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Autore: Diana924    03/11/2022    1 recensioni
1603: la piccola Elizabeth Stuart scopre con meraviglia che suo padre ha finalmente ereditato la corona d'Inghilterra.
Assieme alla madre e all'amato fratello Henry parte dunque per l'Inghilterra, scoprendo che la sua posizione di figlia del re ha in sé più svantaggi che vantaggi
1618: Elizabeth è moglie, madre e regina. Quando i boemi hanno offerto a suo marito la potente corona di Boemia Federico ha subito accettato. Elizabeth è pronta a condividere la gloria del marito ma non immagina che quello è solo l'inizio della fine
1660: Elizabeth ha ormai perso le speranze quando una notizia improvvisa le apre nuove prospettive, suo nipote Carlo è divenuto infine re e lei può tornare a casa, peccato che lasciare l'esilio è più difficile del previsto
Genere: Angst, Drammatico, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Epoca moderna (1492/1789)
Capitoli:
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Theobalds Palace, 1603:
 
Degno di un re pensò quando scese dalla carrozza.

Non avevano mentito quando gli avevano descritto la magnificenza della residenza estiva di Cecil, quel nano possedeva realmente un palazzo degno di un re. Un servitore possedeva quel palazzo e non aveva mai pensato di donarlo alla corona, uno scandalo.

Gli inglesi erano stupidi, stupidi e orgogliosi ma ci avrebbe pensato lui a raddrizzarli si disse, gli occhi scintillanti per l’invidia. Non avevano fatto che accoglierlo con fiori e ghirlande come se fosse stato un inviato del cielo e in un certo senso lo era. I re non erano come i comuni mortali, erano speciali, i figli prediletti di Nostro Signore ed erano infallibili, esattamente come il re di Francia che tanto ammirava. Lui glielo aveva sempre detto. Era per merito suo che aveva capito quanto eccezionale fosse il ruolo che rivestiva e come per questo motivo fosse libero di fare tutto quel che voleva. Avrebbe amato averlo accanto a sé per condividere quel trionfo ma glielo avevano portato via… quegli ingrati glielo avevano portato via ignorando quanto lo amasse, ma avevano pagato, avevano pagato tutti per quell’affronto.
I suoi nobili non gli avevano reso la vita facile ma sarebbe stato facile domare gli inglesi, dieci inglesi non facevano uno scozzese e se ne sarebbero resi conto a suo tempo.

Tutti quegli omaggi, quei discorsi, quel calore… tutta quella accoglienza era disgustosa, e pensare che il suo unico scopo era quello di riempirsi le tasche, e così avrebbe concesso ai suoi nobili. Quel trono era suo di diritto e lo avrebbe sfruttato meglio che poteva, ora che la vecchia era finalmente crepata nessun ostacolo si frapponeva tra lui e la corona d’Inghilterra.

In quanto al resto… beh, gli inglesi cominciavano a capire. Le prime notti si era dovuto accontentare del piccolo Johnny, così devoto e abile, ma già alcuni lord avevano cominciato a presentargli figli e nipoti, infingardi e ipocriti, almeno i suoi puritani avevano resistito per anni prima di adeguarsi ai suoi… piaceri particolari.

Si chiese se Cecil avesse provveduto, il nano non era stupido e doveva pur conoscere le sue preferenze, chissà se gli avrebbe fatto trovare un regalo quella notte. Esattamente come i suoi nobili quando si recava da uno di loro, protestavano tanto ma poi la sera gli inviavano sempre un paggio, un nipote, un cugino povero o addirittura un figlio perché passasse la notte con lui. E lui la mattina seguente decideva come premiarli, in base a come si era comportato il ragazzo, se era di quelli che avevano bisogno di qualche regalo, di quelli timidi, dei fintamente timidi o degli spudorati che gli si facevano trovare a letto con le gambe più spalancate di quelle di una puttana del porto di Edimburgo.

<< Mio re, benvenuto a Theobalds Palace >> lo salutò Cecil che assieme alla servitù lo attendeva al portone principale poco prima che lui facesse segno al suo seguito di seguirlo il prima possibile.

<< Avevano ragione: un luogo degno di un re >> disse a voce abbastanza alta perché tutti capissero le sue intenzioni. Arrivarci era stato più complicato del previsto ma prima che Cecil glielo regalasse sarebbe stato opportuno che vi facesse dei lavori [1].

<< Mi onorate, mio re >> replicò il nano prima di farlo passare, gli sarebbe piaciuto abitare lì, oh se gli sarebbe piaciuto. Fu allora che lo notò.

Giovane, non doveva avere ancora vent’anni, capelli rossi come i suoi e quelli della sua famiglia boccoluti come quelli di un angelo. Il fisico appariva scattante, gli occhi vivaci e quella bocca prometteva meraviglie si disse rimirando il bel giovane che aveva catturato la sua attenzione [2].

<< L’onore è mio Cecil, ora mostratemi questo banchetto >> ordinò, prima il mangiare e poi si sarebbe occupato di altro. Fece cenno a John di avvicinarsi, era il momento di cambiare qualcosa tra gli uomini del suo entourage.

<< È il momento che tu prenda moglie >> si limitò a dirgli e vide l’altro sbiancare, almeno era un ragazzo intelligente.

<< Mio signore… voi sapete che io vivo solamente per servirvi >> replicò John. Oh se lo sapeva, lo sapeva fin troppo bene e aveva approfittato a piene mani di quella devozione ma ora era il momento di guardarsi intorno, un re non poteva avere un unico favorito. Un tempo sarebbe stato diverso ma non aveva mai amato nessun’altro come amava lui. La notte spesso lo sognava, bello come quando lo aveva visto per la prima volta, carismatico come quando gli consigliava come comportarsi e impetuoso come quando gli aveva mostrato che i suoi desideri potevano e dovevano essere soddisfatti, quel meraviglioso piacere gli aveva donato per quelle poche notti.

<< Puoi farlo anche prendendo moglie >> si limitò a rispondere, lui era sposato ma il matrimonio non gli aveva mai impedito di seguire le proprie inclinazioni. Anna sopportava in silenzio come una brava moglie e lui fingeva di non vedere come si stesse lentamente facendo sedurre dal papismo, che coppia meravigliosa erano.

<< Mio signore, non vorrei insistere ma ricordate che io so cosa è successo a Gowrie >> lo provocò John, quello era troppo. Maledetto ragazzino ingrato, come si permetteva di minacciarlo così? Gli doveva moltissimo, gli doveva la vita ma non per questo doveva permettersi di credersi suo creditore in eterno. Sapeva però per quel motivo John aveva agito, non era stupido, l’altro durante tutto il tragitto di andata si era mostrato inquieto perché aveva sospettato cosa fosse accaduto ed era sicuro che quando aveva chiamato aiuto si fosse precipitato per dimostrargli la sua fedeltà e quanto fosse insostituibile. Si sbagliava, tutti erano rimpiazzabili, tranne lui che era il re e quindi l’inviato di Dio scelto per governare su i suoi sudditi.

<< So bene cos’è accaduto, e ti ho già ringraziato, ora vai a discutere con mio cugino Lennox dei dettagli riguardanti l’arrivo a Londra >> gli ordinò per levarselo di torno.

John per fortuna sapeva ammettere la sconfitta, Ludovic Lennox avrebbe capito che doveva toglierglielo di torno e avrebbe obbedito, maledetti nobili e le loro pretese

Cecil per fortuna aveva seguito il discorso senza farsi troppe domande, e se anche le avesse avute lui non avrebbe risposto ad alcuna di esse, l’altro doveva già sapere tutto, ne era sicuro.

Il luogo era indubbiamente meraviglioso e il solo pensare che l’altro glielo avrebbe regalato lo inebriava, aveva visto le imponenti foreste che circondavano la residenza, quanti pomeriggi di caccia incantevoli vi avrebbe trascorso si disse.

Fece cenno al suo seguito di imitarlo e ne approfittò per osservare meglio quel nuovo ragazzo.

Bello era bello, aveva l’aspetto di angelo, chissà come si sarebbe comportato una volta che fossero rimasti soli nelle sue stanze. Fece un segno a Ludovic e suo cugino il duca di Lennox lo raggiunse, i nobili inglesi li guardavano disgustati mentre il vino scorreva a fiumi e i suoi nobili mangiavano a sazietà. Che si credessero pure superiori, entro pochi mesi li avrebbero imitati, avrebbe mostrato loro chi era il padrone.

<< Informati su chi sia quel ragazzo, e poi portalo nelle mie stanze, con discrezione >> ordinò a bassa voce e Ludovic ghignò, non aveva mai avuto motivo di mentire con lui. Ludovic era il figlio dell’amore della sua vita [3], aveva sempre saputo a cosa dovesse la sua fortuna e non se n’era mai lamentato, devoto come pochi.

<< Il piccolo John se ne avrà a male, cosa devo fare con lui, Vostra Grazia? >> domandò il duca di Lennox.

<< Trovagli una puttana o uno stalliere, e offrigli un posto a corte da parte mia, soprattutto ricordargli come è arrivato dove si trova ora e soprattutto grazie a chi >> rispose lui poco prima che i suoi nobili si abbandonassero all’ubriachezza più sfrenata, questo era ciò che lui amava. La spontaneità, l’ebrezza, la gioia di vivere data dalla precarietà, tutte cose che gli inglesi avevano sfortunatamente dimenticato.
Correvano a vederlo perché avevano bisogno di lui gli avevano riferito, e ancora aveva impresso nella mente l’espressione scandalizzata di quei nobili altezzosi quando aveva risposto che allora si sarebbe abbassato le brache così avrebbero visto anche il suo culo, come si permettevano gli inglesi di disturbarlo durante la sua discesa trionfale verso Londra?

Almeno si stava divertendo e quella sera si sarebbe divertito ancora di più, assolutamente.
 
***
 
Philip era meraviglioso.

Il ragazzo era apparso sorpreso e meravigliato quando era entrato nella stanza, sembrava un topolino da come si guardava intorno con occhi spaventati. Aveva nondimeno accettato di bere con lui e poi il modo in cui lo aveva guardato… quello sguardo avrebbe sedotto un angelo.

Quando lo aveva baciato per la prima volta l’altro si era istintivamente ritratto, come se per lui fosse la prima volta. Aveva sorriso e poi aveva ripetuto il gesto e questa volta Philip aveva compreso cosa ci si aspettava da lui.

Si era rivelato esigente e desideroso di dispensare piacere, dopo appena dieci minuti aveva capito cosa fare, se non fosse stato per la sua esperienza con i giovanotti avrebbe potuto pensare che l’altro fosse realmente esperto. L’inesperienza però faceva da contralto ad un corpo che reagiva ad ogni tocco e a un desiderio che l’altro doveva ancora imparare a sfruttare al meglio. Si era rivelato un giovane smanioso di compiacerlo e che come tutti i giovani era disposto a tutto pur di fare carriera in quella corte.

E a lui giovanotti simili erano sempre piaciuti pensò prima di muoversi in direzione della finestra più vicina.

<< Mio signore, qualcosa vi turba? >> gli domandò Philip con voce impastata dal sonno e lui sorrise. Philip aveva una voce meravigliosa, specialmente mentre lo fotteva, quali dolci versi era stato capace di tirare fuori in quei momenti, e tutti per lui, solo per lui.

E per il Gentleman of Chambers anche se… bisognava pur favorire gli inglesi in qualche modo pensò [4]. Era sicuro che anche John avesse sentito tutto, col timore di poter essere sostituito. E lo avrebbe sicuramente fatto, per quanto John credesse di essergli indispensabile era il momento di ricordargli che lui era il re e aveva bisogno solamente di Iddio, non certo di un suddito anche se aveva reso enormi servizi alla corona.

<< Nulla che ti riguardi o che possa tenere impegnata la tua bella testolina >> rispose prima di avvicinarsi a lui. Quei capelli così in disordine, quegli occhi vivaci e quelle labbra gonfie, quante sciocchezze avrebbe fatto per quel giovane, e lui ne avrebbe fatte altrettante per lui.

<< Mio signore… io… cosa volete che faccia? >> domandò Philip, così timoroso e così ansioso di compiacerlo.

<< Tu cosa vorresti? >> gli rispose di rimando prima di togliersi dal dito un anello e allungare la mano nella sua direzione. Nessuno di quei giovanotti lo aveva amato per sé ma solamente perché era il re e poteva portare loro dei vantaggi, solamente una persona lo aveva amato per quello che era.

Gli sembrò di vederlo, bello, aitante e comprensivo, quel bellissimo uomo di quarant’anni che aveva avuto fiducia in lui e lo aveva aiutato a diventare un uomo. Esmé gli aveva insegnato tante cose, Esmé gli aveva insegnato come comportarsi da re, Esmé gli aveva insegnato come baciare e come prendersi il proprio piacere, Esmé lo aveva amato perché amava la sua persona, non perché era il re di Scozia. Aveva trovato un fanciullo di tredici anni terrorizzato anche dalla propria ombra e lo aveva trasformato in un re.

<< Solamente servire Vostra Maestà e… >> il ragazzo abbassò lo sguardo, che furbastro pensò lui divertito.

<< Parla pure, voi inglesi siete sempre così timidi >> lo incalzò curioso prima di sedersi sul letto accanto a Philip che arrossì.

<< Mio signore… vorrei che mi faceste ancora quelle cose. Non avevo mai e… era così bello e voi… oh mio re >> mormorò Philip prima di baciarlo per primo. Sorrise mentre lo faceva distendere, gli occhi liquidi di desiderio e le mani curiose che lo toccavano ovunque.

Si sarebbe indubbiamente divertito a Londra pensò, doveva solo assicurarsi che quel ragazzo restasse con lui e sapeva esattamente come.

<< Mio signore… oh mio signore… è bello… è tutto così bello… baciatemi mio re… vi scongiuro >> lo supplicò Philip e lui obbedì prima di fargli scivolare l’anello sul dito, ogni puttana meritava un pagamento e Philip era indubbiamente una puttana di talento. Avrebbe trovato un sistema per tenerselo vicino, sicuramente c’erano una o due cariche a corte che poteva fingere di conferirgli, poi ovviamente sarebbe stato a sua disposizione ma bisognava salvare le forme.

La sua povera madre questo non lo aveva mai capito ed era finita sul patibolo per quello dopo aver perso la corona e la reputazione. Aveva raccolto voci su che razza di uomo fosse suo padre ma ucciderlo per poi fingere di essere rapita dall’amante era stato eccessivo. Buchann gli aveva riempito la testa di odio verso sua madre e non riusciva a pensare lei senza una punta di puritanesimo ma le era grato per essersi eliminata da sola e aver contribuito a renderlo re.

La corona della vecchia era il risultato di anni di lavoro, di sua madre incarcerata, del nonno morto di dolore e del padre di suo nonno morto sul campo di battaglia, finalmente uno di loro avrebbe cinto la corona d’Inghilterra e gli inglesi si sarebbero dovuti inchinare a lui, che lo volessero o meno. E se non lo volevano ci avrebbe pensato lui, quei damerini erano nulla rispetto ai suoi riottosi laird.

 
Hampton Court, 1619:
 
Gli portarono la notizia poco prima del consiglio.

Sapeva che non ne sarebbe venuto fuori niente di nuovo, lui li aveva avvisati ma loro avevano deciso di fare di testa propria ed ecco le conseguenze, come se non avesse già abbastanza problemi. Era riuscito da poco a liberarsi definitivamente di Robbie e per cosa? Per ritrovarsi con una figlia degenere e un genero stupido?

Per fortuna c’era George, quella notte lo avrebbe sicuramente convocato nelle sue stanze.

Aveva provato ad avvisarli ma quei due erano giovani, testardi e credevano che la vita fosse come una ballata. Che non pensassero di tornare da lui una volta che i loro stupidi sogni si fossero infranti sulle baionette di Ferdinando, avrebbe dato ordine di chiudere i porti pur di non vederli.

Si era liberato dei papisti, di quell’intrigante di Arbella e di Robbie, si sarebbe liberato anche di sua figlia se necessario. Annie avrebbe capito, sua moglie non aveva amato le decisioni di sua figlia e odiava doverle dare ragione, per fortuna essendo morta non l’avrebbe mai saputo.

Per quanto si trovasse a suo agio con baby Charles, principalmente perché il nuovo principe di Galles essendo balbuziente odiava perdersi in conversazioni, detestava dover avere a che fare con il consiglio reale. Esattamente come il parlamento quei signori lo annoiavano e lo indisponevano oltremodo, villani e arroganti. Come si era ridotto, a dover chiedere denaro a quei signori, che vergogna.

 Prima se n’era occupato Salisbury e il nuovo lord cancelliere era come tutti i filosofi: bravo solamente a parlare.

Erano già tutti al proprio posto pensò osservandoli, all’apparenza rispettosi ma in realtà pronti a pugnarlo alle spalle, razza di ingrati.

<< A che punto sono i preparativi per il corpo di volontari? >> domandò prima di fare cenno agli altri di sedersi.

<< A buon punto, Vostra maestà, tuttavia il popolo si chiede se non sia possibile inviare altri uomini, è pur sempre una causa santa quella di vostra figlia la regina di Boemia >> gli fu fatto notare, ingenui e anche stupidi.

<< Con che denaro? Il Parlamento parla tanto ma poi quando si tratta di donare per la causa si comporta peggio di un mercante. Il popolo parla tanto ma non ho visto file di giovani pronti ad arruolarsi >> fece notare lui.

Avrebbe potuto imporre nuove tasse ma solo il parlamento aveva il potere di approvarle e lui non le avrebbe certo sollecitato. Quei folli non capivano il pericolo ma per fortuna lui era abbastanza lungimirante per tutti. Una corona era tale solo se data da Dio, se consegnata dal popolo era solo un misero copricapo e così com’era stata data poteva essere tolta. Aveva scritto a suo genero di non accettare, di attendere il parere dell’imperatore, si era proposto come mediatore e aveva consigliato prudenza, tutto pur di non creare un precedente che un giorno avrebbe potuto perderli tutti. Re Enrico Tudor aveva raccolto la corona d’Inghilterra da un campo di battaglia, re Enrico di Francia l’aveva ricevuta quando un monaco pazzo aveva ucciso suo cugino, re Filippo si era preso con la forza quella del Portogallo ed era così che si faceva, non con il popolo che decideva, che oltraggio, di conferire corone a destra e a manca.

Federico ed Elisabetta però erano giovani, avevano pessimi consiglieri e avevano scoperto che la popolarità non diventava denaro per puro miracolo. Esattamente come lui aveva temuto l’Unione Evangelica non aveva mandato un soldo, ancor meno uomini e si era limitata a vuote parole di assenso e solidarietà, i tedeschi erano sempre pronti ad approvare ma poi quando intuivano che uno di loro rischiava di diventare troppo potente si coalizzarono contro di lui, esattamente come gli italiani. E tra Ferdinando d’Asburgo e Federico del Palatinato il più pericoloso era il secondo, specie da quando gli ungheresi avevano pensato di imitare i boemi. Ma quello non era un suo problema, nient’affatto e che non lo coinvolgessero, lui li aveva avvisati e ora che se la cavassero da soli.

<< Potremmo imporre nuove tasse >> fece notare Bacon. Come se non conoscesse le sue due grandi passioni: i ragazzi e il denaro. Il lord cancelliere rubava a man bassa e se credeva di farlo fesso allora non lo conosceva, aspettava solo che fosse qualcun altro a denunciarlo, non si sarebbe privato di un collaboratore così capace senza almeno due delazioni. Inoltre Bacon doveva ancora scontare la sua fedeltà al piccolo Henry e lasciarlo vivere col timore che potesse gettarlo nella Torre era oltremodo divertente, doveva trovare qualche parola di minaccia adeguata.

<< Vi ricordo, lord cancelliere che il parlamento ha votato per non concederci nuovi fondi, se davvero tengono a questa guerra versino loro la somma necessaria >> replicò divertito, branco d’idioti rottinculo.
<< Basta che diate l’ordine mio signore e l’Inghilterra si riverserà in Boemia per difendere la Vera Religione >> intervenne George, impetuoso come tutti i giovani pensò divertito, quella notte si sarebbe divertito a vederlo cavalcare.

<< E io invece non ho intenzione di dare un ordine simile. Che i giovani partano pure, ma il lord dei Cinque Porti ha ricevuto l’ordine di non far partire nessuna nave >> dichiarò lui divertito.

<< Vostra Maestà, l’onore dell’Inghilterra ci impone di correre in aiuto della regina di Boemia prima che l’Asburgo contrattacchi >> intervenne una nuova voce, ora si che si sarebbe divertito lui pensò.

<< Gabor Bethlen si è appena proclamato re d’Ungheria e Ferdinando sta ammassando un esercito, per non dire di suo cugino il re di Spagna che gli manderà un esercito passando per i Paesi Bassi spagnoli. O è suo cognato? O suo nipote? Con gli Asburgo non ci si capisce mai nulla, hanno la brutta abitudine di sposarsi tra di loro >> dichiarò lui e si godette il silenzio misto a terrore che piombò su quella sala, adorava stupire i suoi ministri e mostrare quanto disprezzava gli Asburgo, spagnoli o tedeschi, non faceva mai male. Aveva proposto loro Henry, il suo brillante ragazzo, ma quei pervertiti avevano rifiutato, se avessero accettato almeno Elizabeth adesso non avrebbero avuto quel problema. Conosceva sua figlia, era ambiziosa esattamente come lui e come sua nonna, quel fesso che aveva come marito dipendeva in tutto e per tutto da lei.

Le aveva proposto magnifici partiti per anni, cattolici ma realmente importava? Sarebbe divenuta regina e dei troni più prestigiosi ma quella piccola ingrata li aveva rifiutati tutti perché odiava il pensiero di convertirsi al papismo, stupida ingrata. E per sposare chi? Un patetico tedesco che non era nemmeno così importante!

Certo, era un elettore e a capo dell’Unione Evangelica ma si era visto quanto potere avesse quella stupida lega. Il ragazzo si accontentava di poco ma non sua figlia, nella loro famiglia nessuno si era mai accontentato e lei aveva voluto tutto: l’amore e una corona. E ora forse avrebbe mantenuto il primo ma stava per perdere il secondo, ne era oltremodo sicuro.

<< Padre mio, è il momento migliore per colpire, fate partire i volontari e il kaiser contro di noi e contro gli ungheresi non potrà nulla >> dichiarò il principe di Galles infervorandosi, almeno la sua balbuzie spariva quando si prendeva un argomento a cuore.

<< Non siate stupido, Altezza Reale. Il kaiser ha armi, denaro e il Tilly, ho offerto la mia mediazione [5] ma non oserò altro, se il popolo pensa di poterci consegnare corone a piacimento allora ci pensi il popolo a difendere i suoi re >> rispose lui guardando suo figlio con aria di sfida.

<< L’Elettore Palatino ha accettato una corona dai boemi, e se vedendo l’armata imperiale i boemi decidessero di toglierla? E se gli inglesi facessero lo stesso? Vi piacerebbe perdere i vostri diritti perché il popolo ha deciso che Maurizio di Nassau è un re migliore di voi? Non possiamo permettere che simili precedenti vengano accolti pertanto mia figlia e suo marito imparino a cavarsela da soli >> aggiunse guardando negli occhi suo figlio, conosceva fin troppo le sue debolezze. Insicuro, balbuziente, timido, suo figlio non era una delusione solamente perché non avrebbe permesso che diventasse tale. E ora era il momento di occuparsi di faccende serie, non di quella maledetta guerra in cui non voleva affatto venire coinvolto.

 
***
 
Si divertì ad osservarli dalla finestra.

Il principe di Galles aveva molti difetti ma era anche un uomo di fedeltà a tutta prova e che sapeva tenere fede alla parola data, a modo suo. Inizialmente aveva mal sopportato George, sicuramente incoraggiato dalle dame di quella bisbetica di Anna, ma poi era bastato che George fosse affascinante con lui e subito era caduto vittima del suo fascino. Fortunatamente erano solo amici, George conosceva benissimo il suo posto e adorava vedere come suo figlio e l’uomo che amava fossero amici [6].

Amore. Aveva inseguito quel sentimento per anni, perdendosi in mille abbracci e centinaia di volti mentre cercava di riportare a galla l’intensità che aveva provato per pochi mesi grazie ad Esmé e infine era lì. Quel giovane, bello come un dipinto, intelligente e devoto come nessuno era riuscito finalmente a farlo innamorare, non una passione o una semplice attrazione carnale, tra loro c’era di più. Era l’amore che aveva sempre aspettato, George era stato l’unico in grado di colmare l’assenza di Esmé e avrebbe fatto di tutto per lui. Di tutto tranne assecondare quella stupida idea dei volontari, innamorato si ma cretino mai.

Fece cenno ai due di raggiungerlo ed entrambi obbedirono, i suoi amati bambini [7].

Carlo era basso, come fosse possibile che il principe di Galles fosse basso quando sia lui che la sua defunta madre erano alti per non parlare della regina Maria era un mistero.
George lo aveva aiutato ad avere fiducia in sé stesso ma c’era comunque qualcosa in suo figlio che non gli piaceva. Quando era bambino aveva riconosciuto i suoi stessi tormenti e aveva cercato in maniera discreta di aiutarlo ma avevano due caratteri diversi e non era servito a nulla.

La morte di Henry era stata un duro colpo ma si era scoperto nel non provare nulla, tanto il suo primogenito gli aveva complicato al vita che sapendolo morto aveva gioito come quando ci si libera di un nemico e non sofferto come quando si perde un figlio.

<< I miei amati bambini, non provate a farmela sotto il naso, nessuno di voi >> li accolse, blandire e offendere era sempre un sistema vincente, in diplomazia e in famiglia.

<< Non so a cosa vi riferiate, maestà, io e il principe di Galles vi siamo devoti >> replicò George inchinandosi mentre suo figlio lo guardava sornione, Charles era più intelligente di quel che sembrava ma meno di quanto credesse.

<< Lo sarete pure, ma siete giovani e i giovani spesso fanno delle sciocchezze >> dichiarò prima di fare cenno a Charles di congedarsi. Suo figlio lo salutò con un inchinò, sussurrò qualcosa a George e li lascio soli, da bravo figlio obbediente. George non era come gli altri, non era debole come Philip o ingrato come Robbie e se anche lo fosse stato era abbastanza bravo da coprire quelle mancanze.
Così giovane, così bello, era colui che stava aspettando sa sempre: un giovane capace di farsi plasmare da lui e di poter un giorno aiutare Charles a governare secondo le direttive da lui stabilite.

<< Stenie, ho bisogno di te >> mormorò prima di sfiorargli il viso. Sorrise nel vedere l’altro istintivamente ritrarsi per poi rilassare il viso. Sapeva fin troppo bene di non essere più giovane, di non essere mai stato bello e che doveva apparire patetico ma allo stesso tempo George aveva bisogno di lui e non lo importunava come aveva fatto Robbie. Anche per quello lo amava, perché sapeva mentirgli sfacciatamente ma simulare quel tipo di amore era difficile, motivo per cui era sicuro che George lo amasse sul serio.

<< Servo vostro, ditemi cosa desiderate e io ve lo darò >> rispose George con un sussurro prima che lo baciasse. Lo fece cadere sul letto e gli montò sopra, quel corpo giovane e atletico accendeva il suo desiderio con una facilità disarmante.

<< Voglio la tua giovinezza, la tua bellezza, il tuo corpo e il tuo cuore, dammi tutto >> ordinò mentre sentiva le mani dell’altro trafficare con le sue brache. George rise prima di baciarlo a sua volta, che bello era l’essere innamorati di un simile angelo.

 
Canale della Manica, 1660:
 
Ce l’aveva fatta.

Finalmente stava per tornare in Inghilterra, a casa. Ancora poche ore e sarebbero sbarcati a Dover e questa volta era intenzionato a restare. Osservò James ed Henry ognuno perso nei propri pensieri, li aveva riportati a casa e li avrebbe coperti di onori, dopo tutto quello che avevano passato se lo meritavano entrambi.

Erano dovuti fuggire in periodi diversi, braccati come animali e ora tornavano ad occupare quei posti che spettavano loro per nascita, per cui suo padre aveva perso la vita.

Suo padre. Suo padre era morto pur di non trasmettergli una corona mutilata e avrebbe fatto tesoro dei suoi insegnamenti. Henry gli aveva raccontato tutto e ogni volta che ci pensava si sentiva afferrare dalla melanconia, quanta nobiltà e quanta ambizione c’era nella loro famiglia.

Il signor Cromwell era morto e il caos che ne era seguito era la prova che gli inglesi avevano bisogno di un re, solo un re poteva aiutarli.

Aveva mercanteggiato tutto ma aveva ottenuto esattamente quel che voleva: la corona di suo padre integra, niente concessioni, niente poteri al parlamento più di quelli che già aveva, e da parte sua niente interferenze.

Aveva accettato tutto e ora finalmente stava per mettere le mani sulla corona che era sua già da dodici anni.

Sua madre si sarebbe imbarcata a breve da Calais, e gli avrebbe portato Jemmie. Non lo vedeva da almeno tre anni, chissà quanto si era fatto grande suo figlio. Jemmie, l’unica prova tangibile del suo legame con Lucy Walters e doveva ringraziare sua madre per averlo cresciuto anche se sospettava il vero motivo, conosceva troppo bene la regina madre.
E Minette la sua bella sorella.

Erano così simili, un peccato che non avessero trascorso abbastanza tempo assieme e lei fosse papista ma aveva tutto il tempo possibile per trovarle un bravo marito, tutti ma non un Orange, sua sorella meritava di meglio. Anche Mary stava arrivando, purtroppo da sola ma la strega di Solms non aveva mollato la presa sul piccolo Wilhelm e si erano dovuti accontentare di lei sola, e zia Elizabeth, stavano tornando tutti a casa.

Rupert avrebbe avuto un comando, lo meritava assolutamente, James avrebbe riottenuto la Marina ed Henry… a lui ci avrebbe pensato ma era sicuro che avrebbe fatto grandi cose. Se solo sua sorella Elizabeth fosse stata lì per vederli. Doveva andare a trovarla, ora che finalmente poteva doveva andare a trovarla e non solo.

Sua sorella meritava di riposare a Westminster, come tutti loro e si sarebbe adoperato per quello, assolutamente. Di suo padre si era già occupato il parlamento ma Elizabeth… quella era una questione di famiglia.

A tal proposito doveva far sposare Mary una seconda volta, assolutamente. Amalia di Solms si sarebbe tenuta Wilhelm e su quello non potevano, ancora, fare nulla ma la presenza di Jermyn non gli piaceva. Capiva benissimo che sua sorella avesse avuto bisogno di qualcuno accanto ma era il momento che si risposasse e servisse nuovamente la dinastia. Non erano più degli esuli umiliati da tutti e che dovevano elemosinare un luogo dove dormire, tutti dovevano fare la loro parte, Mary compresa.

E se voleva davvero Jermyn si sarebbe inventata un sistema, nella loro famiglia l’inventiva non era mai mancata. La sua bisnonna aveva perso la sua corona per inseguire l’amore, suo nonno si era creato una sorta di harem come il Turco e lui… lui aveva già un figlio, o forse due, e nessuno ancora sapeva di loro al di fuori della famiglia.
<< Secondo te saranno lì ad accoglierci? >> gli domandò James dopo averlo raggiunto.


<< L’ultima volta siamo dovuti fuggire, hanno messo delle taglie sulla nostra testa e ci avrebbero uccisi senza pensarci due volte >> fece notare lui, non si fidava dell’animo umano e gli anni dell’esilio gli avevano dimostrato la fondatezza di quel suo pensiero.

<< Ma ora sono a rivolerci, Monck poteva prendersi tutto il potere invece ha scelto te Charlie… Vostra Maestà >> si corresse Henry facendolo sorridere.

<< Non dobbiamo fidarci, ricordatelo sempre. Gli stessi che ora ci aspettano sono gli stessi che hanno votato perché un boia giustiziasse nostro padre, ottenere un trono è facile ma mantenerlo è molto più difficile di quanto sembri, nostra zia di Boemia lo sa bene >> replicò lui. Sua zia Elizabeth aveva giocato una partita pericolosa e aveva perso, lei e suo marito erano morti in esilio ma a lui non sarebbe capitato. No, lui sarebbe morto a Whitehall come un re, esattamente come suo nonno.

<< Sono sicuro che ora nostra zia di Boemia rimpiangerà di non aver permesso che la piccola Sophie ti sposasse >> fece notare James facendo ridere tutti loro.

Sophie era intelligente, di aspetto grazioso e sapeva come tenere corte, sarebbe stata un’ottima regina d’Inghilterra se zia Elizabeth non avesse finito per ascoltare Amalia di Solms da sempre convinta che le loro possibilità fossero pari a zero. Vedere il volto fintamente entusiasta della vecchia quando aveva realizzato che per un errore di valutazione sua figlia sarebbe stata l’ennesima principessa tedesca invece che essere regina d’Inghilterra era stato impagabile.

<< Sophie è una brava ragazza, e ha bisogno di molti talenti per riuscire a sopravvivere >> si limitò a dire. Gli Hannover, la prova vivente che l’uomo e il porco erano imparentati, povera Sophie.

<< E tu invece, chi sposerai? >> domandò Henry curioso.

<< Chiunque il parlamento deciderà, e questo vale per tutti noi >> rispose lui guardando James.

Suo fratello abbassò lo sguardo e fece bene, aveva di che sentirsi colpevole quel maledetto infingardo. Sapeva bene che in tempo di esilio si facevano promesse, le aveva fatte anche lui, ma poi non era necessario doverle mantenere, non nella loro nuova condizione.

 James aveva rovinato tutto ma poteva ancora disfare quel pasticcio, non sapeva come ma si sarebbe inventato qualcosa e soprattutto doveva impedire che gli inglesi lo venissero a sapere. Erano appena usciti dalla cappa di puritanesimo in cui li aveva immersi il signor Cromwell, non avrebbero mai tollerato un simile scandalo.

Non era il momento di parlare, non ora che erano così vicini all’Inghilterra, a casa. Finalmente dopo oltre dieci anni stavano tornando a casa, e in pompa magna come meritavano.

Non si fidava degli inglesi ma doveva far credere loro che fosse tutto passato, che tutti fossero stati perdonati e si potesse ricominciare. Gli stessi che avevano fatto giustiziare suo padre ora giuravano di essere sempre stati fedeli, opportunisti e ipocriti, tutti loro.

Gli piaceva il modo in cui suo cugino Luigi regnava, o voleva regnare, ma in Inghilterra non era possibile ed era sicuro che avrebbe dovuto accettare dei compromessi; il suo compito sarebbe stato quello di essere il vincitore di quelle contrattazioni umilianti, esattamente come suo nonno.

<< Nostra madre è sola oppure… ? >> domandò Henry, e sapevano a chi si riferiva.

<< C’è Minette con lei, è giusto che anche lei torni a casa >> rispose lui.

A breve sarebbero arrivare proposte di matrimonio per le sue sorelle e doveva occuparsene da solo, senza che sua madre vi mettesse becco. Per quanto le fosse affezionato era al corrente del principale difetto della regina madre: il papismo. Tutto il resto poteva gestirlo ma quello, quello sarebbe stato un grande scoglio. James ed Henry avevano già litigato con la regina madre perché la donna aveva cercato di convertirli entrambi al cattolicesimo e Minette era cresciuta cattolica, non poteva permettersi altri danni.

<< Sai che Henry non si riferiva a Minette >> replicò James, ancora poco e non si sarebbero più potuti permettere tutta quella confidenza, uno dei pochi lussi dell’esilio.

<< Lo porta con sé, o ha dato istruzioni perché mi raggiunga, mi occuperò di lui >> rispose riferendosi a Jemmie. Suo nonno il re di Francia aveva avuto almeno dieci bastardi [8], tutti gli uomini della sua famiglia avevano avuto dei bastardi e se n’erano devotamente occupati, lui avrebbe fatto così.

Aveva voluto bene a Lucy ma per fortuna non era più un suo problema. In quanto a suo fratello se ne sarebbe occupato di persona, non poteva perdere l’appoggio di Hyde e avrebbe fatto di tutto per conservarlo, uno scandalo non serviva a nessuno dei due.

<< Non pensiamoci e godiamoci il paesaggio, com’è bella la nostra Inghilterra >> fece notare loro Henry per sviare il discorso. James si limitò ad annuire con la testa mentre le scogliere di Dover apparivano lentamente dinanzi a loro. Quanto era bella la sua Inghilterra, ed era determinato a non lasciarla mai più, finalmente ne avrebbe realmente cinto la corona.
 
***
 
Le bianche scogliere di Dover erano sempre una meraviglia per chiunque veniva dal mare, anche se le aveva ammirate innumerevoli volte.

I suoi fratelli erano emozionati quanto lui, al punto che la piccola barca su cui si erano sistemati per lo sbarco oscillava da quanto Henry non riusciva a reprimere le sue emozioni. Il signor Pepys inoltre doveva essersi stancato di sentire il suo resoconto dei fatti di Worcester ma sentiva il bisogno di dover parlare con qualcuno, di raccontare e di rendere partecipe il prossimo delle proprie disavventure che ora si stavano rivelando dei semplici espedienti.

Ed erano lì, tutti loro.

Non li riconobbe, era appena un ragazzino quando era stato costretto a lasciare l’Inghilterra e i suoi rapporti con il governo erano sempre stati pessimi. Il generale Monck doveva essere sicuramente tra di loro, quell’uomo meritava di godersi il suo trionfo.

Fu il primo a mettere piede a terra, quanto gli era mancata la sua patria. I suoi fratelli lo imitarono subito e vide gli altri inginocchiarsi, falsi come il peccato. Non credeva a nessuno di loro, non coloro che avevano permesso che suo padre perisse sotto il giogo del boia, erano solo degli opportunisti la cui devozione non valeva un penny.

Tuttavia doveva fingere, di quel momento avrebbero parlato poeti e pittori ed era giusto che desse il suo contributo. Rivolse una veloce preghiera di ringraziamento e poi decise che era il momento di iniziare quella recita. Si avvicinò quindi al generale Monck che era ancora inginocchiato, quell’uomo meritava realmente un premio per averlo riportato sul trono.

<< Da oggi è come se foste mio padre. Il re mio padre mi diede la vita e voi mi ridate il mio diritto >> disse in maniera tale che tutti potessero sentirlo prima di baciarlo su entrambe le guance.
James lo imitò abbracciando Monck, per una volta non era necessario che il duca di York dovesse dire qualcosa.

Fu Henry a sorprenderlo, come sempre il suo fratellino era pieno di sorprese. Accadde tutto in un istante, Henry lo guardò con un sorriso poi prese il suo cappello e lo lanciò in aria urlando << Dio benedica il generale Monck! >> suscitando applausi entusiasti [9].

Fu spontaneo per lui sorridere, tutto stava andando meglio del previsto, bisognava solo sperare che Dover non chiudesse loro le porte in faccia.

Odiava tutto quello, non sapere come sarebbe potuto andare, quell’incertezza, quella precarietà. Credeva sarebbe finito tutto nel momento in cui gli avessero annunciato che gli inglesi erano pronti a riaverlo come re ma forse quello era solo l’inizio. Era cosciente che non si sarebbe mai potuto fidare fino in fondo ma almeno voleva cullarsi in quell’illusione per qualche giorno. Sulla Naseby si era sentito a suo agio ma ora era il momento di essere realmente un re per tutti i suoi sudditi.

Doveva essere scaltro, come suo nonno che aveva ottenuto tutto quello che voleva minacciando e corrompendo il parlamento e sfruttando i vizi dei lord per averli dalla sua parte. Suo padre era stato un grande re ma inadeguato per l’Inghilterra, esattamente come zia Elizabeth di Boemia era stata inadatta ad essere regina.

Povera regina dipinta, vano orpello della mia fortuna[10] gli venne spontaneo pensare, non era mai stato molto attento durante le lezioni ma ricordava le rappresentazioni di Shakespeare che ogni tanto si tenevano a corte e a cui gli veniva permesso di assistere.

Lui sarebbe stato migliore di loro. Migliore di suo nonno morto odiato da tutti. Migliore di suo padre morto martire per la causa della corona. Migliore di suo zio che era morto in esilio. Lui sarebbe stato il miglior sovrano della loro dinastia e avrebbe reso grande l’Inghilterra come meritava.



[1] Theobalds House, all'epoca nota come Theobald Palace, fu effettivamente donata a James i da Robert Cecil, che in cambiò ebbe Hatfield Palace

[2] Si ignora quando e dove James I abbia conosciuto Philip Herbert, si sa solo che all'arrivo della regina Anna a Londra il giovane Philip, 19 anni, e il re, 37 anni, erano già amanti
[3] Ludovic Stuart, secondo duca di Lennox, era il figlio di Esmé Stuart, primo amore del re, quando si incontrarono per la prima volta esmé aveva 39 anni e James 13, gli storici ancora discutono su chi abbia sedotto chi
[4] Nel 1605 Philip fu fatto gentleman of the bedchamber, l'incarico più prestigioso a corte. Tenne l'incarico prima che Robbie Carr ne prendesse il posto, nel letto e nel cuore del re, nel 1607
[5] James nel 1618 offrì realmente la sua mediazione, teneva moltissimo al titolo di "Salomone del Nord "
[6] Tuttora non è stato possibile capire che genere di rapporto unisse Carlo I al duca di Buckingham, se ammirazione, amicizia fraterna o un amore platonico
[7] James si riferiva realmente al figlio e all'amante chiamandoli "i miei cari bambini", le sue letetre al figlio ne sono una prova
[8] 12 per la precisione, di cui 9 legittimati, suo cugino Luigi XIV ne avrebbe avuti 10, Carlo stesso ne avrebbe avuti 18 mentre suof ratello James II 7
[9] La scena fu riportata da samuel pepys, compreso il giovane duca di Gloucester, ossia Henry o Harry come veniva detto in famiglia, che lanciò in aria il proprio cappello urlando "Dio benedica il generale Monck"
[10] Shakespeare, Riccardo III, Carlo II adorava il teatro e sebbene preferisse i lavori contemporanei tuttavia aveva un debole per Shakespeare
   
 
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