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Autore: softandlonely    19/10/2022    3 recensioni
La stanza di Chrissy nell’appartamento di Bedford Avenue è molto più piccola rispetto a quella di Hawkins ma altrettanto vuota. Il letto, una scrivania, uno specchio, l’armadio. Nessun quadro alle pareti verde pallido, leggermente scrostate.
E lei, rannicchiata tra le lenzuola, una maglia nera troppo grande, la lettera stretta contro il petto.
Ha dovuto rileggerla tre volte per rendersi conto che è tutto vero.
Sarebbe tutto perfetto se non fosse che…
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Chrissy Cunningham, Eddie Munson
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Nota autrice:
Ma ciao! Come state? Ecco a voi Miss Coerenza che aveva giurato di non scrivere più niente e invece è di nuovo qua, con pochissimo tempo a disposizione tra l’altro, ma… volere è potere, mettiamola così :)
Piccola premessa necessaria: questa storia si colloca dopo quella che ho scritto in precedenza.
Dunque se non avete letto “Prom Night” ci sono due strade, o recuperarla o iniziare a leggere da qui… magari all’inizio non sarà tutto chiarissimo ma credo si possa intuire :’)
Se invece l’avete letta ma volete immaginarvi per conto vostro il seguito… ehhh, la scelta è vostra, comunque sappiate che vi voglio bene lo stesso, anche se decidete di non proseguire. 
Per chi invece volesse scoprire quello che frulla nella mia testa, sarete accontentat*! Fatemi sapere cosa ne pensate.
Un abbraccio, S.
 
 
New York
Gennaio 1987
 
A Prospect Park il tempo sembra scorrere a una velocità diversa rispetto al resto del quartiere.
Tutto è lento, perfino un po’ noioso se paragonato alla frenesia della città.
Forse proprio per questo motivo Chrissy ha eletto quel luogo immerso nella foschia come sua meta preferita per le corse mattutine che si concede un paio di volte alla settimana. Ms. Jones le ha consigliato di non strafare, per evitare che quella nuova abitudine si trasformi velocemente in un’alternativa alle dita in gola.
Nemmeno lei vuole che accada: sta solo cercando un modo diverso per mettersi in contatto col suo corpo, o più semplicemente per sentirsi viva. Viva nonostante tutto, anche se non è nemmeno lontanamente felice – o infelice – com’è stata.
 
Quando attraversa il ponte, le vecchie assi di legno scricchiolano al suo passaggio. Sotto di lei l’acqua verdastra del lago mezzo congelato è immobile, così come gli scheletri degli alberi nella debole luce del mattino.
Non c’è un’anima viva, solo qualche scoiattolo che si nasconde dietro i rami spogli, e quel che resta della neve caduta qualche settimana prima, che attutisce il rumore del traffico in lontananza.
Chrissy inspira aria gelida, lascia che le attraversi i polmoni prima di trasformarsi in un fumo bianco e denso.
Quel piccolo angolo di mondo sembra in letargo eppure riesce a percepirla anche lì, quell’aria satura di promesse.
 
Sa di essere puntuale quando prende la curva del vialetto sterrato e incrocia il ragazzo che incontra ogni volta in quel punto, sempre alla stessa ora: porta a passeggio il suo enorme cane e si ferma lì per lanciargli un bastone e farselo riportare, un rito che si ripete uguale.
Quando la vede lui accenna un saluto, che lei ricambia con un mezzo sorriso, avviandosi verso Bedford Avenue.
Raggiunto il palazzo infila la chiave nella toppa arrugginita del portone, che fatica un po’ ad aprirsi, e lancia un’occhiata fugace e automatica alla cassetta della posta, trovandola vuota. Proprio come il giorno prima e quello prima ancora.
Non ha tempo per dispiacersene: una nuova giornata ha fretta di iniziare.
 
Appena entra in casa e si chiude la porta dietro le spalle, il familiare sei tu di Diana la raggiunge dal piccolo bagno che condividono, mischiandosi al rumore delle chiavi lanciate sul tavolo. Due occhi azzurri nascosti dalla frangetta scura, identici a quelli di sua cugina Jessica, spuntano solo per un attimo da dietro il muro. Si sta truccando come ogni mattina, perdendo un’infinità di tempo a caricare il suo sguardo con una quantità esagerata di ombretto. Arriverà in ritardo a lezione, e Chrissy può già prevedere quello che le chiederà di lì a poco.
 
“Ehi Chris, non è che potresti farmi un favore? Puoi coprirmi all’ora di pranzo? Ti prego, non ce la farò mai.”
 
“Non è un problema, ma non credo che i tuoi non se ne accorgeranno.”
 
“Vorrei sapere perché cavolo mi costringono a fare quello stupido lavoro. Senza offesa.”
 
Diana odia il ristorante dei suoi genitori, ma a loro non importa niente. Hanno la ferma convinzione che lei debba almeno fingere di guadagnarsi quello che ha, sperimentare la fatica. In ogni caso, a parte quell’odiosa mania di chiederle di coprirla, è una collega ok e una coinquilina quasi sempre piacevole.
 
“Hai preso tu la posta?” le chiede Chrissy, nel tono più neutro che le riesce.
 
La ragazza si affaccia di nuovo, un’espressione enigmatica sul volto. “Sì. Mi spiace, ancora nulla da parte del tuo ragazzo immaginario.” le dice. Ormai è diventata una sorta di abitudine tra di loro, una provocazione a cui Chrissy non fa nemmeno più caso. Anche se a volte si chiede anche lei se quello che ha vissuto fino a pochi mesi prima sia davvero accaduto, ora che sembra essere più lontano di quanto non sia mai stato.
 
Diana esce dal bagno, raggiunge il mobile di legno accanto all’ingresso e fruga nel primo cassetto, estraendone una busta che le porge con aria trionfante.  “In compenso è arrivata questa.”
Chrissy la afferra, la stringe tra le dita. I suoi occhi si spostano veloci tra le lettere e il logo verde impresso sul davanti.
 
Columbia Greene Community College. Chrissy Cunningham.
 
Le sembra impossibile che quelle parole possano convivere sullo stesso pezzo di carta.
Diana le avvolge le spalle con il braccio, stringendola come se volesse infonderle coraggio. “Avanti, aprila.” le dice, un sorriso pieno di fiducia nella voce, senza rendersi conto di quanto quella busta rappresenti per lei. Un altro piccolo passo verso quella che vorrebbe diventare, la Chrissy che non ha bisogno di compiacere nessuno.
 
Così stacca piano la colla sul retro, estrae il foglio. Trattiene il fiato e fa viaggiare lo sguardo tra le parole, qualche riga scritta a macchina e uno scarabocchio a penna in basso a destra.
 
“Allora?”
 
“Ammessa. Ammessa!” balbetta, mentre lacrime piene di incredulità pungono gli angoli dei suoi occhi, oscurandole la vista, appena prima che Diana la stringa in un abbraccio soffocante.
 
 
 
Hawkins
Giugno 1986
 
Per la loro prima vera uscita gli aveva chiesto di andare a vedere un film. Un cliché totale, se ne rendeva conto, ma aveva bisogno, davvero bisogno, di un po’ di normalità. Eddie aveva acconsentito senza fare storie. Del resto le aveva promesso che avrebbe fatto qualsiasi cosa gli avrebbe chiesto, anche se perfino per lui quella nuova dimensione di quotidianità era qualcosa di nuovo a cui abituarsi.
E lei aveva indossato un vestito a scacchi colorati che lui non le aveva mai visto addosso, perché voleva davvero che quell’uscita fosse qualcosa di memorabile e speciale, pur nella sua semplicità.
C’era una rassegna di cinema all’aperto nella piazza principale e quella sera davano “Ritorno al futuro”, uscito ormai un anno prima. Niente di strano: a Hawkins tutto sembrava arrivare in ritardo rispetto al resto del mondo.
La serata era tiepida e invitante, le strade della città erano più popolate del solito.
Avevano parcheggiato un po’ distante dal centro con l’idea di fare due passi. Camminavano l’uno accanto all’altra, senza nessuna fretta, parlando di tutto e di niente come erano soliti fare. Ma qualcosa non andava. Chrissy si era accorta che Eddie tendeva a starle lontano, un atteggiamento insolito da parte sua, che la faceva sentire a disagio.
Quando si era avvicinata e aveva fatto scorrere un braccio dietro alla sua schiena, infilando il pollice in un passante dei suoi jeans aveva notato come lui avesse trattenuto il respiro per un attimo.
Ma poi gli aveva sorriso e lo aveva sentito rilassarsi all’istante. Le aveva circondato le spalle con un braccio e tutto sembrava essere di nuovo perfetto, come quando erano al sicuro dal resto del mondo.
Nella piazza, davanti allo schermo improvvisato, erano state sistemate delle panche di legno dall’aspetto vissuto, già quasi del tutto occupate. Loro avevano finito per decidere di sedersi un po’ in disparte, su una delle panchine del parco.
Troppo distanti per vedere bene lo schermo, ma abbastanza isolati da sentirsi a loro agio.
 
“Ne vuoi un po’?” le aveva chiesto Eddie, allungandole il sacchetto pieno di pop-corn al caramello che aveva insistito per comprare.
 
“Sei consapevole di avere i gusti di un bambino di cinque anni, vero?” gli aveva risposto, spingendo via l’involucro a righe bianche e blu con la mano aperta come se le avesse proposto del veleno.
 
Eddie si era lanciato un paio di palline dorate in bocca e le aveva rivolto un sorriso sbilenco. “Come vuoi Cunningham. Tanto lo so che poi mi pregherai di farteli assaggiare.”
 
Sistemandosi meglio accanto a lui, Chrissy aveva finto di ignorarlo, per non dargli soddisfazione. In effetti da quando lo frequentava le era successo un sacco di volte. Lui le proponeva qualcosa che lei non aveva mai provato e che credeva non le sarebbe mai piaciuto e ogni volta, ogni maledetta volta, finiva per doversi ricredere.
 
Il film era leggero e tutto sommato divertente. Alla fine della proiezione la piazza si era quasi del tutto svuotata e loro erano rimasti lì, sulla panchina nel parco, Eddie che disegnava cerchi immaginari nella parte interna del suo ginocchio mentre parlavano, senza nessuna fretta di andarsene.
 
“Lo sapevo che ti sarebbe piaciuto. Hai un sacco di cose in comune con quel tipo. Una band che fa troppo casino, una scuola in cui non ti lasciano fare quello che vuoi…” gli aveva detto, sicura di scatenare una sua reazione.
 
“Tu lo chiami casino quella roba? Se proprio devo identificarmi con qualcuno preferisco Doc. Un genio pazzo e alienato.” le aveva risposto sogghignando. Le aveva posato le labbra su una tempia e lei aveva chiuso gli occhi, indugiando nel suo tocco, assorbendo il calore del suo braccio che ancora le avvolgeva le spalle.
 
“Ti è mai capitato di desiderare di cambiare qualcosa del passato?” gli aveva chiesto. Così, dal nulla.
Anche se sapeva che quello, il passato, non era tra gli argomenti preferiti di Eddie, molto più focalizzato sul tempo presente. Ma voleva che fosse consapevole che, se mai avesse voluto, avrebbe potuto parlarne. Con lei.
Lui aveva riflettuto in silenzio per qualche secondo prima di risponderle.
 
“È successo, sì. Qualche volta. Avrei voluto non aver visto, sentito o vissuto certe cose. Ma se ci pensi bene… beh, se non fossero successe, non avrei quello che ho ora.”
 
Nel dirlo aveva abbassato gli occhi, incontrando quelli di lei.
Lei che doveva ancora impegnarsi per accettare il suo riflesso allo specchio, ma piano piano stava imparando a contare i suoi lividi e apprezzarli, nonostante tutto.
 
“Dai, fammi assaggiare quella roba.” gli aveva sorriso, e lui non si era fatto pregare. Le aveva passato il sacchetto ancora mezzo pieno e lei lo aveva aperto, inspirando il profumo stucchevole che emanava.
 
“Cosa ne dici?” le aveva chiesto, non appena si era infilata in bocca il primo pop-corn al caramello della sua intera esistenza.
 
“È dolce.”
 
Nel dirlo aveva incrociato per un attimo il suo sguardo soddisfatto. L’ennesimo “te lo avevo detto” era nell’aria, senza che lui sentisse bisogno di pronunciarlo. Invece le aveva preso la mano e si era portato alle labbra le sue dita perfettamente curate, rese appiccicose dal caramello. Succhiandoglielo via in un modo che le aveva fatto immaginare altre situazioni in cui sapeva essere dannatamente dolce con lei.
 
“Delizioso.” le aveva detto, lasciandole un bacio sul palmo della mano e poi sul polso.
 
Chrissy aveva smesso di respirare.
Accadeva spesso che lui le facesse quell’effetto. Sarebbe stato per sempre così? In quel momento non lo sapeva e non voleva chiederselo. Aveva iniziato ad avere paura di quanto tutto le sarebbe mancato di lì a qualche tempo.
 
 
 
La stanza di Chrissy nell’appartamento di Bedford Avenue è molto più piccola rispetto a quella di Hawkins ma altrettanto vuota. Il letto, una scrivania, uno specchio, l’armadio. Nessun quadro alle pareti verde pallido, leggermente scrostate.
Tende di cotone alla finestra che dà sul cortile interno, spesso invaso dall’odore del fumo e delle pentole sul fuoco.
E lei, rannicchiata tra le lenzuola, una maglia nera troppo grande, la lettera stretta contro il petto.
Rientrata dal suo turno al ristorante ha dovuto rileggerla tre volte per rendersi conto che è tutto vero. Che le cose stanno iniziando a girare per il verso giusto, che tutti i suoi sforzi stanno prendendo forma in qualcosa di concreto.
Sarebbe tutto perfetto se non fosse che…
 
“Chrissy, dobbiamo uscire a festeggiare.” le urla Diana irrompendo nella stanza. Ha indossato una maglia verde fluorescente sopra un paio di jeans chiari e ha raccolto i capelli con un nastro colorato.
L’assenza di qualsiasi genere di risposta provoca in lei una reazione infastidita, costringendola a incrociare le braccia sul petto e alzare gli occhi verso il soffitto.
 
“Non mi dirai che hai intenzione di stare qui a fissare il telefono aspettando che suoni. Oggi che hai la serata libera. Oggi che hai ricevuto la lettera.”
 
“Io non fisso il telefono… solo…”
 
Solo ha bisogno, dannatamente bisogno, di sentire la sua voce.
Di condividere quel momento con l’unica persona che sa davvero quello che ha passato per arrivare fino a qui.
Le manca talmente tanto che a volte le sembra di avere un abisso al posto del cuore.
 
“Solo cosa Chris?”
 
“Potrebbe chiamare. Lo sa che stasera non lavoro.”
 
“Non ti chiama da... boh, non so neanche io da quanto.”
 
“Avrà avuto da fare e comunque non è così facile. Che ne sai tu…”
 
Chrissy si rigira nel letto, pianta gli occhi in una crepa del muro.
Sente il rumore scricchiolante dell’armadio che si apre, seguito dal tonfo ovattato di qualcosa di morbido che le colpisce le gambe atterrando sul materasso, proprio lì accanto.
 
“Avanti ti ho scelto i vestiti. Poi non dire che non sono un’amica… preparati e vieni fuori con me. Prendi pure i miei trucchi. Esagera.”
 
Chirissy si volta appena, incrociando lo sguardo celeste della sua amica che si è improvvisamente ammorbidito.
 
“Diana…”
 
“Chris, andiamo. C’è anche Jessica. Ho già organizzato tutto, non fare la solita guastafeste. Sei a New York da mesi dannazione, e non hai visto altro che il ristorante dei miei genitori, quello stupido parco e la tua strizzacervelli.”
 
“Lo sai che devo risparmiare.”
 
“Stasera offro io. Dobbiamo festeggiare. Te lo meriti.”
 
Chrissy si mette a sedere, le mani aggrappate la stoffa della sua maglia. Sposta lo sguardo sui vestiti accanto a lei e li afferra, stringendoseli addosso. Quando si decide a raggiungere il bagno per indossarli e attraversa il corridoio dà un’ultima occhiata la telefono che non squilla da giorni.
 
Lo farà più tardi, rompendo la quiete silenziosa dell’appartamento buio e vuoto.
Dall’altra parte ci sarà qualcuno che Chrissy evita sempre di nominare.
Qualcuno che vorrebbe dirle Ehi, sono io. Sono qui. Sta andando tutto a puttane, ma ci sono ancora.
Parole inutili che resteranno sospese nello spazio di una cabina silenziosa e lontana.
E lui, quattro gettoni nel palmo della mano, in attesa di una risposta che quella sera non arriverà.
   
 
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