Serie TV > Il paradiso delle signore
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Autore: InvisibleWoman    14/10/2022    1 recensioni
Irocco (sì, ancora loro, lo so, ma ormai è come se fossero dei personaggi separati dal canon, quindi riesco facilmente a continuare). Roma, San Valentino (più o meno). Insomma, leggete se vi va.
Genere: Fluff, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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“Hai preparato la valigia?” Stefania sbucò all’improvviso alle sue spalle, mentre Irene era intenta a riordinare i foulard che l’ultima cliente le aveva fatto tirare fuori. 
Sbuffò poco incoraggiata, e anche un po’ infastidita all’idea dell’ennesimo lungo viaggio a cui avrebbe dovuto far fronte. Certo, Rocco le mancava terribilmente e non avevano più avuto modo di vedersi dopo quel Natale praticamente perfetto, ma quella relazione a distanza iniziava a starle un po’ stretta. Nella sua mente già da qualche tempo si facevano largo tanti pensieri, tutti atti a colmare quel divario, in un modo o nell’altro. Si domandava come avrebbe potuto lasciare quella casa, le sue amiche, la sua vita a Milano e cosa avrebbe fatto a Roma. Ma si chiedeva anche se Rocco effettivamente la volesse lì tutti i giorni, per sempre. 
Irene infilò una mano all’interno della divisa e tirò fuori il ciondolo che portava al collo, dove teneva l’anello durante l’orario di lavoro. Lo osservò brillare ai riflessi della luce e si sentì stupida per aver fatto pensieri tanto sciocchi. Certo che Rocco la voleva con lui, ma la voleva adesso? Ora che la sua carriera ciclistica era appena cominciata? Irene alternava il desiderio matto di correre verso la prima chiesa disponibile e urlare ‘sì lo voglio’ davanti a un qualsiasi prete che non fosse don Saverio, così da rendere tutto ufficiale e poter finalmente vivere la vita come meglio credeva, alla luce del sole. Poter stare con Rocco, sotto ogni aspetto, e vivere insieme, come mai avevano realmente fatto da quando erano diventati una coppia. D’altro canto, però, non si sentiva ancora pronta. Quelli erano pensieri teorici, ma quando li tramutava in concretezza, allora il cuore iniziava a batterle all’impazzata e l’idea di diventare una signora, una moglie, di doversi trasferire e lasciare tutto, di rischiare di diventare madre, beh, allora in quel momento tutto l’entusiasmo che aveva provato si affievoliva come polvere spazzata via da una folata di vento.
“Lo prendo per un no?” aggiunse allora Stefania, guardandola di sottecchi. Lei riusciva sempre a capire quando la sua amica le nascondeva qualche pensiero di troppo. Ma era anche vero che con Irene era piuttosto facile: se qualcosa non andava glielo si poteva leggere tranquillamente in faccia. 
“Certo che l’ho preparata” mentì. Non del tutto. Aveva buttato dentro qualcosa alla rinfusa, ma dire che fosse pronta, beh, quello sarebbe stato proprio un azzardo.
“Perché devi sempre fare tutto all’ultimo minuto?” bofonchiò Stefania, con una punta di rimprovero. “Vuoi che ti aiuti stasera?” si offrì poi con un sorriso.
“Ma starò i soliti due giorni, non vado mica via per un mese” rispose Irene rimettendo la collana al suo posto e voltandosi per dare le spalle alla sua amica.
Avevano parlato a lungo dei risvolti di quella proposta, quando Rocco era partito per Roma e non c’erano più orecchie indiscrete ad ascoltare le loro conversazioni. Stefania non era tornata a vivere con loro, ma trascorrevano comunque parecchio tempo insieme, specialmente nell’ultimo periodo. Erano sempre stata l’una la confidente dell’altra, ma adesso avevano effettivamente qualcosa da raccontarsi. Stefania e la sua cotta per Marco, Irene e i suoi drammi interiori per quel futuro matrimonio. 
“Avete stabilito che non vi sposerete subito, no? Perché ti preoccupi tanto? Dovresti essere felice” le aveva detto una sera, sdraiata accanto a lei sul letto dopo una delle loro cene. Di lì a poco sarebbe andata via per tornare a casa del padre. Non sopportava quella situazione.
“E lo sono. Davvero” disse con un sorriso, sentendo il cuore riempirsi di gioia pensando all’uomo che amava.
“Non sembra” le fece notare Stefania.
“Perché con Rocco è tutto più complicato. O forse semplicemente l’amore lo è più di quanto credessi” ammise Irene con una strizzata di spalle. Aveva passato la vita a ripetere quanto non vedesse l’ora di trovare un uomo, di sposarsi, di avere qualcuno al proprio fianco, e adesso che ce l’aveva capiva quanta strada ci fosse in mezzo tra il dire e il fare. Una relazione richiedeva sacrifici e, soprattutto, cambiamenti. Veri cambiamenti. E in cuor suo sapeva perfettamente di essere disposta a farli, per Rocco non aveva dubbi, però non poteva negare che la spaventassero a morte. Non era più una ragazzina che parlava per fantasie, adesso la sua vita aveva preso una piega più adulta, alle cui parole dovevano seguire dei fatti.
“Ben detto, amica mia. Ben detto” aveva sbuffato Stefania, riflettendo la situazione della sua migliore amica sulla propria. Tra lei e Marco le cose si erano fatte strane, questa era l’unica parola che aveva per descrivere il loro rapporto. La cosa peggiore era che erano ancora più strane con Gemma, e il problema era che con lei ci viveva. Non le piaceva tenere nascosto ciò che sentiva, ma poi in fondo non sapeva nemmeno lei come definire ciò che sentiva. C’era una particolare connessione, ma l’aveva decretata come un’intesa professionale. Erano entrambi appassionati per il loro lavoro e ciò che Marco le stava insegnando le stava letteralmente cambiando la vita e ogni prospettiva per il futuro. Era comprensibile che scambiasse quelle sensazioni per altro, no? 

“No” le aveva una volta risposto Irene, diretta come suo solito. “Cioè, può essere, eh. Ma non è questo il caso” si era stretta nelle spalle. “Ho visto come vi guardate.”
“Oddio, come ci guardiamo? Pensi che abbia visto qualcosa pure Gemma?” iniziò spaventata Stefania. Iniziava a temere Gemma più di quanto le volesse bene. Il che era un problema. Un grosso problema. 
“Forse ha intuito qualcosa, ma non ha il mio occhio. Ma lo sai che basterebbe qualsiasi scintilla per farle scatenare un incendio” le aveva fatto notare con una smorfia e allora Stefania aveva iniziato seriamente a preoccuparsi.
In quel momento stava tampinando Irene proprio per sfuggire alle mille domande della sua sorellastra e mentre la guardava dall’altro lato della galleria, iniziò a pensare che forse vivere in casa con lei non era stata poi una così grande idea. 


“Allora, la preparasti a valigia?” le chiese Agnese sedendosi al tavolo dove Irene stava pranzando durante la pausa insieme a Stefania. Sapeva che stava ridacchiando senza che nemmeno avesse bisogno di guardarla. Roteò gli occhi al cielo e affondò i denti nel pezzo di pane per evitare di rispondere. 
“Più o meno” rispose Stefania al posto suo. 
La signora Agnese era convinta che avrebbe alloggiato in una pensione vicino casa di Rocco, così le aveva detto lei e aveva intimato a Rocco di fare lo stesso, qualora sua zia glielo avesse chiesto. “Amunì, lo sai che non so dire le bugie” si era lamentato lui dall’altro capo del telefono, ma poi aveva acconsentito. Sapeva che se non lo avesse fatto, difficilmente sua zia l’avrebbe lasciata partire. Si sarebbe sdraiata davanti ai binari del treno pur di impedirle di raggiungerlo a Roma a fare porcherii, cose assolutamente disdicevoli per una donna della sua mentalità. Ma per Agnese era vergognoso anche solo darsi a effusioni pubbliche, figurarsi condividere lo stesso letto del proprio fidanzato, seppur ognuno con le mani al proprio posto. 
“Come ho già detto a Stefania, è quasi pronta e non vedo perché dovete interessarvi così tanto a ciò che metto in borsa” scosse la testa un po’ irritata, ma anche confusa da tante pressioni. 
“Ma no, dicevo così” rispose Agnese con aria innocente. La verità era che voleva aiutarla e controllare che non mettesse niente di sconveniente lì dentro. Come le sue camicie da notte che solo alle dive del cinema aveva visto indossare. E ogni volta non portavano mai a niente di buono manco in quelle pellicole.
“Ecco, allora, fatevi gli affaracci vostri e lasciatemi mangiare questo panino in santa pace” sbottò lei, mentre Stefania continuava a ridersela da sotto i baffi. 
 

Alla fine nessuno le aveva controllato la valigia, nessuno che avesse messo bocca tra i capi che aveva deciso di portare con sé. Non che ci fosse niente di bizzarro, ma se Agnese ci avesse messo mano, le avrebbe certamente fatto portare una sottana da monachella come quelle che indossava di solito Maria. 
Era metà febbraio e le temperature erano ancora piuttosto fredde, specialmente in quel di Milano. Irene si strinse nel cappotto mentre si avvicinava alla fermata del treno. Era già la seconda volta che andava a trovarlo a Roma e sperava che questa volta le cose andassero in modo meno problematico. Se avesse trovato Rocco fuori dalla stazione, sarebbe già stato un enorme traguardo e un grande passo avanti rispetto all’ultima volta. La verità era che moriva dalla voglia di vederlo. Ogni giorno che passavano lontani diventava sempre più difficile, e lei sempre più impaziente e nervosa, come le facevano gentilmente notare le sue adorate colleghe. 
Una volta seduta dentro il vagone, tirò fuori dalla borsetta il piccolo regalo che aveva deciso di portare a Rocco. Come lei aveva quella palla di neve accanto al comodino che le ricordava ogni giorno di loro due, voleva che anche Rocco avesse qualcosa per ricordare lei. Per sentirla più vicina, come lei lo sentiva quando al lavoro teneva l’anello nascosto vicino al cuore. Non che il dottor Conti le avesse vietato di indossarlo durante l’orario lavorativo, ma a Irene non piaceva l’idea di maneggiare vestiti e rischiare che si impigliassero nei ganci dell’anello o, peggio ancora, che le si sfilasse dalle dita e lo perdesse. Certo, avrebbe preferito sfoggiarlo davanti al mondo intero, anche perché l’anello pur nella sua semplicità meritava, ma da un certo punto di vista le piaceva l’idea che quello fosse una sorta di loro segreto, qualcosa che riguardava solo loro due e che lei teneva vicino a sé ogni giorno. 
Chiuse un attimo gli occhi mentre appoggiava la testa al vetro per rilassarsi un istante e non si rese nemmeno conto di essersi appisolata. Si svegliò di soprassalto quando sentì il fischio del treno e d’istinto cercò con le mani e con gli occhi ciò che aveva di più prezioso. Se l’avessero derubata, proprio come la signora Agnese ipotizzava sarebbe potuto accadere, chi l’avrebbe più sentita? Glielo avrebbe rinfacciato vita natural durante.
Rispetto alla prima volta, togliendo il breve riposino appena fatto, il treno le sembrò essere arrivato molto più velocemente. Forse perché era più serena, meno preoccupata per il viaggio in sé, ma anche per Rocco. Quell’anello non era solo un gioiello, era un impegno importante e sapeva quanto contasse per Rocco l’integrità. Era una persona onesta. Certo, nell’ultimo periodo si era ritrovato a mentire in più occasioni, ma mai con l’intenzione di beffarsi di lei, quanto piuttosto per non mettersi lui in una posizione di insicurezza e vulnerabilità. Per le cose che contavano davvero, però, Rocco non mentiva. Di certo non era il tipo di uomo da tenere il piede in due scarpe e tenere in ballo due relazioni allo stesso tempo. Quando avevano iniziato a frequentarsi, per poi prendere strade diverse, lui aveva scelto lei e lei soltanto, non gli interessava più di Maria. La decisione l’aveva presa. Non aveva deciso di tenersi pronta la riserva, in caso le cose con lei non fossero andate bene. Aveva peccato più volte di ingenuità, ma si fidava di lui. Non solo per via di quell’anello, ma perché in cuor suo conosceva perfettamente l’uomo che aveva deciso di sposare. A volte le paure prendevano il sopravvento, ma alla fine dei conti Irene conosceva bene Rocco. Meglio di chiunque altro.  

Quando finalmente si ritrovò fuori dal vagone e immersa nella confusione della stazione, non dovette cercare di destreggiarsi al suo interno o di trovare qualcuno che la aiutasse. Rocco era già lì seduto su una panchina, stretto con le braccia conserte e intirizzito per il freddo. Non appena i suoi occhi si posarono su di lui, sentì come una stretta al petto. Adesso che conosceva bene cosa fosse l’amore, capiva cosa volesse dire veramente tenere qualcuno senza riserve. Essere disposti a tutto e andare contro tutti. Era un sentimento più forte di qualsiasi altro avesse mai provato prima.
Si avvicinò a lui con passo tranquillo, cercando di godersi più che poteva quell’immagine di lui che impaziente aspettava il suo arrivo. Gli occhi che vagavano da un lato all’altro, il mazzo di fiori che teneva tra le dita e poi il sorriso che gli illuminò il volto non appena gli occhi incrociarono i suoi. Rocco si rimise in piedi e si avvicinò contento a lei, stampandole subito un bacio sulle labbra, come se non riuscisse più a tenere a freno quella voglia di averla nuovamente accanto a sé dopo due mesi di distanza. 
“Pe’ te” esordì lui tirando fuori un mazzo di fiori. Niente di esagerato o eclatante, ma un piccolo gesto per cominciare bene quel San Valentino insieme. Il primo di una lunga serie, speravano entrambi. 
“Rocco” rispose lei commossa osservando quel piccolo mazzo di peonie rosa, le sue preferite. “Ti sei ricordato” aggiunse lei prendendogli il braccio. 
“Eccerto che me lo ricordo” rispose lui quasi offeso per essere stato messo in dubbio. “Iu tuttu ca’ c’haiu” disse toccandosi con tre dita il centro della fronte. Irene si lasciò scappare un risolino e si strinse ancora di più a lui, un po’ per il fresco e un po’ perché anche lei voleva sentire il suo contatto.
Un po’ incuriosita si incamminò fuori a braccetto. La prima volta, che avrebbe preferito dimenticare, aveva dovuto ricorrere a un taxi d’emergenza per raggiungerlo alla pensione nella quale nemmeno alloggiava più. Adesso che erano insieme come sarebbero arrivati al suo appartamento? Per un attimo si irrigidì pensando all’idea di percorrere mezza Roma in sella a una bicicletta col freddo dell’inverno. Ma poi Rocco la sorprese quando si fermò davanti a una macchina rosso fiammante. Non sembrava il suo stile. Con uno sguardo sorpreso, ma senza dire una parola, si addentrò nell’abitacolo, trovandosi un’altra sorpresa ad attenderla. 
“E queste? Devi dirmi qualcosa?” disse lei con tono fintamente arrabbiato. Era bastato vedere l’interno di quell’auto per capire che non appartenesse a Rocco. 
“Irè te lo giuro che non sono miei” rispose lui afferrando di colpo quei collant con fare terrorizzato. Per un attimo le tornò alla mente il periodo di soggiorno in magazzino e quella volta in cui lui si era lamentato del suo disordine portandole le calze fino in galleria. Sorrise ripensando a come se l’erano tirate via dalle mani per non farle vedere alla Calligaris, esattamente come Rocco stava facendo in quel momento. 
“Vorrei ben vedere” rispose lei con una smorfia. “Se andassi in giro con dei collant inizierei a preoccuparmi.” 
“Amunì” fece lui, arrotolandoli alla bell’e meglio e gettandole con rapidità dietro il sedile. “E’ la macchina di Giacomo.”
“Lo avevo capito” rispose lei con un sorriso, allentando di colpo la tensione di Rocco. Certo, non sarebbe stato scontato credere alla buona fede del proprio fidanzato, da solo a chilometri di distanza. Gemma una volta aveva provato a infilarle la pulce nell’orecchio, senza successo. Irene era una persona sveglia e sapeva riconoscere quando c’era qualcosa che non andava, specialmente con una persona che conosceva fin troppo bene come Rocco. Avrebbe captato qualche segnale, se ce ne fosse stato bisogno. Ma sapeva che non era quello il caso. 
“A proposito di Giacomo” aggiunse lui con aria birichina. “Oggi e domani non c’è.”
“No, quindi non posso neanche salutarlo?” si lamentò Irene mettendo il broncio.
“Guarda che se preferivi stare cu Giacomo u chiamu e vai cu iddu e Monica in campagna” aggiunse lui accigliato.
“Per carità” rispose Irene scuotendo la testa. “La campagna non fa proprio per me.”
“Picchì, Giacomo sì?” ribatté lui assottigliando lo sguardo con aria indagatrice.
“Beh, a parte quegli orrendi baffi lo sai che non è…” 
“Non ce li ha più i baffi” la interruppe lui guardandola di colpo per studiare la sua reazione. 
“Allora è tutta un’altra questione, adesso” ridacchiò lei con fare civettuolo.
“Ca’ finiscila” iniziò a sorridere pure lui, percependo la presa in giro della sua fidanzata.
“Mi sei mancata assai, Irè” le disse mettendo in moto. 
“Anche tu” ammise, tralasciando quell’aria di gioco per farsi più seria. “Ti è passato lo strappo?” aggiunse allungando una mano verso la sua coscia, portando Rocco a irrigidirsi immediatamente. Si morse il labbro superiore e annuì, cercando di mantenere l’autocontrollo.
“Ho vinto diverse gare, sai?” disse tutto orgoglioso. “Infatti il signor Martelli non è tanto contento di…” si zittì di colpo.
“Di cosa?” chiese aggrottando le sopracciglia.
“No, niente” si maledisse mentalmente per essere totalmente incapace di mantenere un segreto. Ora avrebbe dovuto inventarsi una scusa qualsiasi lì sul momento per tenere a freno la sua curiosità, e lui non era tanto bravo a mentire quanto Irene lo era a sgamarlo. “Non è contento che ho… saltato quel mese che ero a Milano” aggiunse come se gli si fosse accesa la lampadina, contento di aver trovato la scusa perfetta.
Irene lo fissò per qualche istante e lui si ripeté mentalmente di mantenere i nervi saldi, non muovere un muscolo, non dare cenno di cedimento. Ce la puoi fare, Rocco. 
“E che sarà mai, hai tempo per recuperare” rispose Irene e allora Rocco riprese a respirare. La sua sorpresa di San Valentino era ancora intatta.
 

“Come va con mia zia?” domandò Rocco seduto sul letto. Erano arrivati da un po' nel suo appartamento che Giacomo aveva gentilmente lasciato libero, optando per una gita fuoriporta con la sua attuale fidanzata, usando la macchina di lei così poteva lasciare la sua a Rocco. Non che Rocco avesse in mente idee strane, non sia mai. Ma stare da solo con Irene, anche solo a parlare, abbracciarsi e baciarsi, era tutt’altra cosa, rispetto all’avere una persona che poteva interromperli da un momento all’altro. Avevano bisogno di intimità, di stare da soli un po’, dato che a Milano era impossibile, tra le coinquiline di lei e la famiglia di lui. 
“Il solito” rispose lei stringendosi nelle spalle. Agnese stava meglio e aveva ripreso a lavorare, per la gioia di tutti, soprattutto la sua. Non veniva più nel suo appartamento nel cuore della sera per scappare dalle grinfie di Tina e di Salvo. Era salva.
“E Stefà?”
“Il solito anche lei” ammise sfiduciata. Le mancava avere la sua amica in casa, ma stava recuperando il rapporto con suo padre, e in fondo è ciò che anche Irene avrebbe voluto per sé. Non poteva biasimarla. Sebbene le cose andassero meglio con suo padre, Irene non poteva certo dire di avere con lui un rapporto particolarmente stretto. Erano cordiali e lui ogni tanto telefonava per sapere come stava. Ma finiva lì. Non era certamente il rapporto affettuoso che Stefania aveva col signor Ezio. A dirla tutta si sentiva un po’ trascurata anche da Stefania, che ormai passava sempre più tempo con la sua nuova famiglia, che con lei.
Pure cu du… u scrittori?” aggiunse. Si fingeva disinteressato alle vicende amorose delle amiche di Irene, ma la verità era che era curioso come una scimmia. Ci stava proprio bene seduto sul divano di casa di Irene a spettegolare insieme a Stefania, come avevano fatto l’ultima volta prima di Natale. C’era un’aria di familiarità e serenità che a Rocco mancava terribilmente lì a Roma. Aveva trovato Giacomo, e di questo sarebbe stato per sempre grato, senza la sua amicizia non sapeva come avrebbe fatto. Ma non era la stessa cosa.
“Lascia stare. E’ messa male male” scosse la testa mentre tirava fuori dalla valigia i suoi vestiti, in modo che non si sgualcissero troppo.
“Avà, non è successo proprio niente?” 
“A parte Gemma che fa insinuazioni su di te? No, non direi” incrociò le braccia al petto.
“Picchì?” chiese lui perplesso, mentre Irene gli si avvicinava. 
“Sai, un bel ragazzo come te da solo per mesi in una grande città…” spiegò passandogli una mano tra i capelli, soffermandosi sul lobo del suo orecchio. “Con uno sciupafemmine come coinquilino…”
Rocco deglutì a fatica, chiudendo per un attimo gli occhi mentre lei lo accarezzava in quel modo, mandandolo all’altro mondo. “Amunì, Irè” alzò la testa per guardarla, cercando di darsi un contegno. “Picchì dovrei cercarne un’altra quando c’ho te?” disse appoggiando una guancia al suo ventre, mentre lei continuava a giocare coi suoi ricci. Per lui manco le dive del cinema erano belle come la sua Irè. Giacomo lo prendeva in giro ogni volta che lo beccava con la foto di Irene tra le mani, neanche fosse l’immagine della Madonna, ma Rocco era una rarità. Non gli interessavano davvero le altre ragazze, nella sua testa c’era solo lei. Certo, non era un santo e gli occhi li aveva come tutti e quando vedeva tutte le ragazze che Giacomo gli portava a casa, non poteva negare di trovarne qualcuna molto attraente. Ma mai al punto da spingersi a compiere un gesto dal quale non sarebbe più potuto tornare indietro. E Irene non era il tipo che avrebbe messo una pietra sopra davanti a un suo possibile passo falso. 
“E’ quello che le ho detto anch’io” disse Irene dandosi un tono, con la sua solita modestia.
“Non è che è un poco invidiosa?” disse lui alzando lo sguardo. 
“Di questo aitante ciclista? Chi non lo sarebbe” si lasciò scappare un sorriso ironico.
“Amunì, non mi prendere in giro” rispose Rocco che ormai la conosceva come le sue tasche. “Fozza, andiamo a mangiare” disse alzandosi di scatto.
“Allora dove mi porti?” gli chiese Irene con aria sognante carica di aspettative.
“E dove ti devo portare? Siamo già a casa” rispose lui privo di qualsiasi tipo di romanticismo.
Lei gli rivolse una smorfia e sedette sul letto con fare melodrammatico. “Mi hai fatto venire a Roma per stare a casa?”
“Picchì, che abbiamo fatto di diverso a Milano, ah?” le ricordò lui tutte le sere che avevano trascorso proprio abbracciati l’uno all’altra a chiacchierare o a baciarsi, senza dedicarsi ad attività mondane o ricreative che poco si addicevano a uno come Rocco, che preferiva l’intimità domestica, una buona cena e un bicchiere di vino.
“Ma lì è diverso” bofonchiò lei, mentre Rocco la guardava appoggiato allo stipite della porta. Non gli sembrava vero che lei fosse ancora lì e che avrebbero trascorso i successivi due giorni insieme, senza alcuna interferenza esterna. Ogni tanto stentava ancora a credere che Irene fosse proprio sua, men che meno che avesse accettato di diventare sua moglie. Pensava spesso a loro due, al loro futuro e soprattutto a dove questo avrebbe avuto luogo. E solo nell’ultimo periodo era arrivato a darsi una risposta che fosse definitiva. 
“E picchì è diverso, sentiamo?”
“Perché… c’è tua zia che ci guarda come un avvoltoio e poi… e poi lavoro e magari la sera sono stanca” si scervellò lei per trovare una risposta che potesse impedirgli di porre obiezioni.
“E ora non si stanca?” domandò lui.
“Sono stata sei ore seduta su un treno, Rocco. Sono stanca di stare seduta, semmai” si lamentò aggrottando le sopracciglia.
“E allora susemuni” disse lui tirandola per la mano per spingerla ad alzarsi.
“Sus…che?”
“Alziamoci, amunì, Irè” roteò gli occhi al cielo come se avesse detto un tale ovvietà che gli risultava difficile che lei non potesse intuirla da sola.
“Per fare che?”
“Avà, ma pensavi davvero che ti facevo passare San Valentino a casa?” sogghignò.
“Mah, conoscendoti…” fece una smorfia e Rocco le diede una piccola spinta per farla uscire dalla camera. “Oh, piano. Cos’è questa fretta adesso?”
“Dobbiamo fare veloci, Irè” aggiunse. “Ah, e copriti.”
Irene aprì la bocca dalla sorpresa e per un istante abbassò gli occhi sulla sua camicetta. Non era niente di sconveniente, perché le diceva di coprirsi?
“Portati il cappotto e du cosu…”
“Il foulard?” sorrise Irene, ricordando che lo aveva chiamato esattamente in quel modo anche qualche mese prima. Quella parola non riusciva proprio a entrargli in testa. 
Fulà, fazzulettu, è la stessa cosa” bofonchiò mentre si muoveva come un matto da un lato all’altro per recuperare il necessario per quella sera. Una coperta? Irene lo osservò confusa, iniziando a riempirlo di domande come una bambina a cui stavano facendo una sorpresa. Rocco si aspettava che di lì a qualche istante avrebbe preso a tormentarlo e tirargli la manica del cappotto, come faceva Michele, il figlio del suo allenatore ogni volta che veniva agli allenamenti e sapeva che Rocco gli avrebbe regalato segretamente una caramella, lontano dagli occhi impegnati del padre.
“Quindi dove mi stai portando?” gli chiese di nuovo durante il tragitto in macchina. “Guarda che se mi fai prendere un malanno poi ci parli tu col dottor Conti.”
“Ma ti pare che ti faccio ammalare, Irè? Ho portato la coperta apposta.”
In quel momento, mentre Rocco imboccava l’entrata, gli occhi di Irene si spalancarono per lo stupore. Un largo spiazzo pieno di altre macchine parcheggiate davanti a un'enorme schermo bianco.
“Ma è un drive-in” esclamò contenta. Li aveva visti solo nei film americani, ma dal vivo avevano un’aria così magica che Irene rimase a bocca aperta.
“Qua i giornali dicono che è il più grande d’Europa, Irè” disse lui tutto orgoglioso per aver avuto l’idea giusta. Beh, in realtà aveva avuto qualche aiutino da parte di Giacomo, lui che con le donne ci sapeva fare, anche se al momento sembrava convinto a conquistarne una sola: Monica. Rocco ci credeva poco. 
“E’... bellissimo” disse lei perdendosi a guardare tutte le altre macchine parcheggiate, piene di altre coppie innamorate, le luci della città davanti a loro e il sole che tramontava dietro le colline. Non le sembrava di aver mai visto un luogo più romantico di quello. Era perfetto.
“Ammettilo che mi hai portata qui a Febbraio così hai la scusa per starmi appiccicato” scherzò lei mettendosi la coperta sulle gambe dopo che lui le aveva prese e spostate sulle proprie. 
“Picchì, c’ho bisogno di una scusa per quello?” rispose lui con aria buffamente tronfia. 
Irene rise. “In effetti ormai no.” 
Un tempo non sarebbe neanche riuscito a chiederle di uscire, adesso invece era lì che la teneva stretta a sé e organizzava sorprese come un uomo di mondo. Ricordava ancora bene la proposta dell’oratorio avvenuta mesi e mesi prima e sorrise. Erano cambiate tante cose da allora. Lui viveva lontano chilometri da lei, il rapporto di Irene con Agnese e con la famiglia di Rocco si era fatto più tranquillo. Ma soprattutto erano cambiati loro. In così poco tempo non erano più il Rocco e l’Irene di quel giorno di aprile quando si erano scambiati quel primo bacio in spogliatoio. Lui, ancor più di lei, sembrava completamente un uomo nuovo. Non l’uomo che lei avrebbe voluto che diventasse, ma l’uomo che aveva sempre saputo potesse diventare. Era semplicemente sbocciato, diventando tutto ciò di cui aveva bisogno. Certo, se solo avesse abitato nella sua stessa città, il quadretto sarebbe stato al completo. Era l’unica nota stonata di una sinfonia praticamente perfetta. 
Sollevò per un attimo lo sguardo dal film che stava per cominciare e gli lasciò un bacio nell'incavo del collo. Un gesto intimo e tenero che, anch’esso, poco rispettava l’indole di Irene. O almeno ciò che aveva sempre creduto di essere. Rocco era l’unico in grado di far venire fuori quell’aspetto di sé che non credeva nemmeno le appartenesse. Era una buona amica, una persona leale, disposta a tutto per le persone che amava, questo lo sapeva. Ma dimostrava il proprio affetto in altro modo, più coi fatti che con abbracci e parole. Ciò che non immaginava era di poter essere anche lei affabile e affettuosa. Magari non quanto lui, ma il tanto per non lasciarlo in carenza d’affetto. Chissà, forse era la distanza a rendere tutto più amplificato. Forse se lo avesse avuto accanto a sé ogni giorno, non avrebbe sentito così tanto il bisogno del suo contatto, di sentire il suo profumo, di strofinare il naso contro la sua pelle, di sentire il calore della sua mano che le cingeva la spalla. In quel momento era tutto talmente perfetto che avrebbe voluto fermare il tempo e rimanere lì per sempre davanti a quel tramonto romano di fine inverno davanti a un film poco entusiasmante.
“Stiamo veramente guardando un film con un seminarista che si chiama Nino e una donna che si chiama Dora?” scherzò Irene per l’ironia di quella situazione.
“Avà” rispose lui divertito allo stesso modo. “Questo davano stasera, Irè” aggiunse, dato che in realtà non era nemmeno San Valentino. Lo era per loro, ma non per il resto del mondo. Il vero San Valentino lo avevano trascorso al telefono, lei in caffetteria e lui in una piazzetta dentro un telefono pubblico. Avevano dovuto aspettare il fine settimana per stare insieme, dato che entrambi lavoravano e Irene non se la sentiva proprio di chiedere qualche giorno per raggiungere Rocco a Roma per una festa tanto poco influente come quella. Non sarebbe stato per nulla professionale. Ma a loro non importava, che fosse un giovedì o un sabato, l’importante era stare insieme. Anche in differita.
Almeno mi dà lo spunto per prendere in giro Dora. Glielo consiglierò quando tornerò a Milano, magari prende spunto” rise, pensando alla situazione tragicomica tra i suoi Nino e Dora. Non avevano alcuna speranza di finire insieme.
“Non mi pare che stia finendo troppo bene, però” le fece notare Rocco.“Appunto, allora lascerà proprio perdere, com’è giusto che sia” disse e Rocco le diede un colpetto scherzoso sulla mano per riprenderla.
Ogni tanto, durante la visione del film, Irene alzava la testa per guardarlo e assicurarsi che fosse ancora lì con lei. E ogni volta si stupiva di vedere i suoi occhi aperti e attenti su ciò che accadeva sulla scena. Era abituata a sentire il rumore del suo respiro pesante ogni volta che andavano al cinema, a meno di non vedere qualche film comico scadente di quelli che potevano piacere soltanto a lui. Invece, nonostante la stanchezza, lo vedeva che si stava impegnando a restare sveglio a tutti i costi. Dopotutto che figura ci avrebbe fatto se si fosse addormentato proprio durante la serata del loro primo San Valentino?
“Guarda che l’ho visto che mi controllavi, ah” sottolineò lui alla fine del film, mentre Irene gustava qualche cioccolatino che lui aveva portato con sé insieme a due panini. Ecco, magari la cena poteva non essere all’altezza della festa più romantica per eccellenza, ma in fin dei conti cos’altro avrebbero potuto mangiare in macchina davanti a un film? Irene non sembrava dispiaciuta affatto, anzi la sorpresa le era molto piaciuta e questo aveva reso felice Rocco. 
“Sei stato bravo, sei arrivato alla fine del film senza russare nemmeno un po’.”
“Io non russo” esclamò quasi offeso. “Guarda che sei tu quella che russa.”
“Io? Ma come ti permetti!” ribatté lei infilandogli un cioccolatino in bocca per zittirlo. 
Allora lui iniziò a fare dei versi, simulando quelli che presumibilmente faceva lei durante la notte, per prenderla in giro. Irene rise, nonostante tutto. 
“Sei proprio un buffone.”
In quel momento, però, le venne in mente di non avergli ancora dato il proprio regalo. Beh, non era un vero e proprio regalo, era più un gesto, un ricordo, magari anche stupido, ma che per loro due aveva un significato. Aprì la borsetta e tirò fuori un portachiavi.
Lui la guardò incuriosito, mentre lei lo faceva dondolare tra le dita. “Che cos’è?”
“Ho la tua palla di vetro sul comodino e ogni tanto, quando mi sento sola, la guardo e mi ricordo del momento che abbiamo passato qui a Roma, o di quando mi hai chiesto di sposarti” gli spiegò lei, allungandoglielo. 
Lui se lo rigirò tra le mani, passò le dita sulla piccola incisione e la avvicinò meglio al finestrino, per guardarla meglio grazie alla luce della luna e dei lampioni per strada. C’erano le loro iniziali.
“E’ un pensiero stupido, lo so, ma volevo che avesse un significato. Qualcosa che potessimo capire solo noi due. Perché hai capito, vero?” chiese Irene con l’aria di chi avrebbe potuto tirargli un manrovescio se si fosse dimenticato.
“E’ la nostra cassa, Irè” commentò con un sorriso e allora finalmente anche lei si lasciò andare. Era una piccola cassa in legno, dipinta di azzurro, con le loro iniziali, che aveva fatto intagliare da un falegname a una bancarella di giocattoli in legno in cui era finita per caso, e ricordava loro del momento in cui avevano capito davvero di tenere l’uno all’altra. Il magazzino aveva un significato speciale per loro e quella cassa le ricordava quel periodo particolare, ma intimo, che apparteneva a loro e loro soltanto. Quando lui le aveva fatto capire di potersi fidare. Rocco era stato l’unico a capirla, a trattarla con una gentilezza e un riguardo che nessun altro aveva mai avuto nei suoi confronti. Era stato in quel periodo che quella sua segreta infatuazione si era tramutata in amore vero e proprio. Avevano condiviso quella cassa, come avrebbero condiviso il resto della loro vita.
“Lo puoi appendere alla bici o non lo so, dove vuoi. Ti ricorderà di noi quando sarai lontano, come faccio io con quella palla di neve.”
“E’ bellissima, Irè” rispose grato. Rocco non aveva bisogno di qualche ninnolo per ricordarsi di lei, ma quel gesto, beh, lo aveva fatto innamorare ancora di più, ammesso fosse umanamente possibile. 
“Andiamo a casa?” le chiese dopo qualche secondo passato a rimirare quel portachiavi.
Irene avvertì un tuffo al cuore che la destabilizzò. A casa. Non era la prima volta che glielo sentiva dire, ovviamente, ogni volta che uscivano dal Paradiso. Ma quella non era la loro casa. Mentre lì a Roma aveva potuto avere un assaggio di come sarebbe potuta essere la loro vita insieme. Da soli. Quanto sarebbe stato bello poter andare a casa insieme ogni sera, dormire sullo stesso letto, senza doversi mai preoccupare delle ore che passavano, dei treni o di sua zia che veniva a bussare perché il nipote non era tornato a casa ed era sconveniente. Essere una coppia normale, per quanto poco di ordinario ci fosse in loro due e nel loro modo di stuzzicarsi e confrontarsi. Si scoprì a desiderare quell’intimità molto più di quanto credesse. 
“E’ stato bello, stasera, grazie” gli disse non appena furono tornati a casa. Nessuno ad attenderli o disturbarli. Solo loro due. Era bellissimo.
“E’ bello averti qua, Irè” rispose sedendosi sul letto mentre lei si toglieva i vestiti, rimanendo con una delle sue solite particolari camicie da notte. Di quelle che la signora Agnese le avrebbe certamente impedito di mettere in valigia se solo avesse potuto osservare il suo bagaglio.
“A proposito di questo…” esordì allora Rocco, allungando una mano affinché anche lei si sedesse accanto a lui. Non aveva un regalo vero e proprio per lei, a parte quel mazzo di fiori e la serata che avevano appena trascorso. Ma sperava di poterle dare di più, molto di più.
“Un lavoro a Roma lo trovo, sono stanca di questi viaggi in treno, di momenti rubati, di dover guardare l’orologio ogni volta che sto con te” tagliò corto lei, ipotizzando che lui volesse proporle di trasferirsi finalmente a Roma. Adesso era pronta, lo avrebbe fatto. Rocco era più importante.
“Non c’è bisogno, Irè” scosse la testa lui, pur sorridendo felice come una Pasqua per quello slancio. Era contento che Irene fosse disposta a lasciare tutto per venire a Roma da lui. E forse avrebbe potuto fare finta di niente e accettare, accantonando quei progetti che aveva già iniziato a perfezionare da un po’. Ma la verità era che anche lui voleva tornare a Milano. Voleva Irene, certo, ma la voleva felice e soddisfatta. E anche a lui mancava la sua famiglia, i suoi amici, il Paradiso. 
Allungò una mano verso il proprio comodino e tirò fuori una chiave che mise sul palmo di Irene.
“Che cos’è?” domandò lei sorpresa. “Vuoi mettere qua il portachiavi?” chiese con un’ingenuità che di solito non le apparteneva.
Che andassero a convivere era chiaramente fuori discussione al momento. Non potevano farlo senza prima essere sposati, né Rocco e né soprattutto la signora Agnese lo avrebbero mai permesso. A Irene sarebbe importato poco, in realtà. Dava peso all’opinione degli altri, ma non tanto da condizionare la propria vita. Lei e Rocco erano fidanzati, e sapeva di voler passare la sua vita con lui e con nessun altro al mondo, quindi che importava? Ma sapeva che per Rocco non era altrettanto facile superare certi preconcetti e a lui l’opinione della sua famiglia importava eccome. 
“E come che cos’è, è una chiave” rispose banalmente e Irene gli rivolse uno sguardo talmente eloquente che Rocco dovette chiaramente continuare. “Quando sono venuto a Natale è venuto fuori che si era liberato un appartamento nel nostro palazzo.”
“Ah, e quindi?” continuò Irene ancora indecisa su dove lui volesse andare a parare. Di solito era più perspicace di così, o forse semplicemente non voleva illudersi, in caso avesse capito male. 
“E quindi è mio” rispose infine, con un’alzata di spalle. “E un poco anche tuo.”
“Ma per farci cosa? Non mi sembra molto economico tenere in affitto un appartamento per le rare volte che vieni su a Milano” spiegò lei, facendo valere più la ragione che il cuore.
“Ma che hai capito, Irè. Torno a Milano” disse con un sorriso a trentadue denti.
“Ma come torni a Milano? E il ciclismo?” Irene avrebbe voluto gettargli le braccia al collo dalla felicità, ma non le andava giù l’idea che potesse mollare tutto e tornare indietro a fare il magazziniere. Non perché ormai ci trovasse più nulla di male, ma perché sapeva che non era quello che Rocco voleva veramente. Voleva che fosse felice e realizzato, non che si sacrificasse per poter stare con lei. Al massimo quella che poteva rinunciare al proprio lavoro era lei. Il Paradiso era la sua famiglia, ma in fondo faceva la commessa. Una volta le avevano chiesto quale fosse il suo sogno e non era riuscita a trovarne un altro al di fuori del suo ruolo al Paradiso. Ma magari avrebbe potuto lavorare come commessa anche a Roma, sicuramente di negozi importanti che avrebbero fatto carte false per la sua esperienza li avrebbe trovati eccome. Rocco poteva diventare un grande ciclista solo lì. O almeno così credeva.
“C’è un’altra squadra importante al confine con la Svizzera. Quando sono venuto a Milano e tu eri al lavoro, ho incontrato questo allenatore. Lo conosceva uno dei miei compagni e mi ha dato il suo numero” iniziò a spiegarle e visto che lei non parlava e lo guardava con la trepidante attesa di maggiori informazioni, Rocco continuò. “E pure se mi dispiaceva lasciare l’allenatore qua e tutti gli altri, sono andato a parlargli e… posso iniziare ad allenarmi con loro. Certu, un poco di spostamenti li devo fare sempre, però sono meno chilometri” concluse in attesa di una sua reazione.
“Non stai scherzando?” gli chiese incredula. Stava andando tutto troppo bene per essere vero. Rocco sarebbe tornato a stare vicino a lei ogni giorno, non avrebbero più dovuto viaggiare e spostarsi. Erano stati sette mesi lunghissimi, ma se non altro erano stati un banco di prova importantissimo per entrambi. Loro funzionavano. Insieme, lontani, a distanza, vicini. Funzionavano e basta. Erano l’uno la metà dell’altra e non c’era niente che potesse dividerli.
“Non scherzerei mai su sta cosa, Irè.”
“E Giacomo?” chiese allora Irene tenendolo sulle spine, quando invece non vedeva l’ora di gettargli davvero le braccia al collo.
“E Giacomo cchi?”
“Resta qua da solo?” Irene abbassò le sopracciglia in un’espressione dispiaciuta.
Rocco la guardò perplesso, non capiva se stesse facendo sul serio e assottigliò lo sguardo per studiarla meglio.
“Sto scherzando” disse infine lei, lanciandosi su di lui per la felicità, facendo ricadere entrambi sdraiati sul letto. “E quella chiave?” gli domandò seria, fissandolo dritta negli occhi. I loro visi a pochi millimetri l’uno dall’altra.
“Voglio stare da solo con te. Senza mia zia, senza Maria o Stefania, senza Salvo. Lo so che non possiamo vivere insieme, ma con questa chiave ci puoi venire tutte le volte che vuoi” le spiegò accennando un sorriso. 
Irene si chinò su di lui, stampandogli un bacio sulle labbra. Poi due, poi tre. La mano di Rocco che si muoveva lungo i suoi fianchi sinuosi. Ogni volta che i loro corpi aderivano l’uno all’altro, sembrava che il tempo si fermasse e non ci fosse nient’altro a parte loro due. I rumori della città non riuscivano a oltrepassare il sottile vetro della finestra. Le luci, gli odori, tutti i loro sensi erano focalizzati sulla persona che avevano di fronte.
“Beh, ora siamo soli” gli sussurrò lei all’orecchio, provocandogli un brivido lungo la schiena. Era pronta. Era pronta da tempo e lo voleva. Non le importava niente della religione, della signora Agnese, delle sue amiche. Irene non era una ragazza tradizionalista e non credeva esistesse un modo giusto o sbagliato di fare le cose. C’era solo quello giusto per se stessi. E per lei non c’era niente di più giusto di stare con Rocco. Completamente. 
“Irè” disse debolmente, chiudendo gli occhi, come stanco di reprimere da tempo tutte quelle sensazioni e forse anche lui arrivato al punto di non ritorno. Per qualche istante, forse complice il vino che avevano bevuto o la presenza inebriante di Irene dopo mesi di distanza, pensò anche lui che non avesse senso aspettare. Ma poi, mentre la mano di Irene scendeva lungo la camicia di lui e iniziava a sbottonare le asole, si sentì come osservato. Come se stesse facendo qualcosa di sbagliato e tutti avrebbero potuto leggerglielo in faccia da quel momento in poi. Eppure per Giacomo non era così, lo sapeva. Né per tutte le ragazze che lo seguivano in quella camera. Non era così nemmeno per Irene, a cui era stato Rocco a dover porre freno più volte. Perché non poteva essere come loro? Perché quella vocina interiore continuava a dirgli quanto fosse sbagliata una cosa tanto bella? 
“Io avrò solo te e tu solo me, che differenza fa che sia prima o dopo?” chiese Irene nella penombra, ancora sdraiata sopra di lui. Già, che differenza faceva? Nessuna. Rocco era certo di voler stare con Irene e con lei soltanto. Sarebbero stati insieme per sempre in ogni caso, quell’anello era una promessa. Ma sapeva che lei non era pronta a sposarsi e forse non lo sarebbe stata ancora a lungo. Potevano davvero aspettare così tanto, dato che negli ultimi mesi erano riusciti a fatica a tenersi lontani? Non credeva possibile poter aspettare mesi, forse anni, prima di stare con Irene. Eppure trovava inconcepibile anche farlo. Le sue convinzioni si erano via via affievolite nel corso del tempo, come una costruzione che veniva demolita mattoncino dopo mattoncino ogni giorno di più, fino a lasciare solo delle esili fondamenta. A lui toccava solo oltrepassarle, scavalcare quella sottile linea di demarcazione e raggiungerla dall’altro lato. Ma ne era in grado?
Rocco mise una mano dietro la sua nuca e avvicinò Irene alle sue labbra. Ovvio che lo voleva, Rocco lo voleva terribilmente. Ne aveva parlato più volte con Giacomo durante le rare sere in cui anche lui era troppo stanco per uscire e preferiva rimanere a casa, anziché darsi alla vita mondana. Lui che era esperto e gli aveva detto molto più di quanto le orecchie di Rocco fossero in realtà pronte ad ascoltare. Solo che più ne parlavano, più anche lui lo voleva. Più quella cosa diventava un argomento concreto, tangibile, e non qualcosa a cui avrebbe pensato in seguito, tanto in là nel futuro, più diventava difficile trattenersi. Gli era capitato raramente di pensarci, prima di conoscere Irene. Prima di lei, in realtà, non aveva mai baciato nessuno. Era come un bambino che si affacciava nel mondo degli adulti e andava a tentoni, a volte in ginocchio, a volte a fatica riusciva a mettere un passo davanti all’altro. Fino a camminare completamente sulle proprie gambe. Non era più il ragazzino ingenuo di Partanna, adesso era un uomo che sapeva cosa voleva, con una carriera importante davanti a sé e una donna che sarebbe un giorno diventata sua moglie. Tutte cose che il Rocco arrivato a Milano non avrebbe mai immaginato. Eppure perché, talvolta, continuava a sentirsi come se nulla fosse mai cambiato? Perché avvertiva quelle zavorre alle gambe che lo trascinavano a fondo, mentre lui impotente cercava di ritornare a galla? La sua anima era come dilaniata in due, divisa tra ciò che voleva e ciò che credeva di dover fare, perché così gli avevano sempre detto. Forse era arrivato il momento di ascoltare unicamente se stesso, di dare forma con le proprie mani al suo futuro.
Si allontanò per un attimo dalla bocca di Irene e la guardò dritto negli occhi. Così grandi e belli, così limpidi e sinceri. In quel momento così carichi di aspettativa e desiderio. Lì vi leggeva la verità. Davanti a lei era sempre tutto così semplice. Si passò la lingua sulle labbra rosse e calde da quei baci infuocati e in fondo sapeva da solo quale fosse la cosa giusta da fare. La cosa giusta per sé. E non sarebbe più riuscito a tornare indietro.
A
llungò una mano verso i capelli di Irene e le spostò una ciocca dietro l’orecchio, facendo un piccolo cenno di assenso che rendeva chiaro a entrambi il significato di quel gesto. Irene sollevò il busto, mettendosi seduta e iniziò a sbottonarsi la camicetta, mentre Rocco si sfilava via la sua e, con un rapido gesto, capovolgeva le parti, prendendo lui le redini di qualcosa che fino a pochi istanti prima non sapeva nemmeno di volere. Irene si morse il labbro superiore, pensando a come anche quella sera in caffetteria lui l’avesse colta alla sprovvista, baciandola con un tale impeto e una tale passione da farle girare la testa. 
Iniziò a posare le sue labbra contro la spalla nuda di Rocco, e scendere pian piano fino alla clavicola, mentre lui si soffermò sui suoi seni ancora coperti dalla sottoveste di raso. Iniziò a sfiorarli con la punta delle dita come se fossero un fiore delicato che aveva paura di sgualcire. Lei gli sorrise appena, il respiro pesante e quella voglia irrefrenabile di baciarlo, di toccarlo, di poter diventare una cosa sola. Rocco si chinò sul suo petto, lasciando una scia di baci lungo l’incavo tra i suoi seni, mentre con una mano portava giù una delle spalline. Per qualche strano motivo sapeva cosa fare. Non perché glielo avessero già spiegato, ma perché l’istinto lo stava portando nella giusta direzione. Dopotutto gli uomini e le donne si amavano sin dall’inizio dei tempi e nessuno aveva mai offerto loro un libretto di istruzioni. 
Irene si stupì di non avere dubbi, né incertezze. Potevano ancora fermarsi, tornare indietro e fare finta che quello non fosse mai accaduto. Ma non lo voleva. Voleva solo lui. Incatenò gli occhi nei suoi mentre Rocco le sfilava la sottoveste e il reggiseno, lasciando il suo corpo completamente nudo. Non la guardò con fare lascivo o curioso, come immaginava facessero gli uomini davanti a una donna. Non allontanò lo sguardo da lei per esplorare quello che si stava trovando davanti per la prima volta. No, Rocco continuò a guardarla negli occhi, fino al momento in cui anche lei non gli portò le mani alla schiena e lo strinse a sé, spingendolo ad allontanare lo sguardo dal suo. Iniziò a baciarle il collo, la spalla. Irene affondò entrambe le mani sui suoi capelli mentre Rocco continuava a scendere, fermandosi sul suo ombelico. In quell’istante trattenne il fiato e il suo corpo si irrigidì, colto dall’improvvisa realizzazione di quello che stava per accadere. E allora in quel momento iniziò ad avere per la prima volta paura. Aveva una vaga idea di come si facesse, ma un conto era saperlo, un altro era provarlo sulla propria pelle. Le scene dei film di solito si interrompevano molto prima di quel momento. Il panico iniziò a impossessarsi di lei e per un attimo fu quasi tentata di dire a Rocco di fermarsi, di aver cambiato idea. Ma non aveva cambiato idea. Aveva solo paura. Quella naturale che ogni donna conosceva. 
Non sapeva se avesse afferrato con troppa forza i capelli di Rocco o se lui avesse percepito i suoi timori, ma si risollevò e tornò a guardarla. 
“Sei sicura, Irè?” gli chiese con voce roca, ma premurosa. 
Lei annuì, e le sembrò che il suo cuore scoppiasse d’amore. Sentire la sua voce la riportò a contatto con la realtà, la ancorò a un presente ancora tutto da scoprire. Rocco le aveva fatto superare tante paure che non credeva nemmeno di avere. Quello era solo l’ennesimo viaggio che avrebbero dovuto affrontare. Ma ancora una volta lo avrebbero fatto insieme. Non aveva motivo di sentirsi a disagio, perché sapeva che anche lui provava lo stesso. Cercò di concentrarsi sul suo viso, sulle sue guance rosse che accarezzò con una mano. E anche mentre lui entrava dentro di lei, Rocco non allontanò mai lo sguardo, i loro occhi erano come incatenati da una forza calamitica. Era una danza di cui non conoscevano ancora bene i passi, ma che avrebbero imparato col tempo a padroneggiare con maestria. Nessuno pretendeva che avessero già tutte le risposte. Le avrebbero trovate insieme, a poco a poco, l'una al fianco all’altro. Come sempre.

  
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