce dalle sue labbra. Non respira e intanto la voce si fa roca, cavernosa e canta, canta ed è sempre più vicina. Si guarda attorno, disperato, cercando una via di fuga. Sulle pareti sono comparsi di nuovo gli orologi che tornano a battere tutti insieme il tempo all’unisono. Il rumore copre anche il canto.
 
“Kei” si sente chiamare “Kei, stai bene?”
 
Sbatte le palpebre per prendere coscienza di dove si trova. Gli orologi ora sono fermi, nessuna voce se non quella che sta pronunciando il suo nome. Cerca di controllare il respiro e il battito cardiaco. Porta una mano sulla fronte dalla quale cola qualche goccia di sudore. Sospira e si lascia sfuggire un sorriso stanco. Anche se non gli è ancora chiaro crede ora di sapere cosa è successo. Si tratta di un incubo, è l’unica spiegazione plausibile. Ora quasi ride di se stesso.
Solleva gli occhi verso la presenza che continua a chiamarlo e, nuovamente, si fa incredulo. Davanti a sé si staglia la figura di un grosso lupo. Lo fissa stordito per qualche istante. Con le mani va in cerca di qualcosa a cui appigliarsi. Il lupo digrigna i denti, gli ringhia contro mentre le zampe raspano sul pavimento come a volersi dare la carica prima di attaccare. Kei non sa che fare, resta fermo con la paura negli occhi  poi si lascia cadere in terra sulle ginocchia. Ride. Una risata tetra, profonda, incontrollata, che rimbomba tra le pareti. Solleva gli occhi sul lupo che ora lo guarda, con i denti ancora in bella mostra.
“Non mi avrai mai” gli grida contro, e proprio in quell’attimo il lupo spicca un balzo verso di lui, su di lui, quasi ruggendo, con le fauci spalancate.
Solo allora, apre gli occhi, e si sveglia tornando alla realtà.
 
 
   
 
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