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Autore: Lady PepperMint    02/11/2022    1 recensioni
Cosa sarebbe successo se Sophia fosse salita su quella carrozza? Se Gabriel non l'avesse rincorsa per dirle la verità sul legamento e sui suoi sentimenti?
Un finale alternativo al bellissimo romanzo di Virginia de Winter (l'ordine della penna, il 3° della serie), che approfondisce i sentimenti intensi e tormentati che legano Gabriel e Sophia.
Il loro amore dovrà affrontare la difficile prova della lontananza, delle insicurezze che rendono i giovani cuori innamorati fragili e spaventati.
Troverà lei la forza di affrontare i suoi errori e di ricomporre i pezzi del suo cuore per tornare alla vita che l'attende?
E lui avrà il coraggio di mettere finalmente da parte l'orgoglio per non perdere il suo amore?
Genere: Fantasy, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Gabriel Stuart, Justin Sinclair, Sophia Blackmore
Note: What if? | Avvertimenti: Triangolo
Capitoli:
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Gabriel
 
«Hai visto la sua faccia? Sembrava sul punto di vomitare» disse Deline con un sorrisetto compiaciuto, che toglieva tutta la poesia da quella sua bella bocca a cuore.
«In giro si dice che passi la maggior parte del suo tempo chiusa in casa per complottare coi demoni del Presidio, forse è per questo che ha quel colorito terribile. Non la chiamavi anche tu con quel nomignolo... “sporco demone”?».
Acuta e fastidiosa, la voce della dama avvinghiata al suo braccio gli suonò come lo stridio del gesso sulla lavagna: stava prendendo quel suo modo di chiamarla, che col tempo era diventato un gioco affettuoso fra lui e Sophia, e lo stava modificando a suo piacimento, lo stava usando contro di lei.
Non si degnò di rispondere a quelle parole tanto perfide e iniziò a pentirsi amaramente della sua decisione affrettata.
Aveva saputo che quella sera Sophia sarebbe stata a teatro, da giorni la caserma era in subbuglio per quell’evento: c’erano praticamente metà dei soldati di Altieres lì a proteggerla, anche se erano rimasti con discrezione fuori dalle porte del teatro, forse per dare alla principessa un’illusione di normalità. Lui non era molto d’accordo con quella scelta, ma, non facendo ufficialmente parte della sua scorta, non aveva avuto voce in capitolo. Nulla, però, gli impediva di frequentare il teatro come un normale studente che partecipa agli spettacoli per accrescere la sua cultura. Inoltre la sua famiglia possedeva un palco in quel particolare teatro, quindi nessuno avrebbe trovato strana la sua presenza. E, per completare la messinscena, aveva deciso di portare con sé un’accompagnatrice, che agli occhi di tutti sarebbe parsa come l’ennesima conquista, anche se da un po’ di tempo non si dedicava all’arte del corteggiamento. Quindi, ecco a cingere il suo braccio la mano possessiva e per niente delicata di Deline Freys di Mistran, che, nonostante i loro trascorsi, non aveva ancora abbandonato le speranze di una possibile relazione fra loro. Gabriel temeva di aver agito con eccessiva leggerezza chiedendole di accompagnarlo in una situazione così ufficiale, ma lei gli aveva reso le cose davvero facili: aveva accettato subito il suo invito brusco e affettato, sentendosi una specie di prescelta fra le schiere di ammiratrici del Capitano Stuart, che si erano solo che ampliate da quando aveva accentuato il suo comportamento cupo e tormentato. Lui voleva una soluzione facile al suo problema, che possibilmente non diventasse una scocciatura ancora più grande dopo quella serata; ma forse la damigella in questione si stava facendo non poche illusioni. E stava sparlando di Sophia, perdendo ai suoi occhi tutta la poesia. Certo lui non era tanto migliore, considerato che la stava solo usando per raggiungere il suo vero obiettivo: andare a sorvegliare Sophia. E magari stuzzicarla un po’, dato che una parte di lui non poteva fare a meno di sperare e voleva scoprire se sarebbe stata gelosa di vederlo con un’altra. Da quando si metteva a fare quei giochetti stupidi? Ancora lo sconcertava scoprire quanto i sentimenti lasciassero emergere le debolezze delle persone, facendole comportare in modi illogici e infantili.
Sophia sarebbe stata appiccicata a Justin anche quella sera, cosa che non smetteva ancora di fargli salire il sangue alla testa, ma di cui comprendeva la necessità. La sicurezza della principessa prima di tutto. Ecco perché non riusciva a spiegarsi il motivo per cui Sophia stesse girovagando da sola per i corridoi del teatro durante l’intervallo. Non aveva previsto di incontrarla così da vicino, e men che meno riusciva a interpretare la sua reazione: appena li aveva visti insieme, si era bloccata e aveva iniziato a indietreggiare di qualche passo, fissando la mano di Deline che stringeva il suo braccio come se fosse una bestia feroce pronta ad aggredirla. I suoi occhi si erano spalancati e il suo respiro aveva accelerato il ritmo, come se improvvisamente fosse in affanno. Lui non aveva fatto in tempo a reagire a quella scena, perché Sophia li aveva salutati bruscamente e li aveva superati iniziando a camminare più veloce, presa dall’urgenza di andare da qualche parte. Ma sapeva dove si stava dirigendo? Il palco dei Blackmore era nella direzione opposta.
«Inoltre sembra che non abbia ancora imparato le buone maniere» aggiunse Deline, sempre più petulante, riscuotendolo dai suoi pensieri.
«Hai visto come ci ha salutati?».
Si volse bruscamente verso di lei per farle un mezzo inchino, senza più ascoltarla né degnarla di una risposta, e seguì Sophia che sì, in effetti aveva assunto un brutto colorito e un’aria confusa dopo averli visti. A primo impatto poteva sembrare gelosia, ma Gabriel tentò di non soffermarsi troppo su quel pensiero, perché la speranza lo allontanava dalla razionalità. Non era più abituata ad uscire, forse per quello era sembrata così disorientata. Aveva sentito l’impulso di seguirla, per controllare che stesse bene e che non si perdesse nel labirinto di corridoi del teatro. E comunque perché diavolo era da sola? Normalmente c’erano tra le venti e le trenta persone ad occuparsi della sua sicurezza, senza contare Justin, che era la sua ombra ogni volta che lei usciva dalla residenza di Altieres. Si guardò intorno continuando a camminare: nessuna traccia dei soldati o di suo cugino. Lo spettacolo stava riprendendo, le persone erano tornate tutte ai propri posti. Calò il silenzio nel teatro e Gabriel ebbe un brutto presentimento, la strana sensazione di un attimo. Si affacciò rapidamente alla balaustra, giusto in tempo per vedere un lampo di azzurro turchese sfrecciare rapidamente giù per le scale, verso l’uscita.
Subito partì di corsa per seguirla. Quella sconsiderata stava lasciando il teatro passando dall’ingresso di servizio, dove non c’erano guardie della sua scorta appostate: da lì nessuno l’avrebbe vista uscire e sarebbe stata sola per le strade della Vecchia Capitale.
Scese le scale come il vento e si lanciò fuori dalla prima porta che trovò: era in strada, ma di Sophia nessuna traccia. Una sottile nebbia stava iniziando a diffondersi nell’aria, riducendo la visibilità sia a destra che a sinistra. La scapola con la croce nera iniziò a pizzicargli lievemente, un segnale che confermava i suoi presentimenti. Continuava a esitare appena fuori dal teatro, non voleva sbagliare direzione, cercava indizi nell’aria fredda e sempre più opaca, tentando di tenere a bada l’agitazione. Ma il pensiero di Sophia, da sola, là fuori in mezzo a quella nebbia innaturale, stava lentamente sgretolando la sua lucidità. Improvvisamente gli arrivò alle orecchie un vago nitrire di cavalli, seguito da un vociare sommesso: sinistra.
Partì correndo in quella direzione, sapendo che non era la scelta migliore: avrebbe dovuto prima chiamare rinforzi, o quanto meno avvisare qualcuno. Ma non era con la testa che aveva deciso. Qualcosa di molto più urgente stava muovendo le sue gambe, e l’istinto gli aveva fatto appoggiare la mano sulla scapola sinistra per estrarre la sua spada di luce, pronto ad usarla contro chiunque stesse mettendo in pericolo la vita del suo piccolo demone.
Sbucò in uno spiazzo che non riusciva a riconoscere a causa della foschia, e si ritrovò davanti una scena che non si aspettava: una schiera di uomini a cavallo, almeno una quindicina, aveva circondato Sophia. Ma lei non era tremante e spaventata al centro di quel cerchio minaccioso. Stava brandendo una spada contro di loro, sfidandoli ad attaccarla. Cosa stava facendo? Dove aveva preso quella spada? Era completamente impazzita?
Gabriel si riprese dal momentaneo stupore e, senza esitare, si gettò nella mischia, correndo verso Sophia per mettersi fra lei e quegli uomini armati.
«Scappate principessa» le gridò appena fu abbastanza vicino.
Sophia trasalì nel sentire la sua voce, nel vederlo arrivare proprio lì, proprio in quel momento, con la sua spada di luce in mano. Ma sembrava più sorpresa che spaventata.
«Nemmeno per sogno» gli rispose con voce ferma e decisa. «Cosa ci fate qui Capitano Stuart?» aggiunse poi, non come una domanda, ma come un’accusa.
Gabriel esitò un momento, cercando di interpretare il tono di quelle parole. Poi la sua mente di soldato prese di nuovo il sopravvento e fece la cosa giusta:
«Ho sentito i cavalli, ero il più vicino. Ma ho mandato Justin ad avvisare la vostra scorta, stanno arrivando». Un tentativo di spaventare il nemico, l’unico modo per avere una chance in una situazione di schiacciante inferiorità numerica.
«E comunque cosa vogliono da voi questi gentiluomini?».
«Non lo so, me lo stavano appunto per dire».
Gli rispose senza guardarlo, i suoi occhi fissi sull’uomo che le si era parato davanti e che sembrava il capo del gruppo. Indossavano tutti dei mantelli neri, ma, nei brevi raggi di luna che avevano illuminato la piazza, erano apparsi frammenti di stoffa color porpora. Non si potevano fare supposizioni o emettere accuse, non ancora. Meglio chiedere spiegazioni in modo neutrale prima, così gli aveva insegnato Dartmont, che aveva più volte ribadito quanto la diplomazia fosse una questione fragile e spinosa.
«Non vogliamo farvi del male principessa. Abbiamo solo bisogno di portarvi con noi». La voce dell’uomo era uscita attutita, probabilmente a causa della benda che gli nascondeva metà viso, segno piuttosto inequivocabile delle sue cattive intenzioni.
A quelle parole, Gabriel si mise fra la nera figura minacciosa e Sophia, con la spada pronta a colpire e una furia incandescente nella voce:
«Scordatelo» ruggì verso l’uomo. E, senza voltarsi, tentò di nuovo di convincere Sophia ad abbandonare la piazza: «Principessa mettetevi al sicuro».
«No».
Lei gli gettò addosso quel no con decisione, quasi indignata che lui le avesse chiesto di scappare.
«Sofia» tentò un’ultima volta «ti prego, vai. Te l’ho già detto una volta, mi concentro meglio se tu non ci sei». La voce gli si era addolcita mentre pronunciava quelle parole: la stava implorando, ma non gli importava, non gli importava del suo stupido orgoglio in quel momento, voleva solo vederla in salvo, lontano da quegli uomini pericolosi.
Lei esitò per un momento, come se qualcosa avesse fatto breccia nella sua ostinazione. L’aveva chiamata per nome di proposito, era la sua ultima speranza, il ricordo di un suono che le aveva sempre fatto vibrare qualcosa dentro.
Ma poi aveva scosso un momento la testa, forse proprio per liberarsi di quel suono, e aveva stretto la presa sulla spada: «Io non vado da nessuna parte. Mi sono allenata per difendermi da sola. Voi non siete tenuto a proteggermi. Vi ricordo che i miei talenti da demone» e sottolineò questa parte con sprezzo, facendo il verso alle sue parole di un tempo «mi proteggeranno. Voi mettetevi al sicuro».
Voleva mettersi a discutere con lui in quella situazione? Non era poi molto cambiata dopo tutto.
Gabriel si girò solo un momento, per rivolgerle uno sguardo furibondo e incredulo, carico di frustrazione, sperando di vedere un’espressione provocatoria in quegli occhi blu come il mare profondo. Ma no, lei era seria. Ostinata e irremovibile nella sua posizione.
«Non voglio interrompere uno screzio fra giovani innamorati» si intromise l’uomo in nero, «ma già che parlate dei vostri talenti da demone, principessa, sappiate che non ci farà molto piacere se deciderete di usarli» e mentre finiva questa frase fintamente innocua, aveva estratto una pistola e l’aveva puntata dritta verso il capitano Stuart.
«Se urlerete con quella vostra voce da mostro, o se cercherete di opporre resistenza, sparerò al vostro amico» concluse l’uomo, con un sorriso maligno che si percepiva anche attraverso il bavaglio.
Sophia abbassò subito la spada e impallidì vistosamente. Arretrando, si portò una mano alla bocca per mettere a tacere l’urlo di terrore che le stava salendo dal profondo.
Gabriel trovava inaccettabile quella minaccia, non voleva essere il suo ricatto, la causa della sua resa e del suo rapimento. Scattò come una molla verso quell’uomo, con l’intenzione di fargli chiudere la bocca per sempre. Ma due cose avvennero contemporaneamente, più veloci di lui: Sophia, nel vederlo lanciarsi verso la battaglia, cedette a un impulso incontrollato e lasciò uscire un grido che squarciò la notte; e l’uomo mantenne la sua parola: premette il grilletto e gli sparò. Due volte, al torace.
Nonostante il suo slancio impetuoso, Gabriel si bloccò sul posto, nella posizione di attacco. Si portò una mano sulla camicia, che non era più bianca, e subito dopo si sentì cadere verso il suolo. L’ultima cosa che percepì furono le mani di Sophia, che lo raggiunsero un attimo prima che toccasse terra per impedirgli di battere la testa. Poi l’oscurità lo avvolse.
   
 
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