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Autore: Manto    23/10/2022    0 recensioni
♦ Attenzione: presenza di un personaggio presente solo nel manga ♦
( Rolivier )
Una serata che non dovrebbe nemmeno essere pensata, qualche bicchiere di troppo, e un gioco per portare a galla ricordi, e qualcosa che ancora non si sa. O, forse, che si conosce maledettamente bene.
Genere: Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Mira, Olivier, Roland Fortis
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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DISCLAIMER

I personaggi descritti qui non mi appartengono.
La storia è stata scritta senza alcun scopo di lucro.

 

Con La Prima Luce

 

Sapevo che sarebbe finita così.
Lo. Sapevo.
Da tempo l’idea gli si è insinuata nella mente e nei pensieri, ma ora Olivier ne possiede l’assoluta certezza: ha un autentico talento, un vero dono, nell’attirare le situazioni più disastrose e caderci dentro di faccia.
E non da solo.
… E, fatta eccezione per questa volta, non per colpa sua.
Ma può ingannarsi quanto vuole, costruirsi tutte le illusioni che desidera, perché la realtà non cambia: qualche ora fa, quando il corpo è stato attraversato dal sentore che qualcosa sarebbe successo e la voce della saggezza gli ha sussurrato di rimanersene nei propri alloggi e di stare lontano da Mira e, soprattutto, da Roland, lui li ha messi a tacere con una secca scrollata di spalle, considerandoli una sensazione fallace e uno scrupolo senza senso.
Ma non è mai cosa da poco quando ci sono di mezzo quei due.
Maledizione, quando lo capirò?
E avrebbe dovuto intuire il pericolo, la trappola dietro al sorriso con cui Mira lo ha fermato davanti alla porta del proprio laboratorio e, appoggiato il corpo da pantera contro uno stipite, ha indicato l’interno della stanza con un cenno del capo, puntando lo sguardo sulle quattro casse di vino già mezze sepolte da libri, strumenti e oggetti di non specificata natura. 
“Mi è appena arrivato il tuo compenso, sai? Questa volta non ti sei davvero risparmiato. Un brindisi?”
Neanche il tempo di provare a rifiutare, e lei ha sfoderato due calici e chinato il capo di lato, un’espressione innocente nel volto. “Un goccio solo”, ha sussurrato con la malia di una sirena, lo sguardo scintillante ma ben protetto dagli occhiali; e lui che avrebbe dovuto fuggire, ecco che invece si è fatto imbrigliare dal suono di quella voce, e nemmeno ha notato l’accortezza con cui lei ha chiuso la porta alle loro spalle.
Una parola segue l’altra, e i sorsi di un buon rosso agiscono allo stesso modo; e quando Roland si è aggiunto a loro, spuntando da solo il Signore sa dove e mandando letteralmente all’aria un’intera torre di fogli, le bottiglie vuote sparse sul tavolo sono diventate quattro, cinque, e…
Come poi è proseguita la faccenda, Olivier non se lo ricorda troppo, se non che la voce gioiosa di Roland e il riso cristallino di Mira hanno coperto solamente in parte il pungolo della rovina imminente, e infine questo è esploso quando la ragazza ― stranamente sobria, contando i numerosi bicchieri ingollati… ― è balzata in piedi e si è stiracchiata con uno sbadiglio teatrale: “Va bene, signori… io vi do la buonanotte e me ne vado a letto, per il momento da sola.” Una pausa, il tempo di fare l’occhiolino a entrambi. “L’ambiente lo conoscete, fate come se foste nei vostri alloggi; ma vedete di non rompere niente, grazie. Specialmente le bottiglie, mi raccomando, fate attenzione alle bottiglie!”
Roland ha riso sommessamente, ma Olivier ha fissato la schiena di Mira in silenzio, quasi tremando dalla voglia di rincorrerla e fermarla per chiederle che cosa avesse in mente. 
Perché lei ha architettato qualcosa, lo so…
“Aaaah, Olivier, in verità dovrei andare anch’io… è già parecchio tardi e oggi è stata una giornata tosta”, ha esordito poi Roland, il tono della voce così calmo da sembrare una preghiera e gli occhi smeraldini a chiedergli perdono per quella sorta di fuga, “tu… tu rimani?”
Olivier gli ha regalato un lieve sorriso, quindi si è alzato e si è guardato intorno, come aspettandosi un attacco. “Anche se la gentile signora ci ha benignamente lasciato la propria dimora, non sarebbe onorevole abusare di tale gentilezza. Ti seguo”, ha mormorato.
I guai veri sono iniziati qualche istante dopo, quando il paladino ha notato l’esitazione dell’altro davanti alla porta. “Qualcosa non va?”, ha quasi sbottato, un poco accigliato e altamente preoccupato.
“No, no, è che… hmmm, la porta sembra bloccata.”
Con delicatezza, Olivier ha scostato il compagno dalla soglia e ha dato un deciso scossone alla maniglia; il legno non si è mosso di un centimetro, rimanendo chiuso. Serrato.
Ma che diavoleria ha combinato quella…
I due si sono guardati per qualche attimo nella luce soffusa dell’ambiente, quindi si sono voltati all’unisono verso l’uscio dietro a cui Mira è scomparsa, per poi tornare a fissare la porta davanti a loro.
“… Sei sicuro di non averla chiusa a chiave quando sei entrato, vero?”
“Non l’ho fatto! Come avrei potuto senza chiavi?”
Un attimo di silenzio per contemplare la serratura desolatamente vuota, e un secondo istante per alzare lo sguardo e osservare il solido legno. “Sono porte capaci di resistere anche alla tua forza, perfino se attaccate con le armi. Mira sa bene come proteggere i segreti di questo posto”, ha mormorato Olivier con tono amaro, prima di voltarsi e dirigersi a passo di marcia verso la stanza della giovane, il volto oscurato da un fitto cipiglio.
“He-hey! Che cosa vuoi fare? Piombare nella camera di una signora così?”, lo ha rincorso Roland, sgranando gli occhi per la sorpresa e la tensione, assistendo alla scena che ha visto il suo ex capitano rischiare di rompersi una mano contro la porta della mora. “Mira, per piacere, non scherziamo”, ha sibilato quello, il tono granitico, “apri e facci uscire. Che ti è preso, si può sapere? Mira!”
E secondo te ti risponde anche?
Nessuno dei due potrebbe esserne sicuro senza vacillare, ma il sottile suono proveniente dall’altro lato della porta ha assunto l’ombra di una risata soffocata; e infine, la caduta definitiva nell’abisso.
“Olivier, aspetta.”
Il paladino ha guardato confuso la mano di Roland fargli segno d’indietreggiare, quindi il ragazzo si è chinato e, una volta rialzatosi, ha mostrato qualcosa di bianco stretto tra le dita.
“Un biglietto?”, ha mormorato l’altro, capendoci sempre meno, mentre si è avvicinato al compagno e insieme hanno svolto la pagina sottilmente ripiegata e occupata dalla scrittura precisa della ragazza, tracciata in un rosso talmente vivo da dare il capogiro.

Siete pronti? Diamo il via ai giochi!
Provate a uscire da qui, avanti!
Primo indizio: fate attenzione a ciò che è più fragile di una farfalla!
E buona fortuna

 

Ed eccoci qui, dopo quasi due ore, ancora prigionieri.
Sapevo che sarebbe finita così.
Lo. Sapevo.
Appoggiato contro una parete, Olivier si passa una mano sul viso per l’ennesima volta e scuote la testa, cercando di snebbiare la mente dalla confusione che la invade. Inutilmente. 
Il vino in circolo non lo sta aiutando di certo, e ancora meno il continuo muoversi e frugare di Roland per la stanza, capace solamente di portare altro caos. Niente di nuovo a dire il vero, ma in quel frangente ancora più notevole e amplificato dal suo fastidio.
“Siamo davvero chiusi qui dentro… incredibile…”
“A quanto ne so, la porta non si è ancora aperta per volontà propria.”
La voce è stanca, intrisa d’irritazione ma fiacca: quanto deve avere bevuto per essere in tale deplorevole stato, e cosa?
Un altro tiro di Mira?
“Questa non la passerà liscia”, sibila mentre stringe il pugno e sente il fruscio dei passi di Roland avvicinarsi, e quindi rilassa la mano. Gli lancia un’occhiata, e quando lo vede sorridere lievemente corruga la fronte e fa una smorfia. “Tu, invece, ti stai divertendo.”
L’altro amplia un poco il sorriso e non desiste nel guardarsi intorno. Dove trovi l’energia, davvero non è possibile saperlo. “Non proprio, ma la situazione è vergognosamente buffa. Due capitani messi nel sacco così… e cos’è che è più fragile di una farfalla?”
Una pausa piena di stupore. “Non dirmi che stai davvero dando retta alle parole di Mira. Non dirmelo.”
“Ma… fare il suo gioco è l’unico modo per uscire da qui!”
“Figurarsi!” Olivier trattiene a stento un’imprecazione, quindi fissa l’altro paladino di traverso. “Arrenditi, ne usciremo solamente quando la nostra dama si sarà stancata del gioco. Potrebbe metterci tutta la notte, o peggio.”
“Una prospettiva non così malvagia: almeno non ci ha rinchiuso al freddo, o lasciandoci completamente al buio.”
“Sì, ma perché?”
Roland rimane in silenzio un istante, pensieroso. “Le abbiamo fatto qualcosa? … Le hai fatto qualcosa?”
Il Paladino dell’Ossidiana fulmina il compagno con una sola occhiata, per poi rifiutarsi anche di commentare. Ma la caparbietà di Roland è ormai materia di proverbio, quindi Olivier non si stupisce troppo quando sente il ragazzo rimettersi in azione per risolvere l’indovinello di Mira.
“Ragioniamo… che cos’è più fragile di una farfalla?”
“Un bocciolo appena nato”, sussurra il moro senza pensarci troppo, esprimendo la prima idea che gli viene in mente.
“Oppure?”
“Ah, se dai retta alla nostra aguzzina, tutto ciò che contenga del vino…”
Il moro si blocca, spalancando gli occhi e guardando innanzi a sé; poi china la testa, senza riuscire a nascondere un ghigno esasperato. “I bicchieri verdi del Reno”, esordisce, “loro sono più fragili di una farfalla.”
“… Come? Di che cosa stai parlando?”
Prima di rispondere al compagno, Olivier indica una delle eleganti vetrinette di fronte all’entrata e alla loro persona. Qua, su un ripiano tanto pulito da risplendere, spiccano cinque bicchieri di cristallo verde, così eleganti e finemente lavorati da sembrare petali di un fiore. “Sono preziosissimi, un servizio antico e spaventosamente delicato. Quando li ho portati qui, mi sono fatto ripromettere di considerarli come farfalle e quindi di prestare loro la massima attenzione”, spiega con una punta d’ironia nella voce, “e dire che li ho avuti davanti agli occhi per tutto questo tempo…”
Roland si avvicina alla vetrinetta e la apre senza tanti complimenti, prende in mano uno di quei preziosi manufatti e lo scruta con attenzione. “Qua c’è lo stemma della tua famiglia”, esclama indicando la coppa del bicchiere, “non dirmi che…”
“Mai fare scommesse con Mira, mai. Le perdi a prescindere.”
L’altro annuisce con un accenno di risata, quindi posa il tesoro con tutta la delicatezza che possiede. “Fin quando è qui non è perduto”, esclama poi, “posso aiutarti a riottenerlo indietro!”
“Lascia stare… forse qui stanno meglio che con me.”
Come le persone[1].
Lo sguardo di Olivier sfugge quello di Roland come una preda il cacciatore, ma questi non mostra di aver colto la nota stonata di quel pensiero; invece, il Paladino del Diaspro si concentra su qualcosa riposto sul fondo della vetrinetta e, facendo attenzione a evitare il più terribile dei disastri e la fine della propria vita, fruga dietro ai bicchieri ed estrae un altro biglietto. “I giochi continuano”, esclama mentre lo lancia al compagno e subito dopo gli si avvicina, “diamoci da fare!”
Di nuovo, le parole di Mira si mostrano enigmatiche:

Il secondo giro è come una danza di bambini,
Spensierato; ma non troppo.
Bandisci la malinconia, provaci!

Questa volta, la puntura che Olivier percepisce dietro la nuca non è qualcosa dettato da intuito; piuttosto, un brivido, un sentore amaro. Senza volerlo ― e non è nemmeno il pensiero razionale a dettarglielo ―, lancia uno sguardo a Roland, e immediatamente impallidisce un poco. 
È tristezza quella che vede nei suoi occhi, che sono loro, ora, a scappare da lui? Profonda, tremenda nostalgia? 
“Ti senti bene?”
Il paladino esita a rispondere, forse finge di non avere sentito; ma sa di non poterlo ingannare. Perché per quanto cerchi di nasconderlo ― e non solo lui ―, per quanto questa sera troppe cose non stiano andando come al solito, se c’è qualcuno che Olivier sente sempre, quello è proprio il giovane dagli occhi di smeraldo. E viceversa.
“Roland, rispondimi. Che cosa c’è?”
L’altro non replica ancora, e il moro corruga la fronte quando lo vede bloccarsi; repentinamente lo vede cambiare espressione e umore, e ritornare a essere quello di sempre… almeno in apparenza.
Ed è quella la chiave che schiude la comprensione, perché le sensazioni del ragazzo di fronte a una questione in particolare sono sempre uguali; potente malinconia e senso di distanza e tristezza, e subito dopo promesse. Grandi, forti desideri che riportano un poco di luce, ma mai fino in fondo.
Olivier potrebbe rivelare e scommettere, e vincerebbe: ormai, sa bene dove va a posarsi il cuore del collega quando il suo sguardo è così lontano. D’altra parte, non fa alcuna fatica a capirlo. “Oggi è il compleanno di qualcuno della tua famiglia, vero?” Una pausa, la voce che diventa un sussurro impercettibile a tutti, tranne che al suo proprietario. “E tu sei qui, e non a chilometri e chilometri di distanza.”
“Sapevo cosa questa strada mi avrebbe richiesto”, sospira Roland, comprendendo tutto il necessario dal silenzio caduto come un velo, “e non sto recriminando nessuna mia scelta.”
“Ma?”
“Ma… ma, lo ammetto, quest’anno avrei voluto che fosse un po’ diverso.”
In tacito accordo, entrambi volgono lo sguardo verso un preciso angolo della stanza, su pile di fogli e ceste traboccanti di libri di ogni sorta: ciò che viene dimenticato e tutto quello che viene donato è conservato lì, perché pur nella grande confusione del luogo, nulla vada perduto e abbia la possibilità di una seconda esistenza.
E il gioco di Mira, seppur semplice, punta alle loro corde più delicate.
“Olivier… ti ricordi quel pomeriggio lungo la Senna, quando abbiamo incontrato tutti quei bambini?”
Il moro non riesce a trattenere del tutto un sorriso, e per nasconderlo si avvicina a una delle ceste per prendere il primo dei libri che lì riposa. “E come dimenticarlo… il vescovo di Parigi ci ha atteso per quasi due ore perché non c’era verso di farti muovere, volevi giocare a tutti i costi con loro. Per causa tua, mi sono sorbito un’ora di predica e una valanga di rapporti da compilare. Un incubo.”
“Tuttavia hai appena detto causa, non colpa.”
“Quella che è.”
Roland accetta di buon grado il volume che il compagno gli porge e sfoglia una delle prime edizioni de Le avventure di Alice nel Paese delle Meraviglie, ritrovando tutte le annotazioni che vi ha posto sopra, e quelle di tutte le mani innocenti che lo hanno stretto dopo di lui.
Il terzo biglietto gli scivola tra le dita quasi per caso, confermandogli che sono sulla buona strada, ma sia lui che Olivier attendono ad aprirlo: si prendono qualche tempo per osservare la pagine, commentare le parole e le immagini, rimanere vicini senza che un compito li leghi necessariamente. Non è facile, per loro, trovare un simile spazio: tra impegni, compiti e ben altri pensieri, spesso si scoprono più distanti di quanto vorrebbero… nonostante, forse, sarebbe meglio per entrambi reputarla una benedizione[1].
Prima o poi dovranno farsene una ragione… prima o poi.
“Ah, questo è davvero facile! Il riconoscimento per la prima missione che ho compiuto come tuo vice comandante!”
Il Paladino dell’Ossidiana impiega qualche istante per accorgersi delle parole di Roland e staccarsi dai propri ragionamenti, e solo quando il compagno gli mostra il biglietto comprende.

Anche gli eroi, a volte, non si sentono tali.
Qui c’è qualcosa di tuo, o forse no?
Riconoscere l’altrui forza e la propria è sempre onorevole.

“Come fai a dirlo con tale sicurezza?”
Roland spalanca gli occhi quasi si aspettasse tutto tranne quella domanda, quindi si stringe nelle spalle. “Beh… perché l’ho lasciato qui. Non l’ho mai portato con me.”
Olivier lo fissa senza sapere come replicare, né se essere più sorpreso o confuso. Quella missione, lontana negli anni ma sempre vicina nella mente, era quasi finita nel completo disastro: i vampiri contro cui si erano scontrati avevano fatto scorrere il sangue su tre squadre intere, letteralmente decimandole, e, il ragazzo può tuttora dirlo con convinzione, mai la Morte li aveva accarezzati con più desiderio.
Il ventre di Parigi li aveva visti lottare per ore; erano stati isolati, tormentati dagli scherni dei nemici e dai loro assalti contro cui nulla aveva funzionato, tremanti, esausti e svuotati. Roland non aveva mai abbandonato il suo fianco, si erano protetti a vicenda e avevano a loro volta protetto; poi, una mano aveva afferrato il giovane e lo aveva trascinato via con sé, nel buio e nel nulla di una galleria senza fine.
A quel punto, lui aveva smesso di porre limiti alla propria rabbia, arrivando quasi a spaventarsi per la terribile sete di sangue che lo aveva invaso; ma ancor prima di entrare nel vivo del massacro, Roland era ritornato da lui: irriconoscibile, ricoperto dei più svariati liquidi e umori da capo a piedi, con ferite che sarebbero presto diventate cicatrici, ma sorridente. Vivo.
Nella galleria alle sue spalle, il silenzio più profondo.
I rapporti su quanto accaduto erano stati innumerevoli, ma non tutti i punti chiariti; eppure, agli occhi di Olivier, il coraggio di Roland e la forza con cui aveva resistito erano apparsi chiari fin da subito, e anche grazie alle sue parole si era deciso di premiarlo.
Il diretto interessato non aveva rifiutato… quindi perché?
“Perché?”
Gli occhi del paladino sono tranquilli mentre formula la risposta e la espone, e in essi c’è la verità più pura: “Il biglietto lo dice chiaramente: non me lo sono meritato. In tutta sincerità, all’inizio non avevo questo pensiero; poi, con il favore del riposo e della lucidità, mi sono messo a riflettere sulle mie azioni, e non ne ho trovata nessuna degna di nota. Mi era stato dato un onore che non mi apparteneva, non potevo accettarlo.”
“Quel giorno hai salvato molti di noi e hai saputo resistere da solo a nemici che hanno fatto a pezzi un’intera squadra. Ero lì, l’ho visto.”
Olivier si attende una risposta, ma non che venga con un aperto sorriso: “No, ti sbagli: non ce l’avrei mai fatta se il mio capitano non mi avesse coperto le spalle e fosse stato così ardito e capace da proteggere tutti. Io ho solo compiuto il mio dovere, mentre lui ha permesso che la nostra squadra non perdesse membri. Il riconoscimento avrebbero dovuto darlo a te… ma hanno preferito ascoltare le tue parole, e non le mie.
Ma alla fine non importa…” Una pausa. “Preferisco che ti neghino un atto di valore, che perderti.”
Il Paladino dell’Ossidiana non risponde, perché non saprebbe neppure cosa dire; lascia cadere lo sguardo dentro quello di Roland e cerca nella sua luce una risposta, la risposta, che sa non essere rivestita solo di rispetto e ammirazione. Non sarebbe così pericolosa da cercare, altrimenti, né da realizzare pienamente… perché già la sa.
Lo sanno entrambi.
E nonostante ciò che la ragione grida, improvvisamente sembra così necessario, giusto, sedersi l’uno vicino all’altro sul pavimento cosparso di fogli, tracce e segreti; seppur sbagliato, vietato, pare doveroso rimanere a guardare la torcia che perde forza e solo ora se ne accorgono, e nella penombra sussurrare un: “E ora?”, senza provare a indovinare ciò che segue perché i pezzi stanno trovando il loro posto nel mosaico e il disegno va completandosi, qualunque esso sia, e lui sa qual è il prossimo passo.
Anche se dovesse fare così male da mandare in frantumi tutte le bugie raccontate a sé stessi, anche se dovesse aprire un varco nel mezzo del cuore e infilarvi un pugnale arroventato, con un nome inciso su lama e impugnatura.
Olivier è davvero stanco, ora, quindi lascia che i pensieri si mettano in fila, le sensazioni arrivino, i desideri si affaccino alla mente; che senso avrebbe continuare a negarli?
Se c’è un disegno dietro a tutte le cose, un luogo creato secondo la forma di ognuno, allora il loro è nascosto dietro le labbra che si sfiorano appena come per incidente, ma che non si discostano e, trascorso un secondo lungo come l’eternità, s’incontrano nuovamente.
Un segreto come un altro, rinchiuso tra le stanze di Mira e da esse protetto; battiti che svaniscono nel piccolo schiocco delle bocche che si separano, seguito dal fruscio delle dita che si stringono.
Questa volta, Olivier permette che Roland gli accarezzi i capelli senza allontanarlo, e in cambio gli passa i polpastrelli sulle cicatrici che ricoprono mani e polsi; ognuna di esse è un sussulto, una crepa attraverso cui entrare, un motivo per rimanere.
Sul far della notte, resteranno; con la prima luce, si ritroveranno.
Ma mentre questa è ancora lontana e, molto sopra di loro, la luna è nel bel mezzo del suo viaggio, è qualcun’altra a scoprire i loro corpi addormentati, le teste appoggiate e le mani che tendono al cuore della rispettiva metà.
Attenta a non fare il minimo rumore, Mira si para davanti a loro, aggiusta gli occhiali sul naso e si stringe nel mantello, per poi sorridere. “Ed eccovi qui”, sussurra dolcemente, “finalmente ce l’avete fatta, eh?”
Con movimento leggeri, si volta e si dirige verso la vetrinetta dove attendono i bicchieri di Olivier: li prende con sé e li appoggia sul tavolo davanti ai due paladini, per poi recuperare il libro de Le Avventure di Alice e il riconoscimento rifiutato, e posa vicino a loro l’ultimo biglietto: non un nuovo enigma, ma la chiusura dei giochi.
Ora siamo ai premi: ve li siete meritati.
Sai, Roland, oggi non è solamente il compleanno di uno dei tuoi cari; è anche il mio. Il tempo passa troppo veloce, per tutti, e mentre contavo i giorni mancanti a questo momento ho pensato: invece che accettare regali, cosa posso fare io per gli altri?
Se siamo qui per uno scopo, come aiutare, salvare?
Rinchiudervi qui dentro e farvi creare la soluzione, una strada, fino alla vostra anima è stato solo uno dei modi per dirvi di non attendere oltre, perché niente e nessuno aspetterà. Solamente voi.
Ora la porta è aperta, ma se voleste darmi un bacio come pedaggio lo accetterei volentieri.
L’amore non basta mai; è l’unica cosa che tutti possono donare, e tutto ciò che conta porta il suo nome; conoscete altro modo per fregare la Morte?

 


 

NOTE

[1] In un panel speciale, viene detto che prima o poi il padre di Olivier lo destinerà a un matrimonio combinato, e che il ragazzo si è ormai arreso all’idea. Per questo, ho ipotizzato che questi cerchi di non legarsi troppo a persone che possano rappresentare un problema quando quel momento arriverà… invano.

 

ANGOLO DI MANTO

Salve!
Questa storia origina da un prompt di Clarice, che comprendeva la Rolivier come ship e come setting l’escape room. Io non aspettavo altro, sinceramente, per scrivere di questi due amorini e anche della mia dea Mira ― Mochijun, ti prego ti imploro, dacci altro materiale su di lei perché ne ho bisogno per vivere, more Mira MORE MIRA ―, e inizialmente doveva essere una cosa spassosissima; e le prime pagine sono così… poi boh, feels fluff angst fluff di nuovo.
Neanche ci provo a spiegare cosa sia successo, lo accetto e basta, e ve lo porgo.
L’ultima frase riprende una parte del ritornello di L’Amore Conta, di Ligabue; era così pertinente con quanto scritto sopra, per tanti motivi, che non ce l’ho fatta a non inserirla.
Spero che la storia vi sia piaciuta e se volete lasciare un commentino, urlarmi addosso, venirmi a dare la caccia sotto casa, tirarmi pomodori, prego.
Un abbraccio,

Manto

 
   
 
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