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Autore: Fragolina84    21/10/2022    0 recensioni
Delusa da Matrix Resurrections, già mentre ero al cinema mi è nata l'idea di un finale diverso per una Trilogia che ho amato in ogni suo aspetto. Quindi, preso spunto dall'idea alla base del film, ho creato questa storia che parla della Resistenza sorta dopo il sacrificio di Neo e Trinity e la ripresa delle ostilità da parte delle macchine. Due nuovi personaggi, Raelynn e Calbet, saranno i protagonisti di questa storia che li vedrà lottare contro il sistema per l'agognata libertà.
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Neo, Nuovo Personaggio, Trinity
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Caro lettore,
se sei arrivato qui, presumo che anche tu sia rimasto un po' deluso dall'ultimo capitolo di Matrix.
Io avevo tantissime aspettative e, lo ammetto, sono state disattese.
Spero che questa mia interpretazione ti piacca e che vorrai farmelo sapere lasciandomi una recensione.
Buona lettura!

 

La notte artificiale di Zhaka aveva steso il suo manto sulla città e tutto era più tranquillo del solito. 
Il montacarichi si arrestò e Calbet uscì, fermandosi sul pianerottolo e appoggiandosi alla balaustra in ferro. Il baratro sotto di lui sembrava volerlo risucchiare, ma lui c’era abituato e lasciò che lo sguardo vagasse intorno. 
Il camminamento su cui si trovava proseguiva con andamento circolare lungo quello che sembrava lo scavo ad imbuto di una miniera. Numerose porte di ferro si aprivano sul perimetro, alloggi piccoli e modesti che ospitavano una popolazione sempre più esigua. 
I piani inferiori, sul fondo del grande cratere, erano dedicati alla logistica e alle sale che contenevano i macchinari che li tenevano tutti in vita. Curioso che altre macchine cercassero in ogni modo di ucciderli. 
Sospirò e alzò lo sguardo. Lassù, da qualche parte, oltre le luci che simulavano il giorno e la notte, oltre lo strato di roccia che li proteggeva, c’era il mondo vero. Lui l’aveva intravisto, per un momento, cosa che coloro che erano nati e cresciuti a Zhaka non potevano dire. La verità era che nessuno sapeva in che condizioni fosse, dopo centinaia di anni sotto il dominio delle macchine. 
Quel pensiero gli mise addosso una profonda tristezza e, allo stesso tempo, gli incendiò le vene di una rabbia vivida e corrosiva: le mani strinsero con tanta forza la ringhiera di metallo che le nocche sbiancarono. 
Scosse la testa, come per liberarsi di quei pensieri, e si sistemò lo zaino sulla spalla, incamminandosi sulla passerella di metallo. Giunto di fronte ad una porta esattamente uguale a tutte le altre girò la grande maniglia centrale e spinse il battente, che ruotò sui cardini con un leggero cigolio. 
«Raelynn, sono tornato» disse, lasciando cadere lo zaino. 
Non ricevette risposta, ma udì lo scroscio dell’acqua della doccia. Sogghignò e fece leva con l’alluce per togliersi uno stivale. Si diresse verso il bagno, seminando i vestiti lungo il tragitto. Giunto alla porta, la trovò socchiusa. La spinse con delicatezza: il vapore riempiva la stanza e la tenda si muoveva appena. Dietro, Calbet intuiva le forme sinuose di un corpo femminile e il desiderio gli mandò un brivido lungo la spina dorsale. 
La ragazza nella doccia canticchiava una canzone a mezza voce ed era evidente che non si era accorta che lui era arrivato. Calbet scostò appena la tenda: lei era girata di spalle, la massa di capelli castani fermati sul capo con uno spillone, e gli mostrava un paio di natiche sode che gli seccarono la bocca. 
Incapace di trattenersi, si avvicinò e le posò le mani sulla vita sottile, lì dove si allargava sbocciando nei fianchi. La giovane sussultò e lanciò un gridolino di sorpresa. 
«Scusa, avrei dovuto essere più delicato. Ma adoro coglierti di sorpresa.» 
«Cal!» esclamò Raelynn, mentre lui abbassava la testa per baciarle la spalla. I rimproveri che le salirono alle labbra svanirono mestamente quando lui la fece girare verso di sé e si impossessò della sua bocca. La spinse contro la parete, soffocando le proteste che lei stava per rivolgergli dato che le aveva fatto bagnare i capelli. 
Non si vedevano da quattro giorni e la passione divampò come un incendio. Raelynn gli passò le mani sul petto, graffiandogli delicatamente i muscoli con le unghie. Calbet ringhiò qualcosa e si abbassò per sollevarla: lei gli allacciò le caviglie dietro la schiena, posandogli le mani sulle spalle. 
«Lynn…» sussurrò e la ragazza annuì, gemendo sulle sue labbra. 
Si puntellò alla parete e in un istante fu dentro di lei. Si mosse con decisione e Raelynn lo assecondò, reggendosi alle sue spalle, sentendo i muscoli guizzare sotto i palmi. Finì tutto in breve e Calbet rimase ad ansimare con la fronte appoggiata alla spalla di lei, reggendola con un braccio attorno alla vita. 
Quando il respiro si acquietò, la rimise a terra e le circondò il viso con le mani, baciandola con delicatezza. 
«Mi sei mancata, dolcezza» sussurrò. 
«Anche tu» replicò lei con una risatina soddisfatta. 
Finirono la doccia e Calbet allungò una mano per afferrare gli asciugamani. Se lo legò in vita e avvolse lei nel telo, rubandole un altro bacio. 
«Tutto bene sulla Mayrein?» 
Calbet aveva prestato servizio sulla nave del suo amico Tost, che comandava appunto la Mayrein, l’ammiraglia della flotta di hovercraft di Zhaka. Tost aveva perso due membri del suo equipaggio nell’ultima missione e, dato che Calbet era libero, gli aveva chiesto aiuto. 
«Sì, tutto ok» confermò Cal. «Ma sta diventando davvero difficile uscire. Le Sentinelle sono sempre più agguerrite e Matrix era piena zeppa di agenti.» 
Matrix, la loro eterna condanna. Un mondo fittizio, messo di fronte ai loro occhi per nascondere una verità di sfruttamento e schiavitù. Un programma creato dalle macchine per tenerli tutti soggiogati. Loro due, così come molti altri nel corso dei secoli, erano stati liberati. Ma la maggior parte degli umani continuava ad essere sfruttata senza pietà, privata della propria energia e della libertà. 
Per un certo periodo, dopo la Rivoluzione, le cose erano andate diversamente e c’era stato un lungo periodo di pace. Ma erano passati trecentododici anni da allora e, da tempo, il conflitto tra gli umani e le macchine si era riproposto e ogni giorno raggiungeva nuovi livelli di crudeltà. 
Ormai liberare qualcuno era diventato estremamente difficile, e la comunità degli umani liberi si stava assottigliando sempre più. I vecchi morivano e i giovani venivano uccisi nel tentativo di dare nuovo respiro a Zhaka. 
Raelynn era stata liberata a quindici anni, ossia dodici anni prima, proprio nell’anno del trecentesimo Anniversario della Liberazione. Mentre viveva in Matrix, aveva sempre avuto la sensazione che ci fosse altro sotto la superficie, come se la realtà fosse nascosta sotto un velo. Quando era stata contattata da Bree, la donna che l’aveva liberata, non aveva avuto dubbi nello scegliere la pillola rossa. 
Un anno dopo era già in Accademia, dove si era laureata come la migliore del suo corso ad appena vent’anni. Aveva servito per cinque anni sulla Ninvar e, in seguito, il Consiglio le aveva affidato il comando della Livelyan, facendo di lei una dei più giovani capitani di Zhaka. 
Calbet aveva due anni più di lei ed era stato liberato dieci anni prima. Anche lui era entrato in Accademia e si era laureato, anche se non con gli stessi risultati di lei, aggregandosi all’equipaggio della Ninvar. Lì aveva conosciuto Raelynn e tra i due era scoccata la scintilla, tanto che quando le era stato affidato il comando, Calbet l’aveva seguita ed era diventato il suo secondo. 
«Ho saputo che ne avete liberato uno» disse la donna. Nei tempi passati, un solo umano liberato sarebbe stato tutt’altro che un gran bottino. Ma, per come stavano andando le cose ultimamente, la prospettiva era radicalmente cambiata. 
Raelynn aprì un barattolo preso dall’armadietto, diffondendo un forte odore di canfora nella piccola stanza. «Mi aiuti?» gli chiese, porgendogli il vasetto. 
Calbet immerse le dita nella pomata biancastra e prese a spalmargliela delicatamente sulla spalla, sotto la clavicola sinistra. 
«Ogni volta che vedo questa cicatrice penso a quanto vicino sono stato a perderti» mormorò, mentre lei si sottoponeva a quel massaggio con gli occhi chiusi. 
Un anno e mezzo prima, mentre si trovavano a quota trasmissione, erano stati attaccati dalle Sentinelle. Raelynn avrebbe dovuto abbandonare la nave, ma si era rifiutata di farlo, visto che lui era ancora bloccato in Matrix. Aveva evacuato l’intero equipaggio, ma lei era rimasta, mentre le Sentinelle penetravano nello scafo, facendogli da operatore per guidarlo fuori da Matrix. 
Una di quelle macchine infernali l’aveva raggiunta e trapassata da parte a parte con uno dei suoi tentacoli di acciaio, prima che Raelynn riuscisse ad azionare l’EMP, che aveva fritto tutte le Sentinelle nel raggio di chilometri, così come tutti i circuiti della Livelyan, in seguito recuperata e rimessa a nuovo. 
«Acqua passata, ormai» mormorò, mentre Cal le spalmava l’unguento sulla schiena. Anche se aveva rischiato di perdere il braccio, la ferita era perfettamente guarita, ma a volte tornava a farle male. 
«Ecco fatto» disse, chiudendo il vasetto e riponendolo. 
Raelynn lo ringraziò, mentre lui prendeva il rasoio e il sapone per farsi la barba. 
«Che fai?» chiese con un sopracciglio inarcato. 
«Mi taglio questa barba di giorni» spiegò. «Il mio comandante è un vero aguzzino e non transige su certi argomenti.» 
Raelynn sorrise e gli circondò la vita con le braccia, baciandogli le fasce di muscoli ai lati della spina dorsale. 
«Sono sicura che il tuo comandante, quando vedrà quanto sei sexy con la barba, chiuderà un occhio» sussurrò, uscendo poi dal bagno. 
Calbet scosse la testa con un sorriso ad incurvargli le labbra e si limitò a regolarla, lasciandola più lunga di come era solito portarla. 
Indossò abiti puliti e raggiunse Raelynn che stava preparando la cena. 
«Novità sulla Livelyan?» le chiese, mentre la giovane alzava lo sguardo su di lui e approvava il nuovo look con un sorriso. 
«Le riparazioni sono terminate stamattina. Domani usciremo per un collaudo, dopodichè torneremo in servizio attivo.» 
La Livelyan era a terra ormai da due settimane. L’ultimo incontro con le Sentinelle era stato piuttosto complicato. Si trovavano a quota trasmissione assieme ad una seconda nave, la Gariter. Dopo la sortita in Matrix, loro erano tornati, ma l’equipaggio della Gariter era ancora collegato quando erano stati agganciati dalle Sentinelle. 
Usare l’EMP avrebbe significato uccidere tutti quelli collegati e rendere inutilizzabile la nave, perciò Raelynn aveva ordinato che la Gariter spegnesse tutti i sistemi non necessari, sperando così di trarre in inganno le Sentinelle. Poi si era messa personalmente al comando della Livelyan, andando incontro ai nemici. Come aveva sperato, eccitato dalla vicinanza con la sua nave, lo sciame si era lasciato sfuggire il fatto che era presente un secondo hovercraft e si era messo all’inseguimento. 
L’obiettivo di Raelynn era sfruttare le dimensioni ridotte e la maneggevolezza della propria nave per allontanare il più possibile le Seppie dalla Gariter. Persino Calbet, che pure l’aveva già vista pilotare in quel modo, aveva avuto paura. Le aveva fatto da copilota e si era ritrovato a trattenere più volte il fiato mentre Raelynn lanciava la nave in curve sempre più strette e la faceva infilare in cunicoli con appena una spanna tra le piastre e le pareti del tunnel. 
Raelynn aveva fatto disattivare tutti i sistemi non essenziali per la navigazione, ma quando poi gli aveva ordinato di spegnere quasi tutte le piastre che li facevano fluttuare, Cal l’aveva guardata come se la ritenesse pazza. 
«So quello che faccio, Cal» era stata la sua replica. «Ora spegni quelle piastre». 
Erano passate due settimane e ancora non aveva idea di come Raelynn avesse potuto mantenere in aria l’hovercraft in quelle condizioni. Ma il motivo della sua scelta era stato evidente poco più tardi quando, raggiunta una distanza sufficiente dalla Gariter, Raelynn aveva fatto posare la nave e lanciato l’EMP. Spegnere completamente una nave richiedeva tempo: meno sistemi erano attivi e più veloce era il processo. Le Sentinelle erano rimaste fulminate dall’impulso e loro erano riusciti a tornare indietro a difendere la Gariter finché l'equipaggio non era tornato e avevano preso la via di casa.
Raelynn si era beccata un richiamo ufficiale per quell’azione e Calbet sospettava che le riparazioni fossero durate così tanto solo perché il Consiglio voleva tenerla a terra per punizione. Certo, non potevano ufficializzare una sospensione ad un capitano che aveva sgominato un tale numero di nemici, ma potevano agire in altri modi, come rallentando le riparazioni della Livelyan. 
«Hai detto che il collaudo sarà domani?» le chiese, mentre le rubava un gambo di sedano e si metteva a sgranocchiarlo. Come facessero i tecnici di Zhaka a produrre frutta e verdura in quelle condizioni restava un mistero per lui, ma era grato del loro impegno che forniva alla colonia tutto ciò di cui aveva bisogno. 
«Esatto» risposte la ragazza. 
«Ma domani è la Festa della Liberazione» mormorò Calbet. 
«Sì, una gran bella liberazione direi» replicò, piccata. 
Trecentododici anni prima, proprio quel giorno, Neo e Trinity avevano raggiunto la città delle macchine con un hovercraft e, pagando con la loro vita, erano riusciti a sancire un accordo con l’Architetto, il programma responsabile di Matrix. 
Tutti a Zhaka conoscevano la storia, anche se con il passare delle generazioni si era arricchita di dettagli e si era ammantata di un velo di mistero e di quella patina di eroismo che avevano solo le leggende. 
Per quasi cinquant’anni, le cose erano andate come promesso: le Sentinelle pattugliavano ancora i condotti in cui si muovevano gli umani, ma non li attaccavano più. Nemmeno i programmi di sorveglianza di Matrix davano più la caccia agli umani, finalmente liberi di scegliere il proprio destino. Per i primi tempi era stato difficile abbandonare i vecchi pregiudizi, e gli umani guardavano ancora con sospetto a quelle macchine mortali. Ma, man mano che la convivenza proseguiva in maniera pacifica, avevano abbassato la guardia. 
Quello che gli umani non sapevano, era che quella delle macchine era una tregua momentanea. Il loro obiettivo non era cambiato, anzi: vedevano nella progressiva fiducia degli umani un’occasione per infiltrarsi fra di loro. 
Ormai a conoscenza della posizione di Zion, le macchine avevano costituito un poderoso esercito e sferrato un attacco al cuore della città. Gli umani ci avevano messo poco a capire che stavolta non c’era nessun Eletto a salvarli e, dopo una furiosa battaglia durata giorni, Zion era caduta. 
I pochi superstiti, feriti nel corpo e fiaccati nello spirito, erano riusciti a far perdere le proprie tracce alle Sentinelle, rifugiandosi ancora più in profondità, ormai rassegnati ad una lenta estinzione. 
Ma la resilienza del genere umano aveva nuovamente fatto il miracolo. Nuove colonie erano state fondate, agglomerati come Zhaka, e le comunità erano tornate a vivere. C’erano voluti cinquant’anni per ricostruire ma, alla fine, gli umani avevano trovato i materiali e le risorse per ricostituire la flotta e il coraggio per riportarla a quota trasmissione a sfidare nuovamente Matrix. 
Gli umani celebravano ancora la memoria della Liberazione e del sacrificio dell’Eletto. Raelynn era grata a Neo e Trinity per ciò che avevano fatto, erano i suoi idoli, ma era in disaccordo con i vertici del potere politico e militare di Zhaka. Secondo lei non si stava facendo abbastanza, dovevano essere più presenti in Matrix e liberare più persone possibile: non serviva a nulla celebrare il loro sacrificio se poi non si era disposti a rischiare quanto loro per liberare l’umanità.  
«Tranquillo, torneremo in tempo per la festa» riprese Raelynn, dedicandosi ad affettare del formaggio di soia. Non c’erano animali a Zhaka, quindi nessuno dei due aveva mai mangiato carne, né bevuto latte: coltivavano quel che serviva loro nei sottolivelli logistici ed era già in miracolo che potessero permettersi verdure fresche. Mentre erano in missione a bordo degli hovercraft, per questioni di peso e di spazio, si nutrivano di immonde brodaglie costituite di proteine e amminoacidi e, non appena sbarcavano, non vedevano l’ora di mangiare cibo vero, per quanto a volte surrogato di quello reale. 
Raelynn mise in tavola la cena che aveva preparato ma, prima che potesse sedersi, Calbet le cinse i fianchi con le braccia e la strinse a sé. 
«Non mi interessa tornare per la festa» dichiarò. «Ma vorrei che partecipassi sul serio e ti lasciassi andare, solo per una sera.» 
La ragazza sbuffò e cercò di divincolarsi dal suo abbraccio. 
«Non sbuffare, donna» la rimproverò bonariamente. «Voglio solo vederti serena per qualche ora» aggiunse in tono serio, sfiorandole la fronte con il dito per farle distendere le rughe di preoccupazione che vedeva sempre più spesso corrugarle la pelle. Raelynn parve rilassarsi e permise ad un sorriso di curvarle le labbra. 
«Amos avrebbe dovuto lasciarti in Matrix, quella volta» borbottò riferendosi alla sua liberazione. 
Poi la sua espressione cambiò, quando si rese conto, con la solita fitta di sgomento, che Amos non c’era più. Era il migliore, senza dubbio, e la mente volò in un lampo a quel giorno di dodici anni prima, il giorno in cui aveva conosciuto Amos e la sua compagna Bree. Il giorno in cui era stata liberata da Matrix.
  
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