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Autore: Stria93    06/11/2022    0 recensioni
Dal testo: "- Chi... chi sei? - balbetta, incapace di accettare la conclusione a cui il suo istinto è già arrivato.
- Eh? Ma come? Non riconosci più neanche il tuo amato fratello? Avermi lasciato morire, offerto la mia anima in sacrificio e poi aver bruciato il mio corpo ha cancellato anche il mio ricordo, per caso? Eppure non esiti a servirti del mio nome e a farti passare per me davanti a tutti. -
- T... tu? -
Il ghigno si allarga. - Sì, esatto, fratellino. L'unico e il solo Ciel Phantomhive, legittimo erede della casata. - "
Genere: Drammatico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Ciel Phantomhive, Sebastian Michaelis
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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ghost

Il rituale mattutino della vestizione era quasi completato. Mancava solo da assicurare la benda sull'occhio destro del padroncino.

- Il programma delle lezioni di oggi sarà improntato a migliorare le vostre maniere in pubblico, my Lord. - comunicò Sebastian con tranquillità.

- Le mie maniere? -

Il ragazzino fece per voltarsi verso il maggiordomo ma questi gli premette gentilmente le tempie per invitarlo a guardare avanti mentre terminava l'operazione.

- Esattamente. - confermò. - Perdonate la mia impudenza, ma non ho potuto fare a meno di notare che durante la cerimonia d'investitura al cospetto della Regina e degli altri membri della nobiltà, i vostri modi sono risultati un po'... carenti. -

- Carenti in cosa? Spiegati meglio. - gli intimò il giovane, stizzito da quella franchezza.

Sebastian non fece attendere la sua risposta. - Ora siete ufficialmente il nuovo Conte Phantomhive. Possedete lo status di un adulto a tutti gli effetti e ricoprite una carica che gode di rispetto e timore in tutta l'Inghilterra. -

Ciel iniziava a capire dove il demone volesse andare a parare e, seppur con riluttanza, riconosceva una certa logica in quel preambolo, pur temendo che il seguito si sarebbe rivelato poco apprezzabile alle sue orecchie. - Va' avanti. - concesse, a suo rischio.

- Sarete chiamato a partecipare a eventi mondani, ad intrattenere ospiti qui al maniero e a relazionarvi con altri nobili che di certo avranno non poca difficoltà ad accettare che, perdonate, un ragazzino come voi possa essere considerato un loro pari. Capite ciò che intendo? Dovete acquisire maggiore autorevolezza e disinvoltura, nonché un'eccellente padronanza delle dinamiche... -

- Va bene, va bene. Ho capito. - tagliò corto il conte, per nulla entusiasta di sentirsi elencare le proprie mancanze dal maggiordomo. Mancanze delle quali, invero, era ben cosciente.

Sebastian ultimò il nodo dietro la nuca del giovane e si congedò con un inchino. - Allora, col vostro permesso, vi attendo in sala da pranzo per la colazione. Quest'oggi abbiamo filetto di salmone al vapore in salsa di menta, uova alla Benedict, porridge di avena... -

- Voglio qualcosa di dolce. -

Il demone se l'aspettava. - Ma certo. Ci stavo arrivando, padroncino. In ultimo, posso offrirvi pane tostato con burro e marmellata di arance. Ora, se volete essere così gentile da indicarmi le vostre preferenze... -

- Pane tostato con burro e marmellata. -

- Una scelta davvero insolita. - commentò Sebastian, ironico.

- Cosa vorresti insinuare? -

- Niente, my Lord. Un povero diavolo di maggiordomo come il sottoscritto non oserebbe mai avanzare insinuazioni sui gusti del proprio padrone. - fece una pausa. - Anche se questi rasentano quelli di un cucciolo appena svezzato. -

Era troppo per il suo orgoglio. Ciel raccolse una freccetta dal comodino e la scagliò contro il servitore, che scansò il colpo con grazia.

- Vedete, signorino? - chiese, raccogliendo il dardo caduto a terra. - È importante che impariate a controllarvi e a non lasciar trasparire ciò che vi turba per concentrarvi solo sui vostri obiettivi. -

In un gesto apparentemente casuale, Sebastian gettò via la freccetta. Questa descrisse un'ellisse nell'aria per poi andare a conficcarsi dritta al centro del bersaglio appeso alla parete.

Ciel arricciò le labbra in una smorfia contrariata: aver ottenuto la nomina a Conte era stato solo il primo passo per riuscire a realizzare il proprio disegno di vendetta, ma ora avrebbe dovuto impegnarsi nell'incarnare quel ruolo alla perfezione. Un proposito che purtroppo includeva la coltivazione e il mantenimento di legami di facciata con l'élite della società britannica. Intrattenere, conversare amabilmente di frivolezze, fingersi a proprio agio e ostentare perfino divertimento in quelle occasioni che l'avrebbero richiesto ma alle quali si sarebbe volentieri sottratto. Sebastian aveva ragione: le sue abilità in quel settore non erano sufficientemente sviluppate.

- Ti sei spiegato. - rispose il giovane. - Ora va' ad occuparti di quei toast. Io scendo tra un attimo. -

Il maggiordomo s'inchinò ancora una volta e uscì dalla stanza mentre le code svolazzanti del frac seguivano la sua figura nera oltre la porta.

Il conte esalò un lungo sospiro rassegnato al pensiero della spiacevole giornata che lo attendeva. Quantomeno, una buona colazione a base di dolci manicaretti, sarebbe servita da piccola compensazione a fronte del tempo che quel giorno avrebbe dovuto spendere affinando la maschera che avrebbe dovuto esibire in pubblico.

- Tutto il mondo è un palcoscenico, giusto? Suppongo di non avere altra scelta. -

Passando davanti allo specchio, indugiò un momento per contemplare il proprio riflesso. Per quanto si atteggiasse a uomo, i lineamenti delicati del viso, il fisico esile e la bassa statura tradivano la sua vera età. Provò a sollevare il mento e ad imbastire un piglio sprezzante che gli donasse un'aura di autorità a fronte del suo aspetto fanciullesco, tuttavia il risultato non lo soddisfece quanto sperava e lasciò presto il posto a un broncio infantile che distrusse definitivamente ogni proposito di virilità.

Proprio in quell'istante gli parve di udire una risatina di scherno, come se un bambino si stesse prendendo gioco di lui, nascosto dietro una tenda.

Ciel si voltò di scatto e si guardò intorno ma, com'era logico aspettarsi, non vide nessuno. Indietreggiò di un passo e scrutò con maggiore attenzione la superficie riflettente.

La risata si levò di nuovo e stavolta ebbe la netta impressione che provenisse proprio dallo specchio.

- Chi c'è? - domandò ad alta voce in un tono che, almeno a sua intenzione, avrebbe dovuto intimidire. - Vieni fuori! -

Non accadde nulla ma il suono parve spegnersi. Ciel studiò con circospezione la cornice d'argento e l'intelaiatura ma non trovò nulla di strano.

Nessun suono di risa tornò a far vibrare l'aria della camera e il ragazzino si convinse di essersi immaginato tutto, ma l'eco fastidiosa di ciò che credeva di aver udito lo accompagnò fino a quando prese posto davanti a una ricca pila di toast dorati e fragranti.



La giornata trascorse tra esercizi di dizione, uso della voce e controllo della postura per acquisire quelle abilità che gli avrebbero permesso di apparire come si conviene ad un Lord.

Ciel accolse con sollievo i dieci rintocchi che scandivano il termine dei suoi doveri quotidiani e l'ora di coricarsi.

Sbadigliò senza ritegno e sollevò le braccia per stiracchiarsi mentre Sebastian era intento ad abbottonargli la camicia da notte.

Il demone sogghignò. - Devo dunque constatare che i miei sforzi di oggi per rendervi più maturo sono stati vani? -

Il ragazzo gli scoccò un'occhiata torva. - Qui non mi vede nessuno. Posso fare ciò che voglio. -

- Io vi vedo, my Lord. - puntualizzò il maggiordomo.

- Ma non è per compiacere te che devo recitare questa stupida commedia. - sbottò. - Sfortunatamente si tratta di un male necessario che devo tollerare per ottenere ciò che mi sono prefissato. -

Un luccichio malizioso balenò negli occhi del demone. - A tal riguardo, mi trovate perfettamente d'accordo. -

Ciel colse l'allusione ma non si lasciò provocare. Ormai era abituato alle sue frecciatine e a volte preferiva semplicemente ignorarle. Non avrebbe fatto divertire il demone, non quella sera.

Stava per soccombere a un altro sbadiglio quando un'ombra si mosse furtiva ai margini del suo campo visivo.

Il suo sguardo venne dirottato verso lo specchio, dove il ragazzino era convinto di aver intravisto quello sfuggente qualcosa. Per la seconda volta quel giorno.

Strinse gli occhi e si concentrò al massimo per carpire l'origine di quell'impressione d'inquietudine. Sempre che ve ne fosse una.

- Mm? Che succede, my Lord? -

Ciel esitò un momento prima di far scivolare via lo sguardo dallo specchio. - Nulla. Va tutto bene. -

Va tutto bene.




Corre. Corre a perdifiato nell'oscurità più fitta. Corre senza meta, sa solo di doversi lasciare alle spalle qualcosa. L'urgenza di mettere quanta più distanza possibile tra sé e ciò che incombe alle sue spalle sopperisce alla mancanza d'aria e ai polmoni brucianti. Indossa gli abiti sontuosi che portava alla sua investitura e che di certo non gli facilitano i movimenti, ma non importa. Deve sbrigarsi! Deve andarsene!

Ma ecco quella risata gioviale raggiungerlo, affiorando dalle tenebre. Una risata infantile, canzonatoria e tremendamente familiare.

Deve correre di più. Deve chiedere alle sue gambe uno sforzo ulteriore. Non può farsi prendere. Non può permettere che quell'ombra lo afferri.

Ma la sua corsa si arresta bruscamente davanti ad una superficie nera e lucida. Un muro di onice che riflette i contorni sfocati della sua sagoma ansimante.

È finita. Pensa, disperato. Non ha più scampo. Lo prenderà!

La risata si fa più forte, più vicina. Riesce quasi a sentire un soffio freddo sulla nuca prima che il suono cessi di colpo.

Tutto ciò che può udire ora sono i suoi ansiti e il battito impazzito del suo cuore nel petto. Il ritmico battere del terrore che lo attraversa, gelandogli il sangue nelle vene.

Fissa la parete davanti a sé e si accorge che la propria immagine riflessa sta sorridendo. Un sogghigno derisorio incredibilmente nitido rispetto a tutto il resto.

- Oh, fratellino mio. Dovresti vederti! - ridacchia la voce fanciullesca. - Ti ricordi quando giocavamo ad acchiapparella? Ci inseguivamo per tutto il maniero e i domestici finivano per sgridarci ogni volta. - fa una breve pausa prima di riprendere in tono più duro. - Naturalmente, ogni tanto dovevo lasciarti vincere. Se ti fossi sforzato troppo, avresti rischiato di avere uno dei tuoi soliti attacchi d'asma e la mamma se la sarebbe presa con me. D'altra parte, sei sempre stato così piccolo e debole. -

La voce si è fatta sprezzante.

- Chi... chi sei? - balbetta, incapace di accettare la conclusione a cui il suo istinto è già arrivato.

- Eh? Ma come? Non riconosci più neanche il tuo amato fratello? Avermi lasciato morire, offerto la mia anima in sacrificio e poi aver bruciato il mio corpo ha cancellato anche il mio ricordo, per caso? Eppure non esiti a servirti del mio nome e a farti passare per me davanti a tutti. -

- T... tu? -

Il ghigno si allarga. - Sì, esatto, fratellino. L'unico e il solo Ciel Phantomhive, legittimo erede della casata. -

A quelle parole, i suoi abiti si riducono in cenere, lasciandolo completamente nudo e preda del freddo. Il pavimento è una lastra bruciante di ghiaccio sotto i suoi piedi nudi.

Al contrario, il riflesso nello specchio è ancora vestito di tutto punto e ormai forme e colori sono perfettamente distinguibili. Sull'occhio destro non c'è alcuna benda e l'iride è di un celeste cristallino.

Urla e crolla in ginocchio tremante, prendendosi la testa fra le mani. - No! No! Vattene! Tu sei morto! Io sono il Conte Phantomhive, adesso! Me lo sono guadagnato! -

Il riflesso di Ciel scoppia in una risata terribile e velenosa. - Guadagnato? Alleandoti con un demone per usurpare il mio nome e il mio posto? È questo che intendi? Bella dimostrazione di valore e amore fraterno! -

- Basta! Smettila! - geme, premendo più forte i palmi contro le orecchie.

Ma il fantasma di Ciel prosegue, implacabile, crudele. - Sappiamo entrambi che quel giorno si trattò di uno scherzo del destino. Sappiamo entrambi che su quell'altare, con un pugnale conficcato nell'addome avresti dovuto finirci tu! Non sarebbe stata una gran perdita, vero? In fondo, sei sempre stato solo un peso per tutti. Non hai le capacità per mandare avanti la casata e tanto meno per ottenere la tua vendetta. Guarda in faccia la realtà: questo è un gioco che non puoi vincere. -

- No, no! Basta! Sta' zitto! -

Gli occhi del gemello sono due lame affilate che lo trafiggono senza pietà. - Fa' un favore a te stesso e alla memoria dei Phantomhive, fratellino: smettila di infangare il mio nome e quello della nostra famiglia più di quanto tu abbia già fatto e non ambire a ciò che è al di là della tua portata. Torna a nasconderti sotto le coperte del letto dei nostri genitori, come facevi sempre. È quello il tuo posto. -



- NOOOOO!!! -

Il ragazzino si svegliò di soprassalto, gli occhi sbarrati sul soffitto della stanza buia. Sentiva il lino della camicia da notte appiccicato alla schiena e al petto, la pelle madida di sudore freddo.

- Padroncino! -

Sebastian spalancò la porta della camera e in un attimo balzò accanto al letto. Il suo giovane padrone aveva un aspetto tremendo. - Cosa succede? Vi sentite male? -

Stava per rispondergli, ma venne assalito da un accesso di nausea che lo costrinse a portarsi una mano alla bocca per reprimere il conato.

Era un sogno. Solo un sogno. Non può farmi del male. Va tutto bene.

Prese qualche respiro lento e profondo finché il senso di malessere si attenuò un poco.

Quando si sentì abbastanza sicuro che il suo stomaco sarebbe stato in grado di trattenere il suo contenuto, si arrischiò ad abbassare la mano e a volgere lo sguardo atterrito verso il maggiordomo, ma si scoprì incapace di evocare alcuna parola, la gola chiusa da un nodo.

Il demone interpretò la sua espressione stravolta e capì. - Di nuovo gli incubi? -

Il conte abbassò lo sguardo, stringendo i lembi delle lenzuola tra le dita. Percepiva i segni delle lacrime misti a sudore bagnargli il volto. La mascella serrata in una morsa dolorosa, i denti che battevano furiosamente.

Le parole dell'incubo seguitavano a rimbombargli nelle orecchie, tanto più impietose poiché si avvicinavano alla verità che egli tentava di ignorare ogni giorno.

...Si trattò di uno scherzo del destino... Su quell'altare, con un pugnale conficcato nell'addome avresti dovuto finirci tu! Non sarebbe stata una gran perdita, vero?

Gemette e si premette le mani ai lati del viso, come nel sogno. Ma la voce non smetteva di pungolarlo.

In fondo, sei sempre stato solo un peso per tutti. Non hai le capacità per mandare avanti la casata e tanto meno per ottenere la tua vendetta. Guarda in faccia la realtà: questo è un gioco che non puoi vincere.

- Basta! Basta! Vattene! -

- My Lord? -

Sebastian gli si avvicinò, incerto. Provò ad allungare una mano verso il giovane ma egli precedette il suo movimento e con uno scatto gli afferrò le braccia, stringendole con tanta forza da affondare le unghie nel tessuto nero della giacca. Vi si aggrappò come se stesse cercando di trascinarsi fuori da una palude e attirò a sé il demone con uno strattone.

Sollevò lo sguardo spiritato e per la prima volta lo diresse senza indugi in quello dell'altro, supplice di una conferma a ciò che sapeva essere impossibile ma lo terrorizzava ugualmente.

- Lui... lui è morto, non è vero, Sebastian? - espirò con un filo di voce strozzata.

- Signorino... Voi... -

- QUESTO E' UN ORDINE, MALEDIZIONE! RISPONDIMI IMMEDIATAMENTE! E' MORTO? -

Il demone rimase interdetto per un secondo dinanzi a quell'accesso d'ira mista a disperazione, poi esalò un sospiro. - Sì, my Lord. È morto. -

Il ragazzo annuì senza concedere alcuno scampo alle iridi di brace del maggiordomo. Non aveva ancora finito. - E non tornerà mai più, giusto? -

- La morte è una condizione irreversibile, padroncino. - rispose Sebastian con voce neutra. - Nessun essere può trascendere questa legge. -

- E io sono il Conte Phantomhive. Io sono l'erede della casata. - Stavolta non si trattava di una domanda, quanto piuttosto di una logica conseguenza espressa ad alta voce.

- È così, padroncino. -

Solo in quel momento le sue mani si rilassarono e lasciarono la presa sulle braccia di Sebastian, liberando la stoffa sgualcita dalla sua stretta. Travolto da un'ondata di stanchezza, il conte lasciò cadere la testa in avanti, abbandonandosi contro il petto del maggiordomo. Era come se tutte le energie fossero defluite dal suo corpo, lasciando un guscio vuoto e inerte, ma finalmente più quieto.

Sebastian non si mosse né proferì parola, concedendo al suo padrone il tempo per riprendersi. Aveva imparato che quel genere di situazioni richiedevano da parte sua un atteggiamento paziente ma distaccato. Si trattava solo di rimanere al fianco del suo padrone; offrirgli la sua silenziosa presenza e attendere che la tempesta passasse. Compassione? Quella mai. In fondo, rimaneva pur sempre un demone, inoltre il suo contraente era di temperamento orgoglioso oltre ogni dire.

- Sì, - sussurrò il ragazzino con convinzione. – Io sono il Conte Phantomhive. Io. Non lui. Lui è morto. Lui non c'è più. -

La risata argentina soffiò di nuovo dallo specchio come a prendersi gioco delle sue affermazioni, ma quando egli volse la coda dell'occhio non intravide null'altro che il proprio riflesso. Da quell'angolazione, scorse l'immagine di un bambino pallido e impaurito rannicchiato tra le coperte sfatte in un letto troppo grande, gli occhi arrossati e gonfi, avvinto all'ombra imponente del demone che torreggiava su di lui. Una visione che lo colpì come uno schiaffo in pieno volto.

Torna a nasconderti sotto le coperte del letto dei nostri genitori, come facevi sempre. È quello il tuo posto.

Sentì una fiammata di collera ribollire dentro di sé. Lanciò un urlo rabbioso misto a un ringhio e allontanò bruscamente il maggiordomo, dopodiché afferrò la pistola che teneva sotto il cuscino e premette il grilletto, sparando un unico proiettile che andò a colpire proprio il centro dello specchio. L'immagine del fanciullo spaventato venne dapprima distorta da una ragnatela di crepe, poi una pioggia di schegge e frantumi irregolari si riversò sul pavimento della camera con un clangore assordante.

Quando il frastuono si dipanò, rimase solo un silenzio denso come molta, appena intaccato dal respiro affannoso del ragazzo.

Ciel gettò la pistola in fondo al letto e crollò all'indietro contro i cuscini, ansimando.

Sebastian aveva assistito alla scena senza scomporsi.

- Vi sentite meglio? -

Il ragazzo fece un cenno d'assenso. Sapeva di essersi comportato in un modo che, optando per un eufemismo, si sarebbe potuto definire quantomai bizzarro. Non si aspettava che Sebastian potesse comprenderlo, né lo desiderava. Tuttavia avrebbe preferito evitare quella sceneggiata davanti al demone. Ogni prova di debolezza gli procurava la sgradevole sensazione di cedere una parte del potere che deteneva su di lui, sebbene il loro contratto vincolasse il demone all'obbedienza assoluta.

Dal canto suo, il maggiordomo si limitò a trarre un sospiro, contemplando i frammenti di specchio e il telaio d'argento ormai vuoto. - Be', quel che è fatto, è fatto. Immagino che sia il caso di ripulire questo disastro. Possedete oggetti di grande pregio, my Lord. Posso umilmente suggerirvi di prestare più attenzione in futuro? -

Ciel lo guardò storto. - Me ne ricorderò. -

- Allora, immagino servirà una scopa. -

Sebastian si avviò in direzione della porta prima di voltarsi un'ultima volta con un accenno di sorrisetto sardonico. - Sarebbe troppo audace da parte mia chiedervi il favore di non sparare a nient'altro durante la mia assenza? -

Ma il conte non reagì alla sua solita maniera dispotica. In realtà, non parve affatto averlo udito. Stava fissando con sguardo vitreo i cocci sparpagliati a terra in un mandala senza schema.

Li scrutava guardingo come se temesse che una qualche entità ivi intrappolata potesse librarsi nell'etere e attaccarlo.

Il demone tacque e studiò intensamente il suo padrone. Qualunque cosa potesse averlo indotto a quel gesto in apparenza così insensato, doveva averlo sconvolto più di quanto potesse comprendere.

Dopotutto, il padroncino e quel Lui che ne ossessionava la mente e le notti condividevano le stesse sembianze. Qualunque specchio doveva rappresentare una sorta di strumento maledetto per il giovane. Un monito onnipresente della sua colpa e della menzogna sulle quali aveva costruito la sua nuova vita.

Forse, col senno di poi, quella non era l'occasione più adatta per stuzzicarlo.

- Vi occorre qualcosa, signorino? Desiderate una tazza di latte caldo? -

Il ragazzo fece cenno di no con la testa e il maggiordomo se ne andò.



Pochi minuti più tardi tutti i frammenti erano stati rimossi e là dove troneggiava il riquadro prezioso dello specchio, ora vi era un anonimo scorcio di parete vuota.

Soltanto a quel punto, il conte si permise di liberare un sospiro e riaccomodarsi tra le coltri.

Lo spettro di suo fratello non l'avrebbe più tormentato... almeno per un po'.

Sebastian gli rimboccò le coperte. - La luna è ancora alta, my Lord. Avete tempo in abbondanza per riposare come si deve prima che venga a svegliarvi domattina. Vi auguro una buonanotte. -

Fece per andarsene ma si sentì trattenere da una leggera pressione. Il padroncino aveva afferrato una delle code del frac.

- Resta. - ordinò a mezza voce. Aveva gli occhi chiusi e la coperta tirata fino alla base del naso per evitare di incontrare il suo sguardo e farsi guardare a sua volta.

Sebastian annuì. - Yes, my Lord. -

Allora, il giovane sciolse la presa e la piccola ruga di tensione tra le sopracciglia si distese.

Il demone spense con un soffio le tre fiammelle del candelabro e si appostò in un angolo della camera, pronto alla veglia.

Tenere accanto un demone per scacciare i fantasmi. Gli esseri umani sono creature davvero singolari.




  
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