Videogiochi > Genshin Impact
Ricorda la storia  |      
Autore: Teony    28/10/2022    1 recensioni
[ Cyndace - femdom] [Possibili spoiler dall'archon quest III-IV di Sumeru/Lore di Cyno e Candace]
[...]Poi li aveva visti: i volti dei suoi antenati. Non ha che vaghe reminiscenze di quella visione, eppure c’è una sensazione, che ricorda più di ogni altra, persino più del brio avvertito nell’essere riuscito ad intravedere il volto di Al-Ahmar: l’impulso di vita, il sogno di una rinascita, la nostalgia del riportare una terra morta al suo antico splendore.
E quel desiderio, percepito da chi, prima di lui, ha vissuto e celebrato l’Antica Religione, gli si era istillato subdolo nelle vene, così che l’aveva fatto proprio.
Quanto vorrebbe poter rivedere lo splendore della sua stirpe rifiorire.
Quanto vorrebbe poter evitare di dover nascondere il proprio nobile sangue e anzi, esserne orgoglioso. [...]
Genere: Angst, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Candace, Cyno
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Spoiler!, Tematiche delicate
- Questa storia fa parte della serie 'Frammenti'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Morte.
È questo ciò che si pensa del deserto.
Un oceano di dune mortifere, senza vita, semplicemente vuote.
Non c’è altro. Niente da vedere, niente per cui valga la pena recarvisi.
Aaru? Uno sputo di terra su cui transitano cadaveri ambulanti, tristi echi di una civiltà ormai così lontana, che è legittimo dubitare sia esistita davvero.
I figli del deserto restano tali, perché sono una razza a parte.
E non c’è nulla che possa cambiare questa realtà.
Loro non capiscono, sono creature semplici, perché troppo intente a sperare di sopravvivere, per potersi interessare di altro. Sono rudimentali bestie da soma, munite di artigli e ben felici di essere tali.
Questo è ciò che pensa chiunque.
Questo è ciò che credeva di pensare lui stesso. Di sé e degli altri.
Anche della Guardiana di Aaru.
Allora perché…
Perché tornare sui propri passi, allontanandosi finalmente dall’Accademia, gli offre quasi la sensazione di essere tornato a vivere?
Aveva lasciato la sterile sabbia alla ricerca di risposte, su se stesso, sul proprio passato, su ciò che la sua esistenza significa. È tornato irriconoscibile, incapace del ricordare cosa, esattamente, stesse cercando.
Ha smesso di porsi domande, da quando è giunto nell’Accademia.
È persino diventato Mahamatra, lui.  
Ora, però, lo avverte di nuovo: il frammento di un filo di voce, che lo scongiura di comprendere chi sia davvero.
«Perché non è tutto perduto.»
Non ha idea se queste parole gli siano state pronunciate, in passato, magari durante i suoi primi anni di vita, di cui ormai non ricorda che davvero poco o sia stata qualche coscienza, sopita dentro di sé, ad averglielo mormorato. Ma sa cosa gliele ha richiamate alla memoria.
Non sono stati sufficienti tutti i libri consultabili nella Casa di Daena, i suoi interminabili anni di studio, né l’immenso bagaglio di conoscenza di cui ora sente il peso sulle spalle, per ricordargliele.
È bastato un occhio.
Un intenso occhio d’oro, capace di scrutare e giudicare persino la sua, di anima.
Lo stesso, che ha scrutato prigionieri con iracondia, qualche giorno prima.
Cyno ha avuto modo di osservare Candace con più attenzione, in quella circostanza. L’ha vista, la sua spietatezza selvatica. Aveva dimenticato che aspetto avesse il timore di perdere, da un istante all’altro, quei pochi brandelli di vita e sicurezza che al deserto sono rimasti. Ha visto in lei una leonessa disposta a tutto, pur di garantire la sicurezza dei propri piccoli. Esperta nell’uccidere, ma più rudimentale nell’arrecare dolore lancinante e non letale.
Ed è per questo che aveva deciso di offrirle aiuto, senza che lei lo chiedesse.
Era l’unica cosa capace di offrirle, per dimostrarle che di lui ci si può ancora fidare, che non ha mai davvero rifiutato le sue origini e che, anzi, forse non aspettava altro che tornare a casa.
Candace l’aveva fissato a lungo, mentre le suggeriva come procedere. L’aveva sottoposto ad un approfondito giudizio, ne era consapevole. Eppure l’essere scrutato in maniera così morbosa da lei, non gli arrecava fastidio, piuttosto lo istigava a mostrarsi anche più disponibile.
E se quei tre miseri prigionieri avessero osato contraddire la Guardiana, lui stesso sarebbe intervenuto per strappare loro gli arti di netto.
Inizialmente non era stato in grado di comprendere il perché lei gli stimolasse un simile effetto. È stato il suo soggiorno ad Aaru, prolungatosi più delle aspettative, a suggerirgli la risposta.
Era stato quel bambino che Cyno aveva aiutato, a chiarirgli l’ovvio.
«Lei è diretta discendente di Al-Ahmar, il Re Scarlatto.»
Isak glielo aveva riferito con leggerezza, come se un’informazione del genere non avesse poi tanto peso. Del resto, a suo parere, che ci fosse ancora una lontana discendente della nobile Antica stirpe, non poteva portare ad alcun cambiamento per le condizioni di villaggio di Aaru.
Candace era comunque sola.
Ma Cyno aveva avvertito un brivido, nell’apprendere la notizia.
«Sai, alcuni dicono che lei è capace di vedere il futuro, grazie al suo occhio dorato.»
Lui aveva inarcato un sopracciglio. «E tu ci credi?»
«Beh, gliel’ho chiesto direttamente. Ha riso e mi ha detto che non è vero.»
«Capisco.»
«Però una volta è riuscita a prevedere l’attacco da parte di un gruppo di mercenari!»
«Beh, direi che è dimostrazione delle sue capacità come Guardiana del villaggio» ma il bambino aveva scosso la testa, poi gli si era avvicinato ed aveva ridotto la voce ad un sussurro, come se temesse di essere udito da orecchie indiscrete. «Quel giorno tutti dicevano che l’aveva sognato. Ha visto nel futuro, ti dico.»
Ed il Mahamatra non aveva avuto alcun motivo per ribattere o tacciarlo come sciocco.
Perché lui per primo non aveva motivo per non credergli.
E Per quanto Candace, nei suoi gesti, nei suoi usi, nel suo tono di voce, non ha mai lasciato trapelare nulla che possa essere considerato divino, è la tessa aura che la circonda che risuona di nobili echi lontani. Forse non per tutti è così facile avvertirla, come lo è per Cyno.
E come potrebbe essere altrimenti?
Fino a prima di incontrarla era certo di essere l’unico a portare, in maniera così diretta, il peso di un’intera civiltà morta sulle spalle.
Questo aveva creduto, nascendo in isolamento.
Vivendo in isolamento.
Per poi maturare semplicemente lontano dal deserto e così dal passato.
Probabilmente ora sarebbe una persona diversa, se avesse incrociato Aaru, durante il suo tragitto per l’Accademia.
O forse non sarebbe cambiato niente.
Perché anche nella piccola cittadina c’è costante sentore di morte.
Come adesso.
Cyno si limita ad osservare la scena da lontano; non si permetterebbe mai di avvicinarsi. Sono ancora ben pochi coloro che non avvertono la sua presenza come disturbante. Forse, in questo caso, è avvertito più come traditore, che come vera fonte di minaccia.
È Candace ad essere nel cuore della scena, accerchiata da un contenuto gruppo di persone ed innanzi ad una coppia, intenta a caricare i loro pochi averi sul dorso dello Sumpter Beast.
I due coniugi hanno deciso di partire. “Non c’è più nulla per noi, qui” hanno comunicato alla Guardiana, il giorno prima. Faranno fortuna altrove, aldilà del Muro di Samiel. Forse apriranno un’attività o al contrario, potrebbero finire col mendicare per le strade, mentre la caotica Sumeru City non farà altro che passargli innanzi, registrarli come cadaveri in putrefazione e passare oltre.
Ma non è a loro che il Mahamatra rivolge attenzione, piuttosto osserva Candace: ne studia la posa, la gestualità e ne legge il labiale.
La colonna portante di Aaru Village sorride calda alla coppia di sposi. Ma l’occhio d’oro tradisce tristezza. «Fate buon viaggio, vi auguro tanta fortuna.» stringe loro le mani. Li abbraccia calorosamente.
I due giovani la osservano con commozione.
«Sono certa che il deserto vi guiderà verso la vostra nuova vita.»
«Grazie di tutto Candace. Davvero.»
«Pregherò per voi ogni giorno e sappiate che, se doveste aver necessità di tornare, le nostre porte saranno sempre aperte.»
Saranno stati i lunghi anni di interrogatori ad averlo temprato, perché Cyno non ha bisogno che di un attimo per intuire quali emozioni si celino dietro le espressioni dei due coniugi: si sentono in colpa.
Credono di star scappando come codardi da una situazione di pericolo, in cui, però, lasceranno tutti gli altri.
“Non torneranno” pensa. Ne è certo. Sono troppo inibiti da questo superfluo senso di vergogna, per avere anche solo la forza di voltarsi, almeno un’ultima volta verso i propri concittadini.
Salgono sulla cavalcatura. Sono impacciati nei movimenti e mantengono gli occhi bassi. Così partono.
In tutto ciò, Candace non ha mai smesso di osservarli, sino a che non li ha più avuti a portata di vista, in completo silenzio ed incurante di giudizi negativi sui due che, pian piano, iniziano a circolare tra la modesta folla di abitanti.
Ed è quanto la Guardiana si volta e si allontana, che Cyno decide di fare altrettanto.
 
«C’è qualcosa che ti turba?»
Solleva gli occhi, il tanto che basta per guardarla. In un primo momento non sa se sia il caso di dar voce alle proprie riflessioni. Non sono poi tanto importanti. «Perché me lo chiedi?»
La donna avanza di qualche passo, scrolla semplicemente le spalle, poi mena gli occhi altrove. «Mi sembri più silenzioso del solito.»
Cyno abbassa lo sguardo. Si sorprende nel constatare come lei sia riuscita ad accorgersi di una variazione così sottile nel suo umore, nonostante non si conoscano ormai che da poche settimane. Ora però, sente l’obbligo di risponderle. «Perché non li hai fermati? Non eri felice che andassero via.» e ciò lo formula come una semplice constatazione.
Vede Candace irrigidirsi, ma solo per un attimo. Forse l’accorgersi che lei stessa è stata oggetto di approfondita analisi, deve averla sorpresa. Poi inspira, ma non torna a guardarlo. «Hai ragione. Non volevo che andassero via.»
«Avresti potuto fermarli, se avessi voluto» è schietto nel dirlo, come sempre. Si chiede se lei possa considerarlo privo di tatto, ma non se ne pone davvero il problema.
Segue un riso amaro, per quanto leggero. «Cyno, non potrei mai obbligare qualcuno a restare.»
Chissà per quale ragione, quelle rare volte che la Guardiana lo chiama per nome, avverte un brivido percorrergli la schiena.
La osserva mentre si accosta allo stipite della finestra. «Non posso forzare nessuno ad essere prigioniero del passato.»
Si guardano, ma per non più di un attimo. «Non posso neanche dire di non essere in grado di comprendere la loro scelta. Ormai l’avrai constatato tu stesso. La vita ad Aaru è difficile e per quanto io soffra nel vederla sempre più svuotarsi, non c’è ragione perché io ostacoli la sua naturale fine.
È vero. Aaru sta morendo ed io non posso farci niente.»
Cyno si ritrova ad osservare gli occhi eterocromi di lei, lucidi di rammarico.
«Ma fin quando ci sarà anche solo una persona a popolare queste case, io resterò qui a proteggerla a costo della vita.»
Quanto vorrebbe poterglielo dire.
Quanto vorrebbe poterle dire che la aiuterebbe.
Quanto vorrebbe davvero poter spezzare questo processo di morte.
 
«Non tutto è perduto.»
 
Il primo ricordo che ha è l’acre odore di incenso.
Ed il buio, quasi completo, se non per l’instabile luce posta sporadicamente di fianco alle pareti.
Era stato fatto sedere sull’altare, con addosso una semplice tunica bianca, subito di fianco ad una salma mummificata ad arte.
La sacerdotessa gli si era posta davanti e gli aveva sollevato il mento.
Non l’ha mai vista in volto, per quanto ricorda che è stata lei ad averlo cresciuto. Non ne ha mai neanche conosciuto il nome.
Era da prassi che non si sapesse.
Perché tradizionali legami familiari non possono esistere in un ambiente sacrale, come quello del tempio.
La sua voce l’avrà sentita che poche volte, ma non ne ricorda il suono, né cosa gli abbia detto.
Il volto di lei era celato da una maschera del divino Hermanubis, lasciandone rivelate solo le labbra, che non tradivano alcuna particolare espressione. Erano solo una rigida linea diritta e seria.
«Non urlare» gli aveva detto quella bocca. «Ormai sei pronto.»
Lui forse tremava, forse no.
Però era rimasto immobile, esattamente come gli era stato indicato di fare. Non si era mosso neanche nel vederla estrarre il sacro pugnale. Gli era parso che la lama rilucesse d’oro.
La Sacerdotessa gli si era accostata, lo aveva invitato ad offrirle il braccio e così aveva fatto.
Ricorda di non aver urlato. Perché così gli era stato detto. Aveva trattenuto i gemiti a costo di ferirsi le labbra coi denti; ma aveva pianto.
E mentre le lacrime gli annebbiavano la vista e gli sfuggivano dagli occhi, sempre più celermente, quella lama gli solcava la pelle, precisa e ferma.
Aveva sentito le gocce di sangue colargli dalla ferita.
Eppure, più il dolore gli ammorbava il cervello, più gli sembrava di riuscire ad avvicinarsi ad una coscienza ulteriore.
Aveva avvertito il contatto col divino, in quell’occasione.
Ma anche il trauma di una forte lacerazione da un ambiente familiare.
Si era sentito prossimo ad un brutale sradicamento dal conosciuto.
In tutto questo aveva avvertito la Sacerdotessa mormorare parole confuse, ma che gli facevano vibrare la pelle di pura magia e lo avvicinavano a qualcosa di simile ad uno stato febbricante.
Poi sì, è certo di aver tremato, nel momento in cui l’incisione sul suo braccio era stata portata a termine.
La sacerdotessa aveva lasciato il pugnale a lui di fianco. Gli aveva asciugato le lacrime dal volto, così lo aveva istigato a stendersi, proprio di fianco alla salma.
Aveva visto il proprio sangue macchiare l’altare, così come le spesse bende che avvolgevano per intero il cadavere.
Si era ritrovato ad osservare prima la sagoma di quel volto morto, poi la sacerdotessa, che l’aveva richiamato.
«Chiudi gli occhi
Forse l’incenso all’interno della camera mortuaria, nonché la ferita aperta e pulsante aveva contribuito in questo, ma nel sentirsi rivolgere un simile invito, aveva acconsentito senza fatica.
La stanchezza l’aveva assalito.
E nel vedere il buio, aveva sentito i sensi fremere, di un impulso che era incapace di spiegarsi.
Un bacio gli aveva inumidito le labbra, si era sentito premere sulla bocca, era stato istigato ad aprirla e si era sentito sfiorare la lingua.
 
Poi li aveva visti: i volti dei suoi antenati. Non ha che vaghe reminiscenze di quella visione, eppure c’è una sensazione, che ricorda più di ogni altra, persino più del brio avvertito, nell’essere riuscito ad intravedere il volto di Al-Ahmar: l’impulso di vita, il sogno di una rinascita, la nostalgia del riportare una terra morta al suo antico splendore.
E quel desiderio, percepito da chi, prima di lui ha vissuto e celebrato l’Antica Religione, gli si era istillato subdolo nelle vene, così che l’aveva fatto proprio.
Quanto vorrebbe poter rivedere lo splendore della sua stirpe rifiorire.
Quanto vorrebbe poter evitare di dover nascondere il proprio nobile sangue e anzi, esserne orgoglioso.
 
E la stessa sensazione la avverte ora, da giorni ormai, e gli pare sempre più vivida.
Persino l’incisione che porta sull’avambraccio sembra essere tornata a pulsargli, come se il rituale di iniziazione, che l’ha voluto ufficialmente come erede e sacerdote Hermanubis sia tornato a ricordargli il suo vero compito, che per pura coincidenza è analogo a quello che burocraticamente ha dovuto svolgere all’Accademia.
È stato forse il crepitio delle frasche divorate dal fuoco ad inghiottirlo così crudelmente nei ricordi o forse la piacevole brezza del deserto, durante la notte.
Ma è la sua voce ad interrompere la caterva di pensieri e forse anche di qualche segreto rimpianto.
«Hai freddo?»
Le dedica attenzione quasi all’istante, ma non muta espressione.
Candace gli si siede al fianco, noncurante se la troppa vicinanza possa infastidirlo o meno, così gli sorride, come è solita fare con tutti.
Cyno si trova ad osservarla forse più di quanto dovrebbe e più la contempla, più ammette che sì, non può fare a meno di percepire il sacro legame che la vincola al deserto, così come al passato.
Per quanto la Custode si sforzi di minimizzare la sua regalità, per quanto le piaccia essere trattata come una comune cittadina di Aaru, lui non riesce a guardarla con indifferenza, ma sente chiaramente che le deve rispetto assoluto.
In ogni caso, le risponde di no, che sta bene. Non ha bisogno di nulla.
È durante la breve pausa successiva, che il Mahamatra si trova a chiedersi se sia il caso di parlare ancora, anche se non sa esattamente di cosa. Non è mai stato particolarmente bravo a trovare argomenti di discussione.
È lei, infatti, a riavviare la conversazione. «Mi hai davvero sorpreso, sai? Non ti facevo così bravo coi bambini.»
Si sta sicuramente riferendo all’episodio avvenuto il giorno prima: Ziyad, un ragazzino del villaggio che aveva da subito notato per la sua vivacità, era scomparso. Ci aveva parlato se non un paio di volte, prima dell’accaduto e non solo Cyno era riuscito ad intuire dove potesse essersi rifugiato, era anche riuscito a convincerlo a tornare a casa; questo perché gli aveva promesso di denunciare a Candace le violenze che la madre subiva da parte del compagno e da cui non riusciva a venir fuori da sola.
In ogni caso non crede di avere un particolare talento nell’approcciare i giovani. Piuttosto, trova che sia il contrario.
Lancia distrattamente l’ennesima frasca nel fuoco, così dall’alimentarlo giusto il necessario. «Sono gli unici su cui non ho diritto di giudizio. Forse è per questo che non mi temono.»
La donna si lascia sfuggire una risata leggera. «Credi davvero di incutere così tanto timore a chiunque ti guardi?»
«Non ho forse ragione?»
Candace allarga le labbra in un sorriso soffice.
Che sia la suggestione indotta dalla notte o dalla luce confusa ed instabile del focolare, ma Cyno ha la sensazione che l’occhio dorato di lei stia brillando. «So solo che è molto più facile avvicinarti, di quanto vorresti far credere.»
“Che questo sia un male?” si trova a domandarsi. Inarca un sopracciglio.
«Ma è innegabile che ci siano alcuni a cui non desti particolare simpatia, questo sì.»
«A volte, mantenere le distanze, può semplificarmi il lavoro» tiene a spiegare, anche se non ne comprende la ragione.
Candace adesso guarda in avanti, in direzione di Aaru.
Il villaggio sembra ammantarsi d’oro durante la notte, per via delle torce cosparse ovunque, fra le sporadiche strutture e costantemente alimentate di olio.
Sono gli stessi cittadini ad occuparsi dell’illuminazione, sono ben attenti che nessun angolo dell’insediamento non rimanga al buio.
Perché lo sanno bene, i figli della sabbia: è di notte che il deserto mostra il proprio volto.
«Eppure non mi è sembrato che volessi mantenere troppo le distanze da noi.»
Cyno abbassa lo sguardo. Spera che ciò basti a non tradire le sue emozioni. Perché un lato di sé sa bene quanto piacevole stia trovando l’essere tornato da questo lato del Muro di Samiel,
Perché teme di ammettere quanto, in fondo, desideri restare qui.
Gli echi dal passato gli vibrano sotto la pelle più intensi che mai.
«Non ti ho ancora ringraziato propriamente per l’aiuto a trovare Ziyad.»
«Davvero, non c’è bisogno che mi ringrazi» e dopo si permette di dire qualcosa di cui si sorprende lui stesso “Ho fatto solo ciò che avrei dovuto”.
Si dà dello sciocco. Un’affermazione del genere non ha senso. Non è lui a doversi far carico della gente di Aaru e probabilmente anche Candace ha avvertito la stranezza delle sue parole, perché lo squadra riflessiva e parzialmente confusa, poi, però, decide di far morire la questione e riprende le redini del discorso. «In ogni caso avevo ragione» e la vede abbozzare un sorriso nel dire: «Sei davvero un valido alleato.»
Cyno resta semplicemente in silenzio, svia lo sguardo da lei. Sente il petto battere frenetico ed una sensazione di realizzazione lo pervade, per quanto se ne vergogna.
È innegabile che sia felice di questo, specialmente dopo aver scoperto così spudoratamente di essere stato manipolato, in ogni suo movimento, dai saggi dell’Accademia; dopo che così schiettamente lo Scriba gli ha puntato il dito contro, accusandolo di inettitudine ed ignoranza.
Ha perso la stima di se stesso, nell’accorgersi dell’imperdonabile errore; invece Candace continua a fidarsi di lui.
«Ti prego, non farti troppe aspettative su di me.»
«Perché non dovrei?» la voce di lei si riduce ad un sussurro e gli stringe il cuore in una morsa.
Perché non ne sono degno” vorrebbe risponderle, ma si limita al silenzio.
Ha voltato le spalle al deserto: è questa la verità. Non merita di essere accettato.
Si sente un ipocrita nell’aver inglobato dentro di se tutti i soprusi, i pregiudizi, la presunzione, di cui coloro che vivono in quelle case laminate dal lusso. Ha accettato senza proteste i giudizi negativi, ha assunto le caratteristiche che gli sono state attribuite, solo per le sue origini.
Il Mahamatra è un violento, perché violenti sono i figli del deserto. Quelli come lui non dovrebbero trovarsi in Accademia.
A meno che non li si controlla e neutralizza a dovere.
«Cyno, posso farti una domanda?»
«Proverò a risponderti.»
«Da dove vieni? Non credevo ci fosse vita, al di fuori di Aaru.»
Il Mahamatra si concede qualche attimo, prima di dar voce ai propri pensieri. «Infatti credo di essere un’eccezione alla regola, niente di più. Non troverai nessun altro nel deserto, se non qualche Eremita fanatico senza nome.»
«Discendi dall’Antica Stirpe, vero?»
Freme ancora, ma risponde. «Immagino di sì.»
«Credevo di essere l’unica…» il suo sembra quasi uno sfogo, come se Candace si sia finalmente liberata di un peso, che la opprimeva da tempo. «Perché te ne sei andato?»
Cyno scrolla le spalle. «Istinto di sopravvivenza, immagino. Ma ero anche alla ricerca di risposte. Su di me, sul mio ruolo, sul Re Scarlatto.»
«E le hai trovate?»
Scuote la testa. «L’Accademia è stata fondata con l’intento di screditare la nostra cultura, in fondo.» “Il dio del deserto è un distruttore. E così come lui, coloro che vi discendono” cita.
«Capisco.»
«Ma non preoccuparti, so che quel che spacciano come verità assoluta, non è altro che un delirio discriminatorio. L’unico problema è che la loro influenza è talmente ampia, dal non poter essere scardinata facilmente.»
«Come fai ad esserne così sicuro, che stiano mentendo?» Candace sembra genuinamente dubbiosa e Cyno ne rimane stranito. Tutto si sarebbe aspettato, fuorché rispondere ad una domanda simile, posta proprio da lei.
La sua sorpresa gli si deve leggere in faccia, perché la Guardiana, ora, sembra a disagio.
Il crepitio del fuoco fa ancora loro da sfondo, per quei rapidi attimi di silenzio.
«Immagino che te l’abbiano detto, che sono sua diretta discendente.»
«L’ho saputo, sì.»
Il tono di voce di lei si fa sarcastico. «Credo non ci sia proprio verso di nasconderlo.»
«Perché dovresti?»
Si ritrovano a guardarsi. Gli occhi le si fanno languidi, prima che il contatto visivo si interrompa di nuovo. «Sai, c’è una cosa che non ho mai avuto il coraggio di rivelare a nessuno.» Candace torna a focalizzarsi sulle fiamme che seguitano a dimenarsi convulse, come se in esse stia cercando un conforto che nulla, al momento, sembra essere in grado di offrirle.
Ma Cyno sente quasi la gola stringersi in una morsa, nell’accorgersi infine che lei, tra tutti, decide davvero di offrirgli quella confidenza, mai rivelata prima. E riesce anche ad intuirne il perché, non gli ci vogliono che pochi attimi per comprenderlo.
«La verità è che, per quanto il sangue di Al-Ahmar mi scorra nelle vene, io non ho mai avvertito la Sua presenza. Neanche una volta. Non importa quanto mi sia sforzata di riuscirci. Col passare degli anni, ho imparato a convivere con questa consapevolezza, mi dicevo che non era importante. Quel che conta è proteggere Aaru, tanto mi basta per essere felice. Ma a volte…» la vede incurvarsi, mentre la voce le si riduce ad un mormorio riflessivo, ipnotico. «A volte sento chiaramente come gli altri pretendano di trovare in me una guida salda e non in quanto Guardiana, ma in quanto discendente del nostro dio» ancora si interrompe, ora per rivolgerglisi direttamente.
«Loro vedono in me una speranza di rinascita, Cyno.»
La fame di vita, il desiderio di una rivalsa, sono cose che conosce bene.
«Ma come posso offrire loro qualcosa del genere, se io stessa non sono in grado di percepirla?»
Forse rimpiange di essersi aperta così tanto a quello che, di fatto è non solo uno sconosciuto, ma anche uno degli ufficiali di quell’organo di potere, che non fa altro che marciare sulla crisi economica di Aaru. O forse questo è solo ciò che Cyno teme che lei pensi. In ogni caso, la Guardiana scuote debolmente il capo, così torna composta ed austera, come sempre.
«Ciò che vedo sono coloro che muoiono e coloro che vanno via. Eppure non posso arrendermi, non finché non vedrò la fiamma spegnersi.»
«Non si spegnerà.» il tono con cui il Mahamatra lo dice è fermo. Forse esprimere un vaticinio di tale portata non spetterebbe a lui, ma in questo momento è l’unico abbastanza consapevole, per poterlo rilasciare. «Io l’ho visto, Candace. Ed ho visto la vita.»
 
Lo spirito della vita dimorerà con me, durante il mio eterno riposo.[1]
 
«Non tutto è perduto.» mai si sarebbe immaginato di poter essere guardato da lei, come sta facendo ora: gli occhi eterocromi grati, rilucenti di una nuova speranza, che probabilmente da molto sperava qualcuno potesse offrirle.
Ed è bellissima.
Il petto gli batte all’impazzata.
Quanto può essere sciocco, è ovvio che lo sia; del resto ha letteralmente di fronte colei che più si avvicina ad una Dea.
«Spero non sia un crimine, desiderare con tutta me stessa che tu abbia ragione.»
«Non ho la capacità di prevedere il futuro, ma sento che Aaru, la nostra gente, non vuole ancora morire.»
La sente ridurre il respiro al minimo. Si rimprovera, forse ha osato troppo, con questa sua arrangiata previsione.
«Ringrazio qualunque cosa sia stata a spingerti a tornare nel deserto» il tono con cui Candace lo pronuncia è di una soffice onestà.
Cyno glielo direbbe, che lui stesso è felice di essere tornato, che non ha mai dimenticato il suo vero posto nel mondo, che gli è mancata casa, ma non è da lui svelare così apertamente i propri sentimenti. Si limita solo ad un leggero assenso, ma ancora la Guardina non lascia cadere la conversazione, anzi, gli si fa più vicina; il ché gli provoca disagio, ma nel contempo gli fornisce disonorevole sollievo.
«Tornerai all’Accademia?»
«Non per ora. No.»
Gli sorride.
Si guardano, per un tempo che lui vive come lunghissimo, ma forse non è durato che più di un istante. Avverte la sensazione dell’essere inghiottito, da quell’occhio d’oro e non ha idea di quali pensieri nasconda lo sguardo intenso della donna.
Poi Candace si fa persino più vicina. Le sue labbra si piegano in un sorriso punto dal sarcasmo. «Buonanotte» gli soffia sulla guancia, così si alza e semplicemente si allontana, lasciandolo molto più scosso di quanto abbia la forza di ammettere.
 
 
Si è allontanato da Aaru senza preavviso, per dirigersi verso nord ovest. È giunto alla meta in una notte di cammino.
Il tempio gli si erge innanzi silenzioso, tra le dune di sabbia. Nello scorgerlo di nuovo, dopo così tanto tempo, si sente pervaso dalla nostalgia. Vi si avvicina.
Non sa per quale motivo abbia deciso di tornarci. È stato il puro istinto a volerlo qui e stavolta ha deciso di assecondarlo. Troppo a lungo ha dovuto limitare i propri movimenti. A lungo ha dovuto reprimere i propri impulsi, perché all’Accademia non erano consentiti.
Gli occhi gli si fanno languidi, nello sfiorare di nuovo lo stipite del sacro ingresso. Ne riconosce le scritte, le legge, anche se non ne avrebbe bisogno: perché trova piacere nell’essere ancora in grado di decifrare la Lingua Antica.
È davvero tornato a casa.
Anche se, purtroppo, non come Hermanubis, non come sacerdote, ma come schiavo dell’Accademia.
Pronuncia la formula a mezza voce, perché si vergogna di questa verità. Non merita di provare quel piccolo piacere di rifare proprio il suo vero linguaggio; eppure, nel dire ogni parola, ne riconosce il suono e ne prova soddisfazione.
Non è degno di riaprire il tempio, eppure il pesante ingresso gli si spalanca di fronte, puntuale, come a volergli mostrare totale rispetto.
E non è degno di varcare la soglia, eppure l’interno sembra invitarlo a procedere, perché non aspetta altro che essere vissuto di nuovo.
Il forte odore d’incenso impregna ancora l’aria. È lo stesso che ricorda.
I raggi solari invadono l’atrio di getto e la luce si spande a macchia d’olio sull’ambiente.
Gli intarsi maestosi, sparsi sulle pareti, rilucono d’oro.
Sembra quasi che respiri di nuova vita.
Eppure Cyno già ne scorge la morte.
L’ultima sacerdotessa Hermanubis, la donna che l’ha cresciuto, prima che decidesse di allontanarsi dal deserto, giace qui, in un eterno riposo.
La sua tomba è riposta sul fianco sinistro dell’atrio, accuratamente sigillata da un coperchio in marmo, su cui transita silenziosa ed austera la statua di Anubi.
Vi si avvicina, vi legge il nome. Non sente tristezza, in fondo se l’aspettava di non rivederla. È il vuoto a pervaderlo. Un altro frammento della civiltà se n’è andato. Gli è sfuggito da sotto gli occhi e si è tramutato in polvere, prima che potesse rendersi conto del suo valore.
L’altare transita ancora dove lo ricorda: all’esatto centro dell’ambiente, laddove un raggio di luce filtra perpendicolare da un foro posto sull’apice dell’alto tetto. Il telo per le cerimonie transita sulla lastra, accuratamente piegato. Lo ricorda benissimo.
Sono stati diversi i rituali compiuti su di esso ed alcuni l’hanno voluto come protagonista.
Lo apre, lo agita, così dal rimuovervi polvere e sabbia, poi lo stende sull’altare.
È compito suo condurre l’anima dei morti verso il giudizio.
Lo farà senza strumenti, stavolta. Non sarà in grado di offrire alla sacerdotessa il rito funebre più sontuoso, ma la sua energia ed il suo legame con lei saranno sufficienti.
S’inginocchia, chiude gli occhi, si focalizza sul ritmo del proprio respiro. Sarebbe già riuscito ad instaurare una connessione con la deceduta, se solo una voce che ha imparato a conoscere non lo chiami di getto, velata dalla sorpresa.
«Cyno.»
Si volta di scatto, mentre il battito accelera rapidamente.
Candace è lì, sulla soglia ed i raggi solari sembrano quasi abbracciarla e la adornano di un’aura sontuosa, a tal punto, che inizialmente il Mahamatra crede di essersela semplicemente immaginata.
Ma è reale.
E gli si avvicina. Sembra impensierita.
Sono troppe le domande che vorrebbe porle, adesso: come l’ha trovato? Perché è qui? cosa la preoccupa?
Eppure riesce solo a rivolgerle uno sguardo confuso. L’ha colto così alla sprovvista, che non è neanche riuscito a simulare l’austerità con cui è solito mostrarsi.
È lei a parlare per prima, nell’approcciarlo di nuovo. «La prossima volta che vai via, potresti anche avvisare.» è sarcastica, ma non troppo.
La vede esplorare l’ambiente con gli occhi. Non ha mai visto l’interno di un tempio, glielo si legge sul volto con chiarezza. «Era questa, quindi, casa tua?»
Ma lui, anziché rispondere, la incalza con un’ulteriore domanda, una delle tante dovute. Lo fa a filo di voce, perché troppo disordinato per potersi mostrare indifferente all’attuale situazione.
Tutto questo ha un ché di irreale.
«Come hai fatto a trovarmi?»
Si ritrova addosso le iridi eterocrome, si perde ancora in quel magnetico sguardo bicolore.
Sarà a causa di ciò che il sangue della Guardiana rappresenta, la corona che porta sul capo, o i sacri gioielli che indossa, forse persino lo stesso ambiente del tempio, ma sente di avere innanzi una manifestazione divina.
C’è un attimo di silenzio, che si sovrappone tra i due, prima che la donna, senza alcuna motivazione per lui concepibile, gli si avvicini ancora.
Gli accarezza la guancia col dorso dell’indice, con una delicatezza estrema, ma tanto basta perché Cyno si senta crollare, sotto il suo tocco.
Ed ogni raziocinio semplicemente si sfalda, quando Candace decide finalmente di rispondergli:
«L’ho visto» gli mormora soltanto, ma è il linguaggio che lei utilizza a stringergli il petto e lo costringe ad ingoiare a fatica.
Gli ha parlato nella Lingua Antica.
Credeva che ormai non esistesse più alcuno al mondo in grado di parlarla. Certo, gli studiosi più incalliti di Haravatat sono in grado di decifrarla, ma nulla più di questo.
Le loro fronti quasi si sfiorano ed i loro respiri si amalgamano. Non c’è alcuna logica che regga, in tutto questo. Ma cosa potrebbe mai esserci di logico, sulla soglia così sottile tra la vita e la morte, su cui entrambi decidono così ostinatamente di transitare?
«È stato il mio occhio a condurmi qui. Ha voluto che ti raggiungessi.»
«Dovresti fare solo ciò che desideri» Cyno avverte un brivido, nel risponderle nella medesima lingua, perché ciò rende ancora più esplicito quanto, di fatto, siano legati.
Fossili viventi di una cultura ormai a pezzi, ecco cosa sono, loro due.
«Non permettere che il tuo stesso sangue ti impedisca di essere libera.»
Eppure questo invito non è sufficiente perché Candace sia istigata ad allontanarsi, anzi. Lo avvicina a sé ancora, stavolta tirandolo dai fianchi. Ogni suo movimento è pacato, lento, ponderato, elegante e non lo turba, ma il Mahamatra tenta una debole resistenza all’abbraccio.
«Sono stata io a scegliere.»
Gli manca il fiato. Le punte dei loro nasi si toccano.
«Perché voglio credere nella speranza di vita che mi hai dato.»
Solo adesso Candace si ritrae, il tanto che basta per guardarlo dritto negli occhi. Le labbra le si piegano in un’espressione di rammarico.
«Non voglio che tu te ne vada.»
Ogni parola, pronunciata nel linguaggio arcaico gli appare come una sacra formula, a cui sente di dovere rispetto assoluto. Forse è la Guardiana stessa che non può fare a meno di vincolarlo in una dimensione di deferenza.
L’occhio d’oro, adesso supplicante, gli appanna la lucidità.
Candace, discendente di Al-Ahmar, sta richiedendo la sua presenza.
Gli sembra di essere tornato indietro, a quei giorni sacri, vissuti nel tempio e scanditi da rituali di magia e purificazione.
Non sa perché sente di farlo, ma le poggia le mani sul petto, il tutto con movimenti lenti e reverenziali. La osserva, consapevole.
L’iride dell’occhio destro gli pizzica.
«Allora ordinami di restare» le mormora, ad ormai un’esigua distanza dalle sue labbra.
Lo sente, anche il battito di Candace è esagitato. C’è un intenso flusso di energia che circola fra entrambi e Cyno non ha dubbi che possa avvertirlo anche lei. «Ordinamelo ed io non me ne andrò.»
Del pesante silenzio si frappone tra i due, prima che la voce della Guardiana lo smorzi, probabilmente intriso di riflessioni o conclusioni finalmente tratte.
«Ti ordino di restare ad Aaru, nel deserto, con noi.
«Con me.»
E l’idea non gli dispiace. Avrebbe acconsentito a tornare anche senza alcuna forzatura, ma il sapere che è stata lei ad imporgli di rimanere gli provoca un piacere inconfessabile.
Un piacere che esplode, nel sentirsi sfiorare le labbra.
Non pensa di essere degno, che la discendente del suo Dio abbia a tal punto considerazione di lui, dal regalargli un simile gesto. Eppure non osa ribellarsi. All’inizio si limita a non reagire, un po’ per sorpresa, un po’ perché teme che lei non desideri che lui si muova.
Ma il bacio si prolunga e con esso, Candace si fa sempre più invasiva, eppure, in questo non perde compostezza, perché non è violenta. È ora che la asseconda, all’inizio timidamente, per poi farsi via via più deciso, specialmente quando la donna gli poggia le mani al collo e lo tira a sé con più decisione. Tutto questo lo stordisce all’indicibile, eppure non riesce a ritrarvisi.
Il corpo gli si fa esagitato, quando la Guardiana gli filtra tra le labbra con la lingua. È in questo che coglie il desiderio di lei di prevaricarlo. In quanto semidea, in quanto emblema vivente di un’intera civiltà o semplicemente in quanto Candace e questo arriva ad eccitarlo persino maggiormente.
È la tua Dea che ti vuole. Ubbidisci, sacerdote.
Non sono state queste le parole che si è sentito ripetere in passato? Probabilmente no, ma ora non ha importanza, perché non ha la energie per darci peso.
Sente solo la saliva di lei che si mesce con la propria, mentre la folle danza di labbra si fa così concitata, dal consumargli il fiato.
Batte i fianchi contro l’altare, perché Candace si è a tal punto arcuata su di lui, che l’ha obbligato a farsi indietro. Si aggrappa su di esso, con le unghie, mentre ormai lei gli si preme addosso.
È sempre lei ad interrompere il contatto di labbra, delicata, esattamente come ha cominciato e lo lascia ansante, confuso, scosso.
La donna si fa indietro di un passo. Lo sta contemplando, come se abbia di fronte il più soddisfacente spettacolo da lei mai osservato e ciò lo fa sentire anche più impotente.
La luce del sole è ancora lì, subito dietro di lei ed irradia l’ambiente d’oro.
Si commuoverebbe ad una simile visione, ne è sicuro, perché la percepisce come un’apparizione, ma è troppo esagitato, per poter decifrare quale dei sentimenti stia prevalendo, in questo momento.
Sa solo che vuole tornare a stendersi su quest’altare, lo stesso che è stato macchiato dal suo sangue, lo stesso che l’ha visto come ultima branca della progenie degli Hermanubis, lo stesso su cui ha potuto giudicare le anime dei morti, per poi restituirle al ciclo vitale.
«Riprenditi quel che ti appartiene, Candace.» la sua voce è ridotta ad una supplica, smorzata dal fiato indebolito. «Sei tu che devi guidarci, verso la vita.»
La vede chiudere gli occhi, per poi riaprirli, solo nel sentirsi richiamata ancora. 
«Sono tuo, se mi desideri.»
La Guardiana gli si avvicina di nuovo, ora è nel completo silenzio, come se abbia perfettamente capito il ruolo che lui le ha attribuito, così gli sfila dal capo l’elmo sacerdotale e lo poggia ai piedi dell’altare.
Si baciano ancora, una sola volta, quasi a voler suggellare un patto non detto.
Così Cyno si stende sulla lastra e Candace lo segue in ogni suo movimento, nel medesimo ritmo, lento, scandito da più fasi e dal senso di già visto. Gli è sopra e lo contempla.
Rivive sulla pelle l’intenso odore di incenso, la consistenza del lino della coperta cerimoniale, gli echi dei morti. Ricorda il buio, la voce della sacerdotessa, il sapore del sangue.
Bestie li chiamano, coloro che vivono dall’altro lato del muro di Samiel. Violenti esseri senza senso della ragione, chiusi nei loro stupidi rituali apotropaici, ignoranti e privi di cultura.
Gli sembra di sentire i loro tossici echi, mentre la Guardiana ancora gli sfiora le labbra.
«Quelli come voi non meritano di esistere, voi ed il vostro lurido Dio. La vostra civiltà è finita.»
Avverte il fiato di Candace sul collo, poi la bocca, poi i denti. Si sente mordere, ma non sufficientemente da fargli male. Gli viene spontaneo ridurre la vista ad una fessura, prima di chiuderli del tutto. Porta le braccia al di sopra del capo, esponendo il proprio petto senza timore. La lascia libera di agire come meglio creda.
Il respiro si fa più concitato, nel sentirsi succhiare la pelle. E percepisce le dita di lei, che iniziano a saggiare il suo corpo, gli scivolano sul busto, gli premono sulle cosce, gli scoprono l’inguine, gli s’infilano tra le gambe. Rabbrividisce: non si è mai sentito così vulnerabile prima d’ora, eppure non si oppone.
Ancora si sente baciato, sui fianchi, sul petto, sul ventre, in modo reverenziale, come se lui non sia il sacrificio di questo rituale che inneggia alla vita, ma è il cuore degli interessi della Dea.
E questo pensiero lo eccita.
«Guardami» gli soffia Candace sull’orecchio.
Ubbidisce.
I gioielli che adornano i capelli della donna tintinnano, ne sente il freddo del metallo contro la pelle.
Lei è davvero magnifica. Spera di essere un compagno sufficientemente alla sua altezza, perché non sente di esserlo.
Ma quasi gli abbia letto nel pensiero, la vede sorridere, con una punta di malizia. «Sei bellissimo.»
È c’è qualcosa in tutto questo, che fa scattare in via definitiva il delirante flusso di energia che continuavano a fatica a reprimere.
Candace gli si precipita di nuovo sulla bocca, ma viene subito accolta. Ora è lui a succhiarle la lingua, ne assapora la saliva, le permette di stordirlo. Il movimento di labbra si fa sempre più frenetico, finché la donna non gli si stende addosso e lo obbliga a divaricare maggiormente le gambe.
Il senso di vincolo si fa più deciso e con esso accresce l’eccitazione
Gli strappa un ansimo improvviso perché, senza che gliel’abbia chiesto, gli è entrata dentro con le dita. Si aggrappa alla lastra, perché la Guardiana gli morde il petto, prima di inumidirglielo con la saliva. La osserva, perché questo gli ha ordinato di fare, ma con gran fatica, perché l’impulso di lasciarsi semplicemente condurre da lei, di farsi vittima inerte di ogni sua azione e così di mascherarsi la vista ogni suo agire è tanta.
La vede, mentre gli percorre il busto con le labbra, sino al baciargli l’ombelico. Gli strappa un medesimo ansimo, ed un altro ancora, perché nello stimolarlo si fa più violenta, ma senza che ciò ne disturbi le sensazioni di piacere. «Rilassati» è l’invito che gli viene rivolto ed esegue con diligenza, distende i muscoli, così come il basso ventre, obbliga il corpo semplicemente a lasciarsi andare agli impulsi. Di nuovo quelle dita lo stimolano dall’interno, lo forzano a rabbrividire, gli strappano suoni in cui non si riconosce. Contrae la schiena. “Fa’ presto” vorrebbe dirle, nello stringere gli occhi, forzato ad un ennesimo ansimo. Prenditi ciò che vuoi.
Divorami.
Sfruttami.
Fammi a pezzi, se necessario.
Sente di star impazzendo: ogni movimento di lei, ogni bacio, ogni morso, persino ogni sua goccia di saliva gli risulta come una tortura, la più piacevole tortura a cui si è mai sottoposto.
«Basta…!» geme, stringendo d’improvviso le gambe.
È al limite.
Non si permetterebbe mai di raggiungere il culmine del piacere, non è lui che deve abusare di questo momento. Squadra Candace, ansante. Spera che lei comprenda. Se vuole farlo proprio, che si limiti a violentarlo, che gli faccia del male.
Ma non importa cosa la Guardiana faccia, la trova comunque irrimediabilmente attraente.
Lei si ferma, esattamente come l’ha supplicata di fare. Lo lascia andare, permettendogli di rilassare la schiena sul lino. Poi si denuda, senza però rimuovere i gioielli, il tutto con una sacralità che solo lei potrebbe mostrare.
Le lunghe ciocche corvine le ricadono sui seni scoperti, la sua pelle bronzea sembra scintillare sotto la luce del sole ed il diadema a forma d’occhio pare quasi emettere luce propria.
Se già da prima non aveva dubbi delle sue origini divine, ora è certo che in lei si incarni la divinità stessa.
Il loro Dio non è mai scomparso, ha solo assunto le carni della persona più bella che abbia mai visto. La stessa che ora gli sale sopra, gli poggia le mani sul petto e gli si sfrega sull’inguine, prima con regale delicatezza, poi con energia crescente.
La sensazione che lui prova, nel sentirsi divorato da lei ha un ché di inconcepibile e lo obbliga ad ennesimi gemiti concitati. Lo stimolo è tale che in poco tempo è di nuovo sulla soglia dell’estasi.
Anche Candace ha ormai il respiro ridotto a frammenti, ma anche il suo modo di esprimere l’eccitazione è nobile e contenuto, il ché incrementa la sensazione di impotenza di lui e con esso il piacere.
Vuole fermarla, non può permettersi di lasciarsi andare a qualcosa di così dissacrante. Tenta di allontanarla, e lasciarlo andare, ma le resistenze sono deboli, perché non riesce a controllare i suoi sensi a dovere ed è lei stessa che glielo impedisce. Gli afferra i polsi con aggressività, glieli preme contro l’altare, lo zittisce coi baci e continua a fregarglisi addosso.
Gli fa male, ma il dolore è troppo camuffato a tutte le altre sensazioni per poterlo davvero distinguere.
Lo forza a raggiungere l’estasi e con essa, la raggiunge anche lei.
Si ritrovano entrambi ansanti, si guardano. Ci vogliono diversi secondi prima che Cyno riesca a dar voce di nuovo ai propri pensieri. «Sei sicura di ciò che hai fatto?»
Lei gli dedica un sorriso talmente soffice, che lo disarma completamente. Gli prende la mano, gliela bacia con dolcezza, nel sentire la sua risposta sente quasi di potersi abbandonare alle lacrime. «Non potrei essere più felice, credimi.»
Nel lasciarlo andare non è rapida, ma l’interruzione del contatto gli provoca comunque un fastidio di cui si sorprende. La vede alzarsi dall’altare ed offrirgli la schiena nuda. Cyno non si muove, perché gli mancano le energie per farlo.
Candace sta guardando verso l’ingresso, verso la luce, verso la vita.
E si tocca il ventre.  





N.A.:
Parto col dire che Cyno è uno dei 3 motivi per cui ho iniziato a giocare. Innanzitutto: sono da sempre stata fanatica della cultura ed il pantheon egizio in generale, quindi sin dal trailer del Teyvat ero non solo ossessionata da lui, ma anche da Sumeru. Le avventure ed il simpaggio incallito per questo personaggio ve le risparmio volentieri o va a finire che concludo queste note dopodomani.
Poi si è aggiunta Candace e addio.
Abbiamo di fronte due personaggi chiaramente ispirati ad Horus ed Anubi e non solo, fortemente correlati tra loro, con design similissimi e che nell’archon questi mi hanno letteralmente fatto impazzire.
Il loro rapporto tra morte e vita l’ho trovato magnifico. Certo, la Hoyoverse è troppo pigra per sfruttare certe tematiche (da lei stessa inserite!?) approfonditamente, le lascia solo galleggiare nella sottotrama e lore del gioco, ma, che dire. Resta comunque un gioco per bambini LOL, non pretendo più nulla da loro, specialmente con la community di teenagers che si ritrova.
Coooomunque…
Da un lato abbiamo Candace, discendente del dio Al-Ahmar, traslitterazione di Amon Ra, che protegge il villaggio di Aaru (il cui nome non è casuale, perché Aaru è il “paradiso” per l’antico egizio), donatrice di luce e di vita e garante del circolo vitale. Dall’altro il caro Anubi, messo in tutte le salse, giudicatore di anime e dio dei morti. Durante la fase beta c’erano altri riferimenti ancora più espliciti al loro legame, che in seguito sono stati rimossi (Es: il talento passivo di Candace che si chiamava Featherflow guard/ mentre quello di Cyno è ancora Featherfall judgement). – Sì, ignoriamo quanto sono ossessionata da questi due personaggi thank u –. Eppure entrambi presentano anche gli elementi dell’altro, Candace che vede il proprio villaggio e la propria cultura morire, Cyno che è discendente del sacerdote dello scarlet king, il quale parla di una rinascita futura ed inneggia alla vita.
Ultimo elemento che voglio sottolineare, prima di terminare con questo papiro saggistico su due personaggi 2D: l’elemento del sacerdote Hermanubis è, al momento, una diceria sul conto di Cyno, se ne parla nella voiceline riguardo alla vision, ma mi è piaciuto a tal punto che mi ha stimolato la scena con la Sacerdotessa. (Quanto odio che le character quest sono più NPC quest che storie focalizzate sui personaggi, la quest di Cyno è stata imbarazzante, per quanto stupida).
In generale, ogni elemento inserito ha chiari riferimenti nel gioco/lore dei personaggi, più ovviamente i tipici elementi che io adoro da impazzire: maggiore serietà del tutto, la scena finale (il sesso rituale è un concetto che adoro LOL) ed ovviamente la coppia! Per dio, quanto li amo questi due insieme, letteralmente la mia OTP di Genshin e non credo saranno mai battuti da qualche altra pairing.
Detto questo, ci si vede!

 
 
[1] Frase citata dall’antenato di Cyno durante la cutscene finale dell’archon quest IV
   
 
Leggi le 1 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Videogiochi > Genshin Impact / Vai alla pagina dell'autore: Teony