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Autore: Kameyo    29/10/2022    3 recensioni
Nei sotterranei del museo Avalon, protetto da una bara di vetro, un giovane dai capelli corvini giaceva da secoli su un letto di Agapanto. Nessuno sapeva chi fosse o come il suo corpo avesse fatto a rimanere intatto, ma tutti lo chiamavano Il Principe. Arthur l'aveva visto per la prima volta a dieci anni, e da quel giorno era andato a trovarlo ogni volta che poteva, sperando di riuscire a svelare il mistero della sua morte. Nel profondo del suo cuore però, Arthur sognava di riuscire a svegliarlo, come in una favola.
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[FavolaModerna] [Ispirata alla Bella Addormentata]
Genere: Angst, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Merlino, Principe Artù, Sir Leon | Coppie: Merlino/Artù
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nel futuro
Capitoli:
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Prompt: Future
 

 
Agapanto

 
 
[1/3] 
C’era una volta un mago dal cuore spezzato,
attendeva il suo Re sulle sponde di un lago incantato.
 
 
 
«E questa è la riproduzione della famosa spada di Re Arthur. Qualcuno ricorda come si chiama?» chiese la signorina Smith alla classe.
Una ventina di manine si sollevarono all’unisono, seguite da cori di Io! Io! Io! Arthur guardò i compagni sbuffando, non aveva mai capito perché nel loro villaggio ci fosse tanto entusiasmo per quella leggenda, ne aveva fin sopra i capelli di negozi, ristoranti, scuole, parcheggi e strade che portavano il nome di quel cavaliere o di quell’altro; era gente morta e sepolta – sempre che fosse esistita – quindi perché osannarla tanto?
«Si chiama Excalibur» disse Gwen con calma. «Merlin il Mago la piantò nella roccia per il re.»
«Esatto, bravissima Gwen. E chi ricorda le iscrizioni sulla lama?»
Lance rivolse a Gwen un sorriso orgoglioso che fece sbuffare Arthur ancora di più, quei due erano la coppia più sdolcinata che avesse mai visto, passavano tutto il tempo a sbattersi le ciglia a vicenda. Si guardò intorno alla ricerca di una via di fuga, era certo che nessuno si sarebbe accorto della sua assenza se fosse sgattaiolato via per qualche minuto, inoltre il museo Avalon – che fantasia! – non aveva chissà quante sale da visitare. Si sarebbe fatto giusto un giretto.
Approfittò dell’ennesimo coro di Io! urlato a squarciagola per sgusciare fuori dalla sala principale e prendere il primo corridoio a disposizione. Aveva visitato il museo un mucchio di volte, per cui non faticò ad orientarsi tra le statue, i quadri e i cimeli medievali che prendevano polvere da più di un migliaio di anni. Tuttavia, dopo essere uscito dalla sala delle armi, trovò la porta del giardino interno stranamente aperta, di solito il custode si premurava di chiuderla a doppia mandata, a meno che non fosse mercoledì, il giorno in cui ai visitatori era permesso andare a trovare il Principe.
«Oggi non è mercoledì» si disse Arthur fra sé e sé.
Non aveva mai visto il Principe se non sui poster appesi all’entrata, alle scolaresche l’accesso era vietato e si poteva entrare nella cripta solo dopo aver passato i controlli. Foto, video e quant’altro erano stati vietati per paura di danneggiare il corpo o il particolare vetro che lo proteggeva.
Arthur si morse le labbra corroso dalla curiosità, aveva sempre desiderato entrare nella cripta, ma i suoi genitori non gliel’avevano mai permesso credendo che si sarebbe impressionato, d'altronde, quando mai si era visto un corpo perfettamente conservato come quello? Aveva sentito dire che non avesse affatto l’aspetto di un cadavere e che la pelle fosse nivea come quella di una principessa d’altri tempi, dava l’impressione di essere soltanto addormentato. Inoltre, gli archeologi non erano mai riusciti a studiarlo come avrebbero voluto, il vetro era indistruttibile e non c’era alcun modo di aprire l’insolita bara.
Arthur pensò che avrebbe potuto dare solo una sbirciatina, giusto il tempo di guardarlo e tornare indietro. Non avrebbe toccato niente e non si sarebbe avvicinato troppo, che male avrebbe mai potuto fare?
Prese un profondo respiro e affacciò la testa oltre la porta, si guardò intorno, di Leon nessuna traccia. Mise un piede fuori e si sporse di più, guardò tra i cespugli, vicino la fontana, ma niente, allora diede un’occhiata alle scale sbarrate dalla transenna che scendevano nella cripta, ma nemmeno lì vide il custode. Attraversato da un’ondata di coraggio, fece qualche passo in avanti fino a poggiare i piedi sull’erba, cercò ancora, e quando capì di essere davvero da solo, corse a perdifiato verso le scale, scavalcò la transenna e iniziò a scendere.
«La maestra mi ucciderà» sussurrò al nulla.
La scalinata che portava alla tomba del Principe non era diversa dalle scale all’interno del museo, marmo bianco e ringhiera in ferro, l’unica differenza stava nel freddo che gelava le ossa. Sembrava che lì sotto fosse inverno, tanto la temperatura era bassa.
Arthur si chiuse la zip della felpa e fece gli ultimi gradini stando attento a non scivolare, il pavimento era coperto da uno strato di brina. Sollevò lo sguardo da terra soltanto quando arrivò all’entrata nella cripta, e nell’istante stesso in cui lo fece gli si spezzò il fiato in gola. Aveva già visto una marea di immagini del Principe, bastava cercarlo su internet per trovare una miriade d’informazioni su di lui, ma Arthur pensò che nessuna foto avrebbe mai retto il confronto col vederlo con i propri occhi.
Il Principe aveva davvero la pelle nivea di una principessa, e capelli scuri dalle onde morbide che ricadevano leggere sulla fronte.
Arthur si avvicinò a passi lenti, sentendosi sempre più attirato da quel ragazzo dormiente. Notò che aveva delle ciglia lunghissime e un accenno di barba che nascondeva la sua vera età, zigomi appuntiti e labbra piene, il dettaglio curioso però erano le orecchie seminascoste dai capelli, erano grandi e a sventola, ma non sminuivano affatto la sua bellezza. E sembrava davvero che dormisse, con quella carnagione nessuno avrebbe mai potuto asserire che era morto.
Arthur osservò la famosa giubba rossa che lo aveva fatto identificare come un principe medievale, e pensò che quel colore non fosse proprio giusto per lui, blu o viola gli avrebbero donato di più. Per non parlare del fazzoletto di stoffa grezza che portava al collo, i principi, per quanto antichi, dovevano indossare tessuti meglio lavorati, o no?
«Non mi sembri un principe» gli disse, inclinando la testa da un lato per osservarlo meglio. «Ma sei bello lo stesso.»
Senza rendersene conto, fece un ulteriore passo avanti e poggiò la mano sul vetro. Quella era certamente la tomba più strana che avesse mai visto, chi si faceva costruire una bara completamente trasparente? C’erano persino dei fiori tutt’intorno al corpo che sembravano appena colti, di un blu intenso, che gli trasmettevano una dolorosa malinconia. In realtà, era il Principe in sé a fargli serrare la gola, il suo viso aveva qualcosa che gli faceva venir voglia di scuoterlo e giurargli che niente l’avrebbe più ferito.
Sentì gli occhi pizzicare e dovette sfregarli per scacciare via le lacrime. Non si era mai sentito tanto triste per uno sconosciuto, perdipiù morto. Cosa gli è successo? Si chiese Arthur, poggiando entrambe mani sul vetro. Perché era morto così giovane? Cosa l’aveva ucciso? Aveva sofferto? L’idea che il Principe avesse sofferto chissà quali pene lo faceva stare male. Sperò che fosse stata una morte veloce, indolore; un attimo c’era e quello dopo non c’era più.
«Non dovresti essere qui» lo sorprese una voce.
Arthur sussultò e staccò le mani dal vetro sentendo il gelo indolenzirgli le dita. Si voltò verso le scale e vide il custode guardarlo con aria canzonatoria.
«Leon!» urlò. «Mi hai spaventato a morte!»
Leon sorrise. «Pensa a quanto mi sono spaventato io, quando ho capito che c’era qualcuno qui sotto. L’hai trattato bene?» gli chiese, indicando il Principe con un cenno del capo.
Arthur fece un passo indietro e si accorse che sul vetro non c’era nessuna impronta. Rivolse un ultimo sguardo al Principe, prima di lasciarselo alle spalle e andare verso le scale.
«Cosa potrei mai fargli? È morto.»
Leon fece una strana smorfia e poggiò un vaso di Non ti scordar di me ai piedi della bara.
«Oggi hai un ospite speciale, eh Merlin? Non vuoi fargli un saluto?»
Sentendo quel nome, Arthur percepì un dolce tepore scaldargli il cuore. Merlin. Era così che si chiamava? Non pensò neanche per un momento che Leon fosse fuori di testa a parlare con un morto, anzi, sentì un certo sollievo a sapere che il custode si prendeva davvero cura del Principe.
«Merlin? Non sapevo si chiamasse così, non c’è scritto nella targa.»
«Perché nessun altro a parte me lo sa» gli rispose Leon con ovvietà. «Se scoprissero chi è davvero non lo lascerebbero più in pace.»
«Perché? Chi è?» chiese Arthur curioso. «Era una persona importante? E com’è che gli archeologi non ne sanno nulla?»
Leon mise le mani nelle tasche e rise. «Secondo te chi è?»
Arthur rimase un po’ perplesso per quella domanda, cosa poteva saperne lui? Guardò il Principe, che se ne stava tranquillo sul suo letto di fiori, e gli venne in mente che gli ricordava la favola preferita di Morgana, quella sulla principessa addormentata che aspettava il bacio del vero amore per risvegliarsi, solo che Merlin non poteva essere davvero un principe, c’era qualcosa che non andava con i suoi abiti e con il suo viso in generale, assomigliava più a una creatura magica che a un uomo, forse era un elfo o qualcosa del genere.
«Non è un principe» affermò convinto.
«Ah no? Perché?»
«Quella giacca è troppo grande per lui, non è sua. E... non mi sembra il tipo che sa usare una spada.»
Il custode scoppiò a ridere e annuì, le chiavi attaccate alla cintura tintinnavano a ogni suo movimento. «Ti ha beccato subito» disse, rivolto a Merlin. «Ti avevo detto che quella giubba era una cattiva idea.»
Arthur fissò Merlin a sua volta, per un attimo pensò che avrebbe aperto gli occhi e avrebbe riso insieme a Leon, ma quando non lo fece si sentì parecchio deluso e anche un po’ triste. Non sapeva bene perché, ma era convinto che sarebbe stata una bella risata la sua, tutta zigomi e fossette sulle guance.
«Se non è un principe, allora chi è? Perché sulla targa non c’è il suo nome? E perché gli parli come se... Lo conoscevi? Non è del Medioevo come tutti dicono?»
«Fai davvero tante domande» gli rispose Leon con un sorriso che sapeva di tristezza. «Ma non posso raccontarti la sua storia adesso, non è il momento.»
«Perché no? È una storia triste? Ha avuto una brutta morte? Guarda che non mi spaventano le storie dell’orrore!»
Leon gli si avvicinò e gli mise una mano sulla spalla. «Non è niente di tutto questo, anche se... un po’ triste lo è. Ti prometto che te la racconterò. Ora però dobbiamo andare, la maestra ti starà cercando.»
Arthur non voleva ancora tornare indietro, sentiva il bisogno di restare. Voleva guardare Merlin per qualche altro minuto, magari parlargli, conoscerlo come lo conosceva Leon. Gli faceva male il pensiero di doverlo lasciare lì sotto da solo, di abbandonarlo alla solitudine. C’era qualcosa in Merlin. Qualcosa che non riusciva a capire, ma che lo attirava.
«Posso... Posso tornare?» chiese speranzoso.
Il viso di Leon si aprì, gli s’illuminarono gli occhi. «Vorresti venire a trovarlo ancora?»
Arthur annuì.
«Be’... Immagino che a Merlin farebbe piacere vedere qualcun altro a parte me. Però non so se-»
«Mi comporterò bene!» promise Arthur con entusiasmo. «Non toccherò niente!»
Leon finse di pensarci su, ma era ovvio che non gli avrebbe detto di no. «D’accordo» disse infatti. «Ma non devi dirlo a nessuno, sarà un nostro segreto. Non voglio che altri vengano a disturbarlo. Non devi nemmeno rivelare il suo nome, me lo prometti?»
«Te lo giuro!»
«Bene! Allora ti aspetto! Ora però andiamo, prima che Elena inizi a strillare.»
Arthur si voltò verso Merlin e gli regalò un sorriso sdentato.
«Hai sentito, Merlin? Ci vediamo presto!»
Merlin non gli rispose, ma Arthur era certo che anche lui ne fosse felice, l’aria nella cripta era diventata tiepida.
  
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