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Autore: Manto    03/11/2022    0 recensioni
Per coloro che fermano il tempo, non c'è mai una buona Sorte: buoni o malvagi, la Rovina tutti attende.
(Tanti auguri, mio adorato Olivier!)
Genere: Angst, Dark, Hurt/Comfort | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai | Personaggi: Astolfo Granatum, Mira, Olivier, Roland Fortis, Sorpresa
Note: Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
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DISCLAIMER

I personaggi sotto presentati non mi appartengono.
La storia è stata scritta senza scopo di lucro.



 

Il Lago Canterà di Noi


I ✹ Il Cavaliere e Il Giullare 

(Prima Parte)


{ And all the cool kids

Did their own thing

I was on the outside

Always looking in

Yeah, I was there but I wasn’t

They never really cared if I wasn’t }
 

Alone ⁓ Part II, Alan Walker & Ava Max






 

Austria, Marzo 1914.
In un quieto palazzo, qualcuno cresce.

 

A volte l’alba giunge nella sua stanza in veste di donna.
Esitante, eterea e quasi irreale negli abiti color pesca che rendono i suoi passi ancora più delicati di quanto già non siano, la pelle candida e i lunghi capelli color della notte, lasciati liberi di scivolare lungo tutta la schiena, la figura slanciata assomiglia molto a quella di Aude[1]; ma lo sguardo d’opale, carico dei colori delle ultime stelle e delle onde del mare attraversate dalla luce sempre più vicina, e i bagliori che esso emana gli rivelano immediatamente la verità.
Non sa né saprà mai dire perché Lei lo raggiunga come una visione, e nemmeno il motivo per cui non gli fa mai paura; semplicemente c’è, arriva e tarda ad andarsene, come a volersi accertare di essere percepita, e quando è sazia della sua attenzione si sfuma sulle pareti come leggera nebbia, fondendosi con gli affreschi che decorano la camera.
Non chiede nulla e nulla lascia: passa in visita, lo tiene sveglio per tutto il tempo che sosta, e quando se ne va lo abbandona a un sonno quieto, privo di immagini degne di essere ricordate: basta Lei come memoria.
Eppure, questa mattina l’Alba ha fatto di più: si è avvicinata fino al suo letto e, ciò lo ricorderà fino a quando un più profondo riposo non gli serrerà gli occhi per sempre, gli ha preso dolcemente il volto per girarlo verso la finestra, sull’ampia terrazza che si apre al di là della piccola porta e le cime degli alberi del parco di famiglia, e ancora oltre: qui, a non molta distanza dal palazzo e svelato dallo scintillio di calme acque, il lago Grüner See[2] ha cantato la sua novella nascita. Per quanto sia un marzo ancora freddo, giorno dopo giorno le montagne hanno ceduto l’annuale tributo alla primavera e riversato abbondanti lacrime nella conca, seppellendo alberi e sentieri sotto le onde e trasformando il paesaggio in una cornice variopinta atta a incastonare lo smeraldo di quelle profondità.
Tutto ciò gli è stato sussurrato dall’Alba, che ha aggiunto anche altro: la necessità, per quel giorno, di dimenticare i doveri del suo rango, di lasciare o semplicemente rimandare gli impegni di qualche ora, rinunciare agli obblighi della sua posizione, cedere anche l’aria severa e onorevole per una più serena boccata d’aria e una divertente, per quanto forse breve, gita in quel luogo di miracoli e ritorni che è Grüner See.
D’altronde, questa è anche una promessa che ha fatto ad Aude tempo fa; quale miglior occasione per rispettarla?
Per tale motivo si alza ancor prima del solito e dimentica i dipinti che ogni giorno contempla, e va a cercare sua sorella; ma alla fine, davanti alle imprese di cavalieri dal cuore immacolato, serpeggiare di draghi e comparire d’incantati castelli che i capostipiti della sua famiglia hanno fatto ritrarre sugli splendidi soffitti e lungo i sinuosi corridoi del palazzo, è lei che trova lui e che, per quanto abbia ancora gli occhi gonfi di sonno e le trecce sfatte dopo la lotta con lo stesso cuscino che tiene tra le braccia, gli rivolge un sorriso misto a un vigoroso sbadiglio.
«Buongiorno. Non è un po’ tardi per essere ancora così assonnate?»
«Buongiorno a te, fratellone caro. Non è un po’ presto per iniziare a tiranneggiare? Il nostro tutore svolge già egregiamente questo compito.»
«Sarà, eppure ti ricordo che oggi non ci sarà alcuna lezione.»
Un altro sbadiglio, quindi Aude lancia il cuscino verso l’alto e lo riprende al volo con aria soddisfatta, prima di fare un giro su sé stessa e strofinare la gota contro il guanciale. «Ecco, allora vedi di non prenderne te il posto. E se Vostra Signoria me lo permette, ora me ne torno a letto: mamma e papà sono partiti prestissimo stamattina, e in cortile tutti hanno fatto una confusione terribile. L’Arciduca si è rivelato molto mattiniero… che cosa avrà di così importante da discutere per radunare i nobili con tanta fretta? Ieri sera papà era piuttosto agitato…»
Il fratello non risponde immediatamente né muta espressione, ma si accontenta di accarezzare la testa arruffata della ragazzina e di darle un lieve bacio sulla fronte, prima di dirigersi verso le cucine. «Non pensare alle questioni dei grandi e vai a vestirti, piuttosto. Oggi la giornata è tutta per noi e ho intenzione di portarti in un bel posto…»
Aude sgrana gli occhi di peridoto[3] e per la sorpresa fa cadere il cuscino, che riprende con qualche esitazione mentre fissa l’altro. «Davvero? Non… non stai mentendo, no? Tu che ti concedi di svagarti… Olivier!»
L’altro si ferma per lanciarle un’occhiata da sopra la spalla e un sorriso obliquo, che lei conosce bene: è il loro gesto di complicità accordato da anni, e nessuno dei due si è mai permesso di ingannarlo. Insomma, il rampollo maggiore della Casa d’Ossidiana non le sta mentendo, e per questo la ragazzina lancia uno strillo entusiasta e si rinchiude nella propria camera per prepararsi al meglio.
Mentre le rivolge un ultimo sguardo, Olivier sente l’impulso di seguirla per prendere un po’ della sua spensieratezza, ma si trattiene e prosegue la sua strada.
Lo stuolo famigliare di cuochi, camerieri, attendenti e persone fidate è già operativo in tutte le sale del palazzo e all’apparire del giovane signore ognuno di loro china il capo con deferenza, senza mancare il saluto mattutino. Olivier risponde a tutti e si cura di ogni aspetto della giornata, predisponendo il necessario per la gita e indicando i compiti di ciascuno in sua assenza, e dopo essersi assicurato che durante quelle ore di svago tutto procederà secondo il suo normale e giusto ritmo, si concede di raggiungere Aude in sala da pranzo.
Invece della ragazzina, trova ad attenderlo i raggi del sole che inondano la tavola e lo scranno vuoto del padre, scostato per accoglierlo, con il posto a esso corrispondente già apparecchiato e una lettera posata sul piatto, rivolta a lui. Come prospettato, il duca non gli ha lasciato incombenze tali da impedirgli di prendersi parte della giornata per sé e Aude; ma non è questo il motivo per cui, finita la lettura del breve scritto, il ragazzo si ritrova inquieto e ansioso di lasciare il palazzo. Volente o meno, con grandi e gravosi pesi sulle spalle o lievi obblighi, in questo giorno la casa e tutto ciò che significa è nelle sue mani; compreso l’invito a rendere onore ai propri doveri, i quali, al giungere del tramonto, prenderanno forma e sostanza nella duchessa Cristina di Vienna e nel rispetto dei progetti che il capostipite della famiglia ha per i propri figli.
Quindi ci siamo; il momento è giunto[4]. Lo sapevi, non si può più scappare ora… lo sapevi.
«Fratellone… Olivier, è successo qualcosa di grave? Sei pallido.»
Il giovane si accorge di aver fissato la lettera per lunghissimi minuti solamente quando il pendolo alle sue spalle suona l’ora nuova e fa rimbombare la notizia ovunque, e allora, alzando lo sguardo, incontra gli occhi sgranati di Aude e la lieve preoccupazione che le segna il volto. 
Per quanto lui sia svelto a mutare l’espressione, che immagina contrita, sua sorella continua a guardarlo con la certezza di aver colto qualcosa. Non per nulla è il membro della famiglia che più lo conosce. «No, niente d’importante. Non ti preoccupare», replica tuttavia Olivier, lasciando cadere il resto del discorso nel vuoto appena prima che il maggiordomo personale di suo padre faccia il suo ingresso in sala alla testa dello stuolo di camerieri, e la colazione inizi a essere servita.
«Ho appreso dei piani di Vostra Signoria per la mattinata», lo informa l’attendente, badando a che anche Aude possa sentire, «e non posso che essere d’accordo con essi. Un poco di svago e aria fresca vi farà bene, ma ricordatevi gli impegni della giornata: la venerabile duchessa Cristina giungerà in tarda serata, ma una parte del suo corteggio l’anticiperà fin dal primo pomeriggio. Il duca ci ha dato precise indicazioni in merito…»
«Lo so», mormora Olivier, provando ad appoggiare la schiena contro la sedia, rigida e giudicante come il suo solito occupante, e socchiudendo appena gli occhi mentre rinuncia all’impresa. Dietro alle tempie sta sorgendo uno dei suoi noti mal di testa, destinato solo a peggiorare. «Sarò alle altezze delle aspettative di mio padre.»
Ma non è quello che desideri davvero, Olivier.
Perché non ascolti mai te stesso?
Come prima non ha risposto realmente alla sorella, così il ragazzo tace anche verso la voce dentro di sé; stringe appena la lettera tra le mani, desiderando quasi di vederla scomparire sotto il sole che danza su pietanze, ebano e marmi, e lascia che sia Aude a deviare l’attenzione su altre questioni e sciolga dolcemente la tensione che rischia di avvelenare tutta la giornata. Ora lui comprende più chiaramente perché l’Alba lo abbia spinto a lasciarsi tutto quello alle spalle per qualche ora: quando farà ritorno, la sua mente sarà più distesa e forse il cuore riuscirà ad accettare il futuro con maggiore serenità, anche se non è stato scelto da lui…
Anche se non ci sarà ritorno da esso…
Anche se il sole ha già perso parte della propria forza e sembra ritrarsi mestamente dalla sala, anima chiusa e mormorante su un sentiero di nebbie.

«… Cosa?»
Un’immensa lastra azzurra, dalle sfumature bianche e grigie che scorrono come onde su una superficie compatta e perfetta, estesa fin dove lo sguardo possa posarsi, li osserva placida. Per qualche misteriosa ragione, l’acqua è colata dalle alte vette e ha riempito la conca, sepolto alberi e germogli, e si è nuovamente solidificata in un disegno freddo e liscio.
Grüner See non scintilla di onde, ma esse scivolano tutte sotto il ghiaccio che inghiotte le loro espressioni sbigottite con la voracità di una creatura a digiuno da troppo tempo e si riveste di ogni cristallino bagliore che lo raggiunga.
Uno spettacolo diverso da quello che si aspettavano, tuttavia intessuto da incanto: così infatti sussurra loro il vento che allontana le già poche nubi del cielo e porta profumi di una primavera quasi completamente giunta, anche se qualcuno non sembra lasciarsi convincere del tutto dalla malia.
«Un bel problema», sussurra infatti Olivier, già corrucciato, mentre alza appena il bavero del cappotto blu e s’inginocchia sul bordo del lago, dove terreno e ghiaccio s’incastrano perfettamente scomparendo l’uno nell’altro. Non uno scricchiolio lascia la lastra quando il giovane vi passa sopra le dita guantate, né quando Aude lo supera e prova a fare a qualche passo esitante sul bianco disegno, avanzando sempre più coraggiosamente; nessun segno di cedimento o rumore che possa destare preoccupazione.
Felice di essere stata accettata da un mondo così fragile e resistente insieme, la ragazzina si dà una leggera spinta e, scivolando senza una sbavatura, ritorna indietro per buttarsi tra le braccia del fratello e ridere piano. «In verità, direi che va bene anche così», risponde al precedente commento di Olivier, mentre torna saltellando al punto dove hanno abbandonato tutto quello che hanno portato con loro e, tra cestini e coperte, prende un piccolo sacco di tela bruna che porta immediatamente al ragazzo. «Evidentemente, qualcuno al palazzo sapeva già.»
Con un’espressione di trionfo nel volto bellissimo, Aude estrae un paio di pattini bianchi, dalla lama affilata come quella di un rasoio, e li mostra all’altro, che in risposta incrocia le braccia e la squadra con sguardo severo, pronto a frenare e, se necessario, proibire. «E questi da dove spuntano? Credevo avessi smesso di pattinare da anni.»
«Non ti sbagli, è così; e no, non sono miei. Me li ha allungati una delle cameriere, dicendo che per dove saremmo andati, probabilmente mi sarebbero stati necessari… e ha avuto ragione! Li voglio provare subito!»
«Aude…»
La giovane rivolge ogni luce dei propri occhi a Olivier, ma in essi c’è ben poca preghiera e molta più sicurezza di sé, che irraggia da lei quasi sia il sole stesso e tocca il mondo intorno; non ha bisogno di parlare, e il fratello rinuncia presto a replicare. Non sono giunti fino a lì per litigare, dopotutto. «Ti tengo d’occhio», mormora soltanto, resistendo almeno su una posizione; «Non ti sto chiedendo di non farlo», è la replica della ragazzina mentre si siede a terra e infila i pattini che, quasi a prendersi gioco di lui, le calzano perfettamente; poi, il volto illuminato da un’idea improvvisa, se li toglie ― ma non per rinunciare ai suoi propositi, come il giovane osa sperare per un paio d’istanti, bensì per renderli ancora più grandiosi. «Aspetta un attimo! Perché non andiamo al Grande Ponte? Lì il lago è ancora più bello», prorompe, prendendo per mano il fratello e trascinandolo con sé in una corsa sfrenata, viva e libera.
Da questo momento, tutto sembra iniziare a girare e galoppare troppo velocemente per i gusti di Olivier: le danze di Aude sul ghiaccio sfuggono ai suoi sguardi, le risate inafferrabili, il vento che sembra volergli entrare tutto nei polmoni e nelle orecchie, perfino i colori del cielo che paiono fondersi e rimescolarsi in giochi che non riesce a trattenere a lungo nella mente: la realtà danza freneticamente, ma lui rimane fermo; e in breve si sente fuori posto, distante, staccato a forza.
Non c’è una motivazione per scusare l’occhiata accigliata che lancia a sua sorella quando questa gli fa una linguaccia e compie un altro aggraziato volteggio sul lago; non ha alcun senso il sordo sentore di allarme e agitazione che gli pungola la gola, ma che non riesce a far combaciare con l’arrivo della duchessa Cristina. Che cosa c’è che non va ancora?, pensa mentre si stringe nel cappotto fin troppo leggero per la giornata, e sospira alzando lo sguardo al cielo e osservandolo come se i suoi occhi potessero penetrare l’atmosfera, per poi salire fin nel grembo del buio Spazio.
Il sole emette tutto il calore che può, tuttavia è ancora presto perché raggiunga le ossa e il cuore; e l’aria si fa sempre più pungente, intessuta di cristalli ghiacciati, divenendo spessa e pesante come una coperta bagnata.
Il giovane fa per richiamare Aude e dirle che si avvicina il momento di rientrare, ma un frullo leggero, proveniente dall’orizzonte, gli spezza le parole ancor prima che possa esprimerle: improvvisamente, la sua attenzione viene totalmente rapita da un volo di cigni che compare lontano e che, mentre si avvicina con tutta l’eleganza che gli splendidi animali hanno nel sangue, divide la volta celeste in due metà perfette.
Olivier segue il loro percorso per intero, girandosi per guardarli abbassarsi con grazia verso una macchia del bosco, dove probabilmente l’acqua non si è congelata e attende di accoglierli; non dovrebbero essere lì, considerando la rigidità del clima, eppure qualcosa deve averli attirati con forza…
Così come in lui è forte, anzi violento e quasi animalesco, il desiderio di seguirli e osservarli ancora.
Già una volta è successo: anni prima, proprio su quelle sponde e durante una battuta di caccia, suo padre catturò uno splendido esemplare di cigno e lo portò alla grande villa come il migliore dei trofei.
Il ragazzino di allora rimase per ore sulla terrazza antistante la camera da letto, a fissare il bianchissimo animale aggirarsi sconsolatamente nella gabbia di legno in cui lo avevano rinchiuso e a guardare continuamente verso il lago, il luogo dove avrebbe dovuto stare; preda di un timore colmo di rispetto e tristezza, lui non osò scendere in cortile per osservarlo meglio, ma quando il duca lo espose, vivo, nella sala da pranzo e tutti gli abitanti della casa e gli ospiti poterono valutarne l’immensa bellezza, intere portate passarono sotto il suo naso senza che lui le toccasse: tale era il suo rapimento per la creatura.
Il cigno rimase a capo chino per tutto il tempo, il lungo collo ripiegato e l’occhio nero che pareva tremare alla luce dei lampadari; mentre lo fissava a bocca aperta, Olivier quasi poteva sentire su di sé tutto il terrore che provava, la confusione e la pena, e una lacrima sfuggì anche a lui l’unica volta in cui i loro sguardi si incontrarono e il ragazzino comprese che era davvero così: il cigno soffriva, più per la malinconia e la separazione dal suo ambiente che fisicamente, e questo straziava fin nell’anima.
Il giorno dopo, il duca liberò il cigno senza togliergli neppure una piuma, sazio dello spettacolo che questi aveva offerto e ormai disinteressato alla sua sorte; solamente allora Olivier si permise di respirare, anche se dovette riconoscere che pur non condividendo il gesto del padre, una parte di sé aveva desiderato entrare in possesso di quella meraviglia: il leggiadro animale capace di essere sia elegante che aggressivo, ammirevole quanto pericoloso, lo incantò a tal punto che per giorni non pensò ad altro…
… E quella malia sta ritornando tutta ora, come una voce che continua a chiamarlo là dove gli uccelli si sono posati, a non molta distanza dal luogo dove si trova: non deve nemmeno faticare nella sua ricerca, ma solamente seguire il percorso. La strada è tutta davanti a lui.
«Non ti allontanare troppo, d’accordo? Rimani dove sei. Torno presto.»
Il tono di Olivier trema, è incerto come il suo possessore, echeggia intorno come a fendere il vuoto e in verità sembra essere solamente un sussurro; il ragazzo teme che sua sorella non lo abbia sentito, né che lui riesca a ripetere, e quindi si volta verso di essa…
Ma lei non c’è più.
Così come il lago, e qualunque cosa lo circondi: cielo, ponti, strade, tutto è scomparso alla sua vista. O meglio ― e simili sensazioni non sbagliano mai ― è lui a essersi così allontanato dal sentiero da finire per smarrirsi.
Il cuore della foresta: è il nero, intricato e sempre attento folto degli alberi, antico come il desiderio umano, a chiudere le braccia sopra il suo capo e a scacciare la poca luce che osa penetrare nella cattedrale scheletrica di rami ritorti e inascoltate preghiere di primavera; e la luna è lontana, incurante, ghignante.
Il suolo, ricoperto di erba scura, cespugli pieni di gonfi fiori sanguigni e spine avvelenate come denti di vipera, rilascia una lieve voce cantilenante: non è il suono di una filastrocca spensierata, non è un gioco né un’illusione, e fa così paura da desiderare l’arrivo della Grande Fine. «Sicuro di volere tutto questo, Olivier?», mormora infine essa, scivolando sotto ai suoi piedi con un battito continuo.


NOTE

[1] Nel ciclo carolingio, Aude è la sorella minore di Olivier e la sposa di Roland… anche se in questa storia si avranno altri piani per lei.

[2] Il Grüner See è un lago austriaco famoso sia per le sue splendide acque verdi, sia per il fatto che “esiste” solo in primavera e nel mese di giugno, quando le nevi delle montagne che lo circondano si sciolgono e riempiono la conca ricoprendo i ponti, gli alberi e i fiori che per tutto il resto del tempo popolano la zona e che vanno a formare il Parco di Tragoess.

[3] Il peridoto è una gemma color verde chiaro, come gli occhi di Olivier. Mi è immediatamente piaciuta l’idea di rendere tale colore degli occhi il marchio distintivo della famiglia.

[4] Questa scena prende spunto da una nota della Mochizuki sulle relazioni tra Olivier e le donne, dove si dice che il ragazzo ritiene che prima o poi il proprio padre combinerà per lui un matrimonio e che si è ormai rassegnato all’idea.

 

ANGOLO DI MANTO

Salve!
Questa storia doveva iniziare a essere pubblicata il 19 Agosto (chissà per quale compleanno…), ma troppe cose hanno impedito tale esito, e quindi eccoci qui.
L’idea di dare origini austriache alla famiglia di Olivier mi è stata suggerita da “Il Cavaliere Inesistente” di Italo Calvino, dove viene citato un Ulivieri da Vienna tra i paladini dell’esercito di Carlo Magno.
Il cigno, invece, sarà una costante di questa storia; ma vedrete a quale figura assocerò l’animale, eheh.
Mi impegnerò ad aggiornare questa storia con regolarità, ma conoscendo i miei tempi preparatevi a tutto! *Incrocia le dita*
Un abbraccio,
Manto

 
   
 
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