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Autore: BellaLuna    31/10/2022    3 recensioni
Edoardo piange la morte di sua madre e di una casa che ora è solo vuoto. A ricomporre i frammenti della sua infanzia distrutta, resta solo Federico.
[Questa storia partecipa alla "To be Writing Challenge 2022" indetta sul forum Ferisce la Penna e al Writober 2022 indetto da Farwriter.it]
Genere: Angst, Hurt/Comfort, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri, Edoardo Incanti, Federico Canegallo
Note: Kidfic, Missing Moments | Avvertimenti: Tematiche delicate
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La morte nel cuore



§
 
 
Sua madre muore alla fine di Luglio.
Quando la chiamata arriva, Edo è a casa di Fede – è sempre a casa di Fede quando le cose, nella sua casa di ghiaccio e di specchi, iniziano ad andare allo sfacelo.
A rispondere al telefono è la signora Gaia Canegallo, con i suoi capelli raccolti sulla testa con una molletta, e il ventre gravido di pochi mesi.
Fuori, Roma è una fornace: un calore infernale sale su dall’asfalto, ti si appiccica addosso e rende l’aria difficile da respirare. Ma c’è anche tanto verde da ferire gli occhi e tutt’intorno si inspira un profumo dolce, di frutta e creme solari.
La capitale gli sbatte in faccia la vita nella sua più rigogliosa veste, proprio quando sua madre indossa un sudario.
Il telefono di casa squilla cinque volte, Edo può sentirlo dal giardino, le gambe ammollo nella piscina dove Fede, Rocco e Chicco stanno schiamazzando.
Da quando hanno ricoverato in ospedale sua madre – SCA, nessun miglioramento, nessun miracolo –, non l’hanno mai lasciato da solo. Cercano di distrarlo come possono, sparandogli addosso con pistole ad acqua e riempendogli la testa con tutti i più folli piani d’avventura che solo un esagitato come Chicco Rodi potrebbe inventare.
Di tanto in tanto, la sera davanti alla TV, Fede si arrischia a posargli un braccio intorno alle spalle, Rocco a condividere per ore intere il suo silenzio.
Ma sono solo bambini: della malattia e della morte tengono nella testa solo un pensiero confuso.
Mentre Edo ne conosce i tratti, gli umori, persino gli odori – pianti soffocati nella notte, corridoi deserti, stanze colme di esistenze andate a male.
Forse per questo, quando il telefono squilla, una sorta di premonizione gli implode nel corpo, e all’improvviso può sentire il sole bruciargli la pelle fino all’osso, le lacrime inondargli gli occhi e il panico serrargli la gola.
“Che succede?” la mano di Fede è fresca e confortevole sul suo ginocchio bollente, ed è l’unica cosa su cui gli occhi di Edo decidono di focalizzarsi, il resto è un confuso girotondo di colori e frastuoni che gli rimbombano nella testa insieme al battito terrorizzato del suo cuore.
Quando la signora Gaia lo chiama in casa, Edo si alza senza notare nient’altro se non gli occhi di Fede spalancarsi nel vuoto.
Alla periferia del suo sguardo, Rocco trema e persino Chicco resta in silenzio, la pistola d’acqua lasciata precipitare a fondo.
“Mi dispiace tanto, tesoro. Mi dispiace davvero.” la signora Gaia non piange, la sua voce è tenera e il dolore le sfugge sole in piccole crepe che si increspano ai lati delle sue labbra e dei suoi occhi scuri.
Uno stiletto rovente gli scivola giù per la gola, lacerando carne e nervi e arterie, fino a conficcarsi nel suo cuore bambino, frantumandolo.
Lo avevano preparato a questo.
Gli avevano spiegato che il giorno era ormai vicino, gli avevano già detto di dire addio.
L’ultima volta che era andato a trovarla, sua madre gli aveva sorriso, gli aveva sussurrato: “Non ho paura. Va bene così. Ti voglio tanto, tanto bene” e l’aveva lasciato andare.
E mentre si abbandona all’abbraccio della signora Gaia e a un pianto muto –  come muto e incolore sembra ormai il mondo –, non ricorda, invece, cosa lui le abbia promesso.
E non sa se sarà mai in grado di lasciarla andare.
 
***
 
L’unico pensiero sciocco su cui riesce a concentrarsi il giorno del funerale di sua madre, è che è brutto che i suoi amici lo vedano così.
Come un giocattolo rotto, un eroe sconfitto –  un bambino menomato, che se ne va in giro con il petto squarciato, grondando sangue ovunque vada.
È così che si sente – dov’è il mio cuore? – mentre aspetta che i giorni passano e osserva gli occhi pieni di compassione e pietà che gente estranea gli rivolge.
Fede, Chicco e Rocco lo circondano come per proteggerlo.
Ma lui non vuole essere protetto, vuole qualcosa che possa colmare lo squarcio aperto nel suo petto.
Vuole una mano familiare da stringere.
Vuole che suo padre lo guardi. Che gli parli. Che gli dica come fare per rimettersi in piedi e non crollare. Che gli dia soluzioni, risposte, che plachi il dolore in qualche modo.
Non può, Edo lo sa che per questo male non c’è cura, che la morte è solo morte, solo vuoto lì dove c’era l’affetto e la presenza della persona che amavi.
Il suo bel castello è crollato, la sua casa si è spenta, l’estate fa paura.
Il primo pugno della sua vita lo sferra quel giorno contro uno specchio, picchiando il suo riflesso.
Chiedendogli perché, chiedendogli come. Urlando a squarciagola solo perché non sa come si fa a vomitare via il dolore.
A trovarlo non è suo padre, né suo fratello, entrambi persi da qualche parte nelle loro solitarie agonie.
A trovarlo e a raccattarlo da terra è solo Fede.
È lui che con coraggioso gli asciuga le lacrime, che gli asciuga il sangue dalle mani, che gli chiede: “Porca troia, frà, che hai combinato?”
È sempre Fede quello che mette insieme tutti i suoi cocci rotti.
“Che cosa farò adesso?” gli domanda fra i singhiozzi, le dita che stringono forte i capelli nel desiderio di tirarli via, estirpare il dolore come si può, strappandoselo di dosso.
Fede gli afferra le mani. Piange.
“A dicembre nasce mia sorella. Mi avevi promesso che mi aiutavi.” gli risponde, leccandosi via il mocciolo che gli scola dal naso.
Tra le lacrime, Edo sorride. Immagina un bocciolo fiorire in inverno, lontano da tutti gli spettri dell’estate.
“Io mica lo so come si fa il fratello maggiore, frà. Io ho bisogno che tu mi aiuti, va bene?”
Tra le lacrime, Edo può nuovamente sentire la voce di sua madre bucare la nebbia dei suoi ricordi e dirgli che non sarà facile, è vero, ma che lui sopravvivrà e poi un giorno sarà felice ancora.

“Me lo prometti?”
“Te lo prometto.”
“Ma io non ti voglio perdere...”
“Non mi perderai, perché io ti amerò fino alla fine...”

Fino alla fine è un tempo senza tempo.
Un’idea che all’improvviso, insieme alla faccia piena di promesse di Fede e quelle che stringe forte lì dove fa più male, riesce a dare sollievo al suo vuoto costante.
Fede gli porge una mano per alzarsi da terra ed Edo l’afferra.
Dietro di sé, lascia i cocci rotti della sua infanzia – quelli che persino il suo migliore amico, pur volendo, non potrebbe più salvare.
Frammenti di un Edoardo che non sa se sarà mai più.
 



 

FINE
 
  
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