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Autore: Verfall    02/11/2022    4 recensioni
«Io e te, solo per questa notte, saremo fidanzati. È solo questo che vuoi, giusto?»
E lui, che cosa voleva?
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23 marzo 1990: Per Ryo inizia una giornata come tante altre, ma non sa che una certa stilista ha deciso di scombinare la sua routine.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Kaori Makimura, Ryo Saeba
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: City Hunter
Capitoli:
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Ben ritrovate/i!
Dopo lunghi mesi di latitanza, torno qui con questo piccolo pasticcio (che finalmente sono riuscita a concludere in pochi capitoli)! Tutta colpa della rilettura del manga, che mi ha portato a scrivere questo missing moment (anche se è fondamentalmente un alternative PoV). Sull’episodio di Cenerentola c’è ben poco da dire: c’è chi lo ama, chi avrebbe voluto un altro finale, chi lo trova fin troppo sopravvalutato, e ha dato materiale per molte fanfiction. Io ammetto di aver provato uno certo straniamento la prima volta che l’ho letto, al limite della perplessità. Non voglio dire che non mi sia piaciuto, anzi ha quella vena di malinconia/struggimento che ho molto apprezzato, ma quello che mi continuavo a chiedere era: perché? Qual era l’obiettivo di Hojo nello scrivere quel capitolo? Ognuno è libero di dare la propria interpretazione – la lettura è bella proprio per questo –, ciò che è innegabile, però, è che i disegni parlino molto di più delle vignette in questo episodio (e non solo in questo, ovviamente). Perciò, partendo proprio da quelle meravigliose tavole, ho ricavato la base per questa storia. Cenerentola metropolitana è tutto narrato dal punto di vista di Kaori, perciò mi sono divertita a “entrare nella testa di Ryo” e a riscriverlo dal suo punto di vista. Spero che l’idea di fargli compagnia per quasi 48 ore non vi dispiaccia! Specifico che non ho modificato l’episodio – mi piace così com’è– e che le citazioni dirette dal manga sono della Complete Edition (confesso, però, che in diversi punti preferisco la ormai vetusta versione Star Comics).
Buona lettura!


I – Un invito particolare
 
Era riemerso dal suo sonno senza sogni da tempo, ma con lentezza stava prendendo contatto con la realtà che lo circondava. Avvertiva il lenzuolo che, come un pitone, gli si era avvolto intorno alle gambe e la maglietta stropicciata che gli stringeva il collo, eppure non voleva aprire gli occhi; voleva, invece, continuare a indugiare ancora per un po’ e sprofondò la testa nell’ampio cuscino. Purtroppo, però, c’era chi non era d’accordo con il suo programma.
 
«Ryoooo! Alzati, ormai è tardi!»
 
Per l’ennesima volta, una voce squillante proveniente dal piano sottostante giunse ben nitida alle sue orecchie «Non farmelo ripetere ancora, altrimenti ti porto giù di peso!»
 
“Ma come fa a urlare in questo modo, ha un megafono in gola?!” si disse mentre biascicava un rassegnato «Arrivo!»
 
Accettato il suo triste destino, si tirò su con sofferenza e, dopo essersi stiracchiato per bene, si diresse verso la cucina, avendo cura di sbadigliare sguaiatamente mentre scendeva le scale. Da buon animale notturno, la mattina aveva bisogno di tempo per carburare anche se, in realtà, era già perfettamente lucido e presente a se stesso; anni prima non aveva potuto permettersi nemmeno il lusso di dormire – figurarsi fare storie per alzarsi –, ma si era affezionato a quel piccolo rituale che aveva instaurato da un po’ di tempo. Certo, c’erano mattine in cui era davvero distrutto e a fatica ricordava il suo nome, ma erano poche eccezioni di una regola che lo voleva recitare la parte del pigrone bisognoso di una svegliata energica per mettersi all’opera. Se non fosse stato lo sweeper infallibile che era, probabilmente sarebbe stato un ottimo attore, almeno per un certo tipo di pubblico come la sua socia, che riusciva a credere sempre a qualsiasi cosa dicesse o facesse, non arrivando ad afferrare sempre lo scherzo – e anzi, mostrando a volte livelli di ottusità incredibili.
Senza rendersene conto aveva già raggiunto la porta della cucina e, dopo aver incassato la testa nelle spalle, entrò pronto per iniziare la sua commedia quotidiana.
 
«Finalmente sei arrivato Ryo! Ti ho appena versato il caffè nella tazza» gli disse la ragazza senza guardarlo, continuando ad aggiungere pietanze sulla tavola già imbandita.
 
Ryo si limitò a borbottare parole incomprensibili mentre si sedeva sulla panca. Dentro di lui, però, sorrideva felice. Il vederla così indaffarata, così piena di tante piccole attenzioni nei suoi confronti, lo rallegrava di quella gioia un po’ infantile nel sapere che qualcuno si preoccupa e si occupa di noi. Sorseggiando il suo caffè si prese qualche istante per osservarla, approfittando del fatto che gli dava ancora le spalle, poiché troppo concentrata nello spinare il trancio di salmone che aveva appena sfornato. Era sempre la solita Kaori, eppure in un certo senso non lo era più. Avvertì una lieve morsa allo stomaco a quel pensiero; ormai difficilmente riusciva a non sovrapporre a quella slanciata figura di spalle la ragazza in costume da bagno che aveva visto a tradimento pochi mesi prima. Non era stata certo la prima volta che l’aveva vista così, ma per la prima volta si era sentito spiazzato; era come se l’averla vista sfilare avesse spazzato via un velo che sembrava aver ricoperto i suoi occhi fino a quel momento. Quella maledetta notte lui, immobile e in mutande nel salotto di casa, si era reso conto che la ragazzina maschiaccio era definitivamente archiviata: Kaori era sbocciata in un modo così timido e graduale che lo aveva sorpreso, lasciandolo turbato. Era finalmente una donna, una bellissima donna, ma non l’avrebbe ammesso neanche sotto tortura.
 
«Stai bene Ryo? Non mangi niente?» domandò Kaori, strappandolo da quelle riflessioni che la vedevano protagonista.
 
Si era seduta a tavola servendosi una tazza di caffè, e nel suo sguardo l’uomo poté scorgere un accenno di preoccupazione e affetto; quella ragazza era un vero libro aperto di emozioni e per lui, abituato alle falsificazioni della vita, era rinfrancante avere a casa qualcuno così cristallino, privo di doppiezze.
 
«Sì, sto bene Kaori» disse per tranquillizzarla ma poi, indicando la sua colazione, cambiò subito registro «Sai che ho lo stomaco delicato e già l’odore non promette bene… Alla vista sembra più una ciotola di cemento che zuppa di mis-» non riuscì a proseguire perché l’ira della sua partner si abbatté su di lui, spiaccicandolo per bene sul pavimento.
 
«Attento, potrei prendere alla lettera ciò che dici e cucinare direttamente con una betoniera» gli ringhiò mentre usciva dalla cucina a passo di marcia.
 
Ripresosi dal micidiale attacco, Ryo appoggiò il mento sul palmo ben aperto, il gomito piantato sul tavolo, e lasciò andare un breve sospiro. Era ancora così facile farle perdere le staffe, in tutti quegli anni non aveva per nulla migliorato il suo autocontrollo; sempre così impulsiva, così prevedibile, così onesta con lui… Prese le bacchette e iniziò a consumare la sua colazione alias pranzo e un lieve sorriso gli increspò le labbra. Non c’era che dire, Kaori era davvero migliorata. Ormai era una cuoca provetta ma si sarebbe tenuto per lui quelle osservazioni. In fin dei conti, lui ripuliva ogni volta qualsiasi piatto con meticolosità, già quello valeva come apprezzamento implicito.
Intanto che si lanciava sulle generose porzioni di pesce e riso, i pensieri ripresero il flusso interrotto dalla sua socia. La rivide ancora una volta sulla passerella, radiosa, con un provocante costume a due pezzi che esaltava perfettamente il suo fisico. Lui, al suo fianco, le aveva tenuto la mano con leggera sicurezza e, vedendola presa dai flash delle macchine fotografiche e dalla folla entusiasta, si era concesso il lusso di guardarla più intensamente. Non si era mai sentito così fiero nel camminare accanto a una donna, anche se nel loro caso si era trattato di una semplice sfilata; un attimo di finzione, dove loro non erano stati che modelli. Per fortuna poco dopo era iniziato il vero lavoro, e ciò lo aveva aiutato a prendere le distanze da quei pensieri pericolosi. E se era riuscito a ritrovare presto la sua compostezza, senza rendersene conto aveva iniziato ad avvertire un serpeggiante senso di angoscia. Sapeva che sarebbe arrivato il giorno in cui quella strana convivenza sarebbe finita per sempre, ma mai quella prospettiva gli aveva causato dolore fisico come in quelle settimane. Se non si fosse reso conto di quanto fosse bella, forse…
 
«Ryo» Kaori rientrò in cucina mentre armeggiava con la borsetta «Io sto uscendo. Faccio il solito giro, passo in stazione e poi ho un appuntamento… Ma dov’è finita l’agendina?» mormorò muovendo la mano frenetica all’interno.
 
Lo sweeper drizzò le antenne «Che appuntamento?» chiese casuale, facendo finta di non vederla.
 
«Eppure l’avevo messa… Ah eccola qui!» esclamò soddisfatta alzandola in aria a mo’ di trofeo «Niente, mi vedo con un’amica» gli rispose vaga.
 
Lui non replicò, limitandosi a registrare mentalmente che la sua socia avesse indossato una camicetta con l’immancabile bottone-trasmittente: lo tranquillizzava e, intuiva, aiutava anche lei a sentirsi più sicura.
 
«Non so quando torno, ma questo non è un buon motivo per poltrire tutto il giorno, mi raccomando» lo ammonì con un’espressione severa «A dopo e fai il bravo!» e così dicendo uscì dalla stanza.
 
Pochi secondi dopo la porta dell’appartamento si chiuse, lasciandolo solo nel completo silenzio.
“Un’amica eh? Mi chiedo proprio chi possa essere” si disse e lentamente si alzò, iniziando a sparecchiare.
Sistemò i piatti nel lavello, limitandosi semplicemente a sciacquarli – lavarli per bene era assolutamente fuori discussione – e decise mentalmente il piano della giornata. Come sempre avrebbe fatto in modo di mantenersi occupato, altrimenti il suo stupido cervello avrebbe iniziato a perdersi in altrettante stupide riflessioni che non facevano altro che esasperarlo.
Veloce si diresse verso il piano superiore e iniziò una serrata sessione di allenamento; non si risparmiò, non lo faceva mai del resto, e solo quando avvertì tutti i muscoli piacevolmente doloranti decise di terminare. Scese in bagno per farsi una doccia veloce intanto che decideva il da farsi; alla fine stabilì che dopo aver fatto un salto al poligono sarebbe uscito. Il solito giro, sicuramente una fermata al Cat’s Eye era d’obbligo, se non altro per togliersi lo sfizio di bisticciare con quel bestione di pseudo barista; ultimamente, però, gli era sembrato stranamente teso, meno incline agli scherzi – almeno, meno del solito. Sicuramente aveva anche lui le sue grane per la testa e chi non le aveva! E la sua era una spada di Damocle che si faceva ogni giorno più difficile da sopportare…
 
«Alt, basta!» si trovò a urlare a gran voce.
 
Era inutile, l’esercizio aveva avuto il potere di bloccare il continuo lavorìo della mente, ma ora che si trovava sotto il getto dell’acqua tiepida, ecco che i pensieri avevano iniziato a galoppare. Sempre nella stessa direzione. Che cosa doveva fare con Kaori? Un piccola parte di lui desiderava averla ancora a lungo come partner. Stava migliorando e doveva riconoscere che erano ben affiatati, ma nell’ultimo caso importante si era fatta sorprendere in modo fin troppo ingenuo da quei due babbioni che l’avevano messa k.o. con del cloroformio. Per fortuna era andata bene, ma era il caso che continuasse quella vita, con lui?
Con un sospiro esasperato chiuse l’acqua. Aveva appena iniziato ad asciugarsi, quando avvertì distintamente lo squillo del telefono provenire dal salotto. Non poté fare a meno di incupirsi: che l’avesse rapita qualcuno? Con passo svelto percorse il corridoio e, in un solo balzo, raggiunse il salotto e alzò la cornetta.
 
«Pronto?»
 
[Buon pomeriggio Saeba, sono io, Eriko Kitahara!]
 
Alla voce squillante della ragazza sentì i muscoli distendersi sensibilmente e mentalmente tirò un sospiro di sollievo. Nessun guaio in vista.
 
«Ah ciao Eriko! Che bello sentirti, come stai?» domandò con la sua insuperabile voce giocosa.
 
[Tutto bene, grazie. Ti chiamo per chiederti una cosa …] fece lei, d’un tratto più esitante.
 
«Che succede, ancora problemi? A chi hai rubato questa volta il disegno, a una centrale nucleare?»
 
[Ah insomma, non ti ho chiamato per prendermi in giro!] esclamò palesemente piccata [Volevo invitarti a un appuntamento, ma visto che vuoi fare l’antipatico…]
 
«Non dirlo neanche per scherzo! Certo, sono felicissimo di uscire con te» e dopo essersi schiarito la voce, continuò con un tono più impostato «Sono al tuo servizio. Dove ci vediamo?»
 
[Qui nel mio ufficio. Ti aspetto per le sei e mezza, puntuale. A dopo!] e così dicendo chiuse la telefonata.
 
Ryo fu leggermente perplesso per quella strana richiesta. Certo, era lusingato che una bella ragazza come Eriko avesse voluto invitarlo a un appuntamento; d’altronde non gli era sfuggito come la giovane avesse cambiato comportamento nei suoi confronti verso la fine del caso, e sicuramente nutriva un certo interesse nei suoi confronti. Ciò faceva molto bene alla sua vanità, che era proporzionata alla sua stazza, ma il suo sesto senso gli suggeriva che c’era una nota stonata in quell’invito, sebbene non sapesse definirla con certezza. Ad ogni modo l’assenza di Kaori era stata propizia, gli aveva evitato imbarazzanti giustificazioni – e dolorose martellate. In fondo per lui quell’uscita non era che un ottimo modo per svagarsi, un diversivo che accettava volentieri, perciò soddisfatto trotterellò verso la sua camera.
 
§
 
Parcheggiò la Mini sulla Meiji-Dori, poco distante dall’elegante palazzo su cui capeggiava a caratteri cubitali l’insegna ERI KITAHARA TOTAL FASHION, e con un guizzo scese dall’auto. Era in leggero anticipo, perciò si concesse il lusso di camminare lentamente, adocchiando con bramosia le diverse bellezze che, passeggiando lungo il viale, si dirigevano verso l’alberata Omotesandō, da lui rinominata la via degli abbordaggi. Se non avesse avuto un appuntamento del genere, non si sarebbe sottratto al suo solito rituale di terrore – ovvero importunare ignare passanti con il suo fare da maniaco –, ma ci teneva a presentarsi senza segni di schiaffi o borsate in faccia.
Alla reception venne accolto da una graziosa segretaria, fasciata in un tailleur nero elegante; Ryo sfoderò il suo sorriso migliore, riuscendo ad ottenere la sua completa e ammirata attenzione.
 
«Salve, ho un appuntamento con la signorina Kitahara» disse con voce suadente.
 
La segretaria strinse le labbra leggermente imbarazzata «Lei deve essere il signor Saeba»
 
«Precisamente»
 
«Bene, allora avverto subito il mio collega di accompagnarla…»
 
«Ah guardi non è necessario, sono già venuto qui e so dov’è l’ufficio» la interruppe, pregustando già qualche incursione qua e là.
 
«Mi spiace ma la signorina Kitahara è stata molto chiara» controbatté con coraggio la giovane «Ha detto che lei è un cliente di riguardo, e così sarà trattato» emise categorica.
 
Ryo fu perplesso per la seconda volta in quel giorno; che Eriko avesse intuito il suo piano di disturbo nei confronti delle impiegate? Sapeva di essere ben prevedibile per quanto riguardava quell’aspetto della sua persona, ma da lì ad accompagnarlo! E per di più lui era in visita, non certo un cliente! Non ebbe modo di proseguire oltre con i suoi ragionamenti perché in quel momento sopraggiunse un ragazzo che, con un mezzo inchino, lo pregò di seguirlo.
“Perfetto, e io che pensavo di rifarmi gli occhi almeno durante il tragitto! Ah, quell’antipatica di una stilista mi ha rifilato uno dei pochi uomini qui in giro, è proprio senza pietà” pensò sconsolato e, mogio mogio, lo seguì.
Ebbe, però, l’impressione che ci fosse un certo fermento al terzo piano, quello che ricordava essere il magazzino con il campionario, e non gli sfuggì l’atteggiamento impaziente della sua guida che in tutta fretta lo allontanò da lì. Forse c’erano delle modelle – a dispetto di quanto gli avesse detto Eriko la prima volta che c’era stato – e non voleva che lo scoprisse? Il pensiero lo stuzzicò non poco, per cui si ripromise di indagare meglio dopo: se c’erano delle belle ragazze nelle vicinanze, lui avrebbe sempre trovato il modo di raggiungerle.
Giunti al piano successivo, il giovane lo precedette nel lungo corridoio prima di aprire una porta a destra.
 
«Ecco, si accomodi prego. La maestra Kitahara sarà subito da lei» e, dopo l’ennesimo inchino di circostanza, richiuse accuratamente la porta alle sue spalle.
 
Ryo si ritrovò solo all’interno del grande ufficio e in un attimo lo misurò con lo sguardo, più per deformazione professionale che per necessità. Sembrava che tutto fosse in ordine e con ampie falcate iniziò a percorrere la stanza lentamente, come un animale in gabbia. Non pensava sarebbe mai ritornato in quel posto, dove lui aveva firmato un contratto come modello – e al solo pensiero non riusciva a reprimere una ghigno soddisfatto. Si era rifatto gli occhi in quei giorni, una scorpacciata di corpi leggeri, sinuosi… Un paradiso per lui, ma anche un iniziale inferno per il suo amico, che all’inizio non ne aveva voluto sapere di fare il bravo con tutto quel bendidio a disposizione. Si era lasciato andare anche con lei. Ah, quanto ci era andato vicino a farsi scoprire quella notte…
L’eco di alcuni tacchi che si avvicinavano gli rivelò che la sua ospite sarebbe entrata entro qualche secondo, così si sistemò sul bracciolo del divanetto, accavallando le gambe per stare più comodo.
In quell’istante entrò la stilista, bella come sempre in un professionale completo a pantalone e con una voluminosa scatola rettangolare sottobraccio.
 
«Ehilà Eriko!» la salutò Ryo alzando la mano, sorridendole amichevolmente.
 
«Saeba, grazie per essere venuto» rispose lei mentre richiudeva la porta alle sue spalle.
 
Allo sweeper non sfuggì una certa tensione nella sua voce, e volle appurare se la sensazione che aveva avuto dopo la telefonata avesse un fondamento.
 
«Figurati! Non avrei mai rinunciato a un tuo invito!» le disse alzandosi e camminando verso di lei «E poi sono onorato del fatto che tu voglia un appuntamento come me» aggiunse con tono da consumato dongiovanni, passandosi una mano tra i capelli.
 
“Ora vediamo se sei sincera Eriko” si disse e, una volta raggiunta, le cinse le spalle con un braccio. La ragazza arrossì leggermente imbarazzata.
 
«Quindi, come ringraziamento…» proseguì Ryo sullo stesso tono, notando l’espressione confusa della stilista «…Facciamoci subito una bella bottarella!» concluse slanciandosi verso di lei, le labbra già predisposte per il bacio.
 
In un attimo la sentì irrigidirsi «A… Aspett…!» farfugliò lei agitandosi «Sei troppo avventato!» esclamò colpendolo in pieno viso con la grande scatola.
 
Il colpo si fece sentire, non doveva essere leggero quel contenuto che impattò in pieno naso, facendogli salire le lacrime agli occhi. La sua conferma l’aveva avuta: lei gli si era negata sebbene l’ultima volta che erano stati soli si era totalmente abbandonata a lui e a un bacio che solo un martello di ciclopiche dimensioni aveva impedito.
 
«Guah! Insomma che modi!» esclamò lamentoso tenendo la scatola tra le mani che nel frattempo si era aperta «Cos’è ‘sta roba?» domandò confuso, adocchiando una carta velina azzurrina.
 
«È il tuo vestito. Indossalo per favore» rispose lei pratica.
 
«Un vestito? Sarà mica quello che hai disegnato tu, vero?»
 
Subito gli riaffiorò alla mente il ricordo di quell’allucinante impermeabile che lei aveva avuto il cattivo gusto di regalargli. Non si sforzò di nascondere le emozioni che, trasparendo dal suo sguardo, arrivarono alla diretta interessata con infallibile precisione.
 
«No-Non è quel vestito!» gli urlò Eriko stringendo i pugni al massimo dell’imbarazzo, testimoniato dal diffuso rossore sulle guance «È un normalissimo vestito da uomo! Le misure dovrebbero essere giuste!» e dopo aver incrociato le braccia, aggiunse borbottando sostenuta «E poi potresti evitare di fare quella faccia! Lo so benissimo che quell’altro vestito è stato un fallimento! Capitano a tutti dei momenti di confusione!»
 
«E perché dovrei metterlo?»
 
«Te l’ho detto no? Io non esco con uomini che si vestono male!» commentò ancora sostenuta.
 
Ryo scostò l’involucro e scoprì quello che sembrava un completo elegante bianco ghiaccio, di ottima fattura. No, non gli piaceva la piega che stava prendendo quella situazione.
 
«Ma io non sono fatto per questi vestiti così formali!» ribatté ormai certo di non avere scampo.
 
«Bene, e allora diciamo che non ti ho mai invitato a uscire insieme a me!» ribatté Eriko implacabile, stringendosi ulteriormente con le braccia.
 
Ryo capì di essere sconfitto e, con un certo disagio, alla fine capitolò «E-e va bene! Lo metto, lo metto!» esclamò esasperato.
 
«Bene, allora cambiati e vieni stasera alle otto al locale chiamato Sunrise Hill! Ti aspetto!» e in tutta velocità si fiondò verso la porta.
 
«Eh? Ma che senso ha che ci troviamo dopo? Non potremmo cominciare subito?»
 
«È più nello spirito dell’appuntamento galante trovarsi da qualche parte, no?» disse candidamente chiudendo la porta alle sue spalle.
 
Ryo si ritrovò nuovamente solo e più confuso di prima.
“Ma che significa tutto questo…?” si chiese fissando la giacca accuratamente piegata. Certo, aveva già avuto un assaggio di quanto Eriko fosse astrusa, con priorità e comportamenti anomali rispetto alle persone normali, ma ciò che era successo superava di gran lunga ogni sua stramberia. Non era stata sincera, lo aveva avvertito fin da subito – non a caso era un professionista infallibile –, solo che non aveva ancora capito cosa gli stesse nascondendo quel terremoto di stilista. Sbuffò sconsolato; non gli restava che scoprirlo di persona.
“Che situazione… Eh va be’, mettiamoci questa robaccia” si disse senza molta convinzione e, mentre iniziava a sfilarsi l’impermeabile, sentì bussare alla porta.
 
«Signor Saeba» fece il ragazzo di prima, entrando con un bustone in mano «Le ho portato il soprabito e le scarpe»
 
«Che?!» lo guardò Ryo stravolto «Ma ho già l’impermeabile e le mie scarpe, non c’è bisogno di altro!»
 
Il ragazzo gettò un’occhiata agli indumenti da lui citati e sospirò con fare ovvio «No signore, non vanno affatto bene, rovinerebbero l’estetica generale dell’abito. Sa, la maestra Kitahara ci ha messo molto impegno nell’ideare il completo che ha tra le mani» commentò con deferenza mentre tirava fuori dal bustone un elegante soprabito in panno nero.
 
«Davvero?» domandò lo sweeper distrattamente mentre si toglieva la maglia.
 
«Certo, pensi che mi ha lasciato addirittura tagliare i cartamodelli! È stata una bella responsabilità, la maestra è una vera perfezionista»
 
«La ammira molto a quanto sembra»
 
«Assolutamente! Basti vedere come in pochissimo tempo abbia concepito una coppia di abiti così meravigliosi… Spero davvero che li inserisca nella prossima collezione»
 
Ryo si bloccò per un istante mentre si sfilava i jeans «Quindi questo non è l’unico vestito che la signorina Kitahara ha disegnato in tutta fretta?»
 
Il giovane sbiancò improvvisamente «Ah, parlo sempre troppo a sproposito… Mi scusi» e uscendo in tutta fretta aggiunse «Può mettere le sue cose nella busta. Non la disturbo oltre» concluse, chiudendo la porta precipitosamente.
 "Questa scena mi sembra di averla già vista poco fa” si disse Ryo proseguendo con la sua opera di vestizione.
Tutta quella situazione gli sembrava fin troppo strana; l’invito imprevisto, quella inutile manfrina del cambio d’abito con tanto di punto d’incontro… No, quella donna aveva certamente qualcos’altro in mente, non un semplice appuntamento. In pochi minuti fu pronto e si specchiò nell’ampia vetrata dell’ufficio, compiacendosi per il riflesso mostrato ai suoi occhi. Indubbiamente l’abito era fatto da una mano esperta e gli calzava a pennello; non sembrava neanche più lui, ma un prestante appartenente alla buona società nipponica. Eriko aveva pensato proprio a tutto, anche a dargli una giacca che aiutava a minimizzare l’ingombro della fondina con la sua Python. Se voleva farsi perdonare quel suo scivolone doveva ammettere che ci era riuscita.
 “Bene, ora andiamo a dare un’occhiata al piano inferiore, sono proprio curioso di scoprire quali bellezze siano nascoste lì” si disse sfregandosi le mani.
Appallottolò i suoi vestiti nell’ampio bustone e in uno slancio aprì la porta, ma quale fu il suo stupore nel ritrovare il ragazzo occhialuto nel corridoio! Appena lo vide, il giovane scatto come una molla.
 
«Signor Saeba l’abito le sta davvero a pennello! Le piace?»
 
«Beh» farfugliò Ryo preso in contropiede «Sì, è un bel completo ma non è il mio genere…»
 
«Ah, la maestra si è davvero superata e pensare che ha preso le misure solo ad occhio!»
 
Lo sweeper osservò bonariamente quell’uomo esaltato che non faceva altro che decantare le innumerevoli virtù di Eriko, facendone sicuramente uno dei suoi discepoli più fedeli. Si limitò a sorridergli educatamente e si avviò in direzione delle scale, quando questi lo fermò.
 
«Aspetti signor Saeba, la accompagno all’uscita»
 
«Come?! Ma non c’è bisogno, conosco perfettamente la strada…»
 
«Mi spiace ma la maestra Kitahara è stata categorica e non mi sognerei mai di deluderla. Le faccio strada verso un’uscita secondaria, per maggiore discrezione, sa»
 
Ryo non se la sentì di protestare; avvertì che era inutile controbattere con quell’impiegato così zelante – e capì perfettamente perché Eriko glielo avesse appioppato –. Fu costretto a dire addio al suo progetto di incursione al terzo piano e si lasciò sfuggire un sospiro desolato mentre lo seguiva.
 “Spero proprio che tu riesca a farti perdonare stasera Eriko, hai un bel po’ di cose da spiegarmi” pensò mentre usciva dall’elegante palazzo.
   
 
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