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Autore: CheshireClown    10/09/2009    2 recensioni
Odiava il turno di notte, Rupert. Di notte gli capitava di farsi troppe domande sul proprio lavoro, di chiedersi se quello che stava facendo era giusto. Dopotutto stava solo eseguendo gli ordini impartiti da genitori desiderosi di avere bambini perfetti, proprio come li volevano loro.
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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noi abbiamo un'anima, Rupert Attenzione: questa storia tratta di un argomento abbastanza delicato, ovvero la manipolazione genetica allo scopo di creare bambini "perfetti".

Noi abbiamo un’anima, Rupert?


L’orologio digitale appeso al muro segnava appena le 23 e 30, ma Rupert era certo si fosse fermato.
Odiava il turno di notte.
Tutti quegli occhietti sottili che seguivano i suoi movimenti per il laboratorio, i liquidi verdastri che ogni tanto sbuffavano, le ventole dei computer che silenziose espiravano aria fredda.
Si spostò da un tavolo all’altro, il camice lo inseguiva come un’ombra, aggrappandosi alle sue gambe stanche.
Lasciò tintinnare le provette strette fra le dita, ripulendosi con il dorso della mano il freddo sudore sulla fronte.
La porta del laboratorio si aprì senza produrre rumore alcuno, solo un lieve cigolio.
Rupert nemmeno vi prestava attenzione, concentrato com’era dinanzi alla riga di microscopi.
- Cambio di programma, Mrs. Johnson vuole gli occhi verdi. -
Posò le provette, voltandosi verso il collega.
- Si vuole decidere quella dannata racchia? E’ la terza volta che cambia idea, diamine! -
L’uomo come risposta scosse la testa, sospirando.
Sbuffando, Rupert scandagliò gli scaffali alla ricerca di Jimmy Johnson.
Il suo sguardo si arrestò davanti ad una provetta nel secondo ripiano.
- Mark, spiegami tu come diamine facciamo, è già una blastocisti*! -
puntò i pugni sui fianchi, voltando di poco il volto affinché lo sguardo si posasse sulla bianca schiena del collega.
- Quello che facciamo sempre in questi casi. Recupera il DNA e butta via la blastocisti attuale. -
Il solito tono stanco e monotono, Rupert non si sorprendeva più dell’indifferenza che quel lavoro richiedeva.
Prelevò la provetta, trasportandola senza molta cura fino ad un tavolo ricoperto di contenitori.
Cominciò ad armeggiare con gli strumenti sparsi sul ripiano.
Quante volte era già capitato di dover sopprimere una di quelle creature?
Trenta, quaranta, forse addirittura cinquanta volte…Si era ripromesso di lasciare da parte l’etica e concentrarsi sul proprio lavoro.
Lo pagavano profumatamente per creare bambini perfetti.
Il suo lavoro consisteva nel chiudersi in un laboratorio e seguire passo passo la crescita di quelle creaturine, completamente in balia delle sue mani e dei capricci dei loro genitori.
A volte aveva come l’impressione d’essere più un costruttore di bambole.
Capelli biondi, occhi azzurri, guance paffute… Secondo i dati emersi da tutti i casi catalogati da lui personalmente, fuori da quel laboratorio dovevano esserci almeno cinquecento bambini quasi tutti uguali firmati Rupert Stevenson.
Ogni tanto, nei turni di notte, sul suo volto si apriva un triste sorriso e, mentre armeggiava con l’ennesima provetta o sopprimeva qualche povera creatura che aveva un carattere che non andava più bene ai suoi genitori, una voce nella sua mente gli sussurrava senza sosta battutine ironiche.
Vecchio mio, ora sai come si doveva sentire il presidente della Mattel…
Non ti senti il padrone di questo piccolo mondo? Puoi uccidere i tuoi fragili sudditi quando vuoi…
Deve essere divertente sfornare tutti quei corpi senz’anima!
Sempre più spesso gli capitava di soffermarsi su ciò che quella fastidiosa vocina gli mormorava.
Rifletteva a lungo, si perdeva nei suoi ragionamenti e non riusciva ad arrivare ad alcuna soluzione.
Negli ultimi tempi aveva preso la brutta abitudine di introdurre anche Mark nei suoi ragionamenti, forse credendo che un aiuto esterno avrebbe calmato le sue insicurezze come una carezza materna.
Ciò che più lo turbava, da un po’ di giorni, era il fatto che quei bambini perfetti molto probabilmente non avevano un’anima.
Erano loro a decidere come sarebbero stati, fisicamente e psicologicamente. Sottraevano a quelle creature la possibilità di avere un’anima, risucchiandola e lasciandoli vuoti come il corpo di una bambola.
Magari anche Mark la pensava come lui, magari anche il suo collega quando tornava nel suo piccolo appartamento vuoto veniva sopraffatto dalla tristezza e dalla consapevolezza di svolgere un lavoro così crudele…
-Mark! –
Non si girò neppure, tenne lo sguardo fisso sui liquidi densi dei contenitori sul tavolo.
-Cosa c’è?-
Neanche l’altro si voltò, quasi sembrava scocciato da quel richiamo. Sapeva già cosa lo attendeva: Rupert lo avrebbe reso partecipe di qualche strano ragionamento di cui non riusciva a venirne a capo.
-Non ti sembra triste quello che facciamo? Creiamo creature dal DNA già deciso, senza una ricombinazione naturale, senza un’anima…-
Entrambi si fermarono per pochi istanti, rimanendo in silenzio.
-Rupert?-
Fu una delle rare volte in cui Mark si voltò verso il collega.
-Sì?-
A sua volta, Rupert si girò, dando le spalle ai viscidi liquidi verdastri.
-Il nostro DNA da cosa è costituito?-
Non esitò a rispondere, non era certo un quesito difficile.
- E’ costituito da geni, perché?-
Mark volse lo sguardo verso le provette che riposavano ordinate sullo scaffale a ridosso della parete. Rupert lo imitò, ma non riuscì a capire dove l’uomo volesse andare a parare.
-Il loro DNA da cosa è costituito?-
Una domanda vuota, lasciata cadere come un bicchiere di vetro.
-…Da geni. –
Una risposta secca, sussurrata, come il triste rumore di un bicchiere che raggiunge il suolo e si frantuma in mille pezzi.
Gli occhi di Mark tornarono nuovamente sul suo collega, perso in quell’incertezza. Quasi sorrise alla vista di quegli occhioni da bambino, che per la prima volta avevano realizzato di non essere diversi dagli occhi di quelle creature per le quali provava tanto timore quanto tanta pietà.
Permise a Rupert di ricollegare i tasselli di quel piccolo, spaventoso puzzle, prima di pronunciare l’ultima sentenza che avrebbe graffiato il sacro silenzio del laboratorio quella notte.
-Noi abbiamo un’anima, Rupert?-




***

*Stadio di sviluppo dell’embrione precedente l’impianto nel tessuto uterino.

Questa storia si può interpretare in più modi, a mio parere. Sta a voi decidere quale significato attribuirle.
E' ambientata in un possibile futuro dove i bambini vengono creati artificialmente seguendo le richieste dei genitori.
L'idea mi è venuta un po' di tempo fa, ma sono riuscita a svilupparla solo negli ultimi tempi.
Ho messo un'avvertimento all'inizio poiché penso di aver trattato un argomento delicato su cui ci sarebbe molto da discutere.

That's, all folks.
  
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