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Autore: shilyss    26/10/2022    8 recensioni
Il dio dell’inganno si guardò attorno: la foresta, innaturalmente silenziosa, quasi priva di colore – se ne accorse solamente in quel momento – li avvolgeva con i suoi alberi familiari, con i rami scheletrici che schermavano la poca luce esistente. Non c’era alcuna fessura, nessuno strappo a indicare una cesura tra i due mondi.
“Dov’è?” mormorò Loki.
“La sentirai.”
“La vedrai.”

Tutta la conoscenza e l'astuzia del mondo non bastano a raggiungere e a oltrepassare il Valgrind, il magnifico cancello oltre cui si estende il Valhalla. Non è detto che basti nemmeno morire in battaglia. Per chi non riesce a trovare la via, il destino è quello di rimanere in un limbo, come uno spirito errante.
Genere: Angst, Avventura, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Hela, Loki, Odino, Sigyn, Thor
Note: Lime, What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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Capitolo 4
Inconfessabili paure
Son morto in un esperimento sbagliato
Proprio come gli idioti che muoion d’amore
E qualcuno dirà che c’è un modo migliore
(Un chimico, De Andrè)

Ricordare il sorriso di Sigyn mentre gli sfilava quella piuma di falco dallo spallaccio gli provocò un dolore sordo, tangibile, che si andò a sommare al freddo innaturale che non accennava a lasciarlo. Serrò la mascella e strinse i pugni, sfiancato dal quel rievocare che sembrava fatto allo scopo di divertire i due messaggeri di Odino e tormentare lui. I cancelli del Valhalla erano un’illusione lontana, un sogno sbiadito da cui si sentiva sempre più distante. Sì, Sigyn gli aveva rivolto un sorriso lieve, sincero, divertito; per la prima volta, in lei non aveva letto la paura, il sospetto o la circospezione, ma qualcosa di diverso, che l’aveva spinto a dare una possibilità al loro rapporto, a corteggiarla. Un tentativo che si era infranto quando lui aveva duellato con Theoric, il cui unico risultato era stato esacerbare il desiderio di lei.
Di lei, che lo aveva supplicato affinché risparmiasse la vita del suo antico amore.
Di lei, che, dopo essere stata scacciata via, lo aveva fissato in un modo indecifrabile, come se fosse rimasta delusa dalla sua reazione, sorpresa.
Huginn, il corvo del pensiero, forse lesse nella sua mente, perché non tardò a tormentarlo, seguito a ruota dal suo altrettanto perfido fratello. “Come si conquista il cuore di una donna, figlio di Odino? Facendola ridere con te?”
“Sigyn ci è sempre piaciuta, Loki,” ricordò Muninn. “È così intelligente, gentile, decisa. Ma a un certo punto quella decisione si è incrinata.”
“Si è trasformata in dubbio.”
“In caos.”
“C’è un momento in cui ci si innamora. Per alcuni avviene di colpo, per altri, lentamente, ma nasce sempre da una sola, unica scintilla. Forse per lei la fiamma dell’amore scaturì proprio quel giorno.”
“Ma rendersene conto e accettarlo, Loki, non fu facile.”
“Ci volle del tempo.”
“Tu hai reso tutto ancora più complicato.”

Sigyn era una moglie dal comportamento impeccabile, ricordò Loki, tranne per il fatto che non apriva le gambe. Si morse le labbra altrimenti ironiche e bugiarde fino a sentire dolore, senza smettere di chiedersi perché uno spirito come lui, condannato a vagare in cerca dei cancelli del Valhalla, dovesse provare dolore ricordando la bella moglie che aveva sposato con la forza. Sì, Sigyn era una compagna devota, intelligente, graziosa. Ma il loro matrimonio non era affatto stato bianco. L’avevano consumato nel loro letto, non una, ma molte volte. Una notte lui era entrato nella camera che per troppo tempo aveva accuratamente disertato: stringeva un corno di idromele tra le dita, ma non era ubriaco, affatto. È arrivato il momento di prendere ciò che mi spetta, le aveva detto. Sigyn gli era andata incontro; non era né spaventata né sorpresa, ma, di nuovo, l’ingannatore stava anticipando gli eventi, lasciandosi trascinare dal peso di ricordi dolorosi come corde che, sfregando, gli tranciavano la pelle.
Boccheggiando, riprese a raccontare ai suoi spettatori dal becco aguzzo e gli artigli rapaci la storia che pretendevano di ascoltare con più dettagli che poté: per qualche ragione che Loki ancora non riusciva del tutto a cogliere, parlare lo distraeva dal freddo insopportabile che gli mordeva le ossa. Chissà dove marcivano i suoi poveri resti mortali, chissà che cosa avevano in serbo, per lui, i corvi che erano stati di Odino e gracchiavano di promesse e premi.

La fedeltà di sua moglie non era mai venuta meno, spiegò Loki, perché Sigyn durante le loro nozze aveva bevuto dalla sua stessa coppa: si era impegnata a essere sua moglie e non avrebbe mai tradito sé stessa violando l’impegno preso. Nella corrispondenza intrattenuta con Theoric, Sigyn dimostrava di provare un grande affetto per il guerriero, ma di considerare la loro relazione, il loro amore, come qualcosa di passato, di concluso in maniera definitiva. Nelle righe scritte da lei non c’era nemmeno una traccia di rimpianto per un futuro che, di certo, aveva immaginato a lungo anche dopo essere diventata una principessa di Asgard. Forse, pur provandolo, era dell’idea che metterlo per iscritto non le sarebbe stato di nessun aiuto. Avrebbe dovuto metterlo al corrente di quelle missive, naturalmente. Questo era stato il suo unico errore, perché Loki non amava lacci, catene e prigioni. Erano tutte cose che aveva conosciuto abbastanza da vicino, tanto da non poterle imporre a colei che aveva sposato – e poi, Sigyn non sarebbe mai fuggita da Asgard. Ciò che l’ingannatore non riusciva in alcun modo a perdonarle era stata quell’inopportuna richiesta: Theoric sarebbe dovuto morire per mano sua.

Nelle settimane seguenti la evitò come poté, dandole un assaggio del rancore furioso e dello sdegno contro cui si erano dovuti scontrare a loro tempo Thor e Odino in persona. Ai banchetti esibì con crudele sfacciataggine relazioni clandestine di cui, in verità, gli importava meno di niente, fissando con disperato desiderio la figura flessuosa di Sigyn che, offesa e umiliata, abbandonava a testa alta la tavola senza concedergli nemmeno uno sguardo. Nel vederla allontanarsi, le sue dita si aggrappavano al corno d’idromele come se volessero fracassare il recipiente, le sue labbra si congelavano in un ghigno amaro, storto come la sua anima perennemente insoddisfatta, condannata a bramare qualcosa che si faceva infinitamente irraggiungibile proprio quando sembrava essere più vicino. Prese a stordirsi di lavoro, compiendo continue ambasciate per conto di Asgard, studiando notti intere su incantesimi giudicati irrecuperabili, visitando le più oscure e profonde miniere dei Nani in cerca di tesori e di rarità. A volte qualcuno, nel corso dei suoi viaggi, accennava alla sua bella moglie dai capelli d’oro, che lo aspettava a casa. Loki serrava la mascella e rispondeva con vaga cortesia. Le strade che percorreva per tornare ad Asgard non erano sempre sicure, lineari o piacevoli da attraversare ed era lì, nell’oscurità di una notte particolarmente cupa o mentre era costretto a riposare in un giaciglio di fortuna – lui, figlio di re, abituato ad addormentarsi tra lenzuola di seta e coperte di pelliccia – che pensava alla pelle morbida e bianca della donna che aveva sposato, alle sue curve dolci, fatte per essere accarezzate e baciate, alle labbra di cui ricordava fin troppo bene il sapore. Molto tempo dopo, ridotto a uno spettro senza dimora, Loki avrebbe ammesso a sé stesso e agli implacabili corvi che lo accompagnavano che più di una volta era stato sul punto di cedere, di lasciare che il rancore che gli imprigionava il cuore si sciogliesse. Non sarebbe stato meglio tornare da lei e dimenticare l’ormai zoppo e umiliato Theoric? Si erano feriti a vicenda, in fondo.
Ma poi, la mente maliziosa e malvagia di Loki si arrovellava su ragionamenti che grondavano perfidia e ira. Lei non lo amava. Il suo cuore era ancora di Theoric, dello stesso uomo che lo aveva torturato nelle segrete di una cella, da cui lui, Loki figlio di Odino, non aveva preteso altro che una giusta vendetta. E proprio per quell’uomo l’irraggiungibile Sigyn aveva chiesto clemenza tra le lacrime. Per lui avrebbe fatto lo stesso? Anzi, aveva fatto lo stesso? Se Theoric fosse riuscito nell’impossibile impresa di ucciderlo, Sigyn avrebbe pianto di gioia o di dolore?

“Ora lo sai, Loki, figlio di Odino.”
“Conosci la risposta a questa domanda. Te l’abbiamo mostrata.”
Un ghigno sghembo. “A volte pensavo che la sua lealtà fosse uno scudo.”
“Ma, a volte, no.”
“Dicci, Loki, ricordi che cosa le hai sussurrato, quando credevi di averla persa per sempre?”
“Noi lo sappiamo.”
“Noi lo ricordiamo.”
Anche il dio dell’inganno lo ricordava, e fin troppo bene. L’aveva stretta a sé, contro il proprio petto, affondando le dita tra le sue ciocche scarmigliate e color dell’oro. Con la bocca premuta contro l’orecchio di lei, le aveva mormorato frasi irripetibili, mai rinnegate. Ascoltandole, Sigyn si era aggrappata a lui. Non era bastato a salvarli e, di nuovo, Loki anticipava parti della sua storia rivangando istanti perduti, resi più struggenti e agrodolci dal fatto che fossero rievocati nella miseria della sua condizione di spettro allo sbando. Ma, stavolta, erano stati Huginn e Muninn a insistere affinché lui pescasse proprio quel ricordo; forse le due creature stavano seguendo un disegno preciso – non gli risultava che i corvi giocassero con le loro prede.
Respirò a fondo, vittima, per contrappasso, dell’illusione di essere ancora vivo e di poter immagazzinare ossigeno.
Sigyn aveva resistito con l’eleganza che le era propria al rancore di Loki, alle sue battute taglienti, sferzanti. Lui la evitava come poteva e lei, dal canto suo, aveva scelto di non rincorrerlo, lasciando che il tempo lenisse il suo orgoglio ferito. Lo conosceva abbastanza da sapere che affrontarlo a viso aperto avrebbe scatenato una disputa retorica in cui lui, più abile di lei, sarebbe riuscito a deformare la realtà a suo piacimento. Qualche tempo dopo il duello con Theoric, tuttavia, la sua incantevole moglie ebbe modo perlomeno di svolgere le sue funzioni di sposa solerte: non tutti gli avversari del dio dell’inganno erano di poco conto come quell’idiota e Loki, pur trionfando una volta di più, riportò delle ferite serie e profonde, che lo ridussero all’incoscienza. In tale stato non poté allontanare Sigyn dal proprio capezzale e lei fece quello che ogni devota moglie degli Æsir avrebbe fatto: gli rimase accanto, prendendosi cura di lui finché non recuperò abbastanza forze per riprendere conoscenza e fissarla con l’attenzione che sempre le tributava, soffermandosi sui segni della stanchezza che rendevano il suo sguardo liquido e grigio ricco di ombre. Nel vederlo vigile e sveglio, Sigyn sussultò, senza far nulla per nascondere il proprio sollievo, ma c’era qualcos’altro, in lei – una traccia di trepidante imbarazzo che la costringeva ad abbassare le ciglia scure, a non fissare i segni ormai bianchi delle cicatrici vecchie e le fasciature che avvolgevano quelle nuove. Loki raccontò di aver compreso immediatamente il disagio della sua bella moglie dai capelli d’oro. Mentre era privo di sensi, lo aveva vegliato e curato assieme alle guaritrici, come il suo ruolo imponeva, ma nascondendo alle altre donne quanto quel corpo così asciutto e tonico, di guerriero, le fosse estraneo. Le necessarie attenzioni tributate durante la convalescenza del dio dell’inganno si sommarono alle carezze scambiate durante il corteggiamento che c’era stato prima che il duello con Theoric rovinasse tutto, ma insieme non formavano l’intimità richiesta a una coppia di sposi. Con un ghigno, Loki raccontò ai corvi che, magari, Sigyn avrebbe voluto un cambiamento in tal senso. Forse provava un turbamento dolciastro dentro di lei, quando le distanze tra loro si accorciavano e lui la vedeva irrigidirsi, confondersi.
A ogni modo, costretto com’era a letto, Loki si trovò nella condizione di dover sottostare alle cure di Sigyn. Ammise che, per ferirla, le disse di non provare alcuna fiducia nei suoi confronti. La sua incantevole sposa riconobbe che la fiducia, come la lealtà, nascono dal profondo del cuore e devono essere meritate con i fatti e conquistate con il tempo e la dedizione. Sembrava una dichiarazione d’intenti. L’ingannatore, però, non aggiunse altro – era stanco – e Sigyn, dal canto suo, cambiò argomento.
“Le tue cicatrici dimostrano come tu sia un grande condottiero, forte e audace,” esordì fissandolo negli occhi, ma poi esitò, come se dovesse proseguire su un sentiero incerto e malsicuro. “Ma non tutti i segni che ho visto sembrano essere il frutto di uno scontro.”
L’ingannatore, naturalmente, colse subito il punto della questione. Amava parlare di sé e incensarsi, lo riconosceva. Il suo maggior difetto, probabilmente, era l’eccessivo assegnamento nelle proprie brillanti capacità, che spesso lo avevano reso cieco di fronte a pericoli evitabilissimi. Era sempre riuscito a bilanciare quest’incrollabile opinione di sé con uno spiccato istinto di conservazione che lo aveva salvato da molte spiacevoli situazioni, ma dopotutto lui e l’impulsivo Thor non erano così diversi: come tutti gli Æsir peccavano in arroganza e spavalderia. Credevano di avere l’universo intero ai loro piedi. Eppure, quando Sigyn accennò al fatto che portava ancora addosso i segni recenti di una tortura, tacque, preferendo che fosse il silenzio a parlare per lui. Sua moglie poteva dedurne ciò che voleva – cosa che in effetti fece: chiese a suo padre cosa avesse subito esattamente Loki quand’era prigioniero dei Vanir e l’uomo, pur non scendendo nei dettagli, le rispose senza celarle la verità.
La scoperta spinse Sigyn a guardare con occhi nuovi al suo comportamento scostante, ma soprattutto la convinse che fosse necessario un chiarimento.
Il dio dell’inganno non era del suo stesso avviso: soffriva per le ferite recenti e per l’inattività forzata. Il dolore lo privava della concentrazione necessaria per studiare e l’essere costretto a rimanere nelle proprie stanze lo infastidiva sommamente. Quando vide Sigyn entrare le scoccò un’occhiata dall’alto in basso, come se dovesse valutare la sua figura sottile, fasciata in un abito di un verde cupo, che faceva risaltare ancora di più le trecce dorate che teneva appuntate sul capo. Lui si era alzato da poco e stava raggiungendo la propria scrivania ingombra di carte, mappe e strumenti di misurazione vari puntellandosi su un bastone e trascinando una gamba ancora malandata. Sulle spalle aveva gettato una tunica, sotto cui esibiva la stretta fasciatura che gli copriva il muscolo altrimenti nudo del pettorale e parte dell’addome. Non era un buon momento, ma non la scacciò, stavolta. Avrebbe dovuto farlo molti giorni prima, nel momento in cui, svegliandosi, era riuscito a mettere a fuoco il suo bel viso. Gli era mancata la voglia di farlo – che imperdonabile debolezza, constatò – e in quel momento non gli rimaneva altro da fare che osservarla, ascoltarla.
Sigyn non cercò di rifugiarsi dietro a qualche inutile giro di parole e Loki dovette ammettere che quell’aspetto, di lei, gli piaceva moltissimo. Era schietta e andava diritta al punto.
“Non mi hai mai detto che è stato lui a lasciarti quei segni,” esordì.
Loki inclinò la testa di lato e, incuriosito com’era, strinse le palpebre per osservarla meglio.
“Avrei dovuto?” chiosò divertito. Lei aprì la bocca per rispondere, ma l’Ase la interruppe. “Mi spiego meglio, mia dolce sposa. “Sarebbe cambiato qualcosa?”
Sigyn rifletté a lungo prima di rispondere – e il farlo, Loki se ne accorse, non fu affatto facile. Si torse le mani sottili e delicate, adornate con numerosi anelli e, infine, sospirò. “No,” ammise, ma le tremavano le labbra e aveva gli occhi lucidi.
Si slanciò verso di lui, che la sovrastava in altezza e non perdeva quel suo atteggiamento fiero nemmeno durante la dolorosa convalescenza.
“Succedono cose orribili, nelle guerre. Da ogni parte. C’è chi lo ammette a viso aperto e chi no. Ti ho tolto la tua vendetta, Loki: ti ho chiesto di non macchiarti del suo sangue. Tu mi hai ascoltata.”
Parlava in fretta, come se temesse di venire interrotta o di perdere quel coraggio che l’aveva spinta ad aprirsi.
“Non combatterà mai più,” sibilò l’ingannatore tra i denti. “Quella gamba la trascinerà per tutto il resto della sua miserabile vita: non passerà giorno senza che mi maledica,” aggiunse compiaciuto.
Sigyn aggrottò le sopracciglia. “Conosceva i rischi, quando ti ha sfidato.” “Lo ha fatto per te.”
“Io non ho chiesto di essere salvata. Non ho bisogno di essere salvata,” puntualizzò, lasciando che una mano scorresse sul suo braccio, teso nello sforzo di sostenersi col bastone. Era una carezza incerta, confusa e decisa al tempo stesso. Loki permise che le sue dita gli sfiorassero la pelle, seguendone con attenzione il percorso, senza tuttavia perdere il proprio contegno diffidente e ironico.

“Avresti dovuto baciarla,” gracchiò Huginn. “Hai pensato di farlo, ma, per una volta, non sei stato abbastanza rapido.”
“Non hai colto il momento. Noi lo ricordiamo,” proseguì il fratello.
“Un errore imperdonabile per un condottiero come te, figlio del dio corvo.”
“Continua il racconto. Parlaci delle gemme. Parlaci della tua paura.”
Le sue ferite, disse Loki, guarirono in fretta, perché aveva una fibra robusta e l’inattività gli pesava ogni giorno di più. Crogiolarsi nell’ozio, senza uno scopo, non era cosa per lui e allora chiese e ottenne di poter ricevere ospiti per riprendere certe trattative rimaste in sospeso. Tra queste, c’era una con Brokk, il Nano. Come tutti quelli della sua gente, era un abile fabbro e creava stupendi gioielli con le gemme d’incomparabile bellezza che estraeva nelle tortuose, tetre e infinite gallerie che scavava sottoterra. L’amore per le pietre preziose era una delle cose che accomunava gli Æsir e i Nani di Nidavellir e, talvolta, i due popoli commerciavano scambiandosi preziosi. Ma Brokk detestava Loki – aveva giurato che, un giorno, gli avrebbe cucito quella sua bocca bugiarda – perché il dio dell’inganno conduceva le trattative in maniera subdola, confondendolo e irretendolo per ottenere più pietre possibili a un minor prezzo.
Capitò che Sigyn interruppe e complicò, non volendo, la difficile negoziazione tra lui e il Nano. Si affacciò nel suo studio per portargli una tisana e dei dispacci che provenivano dalle mani di Odino in persona, scusandosi per l’interruzione, ma mentre poggiava il vassoio contenente la bevanda che sprigionava un delizioso aroma e le pergamene arrotolate, la sua attenzione venne catturata da una coppia d’ametiste. Loki le aveva scartate, al momento, pur avendole giudicate allettanti: faceva tutto parte di un suo personale piano. Niente gli riusciva bene come trattare su un prezzo, facendo credere al proprio interlocutore di essere in procinto di stringere un affare. Di fronte alle pietre scintillanti proposte da Brokk, il suo volto affilato non aveva tradito alcuna emozione o preferenza, e così il suo sguardo. Ogni valutazione o riflessione era rimasta, come sempre, accuratamente celata dietro il suo sorriso sghembo e beffardo. Ma Sigyn non era capace di nascondere altrettanto bene le proprie emozioni e Brokk, che l’aveva osservata con curiosità da sotto le folte sopracciglia rossastre, si accorse immediatamente che le due ametiste l’avevano colpita.
“Vi piacciono, mia signora?” l’apostrofò. “Quelle ametiste s’intonano bene col verde del casato di Loki, figlio di Odino.”
“Sono, , sono incantevoli,” boccheggiò Sigyn, colta alla sprovvista. Arrossì vistosamente – non era sua intenzione immischiarsi nella trattativa e sentiva di essere stata presa in trappola.
“Le trova incantevoli,” ripeté il Nano, osservando Loki. “Le aggiungerò solo se mi darai ciò che chiedo.”
L’ingannatore le scoccò un’occhiata severa e piegò le labbra in una smorfia tirata. “Incantevoli, eh?” commentò perfido, per poi acconsentire senza battere ciglio alle richieste del fabbro – a patto che, aggiunse, le monti come lei vorrà.
Sigyn non si aspettava un regalo e non era sua intenzione incastrare l’ingannatore per riceverne uno, ma non ebbe il tempo di giustificarsi né di spiegare. Quando Brokk lasciò le loro stanze, Loki la redarguì. “Possibile che debba insegnarti proprio tutto!? Non devi mai far capire a un Nano che un gioiello o una pietra ti piacciono.”
“Non era mia intenzione,” soffiò lei di rimando. “Ho rovinato la tua contrattazione, mi dispiace!”
Di fronte alla sua sincera contrizione, Loki sospirò, rilassando le spalle. “Thor rovina le trattative, distruggendo metà del palazzo di un alleato, corteggiandone la moglie o facendo qualche altra plateale idiozia. Tu, al massimo le ingarbugli. Le avrei prese comunque, quelle ametiste. Per te,” aggiunse con fatica, ma di fronte allo scintillio che vide negli occhi di lei, alla speranza evidente che vi lesse dentro, si sentì in dovere di sporcare quel suo slancio di generosità, ammantandolo di un calcolo spregevole. “I tuoi abiti e i tuoi gioielli rappresentano la mia ricchezza, il mio prestigio.”

“Bugiardo,” gracchiò Huginn, sbattendo le ali color notte. “Quando hai pensato di donarle a lei non credevi di dover dimostrare niente a nessuno.”
“Era perché non s’illudesse su di te, su di voi, che hai rovinato tutto una volta di più.”
“Che fece, dopo?”
Una riverenza breve, quella che una sposa devota, o una suddita, fa prima di lasciare la stanza del suo più nobile consorte, rispose Loki, senza difendersi dalle accuse dei due corvi che, maligni com’erano, lo giudicavano, spiando nel suo passato e traendone delle conseguenze che sapevano di fiele. Eppure, non era verso di loro che provava rancore, ma nei confronti di sé stesso. Era stato un vigliacco. Come in molte altre occasioni, aveva preferito sfoggiare il proprio lato peggiore, esibire una maschera volutamente crudele, per evitare di guardarla negli occhi e ammettere di aver pensato a lei, quando aveva visto quelle due pietre viola, lisce e perfette.
Sigyn le indossò numerose volte; per esaltare al massimo le ametiste, le aveva fatte montare con due semplici ganci in oro. Le donavano immensamente e le portava anche la notte in cui, stringendo un corno colmo d’idromele tra le dita, furioso ed esasperato da una situazione francamente insostenibile, aveva bussato con forza contro la porta della loro camera da letto, per poi entrare prima che lei avesse il tempo di rispondergli. Desiderava coglierla alla sprovvista, perché le fosse più difficile ribattere alle sue parole: quella sera, lei, sempre così controllata e inappuntabile, durante il banchetto aveva contravvenuto a una sua precisa richiesta, sfidandolo.
Sigyn era seduta davanti allo specchio, circondata dalle sue ancelle intente a disfarle le trecce. Al suo arrivo si alzò in piedi e si voltò, fissandolo, per un solo momento, nello stesso identico modo in cui lo aveva studiato quando si era introdotto nella sua camera da letto di ragazza, cambiandole la vita per sempre. Mandò via le ancelle senza alcuna esitazione, conscia delle occhiate preoccupate che le donne si scambiavano l’un l’altra – Loki sembrava furioso e non era un segreto che disertasse fin troppo spesso il letto nuziale, così come non era un mistero che Sigyn avesse abbandonato il banchetto per non doversi umiliare rivolgendo la parola a una delle presunte amanti di suo marito. Si trattava di orgoglio o di pura gelosia?
“È arrivato il momento di prendere ciò che mi spetta,” sibilò Loki non appena furono soli. Sigyn gli era andata incontro; non era né spaventata né sorpresa e indossava ancora parte dell’abito sfoggiato al banchetto – aveva slacciato solo il corsetto ricamato. Loki vide le ametiste catturare la luce calda dei bracieri e mandare bagliori violacei, la osservò mentre chiudeva le sue mani delicate e sottili sulle dita sbiancate con cui lui reggeva il corno quasi colmo. Lasciò che lo prendesse e accostasse le labbra al bordo, bevendone un lungo sorso – le sue guance e il collo avvamparono, gli occhi si accesero di una luce nuova.
“Sono qui,” gli rispose, porgendogli nuovamente l’idromele in un gesto che a Loki sembrò una replica del giuramento fatto il giorno delle loro nozze. Vuotò il corno e lo gettò a terra, per poi continuare il lavoro lasciato a metà dalle ancelle, slacciando con le sue dita abili e svelte i molti nastri che lo separavano dalla pelle dorata e morbida di Sigyn – Sigyn che gli cingeva con le braccia il collo cercandogli le labbra, e, finalmente, si offriva; Sigyn, dolorosamente desiderata per tante notti da perderne il conto. Conosceva già la dolcezza delle sue curve – i boschi intorno al fiordo di Asgard avevano radure che sembravano fuori dal tempo dove, sdraiati sul suo mantello, le loro labbra si erano già incontrate, le mani cercate. Effusioni sempre interrotte bruscamente, e lo stesso valeva per le carezze scambiate certe sere lì, sul loro letto: era stato il prezzo da pagare per averla strappata alla sua vita e sposata per vendetta, Loki ne era stato fin dall’inizio perfettamente consapevole, così come sapeva fin troppo bene che il desiderio capace di velare gli occhi di sua moglie in quel preciso momento sarebbe potuto svanire in qualsiasi istante. Lei avrebbe potuto ricordare quello che lui aveva preteso al banchetto – che si dimostrasse cordiale con una donna che non faceva mistero di averlo avuto per amante e la disprezzava – e le circostanze, il modo in cui erano diventati marito e moglie. Loki, dal canto suo, cercava di mettere a tacere l’ira funesta che lo aveva colto quando Sigyn, la sempre fiera Sigyn, l’aveva supplicato di risparmiare il suo antico amore, l’odiato e vile Theoric. Deglutì al pensiero. Li aveva immaginati insieme, non una, ma molte volte, vittima, come in numerose altre occasioni, dei propri stessi intricati piani. Non era quello che aveva detto a Sigyn la prima notte di nozze? Che non intendeva usarle violenza e farle del male, perché gli premeva di più che Theoric lo pensasse?
Che ironia: era lui, invece, a figurarsela con un altro, a torturarsi dietro dubbi crudeli, esacerbati dalla propria immaginazione vivace e maligna. La seta chiarissima del bell’abito con cui si era presentata al banchetto scivolò sulle spalle delicate di Sigyn, scese lungo la schiena fino a cadere lungo i fianchi femminili e rotondi, aiutata dalle mani impazienti del dio dell’inganno. Un leggero rossore le ravvivava le guance; sollevò le palpebre ancora bistrate di nero per guardarlo diritto negli occhi, in quella maniera schietta e fiera che aveva sempre ammirato. Lasciò che la sua mano sottile e inanellata, di fata, gli sfiorasse il petto ampio e largo, l’addome asciutto e scolpito, saggiandolo con un misto di curiosità e audacia. Con un gesto nervoso, Loki allentò la propria corazza di pelle intrecciata, rivelando la pelle tesa e appena segnata – non doveva esserci niente tra le dita di Sigyn e il suo corpo teso.
Pensò che era bella e la lasciò fare, prendendosi il tempo per farsi ammirare e poter contemplare la figura flessuosa di Sigyn, bramata, sognata, indovinata sotto la seta frusciante. Quando non poté più resistere, la prese tra le braccia e la condusse fino al loro letto. Quella pelle dorata, rischiarata dalla luce lieve e rossastra delle candele, era stata creata per essere scoperta dalle sue labbra e accarezzata con la lingua, per fremere al tocco delle sue mani – ogni altro ricordo, almeno per quella notte, andava scacciato, dimenticato, sigillato in un angolo della propria memoria. Sigyn sospirava per lui e gli cercava le labbra, gli baciava il mento e la gola e il petto. Era impaziente e furiosa: come lui bruciava di rancore e di desiderio e allora perché ricordare la prima volta che l’aveva intravista, quando era tra le braccia di un altro? Con quante altre donne si era consolato, lui? Quello che contava era il presente: Sigyn era sotto di lui, adagiata sul letto, nuda e tremante di paura e desiderio. Lo voleva, era pronta ad accoglierlo dentro di sé, a sospirare con voce rotta il suo nome, a smarrirsi tra le sue braccia, insieme a lui, finché ogni cosa, attorno a loro, non fosse scomparsa, perdendo di significato.

“Sei gelosa,” le disse. “Poco fa me l’hai dimostrato.” Il fuoco guizzava nell’ampio e largo camino, gettando una luce soffusa e giallastra nell’ampia camera da letto. Sigyn forse dormiva già dandogli la schiena, la ricca chioma dorata sparpagliata sul cuscino. Invece, sentendo la sua voce si allungò, voltandosi nella sua direzione, intrecciando le gambe alle sue, osando sfiorargli il petto. Indossava ancora i suoi gioielli.
“È vero.”
Una risposta audace, perché – Loki lo sapeva bene e lo raccontò anche ai corvi – ci vuole una dose infinita di coraggio per mostrarsi, per esporre al prossimo la propria anima e tutte le sue inevitabili debolezze. Ammettendo di provare gelosia nei suoi confronti, Sigyn implicitamente gli stava dicendo che gli importava di lui. Di più, che lo amava. Loki era troppo sagace per non capire che il trasporto con cui lo aveva cercato non derivava solo da un impulso fisico, da una passione momentanea, ma nasceva da un sentimento più profondo. Nato malgrado le circostanze fossero tutt’altro che favorevoli.
“Non ti obbligherò a salutarla né a vederla,” decise. Lei annuì e Loki si trovò nella fastidiosa posizione di dover aggiungere qualcosa, di specificare il proprio atteggiamento. “Tu sei una principessa di Asgard, lei ti è inferiore per rango.”
Sigyn si sciolse dall’abbraccio dolcemente, sollevandosi quel tanto che bastava per mettersi seduta. Si coprì il seno con il lenzuolo, in un gesto adorabile che Loki non seppe dire se dettato dalla pudicizia o dal freddo pungente di Asgard. Si tolse gli orecchini d’ametista, gocce viola trasparenti, posandole sul mobile accanto al letto. “Ma, forse, significa qualcosa d’importante per te,” suggerì con voce lieve e allora sì, lo fece, distolse gli occhi, abbassò lo sguardo, fingendo di occuparsi della collana che indossava ancora. Le sue dita sottili – nervose? – armeggiarono invano e Loki l’aiutò a slacciare il gioiello.
“Affatto.”
Non aggiunse altro; non c’era bisogno. Sigyn tornò a guardarlo negli occhi, forse sperando che lui si spiegasse meglio, ma il dio dell’inganno era abituato a rendere conto delle proprie azioni solo davanti a Odino e, anche in quei casi, il suo atteggiamento era provocatorio, di sfida. La donna che aveva ingelosito Sigyn, al pari di altre, non significava nulla se non qualche ora di divertimento. Passatempi senza importanza né conseguenze, ricercati per soddisfare voglie fugaci o per noia, nient’altro. Avrebbe potuto spiegarglielo, se avesse voluto, se fosse stato capace di resistere allo sguardo grigio e liquido di Sigyn. Ma non volle e lei non insistette. Lei si addormentò tra le sue braccia, così come avrebbe fatto per molte altre notti ancora.
Erano amanti e il loro matrimonio non aveva più nulla della finzione, ma il legame che li univa continuava a essere fragile e delicato come il cristallo più sottile. Quella notte, accarezzandole con una mano distratta le ciocche dorate, si rese conto con una punta di terrore che dividere con Sigyn il letto, anziché spegnere il suo desiderio per lei, l’accresceva. Era una sensazione nuova e sconosciuta, pericolosa. Da cui, presto, non avrebbe potuto fare a meno di fuggire: temeva le catene, detestava i ceppi, anche quando erano fatti di seta e si legavano al cuore. Credeva anche che Sigyn, accanto a lui, sarebbe stata un facile bersaglio per i suoi molti nemici. Ma tutto questo, Huginn e Muninn lo sapevano fin troppo bene, perché leggevano attraverso la sua anima di spirito errante, perduto, smarrito.

“Non lo diremo al posto tuo, dio dell’inganno,” gracchiò Huginn maligno. “Non oseremmo mai rubarti le parole di bocca.”
“La nostra domanda è, però, se tu non ti sia voluto ingannare. Allontanandoti,” specificò Muninn, muovendo con uno scatto la testa piccola e mobile, su cui spiccavano gli occhi piccoli e neri, acutissimi.
“Allontanandola, anche se era nei tuoi pensieri,” proseguì il fratello. “Tornasti di corsa da lei, quando ti arrivò la notizia, falsa, che fosse in fin di vita.”
“Peccato che non sia bastato a farti restare.”
“Almeno, però, fosti, per una volta, obiettivo.”
“Perché mi tormentate?” sibilò Loki lasciandosi andare a uno scatto impaziente senza, tuttavia, abbandonare quella sua postura misurata e altera che lo contraddistingueva persino nel limbo in cui era rimasto incastrato. “Sono morto,” ammise con fierezza, a testa alta. “Thanos mi ha ucciso. È stato il prezzo da pagare affinché Thor si liberasse. Lui aveva la possibilità di ucciderlo e vendicarmi, non io. Mi ha ucciso – ricordo il freddo della lama che mi perforava la carne, ricordo il dolore lancinante, ricordo di aver pensato che stavo perdendo troppo sangue e che il tempo non mi sarebbe bastato per,” s’interruppe e rise brevemente di una risata gelida e amara. Allargò le braccia, fissando i due messaggeri di Padre Tutto in quella sua maniera tracotante e teatrale. “L’ho persa. Non c’è altro da dire.”
“Il terrore provato quella notte non ti ha mai abbandonato, noi lo sappiamo,” Huginn volò fino alla sua spalla. “Figlio del dio corvo, non ci fraintendere,” gracchiò. “In fondo, non siamo tuoi nemici.”
Muninn si posò sull’altra. “Il dio corvo ci ha chiesto di aiutarti a trovare la tua strada. Immaginava ti saresti smarrito,” gli sussurrò all’orecchio.
L’ingannatore piegò le labbra ironiche e bugiarde in una smorfia che pareva un ghigno. “Perché? Non sono degno di Valgrind? Non si fidava di me?”
Huginn sbatté le ali color notte. “Sbagli, t’inganni, ti sbagli, figlio del dio corvo, principe di Asgard. Lui aveva un conto in sospeso con te. Doveva espiare. Liberarsi.”
“E tu, potresti raggiungere i cancelli del Valhalla in ogni momento. È che non lo vuoi, Loki figlio di Odino.”
Loki impallidì – ma poteva, il volto di uno spettro, scolorirsi? – e quando rispose lo fece lentamente, scandendo ogni sillaba. “Posso assicurarvi che vi sbagliate. La vostra compagnia mi è sgradita e mi piacerebbe immensamente raggiungere i cancelli di Valgrind. Mi spettano. Sono morto in battaglia, soffocato nel mio sangue. Come un guerriero.” Una pausa. “So di esserne degno.”
Muninn scosse la testa. “Non vuoi accettare di essere ancora aggrappato alla tua vita, figlio del dio corvo.”
“Sei ostinato.”
“Ce lo aveva detto.”
“Ti abbiamo promesso un dono. È arrivato il momento di dartelo.

Continua…

L’angolo di Shilyss
Care Lettrici e cari Lettori del mio cuore,
Ecco la mia quarta fetta di torta alla melassa, anche se oscenamente fuori tempo massimo: il prompt, stavolta, era la parola "paura". L’ho resa in maniera più sottile rispetto ai prompt degli scorsi capitoli, ma insomma: Loki ha paura per Sigyn e degli effetti che Sigyn ha sulla sua vita e che sia la paura a impedirgli di trovare ‘sti cancelli? Loki, prenditi un navigatore, ché questi corvi ti corbellano!
Bando alle ciance: c’è uno scambio di battute tra Loki e Sigyn che mi piace molto in questo capitolo lungo, lunghissimo (sorry). Uno che lascia le cose un po’ sottese, ma spero si capisca tutto uguale, compreso l’atteggiamento di Sigyn, che si comporta dignitosamente e cercando di controllarsi anche quando vorrebbe scoppiare (ma è il contesto storico, la situazione).
La buona notizia è che il prossimo capitolo l’ho già iniziato a scrivere e sarà l’ultimo, quindi se tutto va bene nel giro di non troppo tempo potreste persino leggerlo. Ultimamente i miei piani vengono scombussolati un bel po’, ahimé, ma sono ottimista ^^
Ringrazio di cuore chi listerà, recensirà o semplicemente leggerà questa storia: siete importanti e sappiate che leggo tutti i vostri commenti e non vi mangio. Spesso non rispondo pubblicamente, ma se vi palesate lo faccio e sono molto alla mano, ecco. ♥ Ricordo che il personaggio di Sigyn, tolto quello che trovate alla voce “Sigyn” su Wikipedia, è una mia personale interpretazione/reinterpretazione/riscrittura. Non vi autorizzo a ispirarvi o peggio a questa versione o alle altre storie da me postate né qui né altrove (peggio mi sento con le fiabe) e lo stesso vale per gli headcanon su Vanheim, su Loki o su Asgard stessa. Creare un mondo con usi e costumi non è uno scherzo. A presto e grazie per tutto l’affetto/sostegno/cose, Vostra,
Shilyss

   
 
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