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Autore: ChrisAndreini    29/10/2022    1 recensioni
[Seguito di Corona Crew, che si consiglia di leggere prima]
Cinque anni dopo la fine di Corona Crew, la situazione nel gruppo è per certi versi cambiata, per altri rimasta costante:
Felix e Mirren sono felicemente sposati e stanno concludendo le pratiche per adottare;
Max e Veronika sono a pochi passi dal potersi ufficialmente sposare;
Amabelle e Petra convivono e lavorano;
Diego e Clover sono pronti per uno stage lavorativo in Africa;
Mathi e Denny hanno due lavori piuttosto importanti, in città diverse;
Mentre Norman sta scalando la vetta della sua azienda.
Tutto sembra rose e fiori, vero?
Peccato che gli imprevisti siano sempre dietro l'angolo, quando si parla della Corona Crew. E il matrimonio reale, dove vige la legge di Murphy che prevede che tutto ciò che può andare storto andrà storto, è solo il culmine di nove mesi pieni di problemi per tutti.
Tra coppie che non stanno più insieme, chi vuole un figlio e chi non si sente pronto, routine che inizia a stare stretta, solitudine, doveri che allontanano dai propri principi, terzi incomodi e spie uscite di prigione per vendicarsi, questo potrebbe essere l'anno più difficile per la Corona Crew.
Genere: Commedia, Romantico, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Corona Crew'
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Seconda settimana: Esami e cene in famiglia

 

Lunedì 19 Agosto 

Norman amava il suo lavoro.

Adorava ogni singolo aspetto della sua carriera: il suo ufficio, i suoi colleghi, i viaggi di lavoro, l’aspetto monetario…

Era davvero stato fortunato a trovare quell’opportunità, e aveva fatto strada anche piuttosto in fretta grazie alla sua dedizione, il suo impegno, e la sua assenza di distrazioni.

C’era solo una cosa che mancava nella sua vita, che si avvicinava già alla perfezione: un partner.

Un momento, non fraintendete, Norman era aro-ace, e non era minimamente interessato ad un partner nel senso romantico del termine, non era quello che desiderava.

No, quello che Norman voleva, era un partner, nel senso di un amico, o un’amica, completamente platonica, con cui avere una forte amicizia in città. Una persona con cui condividere del tempo libero parlando di tutto e di niente, uscire a bere qualcosa senza che ci fossero sentimenti strani di mezzo.

Il problema con il suo desiderio era che ogni volta che provava a conoscere qualcuno, finiva sempre male.

In alcuni casi non c’era compatibilità.

In altri casi partiva bene, ma si perdeva con il tempo per un motivo o per l’altro.

In molti casi Norman si era trovato con persone che partivano cercando cose in più che l’uomo non aveva intenzione di offrire.

In un paio di casi, l’amicizia era partita benissimo, ma poi la persona in questione aveva iniziato a sviluppare sentimenti poco platonici, e Norman si era ritrovato in una brutta posizione.

Quindi aveva iniziato a non provarci più.

E a maledire le app di incontri. Possibile che ce ne fossero quaranta per trovare l’amore, e zero per trovare amici platonici? Avrebbero dovuto inventare una app per aro-ace, sarebbe stata rivoluzionaria.

Quindi, insomma, Norman era felice, davvero, ma ammetteva di sentirsi un po’ solo.

Sì, aveva un buon rapporto con i colleghi, e ogni tanto uscivano a bere qualcosa dopo il lavoro, ma si fermava lì.

Sì, aveva la Corona Crew, ma abitavano tutti molto lontano, quindi si vedevano raramente o in videochiamata. Inoltre ognuno di loro aveva la sua vita, quindi c’era stato un leggero allontanamento.

E sì, Norman aveva la sua famiglia, ma anche loro erano lontani, e non era la stessa cosa.

Aveva pensato a prendere un animale, ma viaggiava troppo per permettersi di averne uno nel suo appartamento, che comunque non accettava animali domestici.

Aveva anche pensato di cercare un coinquilino, ma nessun successo.

E poi, per certi versi, aveva già un coinquilino.

Ma che onestamente non era quello che avrebbe voluto avere, perché intanto non lo considerava un amico abbastanza stretto, e poi lo cacciava in parecchi guai con la sua sorella minore.

Sorella minore del suo semi-coinquilino, non di Norman.

Norman era figlio unico.

E fu proprio una chiamata di tale sorella minore a riportarlo alla realtà, mentre arrivava con un tempismo incredibile alla porta del suo appartamento, verso le nove del mattino, dopo un viaggio allucinante da Oslo.

La conferenza si era protratta parecchio, e tornava da quel viaggio di lavoro con più di una settimana di ritardo.

L’avrebbe decisamente fatto presente al suo capo, e chiesto che gli pagasse gli straordinari.

Si era perso il compleanno di Amabelle per colpa di quella conferenza!

Comunque, gli suonò il telefono, ed era la sorella della persona misteriosa che introdurrò tra un paio di righe.

-Pronto?- chiese, confuso, portando il telefono all’orecchio e nel frattempo cercando le chiavi di casa.

-È da te?- chiese agitata la voce dall’altra parte della cornetta.

Norman non doveva neanche chiedere a chi si riferisse, lo sapeva già.

-Sono appena tornato a casa, ora controllo e ti faccio sapere, resta in linea- spiegò alla ragazza, entrando, chiudendo la porta dietro di sé, e posando la valigia in un angolo.

Si guardò intorno, e notò subito delle scarpe non sue all’ingresso.

-Penso proprio di sì- disse alla cornetta, guardandosi intorno per controllare che non ci fosse nulla fuori posto. 

-Quello st… sto venendo da te. Trattienilo così poi posso ammazzarlo!- esclamò la voce alla cornetta, chiudendo poi la chiamata e tornando probabilmente a correre verso l’appartamento di Norman.

Era considerevolmente vicino, quindi Norman non avrebbe dovuto trattenere il suo ospite inaspettato per troppo tempo.

Si tolse le scarpe, sbadigliò sonoramente, e si avviò verso la camera degli ospiti, togliendo la giacca e buttandola sul divano del salotto con ben poca grazia.

Aprì la porta, e sbirciò dentro.

La stanza era sepolta nell’oscurità, ma dalla serranda entrava comunque abbastanza luce da illuminare la figura addormentata di un giovane uomo sdraiato in modo scomposto sul letto degli ospiti, i segni della sbronza evidenti sia dalla condizione dei suoi vestiti e del suo viso, che dalla bottiglia vuota sotto il letto.

Russava sonoramente, e palesemente non si era accorto del rientro di Norman.

Ma ciò che più colpì il padrone di casa, fu l’evidente livido che riuscì a scorgere sul fianco destro, nel luogo che la maglietta madida di sudore aveva lasciato scoperto sollevandosi durante il sonno.

Norman non trattenne un sospiro. Non era così che si era aspettato di passare i suoi primi minuti a casa dopo un lungo viaggio.

Iniziò ad aprire la porta, deciso a svegliare l’intruso/ospite prima che sua sorella arrivasse a recuperarlo, ma la porta scricchiolò, facendo più rumore di quanto Norman si aspettasse.

E abbastanza rumore da far svegliare di scatto l’uomo, che prese la bottiglia vuota, e la lanciò di riflesso verso Norman, che la schivò per un pelo. La bottiglia si infranse contro la porta. 

-Mathi!- si lamentò il padrone di casa, coprendosi al meglio dalle schegge vaganti che rischiarono di finirgli negli occhi.

Mathi sembrò rendersi conto di aver rischiato di commettere un omicidio, e sobbalzò vistosamente, svegliandosi del tutto, e alzandosi immediatamente in piedi.

-Norman! Mi dispiace! Non pensavo saresti tornato oggi!- si giustificò, avvicinandosi a lui noncurante dei cocci per terra, e iniziando a raccoglierli a mani nude.

-Fermo lì, prima di tagliarti. Vado a prendere la scopa per pulire- Norman gli fece cenno di stare lontano, e si avviò verso lo stanzino.

-Faccio io!- si offrì Mathi, ma Norman lo bloccò nuovamente.

-No, tu resta a letto!- si chiuse la porta alle spalle, si controllò il viso sperando di non essersi ferito, ma la sua benedizione l’aveva protetto, come sempre, dallo strano evento.

Una particolarità di Norman, infatti, era uno strano potere che si portava dietro dall’infanzia, e con il tempo si era evoluto. Sebbene Norman non ci avesse mai molto creduto, cinque anni prima si era reso conto che era reale, grazie ad Amabelle e ad una conversazione con sua madre, e da allora aveva imparato quasi a controllarlo.

Non come un vero e proprio potere, ma era come un’energia personale che poteva indirizzare verso un qualcosa o qualcos’altro.

E con il tempo si era anche reso conto che l’”Effetto Norman”, come lo chiamava Amabelle, o “Effetto Stra-ordinario”, come lo chiamava sua madre, sembrava anche proteggerlo dai drammi che creava inavvertitamente o volontariamente intorno a sé.

Una parte di lui iniziava a pensare che la sua solitudine derivasse anche dall’effetto Norman.

Forse un effetto collaterale di accoppiare tutte le persone intorno a lui lo rendeva inaccoppiabile.

Chissà.

Norman prese tutto il necessario per pulire, e tornò in camera, dove Mathi si stava controllando i piedi per togliere qualche scheggia che l’aveva inevitabilmente ferito.

Notando l’arrivo di Norman, si raddrizzò e fece finta di nulla.

Norman sospirò, e si inginocchiò verso i cocci, prendendo i più grandi con la scopa e poi aspirando i più piccoli con un raccogli-briciole molto utile.

-Non farò la crocerossina, ma il disinfettante e i cerotti sono nel cassetto in basso del comodino sulla destra- gli indicò il luogo.

-Tranquillo, non mi servono- Mathi scosse la testa, surclassando la questione.

Norman si voltò verso di lui e ponderò se fosse il caso di insistere e dirgli qualcosa, o lasciar perdere e far finta di niente. Rientrando aveva acceso la luce, quindi ora poteva osservare meglio le sue condizioni, e non sembrava stare molto bene.

Aveva due profonde occhiaie, qualche ferita superficiale sulle braccia, e il livido sul fianco sembrava piuttosto ampio. Si stava torturando nervosamente le unghie, e agitava le gambe meccanicamente. 

-Dovrebbe esserci anche una crema per i lividi nel cassetto- si limitò a dire, tornando poi al suo lavoro, ma notando con la coda dell’occhio che Mathi era sobbalzato, e si era velocemente riabbassato la maglia.

-Ho sbattuto contro un tavolino- si giustificò. Norman roteò gli occhi, ma non obiettò oltre. 

Non erano affari suoi.

Mathi era a malapena suo amico.

…era piuttosto complicato.

E Norman doveva ammettere di essere parecchio combattuto.

Perché da un lato, Mathi era l’unico dei suoi amici di Harriswood ad essere lì a New Malfair, e in generale come persona gli stava abbastanza simpatica, sebbene non fosse mai stato esattamente il suo migliore amico.

Dall’altro… Mathi aveva spezzato il cuore di Denny, era ormai fuori dalla Corona Crew, e gli aveva rovinato la sua seconda ship preferita.

Anche solo parlare con lui portava Norman a sentirsi un traditore, ma non poteva neanche ignorarlo completamente, visto che comunque per quattro anni erano stati amici anche piuttosto stretti.

E c’era da dire che Mathi ci pensava già da solo a comportarsi come se fosse un enorme peso per il mondo.

-Scusa se sono venuto qui senza avvertire… pensavo non saresti tornato per un po’ e… sono stato qui solo il tempo di dormire, e avrei sistemato prima di tornare a casa- iniziò a borbottare delle scuse per essersi introdotto in casa di Norman.

L’uomo alzò le spalle.

-Tranquillo, ti ho dato la chiave, dopotutto- si alzò, controllando un’ultima volta di aver preso tutto, e uscendo dalla camera per buttare i cocci di vetro nel cestino.

Era un’abitudine di Norman lasciare ai suoi amici le chiavi per dare loro la possibilità di fare nido a casa sua in caso di bisogno. Era stato molto utile cinque anni prima, quando aveva lasciato la sua camera del dormitorio per tornare a casa per le vacanze estive, e mezza Corona Crew ne aveva approfittato.

E si era rivelato utile da quando Mathi si era trasferito a New Malfair, insieme alla sorella. 

Durante il lasso di tempo in cui Norman aveva vissuto praticamente da solo da New Malfair… meh, non c’erano state molte occasioni di prestare il suo appartamento a qualcuno. Tranne una volta ad Amabelle che era venuta a New Malfair per un provino, e si era stabilita insieme a Petra da Norman per qualche giorno. Ma Norman era presente, in quel frangente.

Alla fine doveva ammettere di essere felice che comunque era stato utile a Mathi, anche se non immaginava il tipo di emergenza che l’aveva spinto a cercare rifugio a casa sua per quella notte.

Mathi era una persona misteriosa. Lo era sempre stata.

E Norman preferiva non immischiarsi.

-Comunque non ho portato nessuno in camera, ero completamente da solo- si difese Mathi, un po’ tra sé.

Norman gli aveva dato una regola, insieme alla chiave: mai portare ragazzi sconosciuti senza preavviso. Non solo perché Norman era comunque una persona che valutava la privacy ed era cauto, ma soprattutto perché non avrebbe sopportato il pensiero che Mathi si divertisse alle spalle di Denny aiutato proprio da lui. 

Non poteva fare questo alla sua ship!

-Mi rassicura- borbottò Norman, storcendo il naso all’idea di immaginare Mathi con chicchessia (oltre a Denny, sia chiaro), soprattutto a casa sua.

-Volevo solo un posto tranquillo dove dormire, e casa tua era vicina al locale, e… non volevo svegliare Aggie rientrando tardi- Mathi continuò a giustificare la sua presenza lì.

Norman si ricordò di una cosa piuttosto importante.

-Oh, giusto. Agatha sta venendo qui- avvertì Mathi, con nonchalance.

Mathi si alzò di scatto, immediatamente sull’attenti.

-Aggie sta venendo qui?! Quando?! Perché?! Come…?- iniziò ad impanicarsi, e prese il cellulare che aveva posato in un angolo, insieme alla giacca e al resto dei suoi effetti personali. Purtroppo per lui, il telefono era morto, dato che non era stato messo in carica, quindi non c’era molto da controllare.

-Mi ha chiamato poco prima che entrassi in casa per chiedere se fossi qui, e mi ha detto che stava arrivando…- Norman si trattenne dall’aggiungere qualcosa del tipo “lei almeno mi ha avvertito prima”, perché Mathi era già fin troppo agitato e aumentargli il senso di colpa non gli avrebbe giovato.

-Oh cavolo! Potrebbe arrivare a momenti! Posso andare un attimo in bagno?- chiese Mathi, afferrando i suoi vestiti e iniziando a sistemarsi i capelli disordinati.

Norman non ebbe neanche il tempo di annuire, che Mathi si era già fiondato in bagno per darsi una rinfrescata e sistemarsi meglio.

E il campanello suonò pochi secondi dopo.

Norman ci mise più tempo possibile ad andare ad aprire per concedere a Mathi quei preziosi secondi in più per rendersi presentabile, anche per fare un favore ad Agatha, e quando aprì la porta la ragazza era trafelata, con sguardo assassino, e pronta a fare al fratello maggiore una strigliata che si sarebbe ricordato per molto tempo, probabilmente.

Ma trovò comunque il tempo di salutare Norman educatamente, e togliersi le scarpe all’ingresso, prima di puntare decisa verso il bagno.

Norman conosceva abbastanza Agatha Yamamoto da sapere che quando era arrabbiata, soprattutto con il fratello, era il caso di non immischiarsi, quindi li lasciò discutere in pace, e decise di preparare del caffè per tutti. 

Ahhh, la sua macchinetta del caffè che la Corona Crew gli aveva regalato quando si era trasferito in quella casa! Gli era mancata tantissimo! Faceva un caffè ottimo, grandi quantità, poco spreco, ed era l’elettrodomestico più utilizzato da Norman. Non poteva vivere senza caffè.

Si fece la sua bella tazza, preparandone un po’ di più anche per Mathi e Agatha, aggiunse qualche biscotto che aveva nella credenza, e ignorò le urla dei due fratelli nell’altra stanza… perlopiù le urla di Agatha che rimproverava Mathi per averla fatta preoccupare.

Norman cercò di isolare il suono e ignorare il discorso, e so che voi lettori vorreste sentire ciò che si dicono, ma questo è il punto di vista di Norman, quindi dovrete aspettare il prossimo capitolo per avere un insight completo sulla situazione di Mathi, perché Norman non ascoltò niente, e non è informato.

Comunque, circa cinque minuti dopo, Agatha uscì dalla camera degli ospiti sbattendo la porta, e si avviò in cucina, così arrabbiata che sembrava che le uscisse fumo dalle orecchie.

-Vuoi una tazza di caffè?- le propose Norman, indicando la macchinetta.

Agatha si addolcì, e accennò un sorriso.

-Certamente, grazie. Scusa il disturbo- accettò l’invito, e si servì una tazza di caffè ancora caldo come se fosse a casa sua.

Non era una novità, dopotutto. 

Quella scena si era ripetuta più volte nell’arco degli ultimi mesi.

-Tranquilla, non è un problema- Norman alzò le spalle, e iniziò a lavare la propria tazza ormai vuota.

-Mathi sta rifacendo il letto e sistemando la stanza, poi ce ne andiamo- promise Agatha, prendendo un sorso di caffè e sorridendo improvvisamente rasserenata.

Quel caffè era magico.

-Vuoi anche dei biscotti?- le propose Norman, porgendole la busta.

-Mi salvi la vita. Non ho fatto colazione stamattina, troppo occupata a chiedermi dove fosse finito mio fratello- Agatha accettò, e si mise più comoda sulla sedia.

-Posso solo immaginare la preoccupazione- Norman provò ad empatizzare, ma essendo figlio unico, non era poi così semplice. Ma conosceva molti fratelli: Max e Denny, Mirren e Petra, Clover e le sue due sorella con un rapporto complesso, sia Diego che Felix avevano famiglie enormi. Persino Amabelle aveva due fratelli piccoli, ma non si vedevano quasi mai.

-Cambiamo argomento, guarda… come è andato il viaggio?- Agatha indagò sul suo lavoro, e parlarono un po’ di quello e dell’università che la ragazza stava frequentando grazie ad una borsa di studio e un lavoro part-time.

Dopo un po’ li raggiunse anche Mathi, che si era rimesso a lucido, e sembrava quasi un’altra persona, ora che indossava la giacca, le scarpe, e un grande sorriso.

-Sistemato tutto. È come se non fossi mai stato qui- si annunciò, rumorosamente, dandosi qualche aria.

Agatha tornò irritata.

Norman rimase completamente impassibile.

-Bene, allora è meglio rendere la cosa realtà e andarcene- sbuffò la ragazza, posando la tazza vuota del caffè nel lavandino, e iniziando a trascinare via il fratello prima che Norman potesse offrirgli il caffè rimasto.

-Aspetta, lasciami almeno…- Mathi provò a lamentarsi.

-Hai fatto abbastanza- la sorella non  lo fece finire.

-Ciao Norman! Grazie di tutto- riuscì comunque a dire Mathi, facendogli un cenno di saluto e un grande sorriso, ma lasciandosi trascinare via.

-Arrivederci- Norman salutò entrambi, e anche Agatha ricambiò, velocemente.

Li sentì discutere un altro po’ mentre raggiungevano la porta e mettevano le scarpe.

E poi la porta si chiuse, soffocando le loro voci.

E Norman rimase solo.

Niente di male, era abituato a stare solo.

Gli era sempre piaciuto stare un po’ solo, soprattutto dopo un lungo e stancante viaggio.

Lavò la tazza di Agatha, sistemò i biscotti, e tornò in salotto, dove recuperò la valigia, che portò in camera sua.

Sistemò la valigia.

Si fece una doccia.

Mise abiti più comodi.

E si ritrovò sdraiato sul divano, i capelli ancora umidi, a fissare il soffitto.

Prese il telefono, e compose uno dei numeri che chiamava più spesso.

-Hey Amabelle, spero di non disturbare… ti va di chiacchierare un po’?- chiese, una volta che la persona dall’altra parte rispose.

Dai, alla fine non era completamente solo.

Poteva ancora contare sul suo gruppo di amici, anche a distanza.

 

Mercoledì 21 Agosto

Max ormai era completamente abituato al jet-leg, e ai lunghi viaggi da Harriswood ad Agaliria.

Negli ultimi cinque anni ne aveva fatti abbastanza da ottenere una carta fedeltà piuttosto piena di chilometri con la compagnia aerea, che lo trattava come se fosse un VIP.

…probabilmente il trattamento VIP era dovuto al fatto che fosse il ragazzo ufficiale della principessa Veronika Krone, ma a Max piaceva pensare che non ci fossero secondi fini nel comportamento gentile degli assistenti di volo, degli altri passeggeri, e dei membri della compagnia che cercavano sempre di spostarlo in prima classe anche quando Max desiderava restare in economica.

Ogni volta che gli offrivano il cambio fingendo che l’aereo fosse troppo pieno, Max sbolognava il posto a qualche madre in difficoltà, o persona anziana, o altre persone che sicuramente meritavano un posto in prima classe molto più di lui.

Ed erano usciti parecchi articoli riguardo la cosa, molti dei quali lo additavano come un falso manipolatore che cercava di ottenere il favore del pubblico, o un morto di fame che non poteva permettersi di volare in prima classe nonostante il suo status sociale.

Certo, online la sua reputazione era stellare, soprattutto tra i giovani, che lo additavano come l’esempio di nobile che però era anche una persona normale, e principe perfetto, e colui che aveva raggiunto il sogno quindi lo potevano raggiungere anche loro.

Max avrebbe desiderato semplicemente andare in incognito ed evitare tutta quell’attenzione, ma era oltremodo impossibile.

Anche se quel giorno aveva seriamente rischiato di perdere le staffe.

Perché era capitato vicino ad un uomo d’affari che aveva cercato di parlare per tutto il viaggio nonostante fosse chiaro che Max avrebbe preferito studiare per l’esame imminente.

L’avevano informato solo poche ore prima prima che quel giorno ci sarebbe stato l’ultimo e decisivo esame per laurearsi finalmente all’università politica di Agaliria, e Max era terrorizzato.

Perché fallire quell’esame non era contemplato.

E sarebbe stato crudelmente ironico, dopo tutti i sacrifici che Max aveva fatto per essere sempre il primo in ogni corso, arrivando anche a laurearsi in anticipo.

Aveva perfezionato due lingue e studiato in contemporanea anche altre tre, che non aveva ancora perfezionato del tutto. Conosceva la storia, la cultura, le abitudini e le tradizioni di Agaliria e dei luoghi circostanti come il palmo della sua mano. Aveva partecipato a prove e simulazioni di problemi politici, economici e sociali da risolvere. Era come se avesse studiato per quattro o cinque lauree in una.

E tutto questo in soli quattro anni.

Non poteva fallire proprio l’ultimo esame.

Non dopo aver ottenuto un punteggio perfetto in tutti gli esami conclusivi.

Anche se doveva ammettere che quando arrivò all’aeroporto, accolto da paparazzi pronti a scattare foto, iniziò a sentirsi davvero spacciato, perché era stanco, agitato, e non ricordava più assolutamente nulla.

E l’esame sarebbe stato in tre ore.

Praticamente il tempo di arrivare all’università, dato che l’anticipo era molto importante, ad Agaliria, soprattutto per il futuro re.

“La puntualità è dei gentiluomini, l’anticipo dei re” era un famoso motto di quel paese.

E arrivare in ritardo il giorno della sua prova finale sarebbe stato disastroso.

-Max! Maxi! Qui!- una voce conosciuta attirò la sua attenzione, e Max si girò nella sua direzione, sentendosi subito meglio quando riconobbe i capelli biondi del migliore amico che si era fatto all’università: Helios Krüger.

Era un ragazzo molto enfatico, l’unico oltre a lui ad aver ottenuto una borsa di studio per persone “comuni”, ovvero non nobili, e a pochi esami da concludere a sua volta il percorso di studi. La sua specialità era la legislazione, soprattutto i problemi sociali, e sarebbe diventato quasi sicuramente un membro del suo concilio di ministri.

-Buon pomeriggio Helios, sei gentile a venirmi a prendere- lo salutò Max, mantenendo la compostezza e la formalità per una questione di abitudine.

-È un onore, vostra altezza. Sono pronto a scortarvi nel luogo del vostro esame- Helios lo prese in giro facendo un inchino e aumentando al massimo la formalità.

-Ti prego, non ti ci mettere anche tu. Preferisco restare Max o Maxi ancora per un po’, grazie mille- Max lo incoraggiò ad alzarsi, sperando che nessuno avesse notato la cosa.

Helios ridacchiò, e gli mise un braccio intorno alle spalle, amichevole.

-Tranquillo, Maxi, è una zona isolata. Ma meglio sbrigarsi, se non vuoi che Minerva ti batta sul tempo- poi iniziò a spingerlo verso l’uscita, prendendogli la valigia dalle mani.

Max pensò alla sua rivale universitaria.

-L’esame è tra tre ore… Minerva sicuramente è già lì. Conoscendola potrebbe aver dormito lì- ridacchiò, ricordando le loro sfide a chi arrivava primo a lezione.

Era partita come una rivalità dichiarata da parte della giovane donna, ma poi Max si era reso conto che era solo un modo di stringere amicizia e spronarsi a vicenda.

Minerva era un’altra amica piuttosto cara che si era fatto all’università, insieme a suo fratello Neptune. Erano entrambi conti.

E lei era l’unica che avrebbe sostenuto l’ultimo esame quel giorno, insieme a lui.

-Molto probabile, ma comunque è meglio partire. Già hanno tentato di far saltare l’esame comunicandoti la data all’ultimo, non possiamo rischiare di fare tardi- lo incoraggiò Helios, affrettando il passo.

Max era felice che fosse venuto lui a prenderlo: era una presenza davvero allegra e rassicurante.

Anche se doveva ammettere che avrebbe preferito essere accolto in paese dalla sua ragazza. Purtroppo, essendo la principessa di quel regno, tale ragazza non poteva mostrare troppo favoritismo subito prima di un esame, o si sarebbero potute spargere voci che lei gli aveva suggerito tutte le risposte prima di suddetto esame.

Ma si sarebbero visti subito dopo, e Max non vedeva l’ora.

Passò il viaggio in macchina a studiare insieme a Helios, che ogni tanto gli faceva qualche domanda anche per il proprio esame, che sarebbe stato tra poche settimane, e Max sapeva rispondere con facilità.

E insieme giunsero alla bellissima università, dove tutto il gruppo di amici stretti che Max si era fatto all’università si era riunito per sostenere lui e Minerva, che ovviamente era già lì e non stava neanche ripassando, troppo sicura di sé per ridursi a farlo all’ultimo minuto.

Anche Max tolse i libri per non essere da meno, e comunque pensava di aver dato fondo a tutto quello che poteva ripassare in macchina.

Vicino a Minerva, sdraiato sul muretto e intento a prendere il sole, c’era suo fratello maggiore Neptune, che stava venendo gentilmente ripreso dalla sua fidanzata Sally, sempre molto posata, che non apprezzava simili atti trasgressivi in pubblico, ma che allo stesso tempo si era seduta sulle sue gambe per evitare di sporcare il bel vestito.

In piedi appoggiato ad una colonna, Johannes stava leggendo un libro, come se fosse lui quello a dover sostenere l’esame, anche se gliene mancavano parecchi prima di completare la laurea. E il motivo per il quale fosse più indietro di tutti loro era che non accettava punteggi inferiori alla perfezione assoluta.

Max era sorpreso che fosse venuto, considerando che usciva raramente dalla sua stanza quando c’era un esame alle porte. E con “alle porte” si intendeva entro un mese.

Infine, proprio accanto a Minerva, in piedi, che le stava parlando anche se la donna era palese che stesse cercando di concentrarsi, c’era Lucas.

Era un po’ insistente e classista, ma Max non era tipo che giudicava, quindi l’aveva accolto nel gruppo.

-Era ora, pensavo che non saresti arrivato più- lo accolse Minerva, scansando Lucas e avvicinandosi a lui scuotendo la testa.

-Purtroppo gli aerei viaggiano solo ad una certa velocità- si giustificò Max, sistemandosi l’abito e lanciando un’occhiata verso l’ingresso, non ancora aperto.

-Avresti dovuto essere qui dalla settimana scorsa- gli fece notare Minerva, scuotendo la testa.

-Mio padre si è sposato, quindi era il caso di essere presente alla cerimonia- spiegò Max.

-Com’è stato il matrimonio?- chiese Sally, interrompendo la sfida e guadagnandosi un’occhiataccia da parte di Minerva, che non amava essere interrotta durante i momenti di rivalità.

-Splendido. Mio padre è davvero felice- sorrise Max, ripensando alla gioia di quel giorno, anche se non se l’era goduto appieno, a causa della sua ansia per l’esame.

-Mi fa piacere. Spero comunque che tu sia preparato per oggi- Minerva lasciò andare il tono combattivo, e gli sistemò meglio la giacca.

-Preparatissimo. Devo confermare il mio posto come primo della classe- Max non era tipo che si vantava o sfidava gli altri, ma con Minerva aveva imparato a farlo per renderla felice e soddisfatta. Ripeteva sempre che un minimo di ambizione era necessaria in un bravo sovrano.

Max non aveva la minima ambizione, ma comunque si fidava di lei e aveva cercato di imparare anche quello. Le sistemò un ciuffo di capelli fuori posto.

-Nei tuoi sogni, principino- ribatté lei.

-Sono già realtà, contessa- fu la risposta di Max.

Dopo pochi istanti, i due scoppiarono a ridere.

-Sei perfetto-

-Lo sei anche tu- 

Si dissero reciprocamente, facendo cenno all’altro di andare prima.

-Questa scenetta è ridicola come la prima volta che l’avete fatta- commentò Neptune, che non aveva cambiato posizione dall’inizio, né aperto gli occhi, ma sapeva perfettamente come si erano comportati.

-Se fossi in te mi vergognerei ad essere il secondo a laurearsi dopo la mia sorellina minore- lo prese in giro Minerva, guardandosi le unghie.

-Se ti laurei- la provocò Neptune.

La risposta della sorella venne interrotta dall’apertura delle porte.

Un esaminatore chiamò entrambi i ragazzi per controllare che fossero presenti, lanciò un’occhiata piena di giudizio a Neptune per come si era messo, e poi chiamo Minerva, che sarebbe andata prima.

Max si preparò psicologicamente, ricevette numerosi incoraggiamenti dai suoi amici, sia di persona che per messaggio, e poi entrò una volta che lei fu uscita, pronto per l’ultima prova che si metteva tra lui e la donna che amava.

Non m soffermerò nei dettagli sull’esame perché comprende economia, politica, leggi, temi sociali e lingue, e io non sono ferrata per trattare nessuno di questi argomenti nel dettaglio. Dovrei prendermi io stessa una laurea solo per parlare della laurea di Max e mi sembra drastico per una storia gratuita che stanno leggendo due o tre persone al massimo.

Quindi vi dico solo che Max spaccò.

Rispose bene a tutto, se la cavò sia negli scritti che nell’orale, e mantenne per tutto il tempo una compostezza regale perfetta.

Ebbe qualche minima incertezza nello spagnolo, ma niente che l’avrebbe fatto bocciare, probabilmente.

Solo che, come accade sempre quando si ha un esame davvero importante, una volta uscito fuori, senza sapere il risultato, che sarebbe stato comunicato entro un paio di settimane, Max non avrebbe saputo valutare come fosse andato, e non voleva assolutamente cantare vittoria troppo presto.

-Allora, come è andata?- chiese Helios immediatamente, quasi aggredendolo all’ingresso.

-Beh… è andata- Max alzò le spalle, cercando di non mostrare né delusione né entusiasmo.

-Su, sono certo che sia andata bene, tu e Minerva fate sempre gli ansiosi dopo un esame e poi siete perfetti- li incoraggiò Neptune, che si era alzato ma aveva ancora gli abiti un po’ disordinati, che la ragazza gli stava lisciando con attenzione.

-Non è ansia, si chiama “essere perfezionisti!”- si difese Minerva, e Max annuì.

-E fate bene. Bisogna sempre pretendere il massimo da noi stessi- le diede man forte Johannes, senza staccare gli occhi dal libro.

-Grazie, Johannes- gli sorrise Minerva.

-Però non dovresti essere troppo dura con te stessa. Sei già perfetta!- provò a complimentarla Lucas, ignorando completamente Max.

Minerva gli lanciò uno sguardo poco impressionato.

-Grazie, Lucas- borbottò, con molta meno convinzione e una nota di sarcasmo.

Max aprì la bocca per fare un commento divertito e sciogliere la tensione, ma la sua attenzione venne attirata da una macchina nera che stava accostando nel parcheggio proprio in quel momento.

Max conosceva bene quell’auto.

Si tolse dalla presa di Helios, che lo lasciò andare come scottato, e si avviò il più in fretta possibile verso l’auto, cercando di non correre per non offrire scatti poco lusinghieri ai paparazzi sicuramente appostati tra i cespugli.

La portiera dell’auto si aprì nel momento esatto in cui si fermò del tutto, e una giovane donna uscì con estremo entusiasmo, fiondandosi contro Max, che la prese al volo e la abbracciò stretta.

-Max! Mi sei mancato tanto!- esclamò lei, ricambiando l’abbraccio e seppellendo il suo volto nella giacca di Max in modo molto poco regale, ma estremamente adorabile e affettuoso.

-Anche tu, tesoro! Come stai? Ogni volta che ti vedo sei più bella di come ti ho lasciata- Max sciolse l’abbraccio e la guardò bene. Il suo commento la fece ridacchiare, ma Max era sincero.

Veronika era una donna meravigliosa, sia fuori che dentro. La loro relazione era partita in modo decisamente poco convenzionale, bisognava ammetterlo, ma ogni problema che avevano trovato all’inizio, con Veronika che si era finta due persone diverse, non aveva detto di essere una principessa promessa in sposa, e Max che non l’aveva riconosciuta nel suo travestimento e non le aveva offerto occasione di spiegarsi (entrambi concordavano che i problemi causati da Veronika fossero più gravi ma non stiamo qui a sindacare) erano stati completamente risolti, e ora i due erano una coppia che definire diabetica era poco. 

Soprattutto da quando avevano annunciato ufficialmente la loro relazione, dopo qualche mese di speculazioni online e qualche foto equivoca scattata dai paparazzi. 

Oh, da quando erano allo scoperto, stavano cercando di disgustare tali paparazzi al punto da convincerli a non fotografarli per non vomitare, da quanto erano zuccherosi e innamorati.

-Allora, come è andata? Hai già finito? Ti hanno detto quando avrai i risultati?- Veronica sciolse del tutto l’abbraccio e iniziò ad indagare sulla situazione, saltellando da una parte all’altra in preda all’entusiasmo.

-È andata, penso bene, ma meglio aspettare prima di festeggiare, per non portare sfortuna. Dovrebbero arrivare i risultati i primi di Settembre- rispose Max, un po’ a disagio all’idea.

Da un lato non vedeva l’ora di conoscere il risultato, dall’altro era davvero terrorizzato.

-Speriamo che sia prima del tuo compleanno. Non vedo l’ora di tornare a Harriswood e vedere tutti quanti e festeggiare tutti insieme!- Veronika gli prese le mani, e cercò di fargli pensare agli eventi positivi del futuro.

-La Corona Crew non vede l’ora di vederti, principessa- Max le sorrise, felice a sua volta. 

Erano state poche le occasioni di riunione gli ultimi tempi, ma Max sperava che a Settembre, prima della partenza di Clover e Diego per il Kenya, e prima che Max si trasferisse definitivamente ad Agaliria, sarebbero riusciti a fare una riunione tutti insieme come ai vecchi tempi.

Anche se Denny era un’incognita non indifferente, visti i suoi ritmi lavorativi.

-Sarà entusiasmante!- Veronika sospirò sognante al pensiero, poi osservò un punto alle spalle di Max, dove i suoi amici osservavano la scena, alcuni inteneriti (solo Sally, in realtà), molti imbarazzati (Johannes, Lucas e Neptune avevano distolto lo sguardo), una persona disinteressata e vagamente disgustata (Minerva) e un’altra indecifrabile e con sguardo basso, che si fissava le unghie (Helios).

-Contessa Minerva, come è andato a lei l’esame?- Veronika si ricordò della seconda laureanda della sua nuova scuola, e si separò da Max per avvicinarsi a lei e porgerle i suoi omaggi da principessa.

Minerva le fece un breve inchino.

-Cerco di non contare i miei pulcini prima della schiusa, principessa Veronika- rispose umilmente.

-Qualcosa mi dice che è andata piuttosto bene- Veronika le fece un occhiolino complice, e Minerva non trattenne un sorrisino.

-Me la sono cavata- ammise, soddisfatta.

Veronika ridacchiò.

La situazione tra lei e il gruppo era ancora un po’ formale, giustamente, ma si stavano aprendo.

Max si sentiva davvero l’uomo più fortunato della terra.

Aveva la ragazza dei sogni, tanti amici fantastici (sia a Harriswood che ad Agaliria), una carriera decisamente prestigiosa davanti, ed era ad un solo passo dall’ottenere tutto ciò che voleva.

Ormai non c’era più molto che potesse andare storto.

…giusto?

 

Sabato 24 Agosto

Felix non credeva che potesse fisicamente essere più felice, anche se forse avrebbe testato i limiti della felicità una volta diventato ufficialmente padre. Ma la consapevolezza che il peggio fosse passato, e che ormai il suo desiderio di essere una vera famiglia fosse dietro l’angolo, pronto ad essere afferrato, lo mandava in fibrillazione.

E gli stava facendo ignorare ogni segnale che il comportamento strano di Mirren gli stava mandando.

Perché Felix conosceva suo marito. 

Lo conosceva meglio di quanto conoscesse sé stesso, probabilmente.

Perché mentre Felix era piuttosto imprevedibile, come persona, Mirren era l’opposto, e Felix aveva imparato negli anni a riconoscere ogni suo gesto particolare.

I suoi sorrisi finti, i suoi gesti nervosi, i suoi sguardi quando pensava che nessuno lo stesse guardando.

Mirren nascondeva qualcosa.

Ma Felix non riusciva ad accettare del tutto l’idea, quindi aveva sepolto la consapevolezza nel profondo del suo cuore, ripetendosi che era probabilmente stressato per il lavoro, solo un po’ nervoso per la novità, e che non ci fosse assolutamente niente di serio che non andasse.

Nessun imprevisto dietro l’angolo.

Forse un po’  egoista da parte sua non indagare permettendo all’elefante di restare nella stanza completamente ignorato, ma se ci fosse stato qualche problema serio, Mirren gliene avrebbe parlato.

Per tempo.

Si erano promessi di parlare dei loro problemi, e non nasconderli rischiando che rovinassero la loro vita come già era rischiato di essere in passato.

Erano amici da sempre, e sarebbero diventati qualcosa di più già dai tempi del liceo se avessero comunicato al riguardo.

…se Mirren avesse comunicato a riguardo, invece di chiudersi a riccio.

Avevano avuto qualche incertezza nel cominciare una vera relazione, ma alla fine avevano messo da parte tutti i problemi, ed erano una coppia unita come poche.

Felix aveva sempre voluto sposare il suo migliore amico e avere un rapporto di completa e totale fiducia, rispetto, e affetto. E Mirren era il suo compagno di vita e anima gemella.

Quindi Felix era convinto che il suo compagno di vita e anima gemella gli avrebbe detto se avesse avuto qualche… problema. 

Perché dopo venticinque anni di conoscenza e amicizia, cinque anni di relazione e convivenza, e un anno e quattro mesi di matrimonio, la loro relazione era certamente abbastanza stabile da dirsi tutto.

Tipo… perché Mirren avesse deciso di partire per un viaggio di lavoro proprio adesso.

L’aveva annunciato a Felix pochi giorni prima, e sarebbe partito il giorno successivo, nel pomeriggio. 

Felix ne era rimasto sorpreso, dato che Mirren, essendo il figlio del capo  generale, e il capo del proprio dipartimento, poteva gestirsi i viaggi come voleva.

Ma ehi, Mirren gli aveva detto che suo padre gli aveva espressamente chiesto di andare lui perché il cliente era importante o qualcosa del genere… mah.

Felix ci aveva creduto perché Mirren non gli mentiva, e aveva creduto anche al fatto che la mail fosse arrivata proprio la mattina del compleanno di Amabelle, e credeva fermamente che posticipare di un paio di settimane il viaggio a New Malfair per conoscere il loro futuro bambino, e portarlo a casa, e procedere con il periodo di assestamento prima dell’adozione ufficiale, non avrebbe cambiato lo stato delle cose. Dopo un anno di attesa, non avevano motivo di preoccuparsi.

Ma doveva ammettere di avere un piccolo tarlo nella testa.

Un tarlo che cercava di ignorare durante una cena in famiglia a casa loro, dove stavano festeggiando la bella notizia.

-“Pensavamo circa tra gli otto e i dodici anni, ma non siamo affatto schizzinosi. È un tipo di adozione che rende il bambino ugualmente partecipe e capace di scegliere se si trova bene con noi. E vorremmo fosse abbastanza grande da dare una sua opinione. Sarà un grande passo per tutti”- stava spiegando, rispondendo ad una domanda di sua sorella Gabrielle, che per l’occasione aveva messo il telefono in un angolo. Non vedeva l’ora di diventare zia, e non faceva che riempire Felix di domande.

Gli altri bene o male sapevano già tutto perché Felix non faceva che parlarne, ma le gemelle Gabrielle e Meredith stavano frequentando l’università lontano, quindi non erano informate come gli altri.

O meglio, Gabrielle frequentava ancora l’università, mentre Meredith stava già lavorando, ma in ogni caso erano lontane.

Mentre parlava, Felix utilizzava anche il linguaggio dei segni, per farsi capire da sua sorella minore Tender, non udente, che leggeva senza problemi il labiale e sapeva già tutte queste informazioni, ma osservava il fratello con un grande sorriso, entusiasta quanto la sorella di diventare zia.

“Non troppo grande, non voglio mi superi in età” si introdusse nel discorso.

Aveva ancora tredici anni, quindi Felix capiva da dove venisse la preoccupazione.

-“Entro i dodici anni, probabilmente”- le assicurò, ridacchiando e scompigliandole i capelli.

-Avete qualche preferenza circa il sesso?- chiese Brogan, il padre di Mirren, entrando nel discorso.

-Papà…- lo riprese Petra, dandogli un colpetto sulla spalla.

Il padre alzò le mani.

-Non stavo insinuando niente, era solo una domanda- provò a difendersi.

Anche lui era super entusiasta dalla prospettiva di diventare nonno, ed era la persona che più aveva aiutato Mirren e Felix a preparare i documenti e ad ottenere risposte il prima possibile, quindi Felix non prese la sua domanda come se fosse sessista, ma come semplice interesse. Era migliorato molto negli anni, sia come padre, che come apertura mentale.

E dopo aver divorziato dalla sua ex-moglie Bonnie Clyde, non si era più risposato.

-“Non abbiamo una preferenza particolare… sesso, etnia, eventuali disabilità… ci basta solo che sia felice di stare con noi, e che siamo in grado di prendercene cura”- rispose Felix, scatenando un ‘aww’ collettivo, soprattutto da parte dei propri genitori, di Brogan, Gabrielle, Amabelle e Tender. Quest’ultima diede a Felix una gomitata affettuosa, e Felix ricambiò mandandole un bacio.

In tutto questo, Mirren era rimasto piuttosto passivo.

Anche Meredith, che era in un angolo a leggere un libro, ma lei era normale, non era mai interessata a quelle cose.

Mirren… sarebbe dovuto essere uno dei più coinvolti nel discorso.

Invece fissava distrattamente il bicchiere di vino mezzo pieno, completamente assente e assorto nei suoi pensieri.

Mirren non era mai assorto nei suoi pensieri.

Felix lo era.

Era Felix a distrarsi, non Mirren.

-…giusto, Mirr?- provò a coinvolgerlo, e il marito sobbalzò, e si girò verso di lui confuso, come svegliatosi da una trance.

-Certo, giustissimo!- gli diede ragione, quasi subito, con il solito sorriso che sfoggiava sempre ogni volta che parlavano di quell’argomento.

-“Certo che è una notizia così bella… avete già una data? Dovete stare a New Malfair per almeno due settimane, non è così?”- chiese la madre di Felix, ad entrambi.

-“Sì, pensavamo di andare la prossima settimana… io pensavo di andare la prossima settimana, ma Mirren ha un viaggio di lavoro, quindi suppongo andremo insieme verso metà settembre”- spiegò Felix.

-“Già, meglio essere perfettamente liberi e pronti, senza impegni di mezzo”- gli diede man forte Mirren, con poca convinzione. Il suo linguaggio dei segni era perfetto come sempre, ma i suoi occhi erano distanti.

Felix cercò di non pensarci, e di mantenere il buon umore.

-Alla fine un paio di settimane di attesa non sono niente…- borbottò, prendendo un sorso d’acqua e cercando di non pensare troppo alla questione.

-Però è un peccato, Mirren. Questo è il periodo perfetto per prenderti le ferie- commentò Brogan, sospirando dispiaciuto per l’attesa.

Felix si irrigidì, mentre l’informazione appena appresa iniziava ad assestarsi nel suo cervello.

-No, invece. Questo viaggio di lavoro è fondamentale- obiettò Mirren, in tono rigido.

Felix gli lanciò un’occhiata allarmata.

-Qualcuno vuole il dolce? Mi sembra un buon momento per il dolce- Petra provò a cambiare argomento, indicando la cucina.

Il padre però non la sentì, o non si rese conto che stesse cercando di cambiare argomento.

-Uff, potevi mandare Larry, se la sarebbe cavata. Non capisco perché hai insistito tanto per andare di persona- disse infatti, scuotendo la testa.

Mirren non rispose. Si limitò a lanciare a Felix un’occhiata preoccupata, che il marito non ricambiò.

Era sconvolto, incredulo, e non sapeva come sentirsi.

Dopo qualche secondo di silenzio, optò per un mezzo sorriso, per non turbare i suoi ospiti.

-“Sembra anche a me il momento perfetto per il dolce. Vado a prenderlo io. Mirr, mi accompagni?”- si alzò dal tavolo, e fece cenno al marito di seguirlo in cucina, accogliendo il suggerimento di Petra per allontanarsi un po’ dalla scena e discutere in privato.

-Certo…- Mirren lo seguì, un po’ incerto.

La cucina era collegata alla sala da pranzo, quindi non riuscirono a chiudersi la porta alle spalle, ma ebbero comunque abbastanza privacy da essere lontani da occhi e orecchie indiscrete.

Non che Felix volesse allontanarsi per l’indiscrezione, solo per non turbare nessuno.

E sì, avrebbe potuto posticipare il discorso alla fine della cena, ma non era mai stato famoso per la sua pazienza. Era tipo che agiva sempre il prima possibile. Colpa, probabilmente, del suo disturbo da deficit dell’attenzione, che però stava andando meglio, ultimamente.

Ma tornando a noi… Felix si posò nel luogo della cucina più lontano dalla sala da pranzo, a braccia incrociate, e pronto a parlare.

Mirren si tenne più distante, vicino alla porta, probabilmente pronto a scappare in qualsiasi momento.

Dopo pochi secondi di silenzio dove Felix si aspettava che fosse Mirren a parlare e spiegarsi, decise di introdurre lui l’argomento per primo.

-Hai deciso tu di andare a incontrare quel cliente?- chiese, scuotendo la testa incredulo, non volendo credere a ciò che aveva sentito. 

Mirren esitò qualche istante prima di rispondere.

-Senti… è importante per il lavoro. Mio padre non è coinvolto in questo progetto, non sa quanto sia…- si giustificò infine, in tono sconfitto, ma ancora combattivo.

Felix non riusciva a credere alle sue orecchie. 

-Mi hai mentito, Mirren?- chiese, a voce bassa, come se stesse dicendo la più terribile delle parolacce.

Mirren che gli mentiva? Era inaudito! O almeno lo era stato negli ultimi anni. Cosa… cosa mai poteva averlo spinto a mentirgli? Felix non riusciva e non voleva crederci.

-No!- Mirren infatti provò ad obiettare, ferito dall’accusa.

Felix lo guardò, eloquente, aspettandosi una giustificazione e cercando di non perdere completamente la calma.

E passarono parecchi secondi di borbottii ed esitazione, prima che Mirren cedette.

-…non volevo mentirti, ho solo… stai ingigantendo la cosa, Felix, sono solo un paio di settimane al massimo- provò nuovamente a giustificarsi, come se il viaggio di lavoro fosse il problema.

Entrambi sapevano che non era quello il vero problema.

-Perché mi hai mentito? Potevi dirmelo prima, con questi termini semplici, sai che avrei capito. Perché mentirmi? A meno che… tu non stia mentendo anche adesso, e mi stai nascondendo qualcosa. Ma mi sembra assurdo- Felix spiegò meglio ciò che l’aveva ferito, e che lo stava iniziando ad agitare.

Se Mirren gli aveva mentito su una così così stupida… cosa gli diceva che non gli stesse nascondendo anche di più. 

Magari quella era solo la prima di una fitta rete di bugie che nascondevano un segreto più grande, e Felix aveva scoperto solo quella, e prima o poi avrebbe scoperto il resto, e… non voleva neanche credere che potesse esistere una falla così grande nella loro fiducia reciproca.

-Perché lo è… non sto… è un periodo di stress, soprattutto a lavoro. Mi dispiace se sono strano, ma non sei tu, sono…- Mirren provò a surclassare la questione e renderla non degna di attenzione. 

Era una sua abitudine ricorrente: ignorare i problemi per non condividerli e cercare di tenere tutto sotto controllo, imbottigliato e ignorato, senza cercare di risolverlo per non rischiare di cambiare qualcosa della sua vita.

Felix non voleva sentire quel discorso, e lo interruppe subito.

-Lo sai che mi da fastidio quando fai così. Puoi dirmi tutto, e lo dovresti sapere. Allora, qual è il problema?- provò a farlo parlare, alzando leggermente la voce ma non abbastanza da allertare gli ospiti rimasti nell’altra stanza.

Mirren però sembrava essere allertato da loro, perché lanciò un’occhiata verso l’arco che conduceva in sala da pranzo.

-Non mi sembra il momento migliore per parlarne, Felix- provò a chiudere l’argomento per il momento, e rimandare ad un periodo più consono.

Felix doveva ammettere che non aveva tutti i torti, ma ora come ora non gli interessavano le convenzioni sociali.

-Probabilmente no, ma che altri momenti ci sono?! A meno che tu non voglia continuare a procrastinare anche questo- inoltre conosceva Mirren, e sapeva che rimandava continuamente le situazioni che lo spaventavano. Le rimandava, e rimandava, e ignorava, finché non esplodevano. 

-Non è così- Mirren provò a negare, e lanciò un’altra occhiata verso la sala, valutando l’idea di scappare.

-Continui a mentirmi, Mirren?- Felix gli si avvicinò, pronto ad afferrarlo nel caso. Non gli avrebbe permesso di scappare, non adesso che iniziava ad avvicinarsi alle risposte.

Mirren sospirò, e si appoggiò contro il muro.

-È che… non so che dirti- ammise, scuotendo appena la testa, e incrociando le braccia, come a mettere un muro. 

Felix fece il massimo per restare pacato e ragionevole, ma quell’atteggiamento iniziava a farlo arrabbiare più di quanto non lo avesse già ferito.

-Magari, non so, tutto? Sono tuo marito. Se qualcosa ti turba puoi e dovresti parlarmene- cercò di esprimere il suo punto di vista e mettersi a disposizione, gesticolando enfaticamente per far capire meglio il concetto.

-Io… lo so, ma… non c’è niente da dire…- Mirren però rimase fermo dietro il suo muro, anche se iniziava a formarsi qualche crepa, e faceva passare lo sguardo da una parte all’altra della stanza, come se i mobili potessero dargli dei consigli su cosa dire.

Felix si avvicinò, e provò a spronarlo a parlare.

-Che c’è? Hai qualche dubbio sull’adozione?- suppose, in tono sarcastico. Perché non era una vera supposizione, non voleva supporre una cosa del genere, ma il suo tono faceva intendere una cosa del tipo “Il peggio che potresti dirmi è che hai qualche subbio sull’adozione, e so che non puoi starmi nascondendo qualcosa di così grave, quindi qualsiasi cosa sia puoi parlarmene”.

Ma Mirren non rispose, e si limitò a puntare lo sguardo su di lui, con espressone sorpresa e colpevole, come se fosse stato colto sul fatto.

Felix impallidì, riconoscendo quel silenzio.

-Hai qualche dubbio sull’adozione?- ripeté, facendo un passo indietro, questa volta più come un’affermazione che come una domanda scherzosa. Non poteva essere serio, vero?! Dopo tutto il tempo di attesa! Dopo che ne avevano parlato tantissimo prima di cominciare l’operazione. Non poteva avere dei dubbi proprio adesso.

-No! No, sono convinto ed entusiasta- Mirren si affrettò a rispondere, di nuovo quell’affermazione decisa, e quel sorriso finto.

Felix sentì come se gli strappassero il cuore dal petto.

Tutta la felicità che aveva provato quei giorni… era a senso unico? Prodotto di una bugia?

Era arrivato a un passo dall’abbracciare ogni suo desiderio, e aveva appena trovato davanti a sé un muro di vetro impenetrabile che lo tratteneva dal raggiungerlo.

-Oddio…- sentì le gambe cedergli, e fu costretto ad appoggiarsi al bancone, per evitare di cadere.

-Felix, davvero, io…- Mirren si avvicinò e provò a mettergli una mano sulla spalla, per rassicurarlo.

Felix lo scansò, e non lo fece neanche finire. Non voleva sentire altre bugie.

-Da quanto?- chiese, mantenendolo a distanza, ma girandosi a guardarlo, per assicurarsi che questa volta gli dicesse la verità.

Si fissarono per qualche secondo, poi Mirren distolse lo sguardo.

-Da… da sempre, credo- sussurrò, un sussurro flebilissimo ma che sembrò rimbombare nella stanza, facendo crollare finalmente il muro presente dall’inizio della conversazione.

Muro che crollò completamente, ciocco dopo ciocco, addosso a Felix, spezzando qualcosa anche dentro di lui.

Le sue speranze, le sue certezze, la sua felicità.

-E quando pensavi di dirmelo?- sussurrò, la voce usciva a stento. Probabilmente, se si fosse sbloccato, avrebbe iniziato ad urlare, quindi era molto meglio per tutti che rimanesse congelato.

Mirren sembrò rendersi conto che il marito fosse una bomba pronta ad esplodere.

-Felix… le nostre famiglie sono a pochi metri…- gli ricordò, cercando nuovamente di posticipare la rivelazione.

-Quando. Pensavi. Di dirmelo?- ripetè Felix, a voce più alta. Non aveva la minima intenzione di rimandare e permettere a Mirren di inventarsi qualche nuova scusa.

Sicuramente era meglio aspettare almeno la fine della cena, ma avevano anche il diritto di sapere tutti che il motivo per il quale festeggiavano non esisteva.

Mirren sospirò, e si portò una mano tra i capelli, a disagio.

-…probabilmente mai- ammise dopo qualche secondo di esitazione -Non volevo…- iniziò poi a giustificarsi, ma Felix non lo fece continuare.

Già sapeva cosa avrebbe detto.

Qualcosa del tipo “Non volevo farti stare male”.

Una giustificazione molto debole per avergli mentito così a lungo su una cosa così importante.

-E cosa speravi? Di procrastinare sperando che un giorno mi sarei dimenticato che volevo adottare un bambino?!- lo accusò quindi, alzando leggermente la voce, e iniziando a giocherellare con i due anelli che portava all’anulare sinistro: la fede e l’anello di fidanzamento, appartenuto alla famiglia di Mirren per generazioni e poi consegnato a lui.

L’avrebbero dovuto riunire con quello di Petra e in futuro consegnato a loro figlio. Ne avevano discusso… Mirren era presente durante tutte quelle discussioni? Aveva sorriso e annuito solo per non sollevare una scenata? Aveva davvero intenzione di ritardare e ritardare e ritardare sperando che prima o poi sarebbe stato troppo tardi per adottare? Pensava davvero che Felix sarebbe rimasto distratto ancora a lungo?

Mirren si accorse del gesto inconscio di Felix, e si affrettò a negare.

-No! Speravo di… accettare l’idea- provò a spiegarsi, senza sapere bene come farlo. Era chiaro che non si aspettava minimamente che sarebbe uscito l’argomento tanto presto, e non si era minimamente preparato cosa dire.

-Quindi procrastinare finché non avresti accettato l’idea…- Felix scosse la testa, e tirò fuori i due anelli dal dito, iniziando a giocarci con più nervosismo.

-Come avrei potuto dirtelo, hai visto come stai reagendo?!- la voce di Mirren non era accusatoria, o seccata. Sembrava solo stanco. Felix gli stava offrendo uno spettacolo che si era immaginato troppe volte, e sicuramente gli aveva impedito di confessarsi prima.

Probabilmente c’era un fondo di verità in tutto quello. Felix sarebbe stato devastato da quella notizia a prescindere da quando Mirren gliel’avesse detta, ma non era una giustificazione.

Non dopo che si erano ripromessi che si sarebbero sempre aperti l’uno con l’altro, e che avrebbero parlato di qualsiasi dubbio sulla propria relazione.

-Sto reagendo così perché non me lo hai detto! Non riesco a credere che tu mi abbia addirittura mentito! Per tutto questo tempo credevo che fossimo in questa situazione insieme, e invece l’unico che voleva… dimmi che è uno scherzo o un fraintendimento, Mirren- alla fine Felix non ce la fece più, ed esplose, sia a livello di volume di voce, che di emozioni. Iniziò a piangere senza potersi trattenere, sfogando la frustrazione, la rabbia e la delusione che provava in quel momento.

Mirren provò ad avvicinarsi, e aprì la bocca per parlare, ma Felix non glielo permise. 

-Anzi, non dirmelo! Non voglio sentire altre bugie da parte tua- lo scansò, dandogli le spalle e cercando di asciugarsi le lacrime.

-Mi dispiace, Felix. Ma se ti ho mentito è solo perché non volevo farti stare male, non volevo ferirti- Mirren continuò a tentare di giustificarsi, ed era chiaro dal suo tono che fosse davvero dispiaciuto per come Felix stesse in quel momento. Aveva davvero cercato di fare del suo meglio per Felix.

Felix sapeva che Mirren aveva quel carattere.

Lo amava anche per quello.

Ma non se gli mentiva e gli teneva nascoste le cose.

Perché poi venivano inevitabilmente a galla, e Felix stava peggio.

-Perché adesso sono felice come una pasqua- borbottò, sarcastico, ritornando a giocherellare con gli anelli. Un gesto nervoso, per sfogare la sua iperattività.

Un gesto con radici inconsce più profonde di quanto pensasse.

-Se mio padre non avesse la lingua lunga, lo saresti. Sapevo che era troppo sperare che non dicesse niente riguardo al viaggio- borbottò Mirren, più tra sé che effettivamente rivolto a Felix, continuando a fissare preoccupato gli anelli tra le mani di Felix

Iniziava ad agitarsi parecchio anche lui, e fu chiaro dal suo scivolone di lingua.

Scivolone che Felix non si fece sfuggire.

-Non dare la colpa a tuo padre solo perché mi ha fatto aprire gli occhi! Sarebbe successo comunque, come con la mail…- ripensò alla coincidenza della mail proprio quando lo avevano pressato per rivelare se era arrivata o no. Alla sua espressione quando aveva dato la notizia. Come aveva fatto Felix ad essere così stupido?!

Soprattutto visto quello che aveva scoperto, riguardo a quella mail…

-Come…?- Mirren iniziò a chiedere, sorpreso che Felix sapesse che gli aveva tenuto nascosta anche la mail di conferma.

-Mia madre mi ha detto che l’avevi ricevuta, ma volevi farmi una sorpresa nel dare la notizia anche a me. Me l’ha detto solo dopo che mi avevi già dato la notizia, ma mi è sembrato strano che tu volessi sorprendermi. Soprattutto perché dubito che avresti scelto il compleanno di Amabelle per farlo- avrebbe dovuto vedere i segnali da prima, ma aveva voluto credere che sua madre si sbagliasse, o che Mirren volesse davvero fargli una sorpresa. Era stato così stupido a fidarsi di lui! E se non poteva neanche fidarsi di lui, di chi poteva fidarsi, al mondo?!

-Stavo aspettando il momento migliore- provò a recuperarsi Mirren, ma era chiaro che stesse di nuovo mentendo e cercasse di arrampicarsi sugli specchi.

-Il momento migliore sarebbe stato l’esatto istante in cui hai ricevuto la mail. È un anno che ci prepariamo, praticamente ne parliamo da prima ancora di sposarci, e per tutto questo tempo tu non ti sentivi…- Felix fece un recap mentale di tutti quei momenti, del comportamento di Mirren, di ciò che poteva averlo spinto a mentire fin dall’inizio, e una sola domanda gli uscì dalle labbra, sussurrata, incerta, di cui non voleva conoscere la risposta, probabilmente - …vuoi avere figli?-

Alla fine era quella la cosa importante da sapere.

Mirren non si sentiva pronto, e aveva sperato di diventare pronto durante la preparazione, senza ottenere successo, oppure non aveva mai voluto avere un bambino, e aveva mentito a Felix solo per farlo contento?

Mirren aprì immediatamente la bocca per rispondere, ma lo sguardo deciso di Felix lo fece desistere. Distolse lo sguardo, e la chiuse.

Era già abbastanza una risposta, che fece sprofondare il cuore di Felix, ma l’uomo aveva bisogno di ottenere una conferma verbale. Mirren doveva dirlo ad alta voce, chiaro e tondo.

-Mirren, tu vuoi avere figli?- ripeté la domanda, avvicinandosi appena al marito, con i pugni chiusi e le unghie che premevano sui suoi palmi, rischiando di ferirglieli.

Mirren ci mise parecchi secondi a trovare la forza di rispondergli, ma alla fine, aprì la bocca, e riuscì effettivamente a parlare.

-…non lo so. Felix, non lo so. Non so davvero che dirti, io no… non trovo le parole giuste- ammise, e sembrò costargli davvero tanto pronunciare ogni sillaba. Anche i suoi occhi erano lucidi, e non riusciva a fissarli in quelli del marito.

E Felix sentì come se gli togliessero tutta l’aria dai polmoni. 

Suo marito non voleva avere figli, li avrebbe avuti solo per Felix… e non glielo voleva neanche dire.

-Qualsiasi siano le parole giuste… avresti dovuto dirmele prima- sussurrò, troppo provato dalla discussione per continuare, superandolo e dirigendosi verso una delle uscite della cucina, quella che portava sul retro, nello stanzino che poi dava sul giardino.

-Felix…- Mirren provò a fermarlo, ma Felix non ce la faceva più a parlare. Non voleva sentire una sola parola. Mirren aveva lasciato passare mesi, e ora che era Felix a voler posticipare, aveva tutto il diritto di rimandare.

-È una vera fortuna che domani parti- in un gesto inconsulto, gli lanciò contro ciò che teneva in mano, ovvero i due anelli che rappresentavano la loro unione, che rimbalzarono contro il petto di uno sconvolto Mirren e caddero a terra, sul pavimento della cucina.

Il primo istinto di Felix fu di correre a recuperarli, ma era troppo arrabbiato e ferito per permettere a tale istinto di avere la meglio su di lui.

E ci pensò Mirren a farlo al posto suo.

-Felix…- provò nuovamente a continuare il discorso, ma il marito non voleva sentire altro.

-Pensaci tu a dire a tutti che non hanno più motivo di festeggiare, se non l’hanno già capito- lo incaricò, prima di uscire definitivamente dalla cucina, schivare ogni possibile interazione con la sua famiglia, e uscire di casa dalla porta dello stanzino, deciso a fare una lunga passeggiata per schiarirsi le idee.

Non riusciva a credere a ciò che aveva scoperto. Non riusciva a concepire che Mirren avesse davvero mentito su quella faccenda, che gli avesse nascosto i suoi veri sentimenti.

E sapeva già, in un angolo della sua mente, che si sarebbe pentito quasi subito del modi in cui aveva reagito alla situazione, ma non riusciva a pensare lucidamente.

Si sarebbe pentito di aver insistito, di aver discusso durante una cena, di non aver fatto parlare Mirren riguardo i suoi sentimenti, e di aver lanciato via i due oggetti più importanti che possedeva.

Si sarebbe pentito di aver tenuto il muso a Mirren per il resto della serata, e il mattino successivo.

Si sarebbe pentito di non averlo neanche salutato prima che partisse.

Ma quelli erano i problemi di Felix del futuro.

Il Felix del presente, al momento, era troppo devastato dal sogno di tutta la vita che gli era appena scivolato dalle mani.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

(A.A.)

Allora, premettiamo che con questo capitolo non sto cercando minimamente di dire che Mirren deve volere dei figli e se non li vuole è cattivo. Felix non è neanche arrabbiato per questo, ma perché Mirren gli ha mentito e ha tenuto nascosto i suoi sentimenti. Anzi, Felix valuta così tanto i sentimenti di Mirren, che ha già messo in conto che se Mirren non vuole avere figli, non avranno figli, perché sa che è una decisione importante che non può imporre alla persona che ama.

Lo renderò ancora più chiaro nei prossimi capitolo, ma voglio comunque specificare per non rischiare di mandare un messaggio sbagliato.

Passando ad altre coppie più allegre… Veronika e Max sono davvero tanto teneri. E si sono conosciute alcune persone che saranno importanti in futuro, chi più, chi meno, ma non dirò chi più più più e chi molto molto meno… anche se potete intuirlo, dato che almeno una delle persone introdotte in questo capitolo è presente nel prologo, e chi è presente nel prologo sicuramente è importante, no?

Ma anticipazioni a parte, Max sembra super introdotto ad Agaliria, amico di alcuni nobili, innamoratissimo di Veronika, e ha finito l’esame. Sembra davvero che, almeno a lui, le cose siano rose e fiori.

Anche a Norman, sebbene si senta un po’ solo, ma niente che un’amicizia platonica non possa risolvere, e comunque ha la Corona Crew.

…non come Mathi.

Eh, Mathi.

Chissà come si è fatto quel livido, e perché è andato da Norman, e perché non ha detto nulla alla sorella, e… anche le braccia erano graffiate.

Chissà che sta facendo della sua vita da quando non sta più con Denny.

Per chi è curioso, non temete, nel prossimo capitolo dovreste ottenere qualche risposta.

Spero che questo capitolo vi sia piaciuto, è arrivato anche piuttosto in fretta, almeno per i miei standard.

Un bacione e alla prossima :-*

   
 
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