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Autore: FreDrachen    04/11/2022    0 recensioni
Luca aveva davvero tutto nella vita. Era una promessa del calcio, popolare tra i suoi coetanei tanto da essere invitato a ogni festa, ed era oggetto di attenzione di ogni ragazza e non.
Insomma cosa si poteva volere dalla vita quando si aveva tutto?
Basta, però un semplice attimo, un incidente lo costringerà a una sedia a rotelle, e per questo sarà abbandonato dalle persone che un tempo lo frequentavano e veneravano quasi come un Dio.
Con la vita stravolta si chiude in se stesso e si rifiuterà di frequentare la scuola. Sua madre, esasperata da questa situazione, riesce a ottenere la possibilità, dalla scuola che Luca frequenta, di lezioni pomeridiane con un tutor che avrà lo scopo di fargli recuperare il programma perso.
E chi meglio di uno dell'ultimo anno come lui può riuscire nell'impresa?
Peccato che Luca sia insofferente agli intelligentoni e non sembra affatto intenzionato a cedere.
Peccato che Akira non sia affatto intenzionato ad arrendersi di fronte al suo carattere difficile.
Due ragazzi diversi ma destinati ad essere trascinati dall'effetto farfalla che avrà il potere di cambiare per sempre le loro vite.
[Storia presente anche su Wattpad, nickname FreDrachen]
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai, Slash
Note: Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Scolastico
Capitoli:
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Capitolo 28

 

Si fermò con l'auto di fronte al suo portone, le mani strette sul volante e il respiro apparentemente tranquillo. In verità sapevo che quella era tutta finzione.

Per tutto il tragitto eravamo stati in silenzio, io a cercare di metabolizzare quello che avevo fatto, lui di certo quello che mi avrebbe rivelato di lì a poco.

Ero nervoso, anche se non ne avevo motivo. Molti segreti che aleggiavano nell'oscuro passato di Akira quel pomeriggio sarebbero emersi e, finalmente, messi a quietare.

Ero riuscito a strappare la promessa ad Akira di rivelarmi tutto facendo ricorso a tutto il mio charme e la minaccia di baciarlo in pubblico. Quest'ultima doveva essere solo in leggero scherzo per alleggerire la situazione ma, anziché suscitare la reazione voluta, era impallidito di colpo, difficile per la sua carnagione già pallida, e per questo mi preoccupai non poco.

Forse era per questo che, alla fine, aveva ceduto con un sospiro.

Prima di dirigerci verso casa sua avevo chiamato un attimo mia madre, visto che aveva provato a contattarmi almeno una ventina di volte.

L'avevo trovata con sorpresa a casa, cosa che non accadeva mai visto che di solito a quell'ora stava in giro in compagnia delle sue amiche,  preoccupatissima per la mia uscita in bellezza da scuola (la segreteria non poteva un po' farsi gli affari suoi?)

Le avevo rifilato così una scusa talmente patetica da farmi sentire un'idiota e per evitare domande scomode pilotai la conversazione su Akira, affermando che in quel momento ero in sua compagnia, tralasciando volutamente il fatto che ne ero talmente  attratto che me lo sarei scopato anche in quel monento (no, aspetta...l'avevo pensato sul serio?) e che avevo intenzione di passare il pomeriggio a casa sua, con la scusa di divertirmi un po', anche se di divertente quel pomeriggio avrebbe avuto nulla.

Non avevo trovato alcun ostacolo da parte sua, non che mi aspettassi diversamente. Era ormai palese la preferenza di mia madre per Akira.

Dopo averle promesso che sarei tornato di corsa (metaforicamente s'intende) a casa se la mia salute fosse ricaduta, chiusi la vhiamata e vidi Akira intento a parlare con qualcuno al telefono, finendo dopo poco.

Mi aveva invitato infine con in leggero sorriso a seguirlo verso la sua auto, facendomi così evitare di spendere ulteriori soldi per un taxi. I taxisti dovevano stendere un tappeto rosso al mio solo passaggio, visto che gli avevo fatto guadagnare più io in quegli ultimi giorni che le altre persone messe insieme in tutta la loro vita.

Arrivati a destinazione trovammo, di fronte al portone aperto, sua zia ad attenderci. D'istinto m'irrigidì. Pensavo fossimo stati da soli a casa ma a conti fatti avrei dovuto aspettarmi sia la presenza della zia che forse anche di Maiko, vista l'ora.

Akira si affrettò a tirare fuori dal bagagliaio la sedia a rotelle che porse alla zia che scomparve oltre il portone.
Aspetta...non aveva forse intenzione di...
Mi aprì la portiera e mi sorrise, un sorriso con tanto di fossette.

Cazzo. Perché il cuore mi batteva così forte nel petto a quella visione, tanto da farmi temere che fuoriuscisse dal petto (che scena degna di uno splatter)?

Mi fece passare un braccio appena sopra l'altezza delle ginocchia e l'altro dietro la schiena e mi issó su come se fossi un fuscello, esattamante come quando, tempo prima, mi aveva aiutato dopo la zuffa con un vecchio odioso o per raggiungere il campetto da calcio del mio quartiere.

«Hai intenzione di portarmi così fino a casa tua?» domandai e Akira continuò a sorridermi di rimando.

«Ti ricordi che l'ho già fatto?»

«Si ed è stato strano. Mi sentivo come una novella sposa...»

Non appena mi accorsi di quello che avevo pronunciato diventai rosso come un pomodoro e mi nascosi il viso tra le mani, e m'imbarazzai ancora di più quando sentì Akira ridacchiare.

«Ti ci vedrei proprio con un bell'abito da sposa bianco».

Scostai una mano per colpirlo con un debole pugno contro il petto.
«Non rendere il momento più imbarazzante di quello che è».

«Ma sei te che hai tirato fuori il discorso, sposina».

Ma da quando era così impertinente? Lo fissai e lui mi rispose con un sorriso sornione che lo rese ancora più bello.

Maledetto demonio dagli occhi a mandorla!

Continuai a fissarlo senza il timore di imbarazzarlo, visto che ormai era a conoscenza dei miei sentimenti per lui, per questo notai che dietro alla facciata all'apparenza tranquilla nascondeva una sincera preoccuapzione.

Non mi resi conto che eravamo arrivati fin quando non mi adagiò sopra la mia sedia a rotelle già aperta.

Sua zia mi rivolse un sorriso dolce.
«Ben ritrovato Luca. Spero che tu e Akira possiate chiarire alcune...cose».

Detto così sembrava quasi che fossimo a un appuntamento. Un momento. Non era davvero che...

Passai lo sguardo in modo altalenante tra Akira e sua zia e fu quest'ultima a darmi qualche spiegazione.

«Akira mi ha accennato quello che è successo».

Giusto. La zia doveva essere una delle poche persone che sapevano dell'omosessualità di Akira. Ma il fatto che già sapesse mi metteva a disagio, oltre che al pensiero che lei doveva aver già percepito qualcosa già da tempo, visto come ci guardava. Che imbarazzo!

Seguì Akira fino alla sua stanza e su suo invito mi sedetti sulla sponda del letto mentre chiudeva a chiave la porta, facendomi salire una certa apprensione, manco fosse un serial killer che voleva farmi a pezzi.

Mi raggiunse e si posizionò con la schiena contro la testiera del letto, battendo la mano sul materasso per invirarmi ad avvicinarmi.

Lo feci e lui fu veloce a passarmi il braccio dietro le spalle e a farmi poggiare la testa contro il suo petto ansante.

Non mi aveva mai avvicinato così di sua spontanea volontà, le volte che era accaduto era senza dubbio stato dovuto a reazioni involontarie.

«Sei comodo?» mi domandò dolcemente e di tutta risposta annuì, sfregando la testa contro la maglia che indossava.

Rimanemmo in silenzio, nessuno dei due aveva il coraggio di parlare per primo ed entrambi a fissare ogni angolo della stanza dove non fosse presente l'altro.

Fu infine Akira a rompere il ghiaccio.
«Da dove...» cominciò, deglutendo prima di proseguire. «Da dove vorresti che partissi?»

Era giunto il momento delle risposte.

«Da dove te la senti» lo invitai. Lo vidi alzare gli occhi, puntando lo sguardo verso un punto indefinito del soffitto. Non parlò subito, forse per trovare le parole giuste.

«Direi che sarebbe meglio che parta da quando ho conosciuto Fabio. Avevamo entrambi due anni ed era stato al mare. Sai, all'inizio l'odiavo. Era un bambino vivace che mi aveva preso di mira e mi faceva così i dispetti e mi arrabbiavo. Parecchio, aggiungerei. Correvo sempre da mia madre che ero un fiume di lacrime, con lui dietro che mi tirava le formine».

Se ci fossi stato io, un tipo del genere l'avrei sotterrato sotto la sabbia ben più che volentieri e senza pensarci due volte.

«Andò avanti così per anni. Lui mi aveva preso di mira perchè ero l'unico che non reagiva. Sono sempre stato un bambino molto tranquillo che se ne stava un po' sulle sue, anche ai giardini».

«Che stronzo che era» mormorai tra me e me ma non abbastanza a bassa voce.

«Non era cattivo, ma solo... come dire, particolare. Quello era il suo modo per attirare l'attenzione» spiegò per poi tornare al suo racconto. «Facemmo insieme le elementari, medie e inizio superiori. Iniziammo ad andare d'accordo verso gli ultimi anni delle elementari dove la maestra ci costrinse a stare in banco insieme e lui scoprì la mia passione per il disegno. "Potresti disegnarmi?" furono le prime parole, che non erano un insulto, che mi indirizzò. Da quel momento cominciammo a passare molto tempo insieme, e finalmente cominciai a capire molte cose di lui. Scoprì che il padre naturale era morto a causa di un incidente sul lavoro e che il compagno della madre lo detestava, e per questo tendeva a scaricare la sua frustrazione sugli altri».

«E che mi dici di quel tale, Tommaso?»

«Tommy era un amico di Fabio, facevano insieme hockey su prato. Me lo presentò alla festa del suo compleanno. Non so perché ma non gli stetti simpatico fin da subito».

"Forse perchè sembra che abbia una scopa infilata su per il c..."

Forse era meglio cambiare argomento.
«Quando hai scoperto di essere gay?» gli domandai e il suo sguardo si perse nuovamente un punto indefinito del soffitto.

«Un giorno Fabio venne da me, sembrava nervoso e al tempo stesso su di giri. Non ebbi neanche il tempo di chiedergli il motivo che mi baciò. Di fronte al mio smarrimento e senza troppi preamboli mi disse di essere gay. In quel periodo non sapevo cosa significasse, in casa mia non si parlava di queste cose, anche perchè era il periodo in cui mia madre stava male e avevamo altri pensieri per la testa. Fatto sta che Fabio mi rivelò che ormai era da tempo che provava qualcosa per me e che se avesse dovuto esplorare ciò che riguardava il suo orientamento avrebbe voluto farlo con me. C'è da dire che anche io provavo strane sensazioni nei suoi confronti ma fino a quel momento pensavo fossero dettate dal fatto che fosse il mio migliore amico. E da lì cominciammo a frequentarci. Fabio aveva fatto coming out solo con la famiglia, sua madre sembrò prenderla abbastanza bene, mentre il compagno...stranamente non diede segno di essere a sfavore. In comune accordo decidemmo di non divulgare la notizia ma di vedere come sarebbe andata».

Cominciò a tormentarsi le mani, facendomi soffrire. D'istinto allungai la mia poggiandola sua quella martoriata e lui sussultò, riportando lo sguardo su di me.

«Dopo neanche due mesi di frequentazione mi dichiarò che voleva provare a fare...ehm...la parola con la S».

«Sesso?»

Lui distolse lo sguardo imbarazzato. «S-si, quello» confermò. «Solo che quello si rivelò il mio primo grande sbaglio». Notando il mio smarrimento si affrettò a spiegare. «Non mi fraintendere, farlo è stato...strano ma piacevole. È stato per la data in cui l'ho fatto. Quella notte avevo spento il telefono per evitare che chiunque ci disturbasse, e la mattina quando lo riaccesi trovai almeno una quindicina di chiamate perse e altrettanti messaggi di mio padre. Mia madre aveva avuto un crollo ed era entrata in coma. Sono uscito da casa di Fabio in fretta e per fortuna ci ho messo poco ad arrivare. Lei ci ha lasciati due ore dopo il mio arrivo, il resto è come ti ho già raccontato».

Ecco spiegati alcuni alcuni comportamenti, la sua disperazione. Molta era legata alla morte della madre, che dai suoi racconti doveva essere una donna dolcissima, ma l'altra...perché si torturava in quel modo?

«Come potevi sapere che sarebbe successo? L'altra volta mi hai detto che stava migliorando».

«Questo non toglie il fatto che non ci sono stato» ribattè lui. «Se avessi tenuto il telefono acceso e avessi risposto subito a mio padre sarei riuscito...a parlarle un'ultima volta».

«Senti Aki, non prendere male le mie parole ok? È facile costruire congetture conoscendo il passato. Se, se. È facile dire "se avessi agito così" oppure "se non l'avessi fatto". In quel momento hai fatto una scelta, che sia stata giusta o sbagliata è un qualcosa di soggettivo. Non pensi che, se tua madre l'avesse saputo, sarebbe potuta essere felice sapendoti con la persona che ti piaceva?»

Lui mi rivolse un'espressione triste. «Non so se avrebbe mai accettato una relazione simile. È cresciuta in un ambiente abbastanza legato alle tradizioni, in tutti i sensi».

Non pensavo, ma preferì non dirlo. In fondo come potevo pretendere di conoscere sua madre meglio di lui?

«Io e Fabio continuammo comunque a frequentarci di nascosto» riprese il racconto. «Ci iscrivemmo nella stessa scuola. Io avevo sempre desiderato fare biotecnologie ambientali ma, dato che i suoi genitori non gli avrebbero mai permesso di fare in tecnico, per stare con lui decidemmo uno scientifico abbastanza vicino per entrambi. E Tommaso si unì alla nostra scelta. I primi anni sono stati abbastanza tranquilli...fino al terzo».

Ecco, sentivo che stavamo arrivando a una svolta tutt'altro che allegra.

«A scuola cercavamo di comportarci come semplici amici, e questo non era mai stato un peso, fino a quel giorno». Annuì perso nei suoi penseri. «Già, quel giorno. Avevo litigato con mio padre quella mattina, aveva bevuto troppo e nelle sue condizioni non avrebbe potuto accompagnare Maiko a scuola. Da quando mamma era morta, passava la maggior parte del tempo ad affogare il dolore negli alcolici. Lo capivo, il suo dolore era anche quello mio e di Maiko. Per questo mi ero arrabbiato. Lui non provava minimamente a riprendere in mano la sua vita. Per fortuna i nostri zii ci hanno dato una grande mano e si sono presi cura di noi». Prese un attimo fiato prima di continuare. «Ero andato a scuola arrabbiatissimo e in ritardo, per fortuna la zia era passata per recuperare Maiko, e avevo bisogno di essere tirato su di morale. Durante l'intervallo trascinai Fabio con me in bagno e lo implorai di baciarmi, di dimostrarmi la sua vicinanza». Abbassò le sue splendide ciglia. «Lui rimase per un attimo attonito dalla mia richiesta, insicuro se accontentarmi o meno. Eravamo in un luogo in cui ci avrebbero scoperto subito. Ma sai una cosa? In quel momento mon m'importava! Lo desideravo più di qualsiasi cosa. Per questo prima che potesse negarmelo l'ho bloccato per le spalle e l'ho baciato. È stato allora che sono entrati un gruppo di ragazzi, di un anno più grandi di noi».

Riaprì un attimo gli occhi, stringendo le labbra. Stava arrivando a un momento difficile e per questo avvertì il desiderio involontario di stringergli la mano, cosa che feci. Lui di tutta risposta intrecciò le sue dita con le mie e riprese a parlare.

«Il ragazzo che doveva essere il capo del gruppo cominciò, dopo averci guardato con disgusto, a sputarci addosso e a insultarci. Uno di loro mi spinse all'indietro facendomi cadere a terra al che Fabio non ci aveva visto più e ha cominciato a prenderli a pugni, e la situazione sarebbe degenerata ancora di più se il bidello del piano non fosse intervenuto. Fummo tutti portati in presidenza e convocarono i genitori. Il preside era un uomo ahimè abbastanza omofobo e diede ragione a quei...ragazzi. Chiamarono i nostri genitori per venirci a prendere, ma se Fabio fu ripreso solo per il suo aver reagito, mio padre non la prese affatto bene. E non appena tornammo a casa cominciò a...»

No. Non dirmi che...

«Ti prego. Non dirmi che è davvero successo quello a cui sto pensando» non riuscì a trattenermi. Dovette aver letto la sopresa e shock sul mio volto perchè la sua espressione si addolcì appena.

«Credo che purtroppo lo sia. Non appena chiuse la porta e avemmo raggiunto la sala cominciò pestarmi. Sembrava fuori di sè, indemoniato. Mormorava cose tipo che se era morta la mamma era per colpa di quello che ero, e che forse sarebbe staro meglio che non fossi mai nato. E in tutto questo mi prendeva a calci, sul volto, contro il petto, l'addome. All'inizio avevo provato a difendermi facendomi scudo con le braccia ma poco a poco ho avvertito le forze mancarmi. Incominciai a con capire più cosa mi succedesse attorno, era come galleggiare nel vuoto. Mi fu raccontato che sarei morto se mia sorella  spaventata, non avesse preso il telefono e chiamato la zia che, prontamente, avvisò le forze dell'ordine e un'ambulanza. Quando arrivai in ospedale ero privo di senso e in pericolo di vita. Una delle costole si era rotta e mi aveva perforato un polmone. Rimasi in coma per tre mesi».

In quel momemto avvertì crescermi dentro il folle desiderio di rintracciare suo padre e stirarlo con la sedia a rotelle oppure prenderlo a calci con le protesi.

«Durante la mia permanenza in ospedale fu deciso l'allontanamento mio padre e l'obbligo a frequentare uno specialista per trattare la sua dipendeza dall'alcool, mentre io e mia sorellla fummo affidati a mia zia. Fui dimesso dall'ospedale la penultima giornata di scuola. Mia zia aveva parlato con i professori ed ero consapevole di aver perso l'anno, però il giorno dopo, malgrado tutto, decisi di presentarmi a scuola, per dimostrare che ero ancora vivo e che mi ero più o meno ripreso. Ma non appena misi piede all'interno mi sentì come un estraneo. Mi fissavano tutti. Chi per curiosità, chi con sospetto, e chi con disgusto. Quando ti dicevo che capivo come ci si diceva sentire nella tua situazione era perchè ci sono passato più meno anch'io. Per fortuna sono riuscito a starti accanto, ma quel giorno non ero stato altrettanto fortunato. Ero completamente solo. Chi consideravo in qualche modo amico mi stava osservando come se mi vedesse per la prima volta, ma non in modo positivo».

Iniziai a sudare freddo. Perche questo preambolo non preannunciava nulla di buono?

«Cos'è successo?»

«La conseguenza del mio secondo sbaglio più grande. Riusci a stento a farmi rivelare da Tommaso dove si trovava Fabio. Sul tetto. Anche se mi avevano ribadito di non farlo, corsi a perdifiato su per le scale e quando infine arrivai a destinazione lo trovai lì, in piedi sul cornicione con lo sguardo rivolto verso la porta. Quando mi vide mi sorrise tristemente, rivelandomi quello che aveva dovuto patire in quei mesi per colpa del nostro coming out, e che dopo tutto sentiva più di vivere in quel modo. Realizzai dopo pochi secondi il suo intento. Rivedo ancora il momento nella mia mente, come a rallentatore. Io che corro nella sua direzione e lui che allarga le braccia, dandosi la spinta. Io che provo ad allungare la mano ma che lo manco di poco. Lui che mi sorride, un sorriso straziante e che sapeva di abbandono. Non ho distolto lo sguardo fin quando il suo corpo non ha toccato il suolo. Ricordo di aver urlato, pianto, fatto entrambe le cose contemporaneamente. Sotto si era radunata una folla, molto si sono uniti alle mie urla. Quando mi sono ripreso un poco ho staccato le mani dal pararetto e voltandomi mi sono ritrovato davanti Tommaso. Era la prima volta che lo vedevo piangere. Le sue lacrime erano di rabbia pura. Mi colpì al petto, incurante di farmi del male e mi riversò contro tutta la sua collera. E le sue ultime parole mi sono rimaste marchiate fino a ora: "Sei tu che l'hai ucciso. È colpa è solo tua"».

Non sapevo perchè ma provavo una sorta di rabbia nei confronti di quel Fabio. Non era stato solo Akira ma anche lui aveva contribuito la situazione. E si era comportato da vigliacco, lasciandolo solo.
«Non è vero, e tu lo sai. Non sei stato te a costringerlo a compiere quel gesto».

«Invece si. Tommaso ha ragione. Se non l'avessi baciato a tradimento facendoci beccare non sarebbe successo nulla di tutto ciò e forse...lui sarebbe ancora vivo».

"Ma così non mi avresti conosciuto" pensai in un impeto di gelosia.

Non lo dissi per paura di risultargli egoista e insensibile, e lui interpretò ol mio silenzio come un invito a continuare.

«Volli, anzi, fui quasi costretto a cambiare scuola, e sia io che mia sorella ci trasferimmo qui definitivamante da mia zia, mettendo in affitto la nostra casa. Da quel giorno giurai che non avrei fatto vedere questo mio lato a nessuno. Non volevo ritrovarmi di nuovo in una situazione simile. E neanche qualche mese dopo l'inizio della scuola mi misi con Amanda. Per me era l'occasione giusta per tenere al sicuro il mio segreto, per lei un motivo in meno per essere presa in giro dalle sue conpagne di classe per il fatto che non si fosse mai fidanzata. Non provo nulla per lei, solo riconoscenza per avermi in qualche modo aiutato a mantenere la facciata di qualcuno che non sono».

Quanto dovevo aver sofferto tutti questi anni? Essere qualcuno che non era. E nessuno se n'era accorto? Era davvero così bravo a recitare la sua parte?

«Ma del Trio potevi fidarti no? Insomma, con Roberto non si sono avuti problemi».

Akira emise una risata priva di allegria. «Credi sul serio che sarebbero potuti essere amici di uno che ha condotto il proprio ragazzo al suicidio? Fosse stato per me mi sarei tenuto alla larga».

Dubitavo dell'intelligenza di Capelli Tinti ma ero quasi sicuro che non ci sarebbero stati problemi ad accettarlo. Insomma, erano i suoi migliori amici. Io non mi ero fatto problemi ad accettarlo, anche se forse non potevo più considerarmi un semplice amico. O si?

E poi quante lingue avrei dovuto imparare per ribadirgli che non era stata colpa sua? Per farglielo capire dovevo forse tatuarmelo in fronte?

«È stato difficile anche con te» aggiunse poi, lasciandomi un attimo perplesso.

«Perchè?»

Lui, di tutta risposta si posizionò per appoggiare la testa in modo da avere il volto rivolto verso il mio collo. Il suo respiro mi sollevava la pelle in modo piacevole.

«Anata ga totemo suki*» mormorò al che mi risvegliò un ricordo, risalente ai primi giorni in cui l'avevo frequentato, quando ancora non sopportavo la sua presenza.

«Cosa significano?»

«Cosa?» mi domandò lui perplesso alzando il capo per potermi fissare negli occhi.

«Le parole che hai appena pronunciato? Non è la prima volta che te le sento dire. È stata la tua risposta quando ti ho chiesto il motivo per cui avevi accettato di fare da tutor a una causa persa come il sottoscritto».

«Ah» ribattè, sfregandosi dietro al collo con fare imbarazzato. «Certo che quando desideri hai una memoria ferrea» mi prese in giro, sfoderando un sorriso.

«Non girarci intorno» lo minacciai assottigliando lo sguardo.

«Questa volta non è mia intenzione farlo. Significa che...mi piaci molto».

Ah! E dire che la prima volta mi aspettavo tutt'altro significato, forse un insulto visto il mio comportamento nei suoi confronti.

Ma...Un momento! Questo significava che...

«Ti...piacevo già a quel tempo?»

«In verità é da un po' che...mi interessi» ammise arrossendo un poco.

Oh santo...bonsai! (Si, avevo modi di dire alquanto strani).

«Come mai non...» cominciai a domandare bloccandomi di fronte all'espressione eloquente di Akira. C'erano una moltitudine di motivi per cui non l'aveva fatto.
La scoperta del suo segreto con conseguente esistenza infernale in classe, visto come si comportavano con il suo compagno.
La mia capacità a minimizzare qualsiasi cosa. Insomma, se fosse venuto da me a dichiararsi fino a qualche mese prima l'avrei preso senza dubbio per uno scherzo e l'avrei snobbato malissimo.
Ero davvero così stronzo prima?

«Penso che abbia intuito i motivi per cui non l'ho fatto. E poi perché mi sentivo...in colpa».

«Per cosa? Amare la mia magnificenza? Non sembra, ma non è ancora diventata una pena capitale» replicai, non riuscendo a trattenermi dal fare l'idiota.

Avvertì un sorriso farsi strada sul bel volto di Akira che collassò su se stesso quasi subito dopo.

«Fabio è stato il mio primo amore e dopo che non c'era più non è passato giorno in cui non avevo pensato a lui. È stato come avere un vuoto qui, nel petto» disse poggiando una mano sul petto. «Ho sempre creduto che stare con qualcuno che non fosse lui fosse un tradimento nei suoi confronti. In fondo lui è morto per colpa mia. Per questo all'inizio non avrei mai pensato di innamorarmi di te».

Akira era davvero innamorato di me?

Perchè la sola idea mi solleticava, avvolgendomi in uno stato di beatitudine?

«Tu...cosa?»

Akira mi fissò intensamente negli occhi.
«Credo di aver cominciato a provare qualcosa per te il mio primo giorno nella nostra scuola. Non conoscevo nessuno e mi sentivo quasi invisibile. E poi sei arrivato te. Sembrava che non t'importasse di quello che ti succedeva attorno e camminavi dritto e fiero, a testa alta. Poi non so perchè, ti sei girato nella mia direzione ed è stato come un fulmine a ciel sereno. Ho passato questi anni a desiderare di nuovo un contatto, anche solo visivo con te, e al tempo stesso negandomelo per colpa del mio passato. Però adesso non ho più paura di nascondermi a te».

Quelle parole mi colpirono dritte al cuore e non seppi subito cosa replicare. Perchè da quando avevo cominciato a provare sentimenti forti nei suoi confronti avevo ardentemente desiderato sentirmele dire.

D'istinto portai una mano verso il suo volto, facendo aderire il palmo sulla sua pelle, trovandomelo subito bagnato. Akira stava piangendo.

D'istinto lo feci girare in modo che potesse guardarmi dritto negli occhi.

«Da adesso non ti dovrai più preoccupare, perché non sarai più solo».

A quelle parole si liberò in un pianto liberatorio.

Per il passato da cui sembrava essersi liberato.

E per il presente, in cui poteva contare sulla mia presenza.

In quel momento l'unica cosa che feci fu semplicemente stringerlo a me, facendogli poggiare la testa contro il petto, accarezzandogli i capelli corvini, fino a quando non si fu calmato.

«Una volta avevi detto un'altra parola di cui vorrei chiederti il significato» dissi, approfittando del momento.

Lui alzò lo sguardo verso di me, aggrottando le sopracciglia con fare perplesso.

«Era tipo kisu** o qualcosa di simile». Presi un attimo fiato e allacciai le mie iridi con le sue. «Questa che cosa significa?»

Questa volta non ci fu alcun tentennamento da parte sua. «Baciami».

Lo costrinsi ad avvicinare il suo volto al mio, in modo che tra noi ci fosse la minima distanza.

«Allora fallo».

Non se lo fece ripetere due volte e avvertì il contatto delle labbra sulle mie, morbide e sottili, che sapevano di lacrime. Baciarlo era come essere in vetta e gettarsi a capofitto verso terra, un turnine di emozioni che riscaldacano il nasso ventre, lasciandosi dietro la sensazione di miriadi di farfalle.
Una perfetta sintonia chimica ci aveva legati, come un una perfetta reazione.

Ci staccammo solo quando ci ritrovammo ansanti, a corto di fiato.

«Arigatō Luca-chan».

«In verità sono anch'io a doverti ringraziare. Per avermi salvato da me stesso quando stavo per finire in un vortice di autodistruzione dopo il mio incidente ».

«Non ho poi fatto questo granchè» minimizzò lui, al che lo fissai serio.

«Non sminuire quello che hai fatto. Mi hai dato una ragione per andare avanti».

Lui non rispose, ma si accoccolò contro di me, come un gattino alla ricerca di coccole.

«Tienimi stretto».

Gli feci passare una mano attorno alle spalle e lo strinsi a me.

«Tranquillo. Non ti lascerò più andare».
 

* questa frase è già stata pronunciata da Aki nel capitolo 3, di cui ancora non si doveva sapere il significato
** parola pronunciata nel capitolo 5

 

Angolino autrice:

Eccomi qui!
Scusate l'iimensissimo ritardo, ma con il lavoro il tempo è davvero ristretto sia per leggere che per scrivere ^^"
Questo capitolo non è stato semplice da scrivere...Akira si è aperto come non ha fatto fino a ora ed è stato un po' complicato dargli voce (a complicare anche il caldo allucinante che mi ha disattivata XD)...spero che l'attesa non sia stata vana 😅

Ringrazio tutti voi che leggete la storia, vecchi e nuovi lettrici/lettori, e chi ha aggiunto la storia nei propri elenchi di lettura :3 ❤️

Adiòs
FreDrachen

 

   
 
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