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Autore: Nadine_Rose    24/10/2022    1 recensioni
Sarah ed Hermann sono rispettivamente due tra le tante vittime e i tanti carnefici nell’ora più buia della storia dell’umanità. Il campo di Fossoli, anticamera dell’inferno nazista, sarà la loro comune e perenne prigione d’amore malato.
Matteo, un giovane pescatore, sarà colui che proverà a sciogliere il cuore di Sarah dalle catene del tenente Hermann, nello speranzoso e disperato scenario del dopoguerra napoletano.
[Capitolo 65: Un amore a Fossoli]
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Genere: Drammatico, Sentimentale, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Olocausto, Dopoguerra
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Capitolo 59

 

Non è lei

 

“Corpo di donna mia, persisterò nella tua grazia.

La mia sete, la mia ansia senza limite, la mia strada indecisa!

Oscuri fiumi dove la sete eterna continua,

e la fatica continua, e il dolore infinito.”

Pablo Neruda, Corpo di donna


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Sugli ultimi gradini, Hermann si volse indietro e le sorrise. Le rosee labbra si curvarono in un rasserenante sorriso, si sollevarono le guance or floride, segno di una buona salute e lui ne fu rincuorato, scintillarono gli occhi color miele sotto le folte ciglia scure, mentre una luce evanescente l’avvolgeva, come in un sogno, come un miracolo.

Poi, d’improvviso, il volto gli si corrugò chiedendosi come avesse fatto a ritrovarla e perché fossero lì, sui gradini scheggiati, fra le pareti grigie, nello sfondo cupo dell’edificio occupato dai tedeschi a Fossoli, ma fu solo per un fuggevole istante.

Non gli importò darsi una risposta né fare delle congetture, giacché ciò che contava era che lei fosse lì, viva e godente di buona salute, felice e, a quanto pareva, condiscendente perdono nei suoi riguardi, a stringere la sua mano come ad aggrapparsi al passato e, al contempo, incoraggiare entrambi a un futuro nuovo insieme.

La sua bocca si riaprì in un sorriso incantato che lo distrasse e al quale lei rispose con una risata vispa e cristallina che non le aveva mai sentito, prima di precederlo per guidarlo verso la sua stanza, la loro alcova a Fossoli.

Aprì la porta, irrompendo entrambi con frenetico entusiasmo in un ambiente che profumava di acqua di rose e lisciva, e, mentr’egli la richiudeva, sciolse l’intreccio delle loro dita.

Rise ancora e fece eco una risata dal timbro civettuolo che lo ridestò da quel sogno ad occhi aperti, catapultandolo in una lussuosa sala da bagno con rivestimenti in onice bianco e finiture in oro rosa e spegnendogli il sorriso.

Distante qualche passo e di spalle, la figura di donna si rivestì del lungo e fasciante abito color oro con lustrini e orlo a sirena stile charleston e, portando le unghie smaltate di rosso fra i biondi capelli raccolti nello chignon adesso scompigliato, si acconciò il fermaglio gioiello, prima di voltarsi lentamente per ostentare sensualità e finti risolini di divertimento.

“Oh Hermann, Hermann”, esordì Else, fingendo anche un respiro ansante, un suono che, unitamente a quello delle risate, rendeva la situazione piuttosto irritante. Lei già lo era, non essendo Sarah.

“Credo di averci perso l’abitudine”, disse e, troppo improvvisa per poterla definire una reazione naturale, le risate si spensero e il respiro tornò regolare. Di colpo, a dimostrazione della sua farsa.

“Allora?” Else riprese a parlare con un tono imperioso, di biasimo, portando le mani ai fianchi. “è vero quello che dice la gente?”

Dinanzi a tale atteggiamento, incrociò le braccia e si rivestì della tracotanza appartenutagli un tempo e, pur sapendo dov’ella volesse andare a parare, rispose con un’altra domanda: “E cosa dice la gente?”

“Che, quand’eri in servizio a Fossoli, avresti perso la testa per un’ebrea.” Fece una pausa, lunga abbastanza da poter imprimergli nella mente l’immagine della sua espressione di disprezzo. “E che, adesso, ti staresti preparando a un viaggio in Italia per ritrovarla.” Di nuovo, si zittì per comporre le labbra a un riso ironico. “Il colmo sarebbe venir a sapere che vorresti anche sposartela.”

Il silenzio come risposta, gli occhi dilatati in un’espressione rugiadosa lasciarono intendere un assenso e tal era, ma furon, in realtà, la reazione a un’irragionevole delusione che lo sopraffò, quand’ella, con atteggiamento beffardo e voce ancor più da oca giuliva, riprese: “Ma dai! Non mi dirai che è vero? Oddio!”

Il senso di delusione assunse così i contorni della rabbia la quale dardeggiò nei suoi occhi verdi e mosse stizzosamente i suoi passi verso di lei. Un fulmineo lampo di stupore le rifulse negli occhi color oceano che tornarono subito a raggelarsi per l’innata sua presunzione, sebben egli le fosse troppo, minacciosamente vicino.

“Ci rivediamo dopo quattro anni e, nonostante tu sappia – perché tu lo sai, la gente ti avrà sicuramente detto anche questo – dove sono stato e tutto quello che ho passato nelle mani dei russi, non mi chiedi neanche come sto.” Di rancore, ringhiava la voce di Hermann, a tratti, spezzandosi e incespicando nelle parole. “Siamo stati insieme per ben otto anni, Else, abbiamo vissuto sotto lo stesso tetto come se fossimo sposati. Te ne rendi conto?”

“E tu? Te ne rendevi conto, mentre mi tradivi con la mia amica d’infanzia, oppure quando andavi a sollazzarti con la cantante di quel cabaret da quattro soldi?” Nella voce di Else, non v’era nessun tremolio di rancore, né velo di rabbia nei suoi occhi, ma soltanto gli parlò, assumendo un tono di sufficienza e guardandolo con aria di sfida.

Di Hermann stavolta fu il cuore a incespicare, al ricordo dell’uomo che era stato e con il quale, dimenticatosene nel far guerra al sé nazista, non aveva ancora avuto modo di confrontarsi, ma non lasciò trapelarlo né mostrò alcun cenno di esitazione, mentre, restituendole lo sguardo, le rispondeva col medesimo tono: “Come te ne rendevi conto tu, mentre te la spassavi con quello che sarebbe diventato tuo marito.”

“No, ti prego. Di lui non ne voglio sentir parlare.” Con i gesti che rimarcavano la risolutezza della voce, la mano accompagnò le parole, finché non si pose sul suo petto, con le dita a strofinargli il papillon. “Non adesso”, concluse, in tono lascivo.

Come da copione, l’alchimia fra loro fu accesa, ridestata dal tocco ammaliante e seducente di donna, dalle sue labbra rosse socchiuse in un’attesa sensuale, dall’elisir avvolgente del suo Chanel N°5 che fecero emergere l’ego di Hermann.

Questi iniziò a sudare, incapace di trattenersi da ciò che, molto probabilmente, anche con un’altra donna sarebbe accaduto, considerata la lunga astinenza.

“Cos’è che vuoi da me?” Nel tono della voce e nelle espressioni facciali, Hermann sforzò austera indifferenza, mentre le dita affusolate di Else percorrevano lentamente il suo addome, tracciando un’immaginaria linea sinuosa.

“Ricordare il passato con te”, rispose languida e le parole gli arrivarono all’orecchio come un lieve sussurro, alle giunture come brivido libidinoso, ma, poco prima che la mano potesse giungere alla meta, di colpo, gliel’afferrò, allontanandola bruscamente dal suo corpo.

 

“Non è così che puoi comprarmi, baby.

Tu lo sai.

È un po’ più giù che devi andare, lady.

(Al cuore?)

Se ce l’hai.

Io ce l’ho.

[…] Ridi pure, ma

non ho più paure (forse) di restare

senza una donna.”

 

Zucchero, Senza una donna

   
 
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