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Autore: Enchalott    07/11/2022    4 recensioni
Questa storia è depositata presso lo Studio Legale che mi tutela. Non consento "libere ispirazioni" e citazioni senza il mio permesso. Buona lettura a tutti! :)
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Dopo una guerra ventennale, i Salki vengono sottomessi dalla stirpe demoniaca dei Khai. Negli accordi di pace figura una clausola non trattabile: la primogenita del re sconfitto dovrà sposare uno dei principi vincitori. La prescelta è tanto terrorizzata da implorare la morte, ma la sorella minore non ne accetta l'ingiusto destino. Pertanto propone un patto insolito a Rhenn, erede al trono del regno nemico, lanciandosi in un azzardo del quale si pentirà troppo tardi.
"Nessuno stava pensando alle persone. Yozora non sapeva nulla di diplomazia o di trattative militari, le immaginava alla stregua di righe colorate e numeri su una pergamena. Era invece sicura che nessuna firma avrebbe arginato i sentimenti e le speranze di chi veniva coinvolto. Ignorarli o frustrarli non avrebbe garantito alcun equilibrio. Yozora voleva bene a sua sorella e non avrebbe consentito a nessuno di farla soffrire."
Genere: Avventura, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Di necessità virtù
La regina lo fissò sconcertata. Pensò di aver immaginato, sulla scia di una lacerazione interiore che la tormentava come il giorno in cui era stata inferta.
«Parli la mia lingua?!»
Una domanda inutile. Si sentì sciocca, dileggiata per l’ennesima volta da un essere più scaltro e infido, mortificata per avergli rivelato quella vicenda.
Eskandar inalò l’aria con scarsa accondiscendenza.
«Mai sostenuto il contrario.»
«Tu mi hai indotta a pensare…»
«Nae. Hai dato per scontato che fossi uno zotico, io te l’ho lasciato credere.»
Amshula avvertì la rabbia montare: contro se stessa in primis, ma si scaricò su di lui battendogli i pugni sul petto.
«Sei sleale! Non ho mai raccontato quanto mi è stato fatto, pensavo che non capissi! Parlandotene, ho tentato di esorcizzarlo per interrompere i sogni angosciosi senza annegare nella vergogna! Invece ora dovrò abbassare il capo davanti a te!»
Mai?
Il reikan immaginò che fosse impossibile per una donna – una ragazzina all’epoca dei fatti – farsi valere contro il re dell’Irravin. Sarebbe stata la sua parola, priva di testimonianze probanti, in un mondo barbaro dove gli uomini erano tenuti in maggiore considerazione.
Tuttavia avrebbe dovuto scegliere un’altra soluzione, allora come adesso.
«Se lo ritieni avvilente, non farlo e guardami negli occhi!»
«Ma io…»
Eskandar la girò con la facilità con cui si dispone un manichino e le scoprì la schiena.
«Suppongo non sia successo una volta. Leggo innumerevoli colpi nel tempo, lo respingevi e lui ti frustava, perdevi la battaglia, cedevi alla sua libido. Queste cicatrici sono ferite di guerra a prescindere dall’esito. Vanno portate con dignità, la vergogna non risiede dove credi, bensì nella tua passività.»
Lei rimase colpita da quel punto di vista singolare, che in parte suonò offensivo.
«Che ne sai?! Namta è stato l’inizio di un incubo, non l’unico attore! Sei un demone, potresti abbattere un toro a mani nude, mentre io…»
«Ho visto come tiri, un dardo nel cuore arresta qualunque aguzzino. Nel pieno della battaglia chi indagherebbe sulla sua provenienza? Hai reagito con la sottomissione anziché puntare sulle tue pur scarse risorse.»
«Parli con superficialità! Mio marito ha violato il mio corpo, annichilito la mia mente, quel giorno sono diventata un oggetto senz’anima, un guscio vuoto!»
«Perché non ti sei uccisa? Per timore degli dei? Sono forse intervenuti a salvarti per essere meritevoli di osservanza a discapito di te stessa?»
Amshula avvampò: ci aveva pensato ma aveva avuto paura e poi era accaduto l’inaspettato.
«Sono rimasta incinta. Non potevo condannare a morte mio figlio, quando è venuto al mondo sono sopravvissuta solo per proteggerlo. Ringrazio la divina Azalee che mi ha dato un maschio, perché al contrario… non voglio pensarci! Sono stata il suo scudo e il suo affetto, davanti al suo sorriso innocente il resto ha perso importanza! Ho orrore di me stessa, della mia debolezza, del fatto che Shaeta scopra di avere una madre vile. Queste cicatrici ne sono l’emblema. Smettila di tormentarmi, fai quello che devi o lasciami in pace!»
Eskandar non si era mai ritrovato nel letto una femmina in lacrime e la sua rassegnazione a posteriori, associata all’ottusa difesa, gli provocò una collera immane.
«Quindi apriresti le gambe e mi subiresti!?»
«Non eguaglieresti mai la crudeltà di Namta, anche se sei una creatura infera. Per riavere Shaeta sono disposta a tutto.»
Il reikan digrignò le zanne alla sciocca considerazione e le spostò le mani sul collo.
«Se invece ti uccidessi?»
Amshula si rivoltò, sferrandogli una ginocchiata all’inguine. Lui parò l’attacco e non si mosse di un fars, le dita rimasero salde ma non strinsero. In qualche misura apprezzò la reazione.
«Sarei già cadavere, se non ti servissi per ritrovare la strada. Sono disposta a barattare la mia vita, non a lasciartela gratis.»
Il generale sogghignò. A conti fatti avevano entrambi qualcosa da salvaguardare, però lui aveva individuato il suo punto debole senza rivelarle i propri.
Ha orrore dei maschi, ogni contatto fisico è stato brutale e prevaricante. Non conosce ciò che la sua gente chiama amore.
Ora che il varco era aperto, attraversarlo sarebbe stato elementare. La strategia da adottare si dipanò chiara nella sua mente.
I miei compagni sostengono che l’amplesso con le schiave minkari non sia spiacevole e comunque ho sopportato di peggio. La sua diffidenza è un ostacolo ridicolo, lo demolirò in men che non si dica.
«Il prezzo da pagare è proporzionato al fine di chi si mette in gioco, tuttavia tu non vali quanto l’erede al trono» ribatté «I Khai non scambiano l’oro con il bronzo.»
Amshula incassò l’insulto ma comprese il concetto.
«Che altro vorresti?»
«Poni la questione al mio Kharnot, io non ho voce in capitolo.»
«Sei il suo più fido collaboratore, tanto arrogante da sfidare il nemico nel nucleo del suo territorio. Un’idea ce l’hai di sicuro.»
«Mi sopravvaluti.»
«Ho già commesso l’errore opposto, non intendo ripeterlo.»
Eskandar rise freddo: la vibrazione del suo corpo si trasmise attraverso il contatto di pelle, facendola rabbrividire.
«Domandarti la resa sarebbe improduttivo. Ordineresti la fine delle ostilità, ma i tuoi generali non ti ascolterebbero, ritenendoti ricattabile, offuscata da uno smisurato senso materno. Uno di essi assumerebbe il comando, continuereste a combattere e precipiteremmo in un nulla di fatto. Se fossi lo stratega supremo, porrei come ferma condizione la consegna dell’antidoto al kori
La regina si tese e lui capì di averla incastrata.
«Non esiste alcun antidoto.»
«Le menzogne non ti favoriscono. Nonostante le lodevoli iniziative del tuo alchimista, non mi sono presentato a Reshkigal e rammento con chiarezza l’iniezione che mi ha restituito al mondo. Il contravveleno è nel mio sangue, ma il tempo lo dissolve. Voglio la formula.»
Amshula rimase in silenzio, meditando sulla gravità del frangente.
Sono una sciocca. Mi sono illusa di contare quanto Shaeta, invece costui ha colto l’intero quadro e me l’ha girato contro. È intelligente, obiettivo. Riesce difficile credere che sia stato catturato per una disattenzione.
«Se tu accettassi, sareste perduti» seguitò lui implacabile «Se rifiutassi, verresti giustiziata da Sheratan e la disgraziata sorte di tuo figlio sfuggirebbe al tuo controllo. Il tuo potere di contrattazione è esiguo, regina. Ti sei messa nei guai e per cavartene necessiti del mio aiuto. Non io del tuo.»
«Qui nella Selva degli Spiriti siamo in stallo. Chi è nelle mani di chi? Ti ho salvato la vita, sei stato mio prigioniero, non il contrario. Potrebbe accadere di nuovo allo sciogliersi delle nevi.»
«Non contarci. Gli errori si compiono una sola volta, l’hai ammesso tu stessa. Il mio è stato non inserire tra gli svantaggi il vostro narcotico.»
«Osi porre in discussione l’abilità dei Minkari!? Ti abbiamo preso con le mani nel sacco, la tua resistenza è stata vana!»
Le iridi ciclamino ebbero un bagliore colmo d’orgoglio.
«Ho stabilito così. Altrimenti brancolereste nel buio, tentando di scoprire l’identità di colui che ha valicato le vostre difese e le segrete sarebbero la tomba dei tuoi uomini.»
 
Quando aveva udito la ferrea risoluzione di Danyal, Eskandar aveva visto crollare le aspettative. Zobel avrebbe perfezionato l’arma segreta e ogni spiraglio si sarebbe chiuso. Il tempo era divenuto un nemico ostinato, ma lui non sarebbe stato da meno.
Sono l’ultima opportunità per i Khai. Mi lascerò catturare, reciterò la parte dello sprovveduto e del moribondo. Ci andranno pesanti, tuttavia durerò abbastanza per comunicare a Mahati l’entità delle scoperte, fosse l’ultima impresa che compio. Altrimenti la morte laverà l’onta del fallimento.
Ragionando sull’azzardo cui si sarebbe sottoposto, si era dileguato inosservato. Aveva conservato il travestimento e atteso la notte per penetrare nei laboratori. Aveva eluso la sorveglianza sfruttando il cambio della guardia, poi si era infilato oltre la porta varcata poche ore prima. Si era messo a cercare comportandosi come un dilettante, pur con la speranza di rinvenire un indizio che gli avrebbe risparmiato la parte sgradevole del piano.
Non era stato fortunato. La sperimentazione del veleno – o di qualunque cosa fosse – non avveniva in quella zona dei sotterranei.
La presenza di un soldato alto, prestante e impiccione aveva destato curiosità, poi perplessità, infine qualcuno aveva dato l’allarme.
Eskandar era sgusciato tra le spade sguainate, lasciandosi dietro una scia di cadaveri. Si era difeso senza risparmiare nessuno, finché non si era lasciato ridurre all’impotenza e condurre alle prigioni. Non lo avevano piegato né le sevizie né gli interrogatori, il sonnifero era riuscito ad avere il sopravvento sul suo corpo. La mente era rimasta lucida in extremis e aveva sfruttato sino all’osso la sorte concessagli dagli Immortali.
 
Lo rivelò senza omettere alcunché, come se stesse descrivendo una gita tra i boschi.
Amshula lo fissò esterrefatta: ogni dettaglio coincideva con ciò che era accaduto e, avendo trascorso molti giorni con lui, lo ritenne capace di tale follia.
«Ti sei lasciato prendere e torturare?» ansimò, sfiorandogli la pelle attraversata dai segni delle violenze «Questa ferita, quella bruciatura, subire il supplizio era volto a smascherare il kori
«Ehn
«Sei completamente pazzo! Saresti morto tra indicibili sofferenze! Se non aveste preso Shaeta, saresti stato la cavia che avrebbe garantito il nostro trionfo e la vostra fine! Non l’hai considerato?»
«Un Khai non ha paura, il dolore non mi spaventa, non sono fuggito se non all’ultimo, quando il narcotico stava per sopraffarmi. Tu hai creato l’occasione, io l’ho sfruttata.»
«Eri praticamente morto! Non hai pensato alla tua famiglia, ai tuoi compagni, a chi ti attende a casa trepidando?»
«I reikan sono la mia famiglia, il celeste Belker il mio compagno di battaglia. Sua altezza Mahati avrebbe riportato a Mardan le mie ceneri o il mio ricordo. Nessuno avrebbe pianto, poiché così si onora un guerriero.»
«Non capisco. Sottoporti volontariamente alle umiliazioni, alla sofferenza… perché? Cosa può spingere a tanto, se le tue parole sono gelide, se nessuno è signore del tuo cuore, se non hai un amore sconfinato da proteggere?»
Eskandar rifletté: la sete di vittoria, la volontà di acquisire gloria per sé e per il clan, il desiderio di onorare il suo dio non erano che inezie a paragone dell’amicizia con il Šarkumaar. Conosceva il significato di preziosità della persona e sapeva di aver giocato il tutto per tutto per impedire che Mahati facesse la fine di Kerulen. Ma in lui non scorreva ahaki. A muoverlo era l’insaziabile brama di mettersi alla prova, il desiderio servire il suo signore, il disprezzo per la sconfitta.
«La degradazione cui mi avete destinato, il male che mi avete inflitto non sono che ferite di guerra. Non ho ragione di nasconderle. Le donne con cui dividerò l’amplesso le sfioreranno con ammirazione, i Khai sono fieri di chi porta il marchio del coraggio.»
«Non riesco a figurarmi qualcosa di tanto assurdo!»
«No?» sogghignò lui «Si tratta di vanità o d’indiscrezione? La prima è un capriccio, la seconda… sperimentabile.»
Spostò le mani dal collo della regina e allargò l’apertura della sottoveste, mettendo a nudo l’intero dorso. Lei trasalì e si divincolò.
«Non toccarmi! Lasciami la dignità e non ti respingerò!»
«Tsk, così te ne priveresti da sola. Un maschio khai onora sempre il valore.»
«Vale anche per le schiave!? Onorate le ragazze che strappate alla fanciullezza?»
«Sì!»
«Bugiardo! Io non ti…»
Il respiro le si arrestò in gola quando percepì le sue labbra baciarle le spalle, seguire l’intrico di cicatrici che partiva dal collo e si dipanava in mille percorsi lungo la spina dorsale. Lo faceva con delicatezza, le mani accompagnavano lo strofinio sensuale della bocca e sapevano come muoversi, dove insistere, quanto sostare su un punto sensibile. Non era certo la prima volta a giudicare dalla sicurezza che ostentava e non mostrava traccia di repulsione. Stanava ogni scalfittura nello stesso modo in cui aveva rintracciato i lupi durante la caccia, ne godeva come in un pasto e l’astinenza non poteva essere usata come giustificazione.
«Ah…»
Il gemito le sfuggì non voluto al brivido inflittole dalla lingua calda. La scia rovente seguì il cammino tortuoso e scese verso i fianchi, il cuore schizzò alle tempie, il lino leggero venne spinto in basso dai movimenti accorti.
«No! Smettila!»
«La richiesta verbale non corrisponde a quella fisica» sussurrò Eskandar «Ho visto come mi guardi, non raccontarmi che è per interesse scientifico.»
«Tu, maledetto, sei talmente bello che non riesco a distogliere l’attenzione! Ne sei conscio, usi il fascino come un’arma! Non cadrò nella tua trappola! Chi vorrebbe una donna come me, un misero avanzo?»
«Ciò che vedo mi piace. Se mi trovi attraente, toccami, non trattenere il desiderio.»
«Non ti desidero! Io odio gli uomini! Non fai eccezione!»
Eppure il suo tocco era delicato, l’aveva spogliata con gentilezza, annientando le difese con le carezze, le braccia la stringevano senza costrizione. Avrebbe potuto svincolarsi a piacimento, ma il torace contro la schiena era caldo, solido, le forniva una sensazione di benessere, il palpito che la attraversava non era paura.
«Fammi diventare l’eccezione. La vampa che avverto in te non è febbre.»
«Lasciami! Sei un bastardo! Un nemico, un assassino! Stravolgi i miei pensieri con il tuo potere demoniaco!»
«Non trincerarti in sciocche superstizioni. Sono un uomo, forza, intelletto e destrezza sono virtù, non malefici. Cosa non va nei tuoi pensieri?»
Amshula si allacciò ansante ai suoi avambracci.
«Ti odio ma sento che mi tratti con rispetto! Vorrei piantarti un pugnale nel cuore ma non oso, poiché nessuno mi ha mai toccata così, perché stare nella tua stretta non mi disgusta ed è inspiegabile! Le tue dita non mi hanno offesa quando mi hai denudata, i tuoi baci sono piacevoli e mi mancano le forze per allontanarti! Non è mai successo! Che mi hai dato da bere?»
«Corteccia di salix» replicò lui aprendo i palmi a mostrare che non c’erano inganni «Non ho artigli per offuscare la tua mente e non intendo stuprarti.»
Amshula scoppiò a piangere.
Addirittura?
Eskandar fu colto alla sprovvista. Avvertì le emozioni riversarsi nelle sue membra tremanti e la cinse piano nel timore di effettuare la mossa sbagliata.
«Le voci sul conto del sovrano erano vere» singhiozzò lei.
«Voci? Spettri prodotti dalle credenze popolari?»
«No. A Minkar sparivano delle fanciulle con angosciante regolarità e i sospetti si concentravano sulla reggia. Namta aveva indagato, cioè finto di interessarsi alla questione, ma non era emerso alcun indizio. Ne ho compreso il motivo quando sono diventata una di loro.»
 
Quando si era svegliata dal torpore indotto dalla droga, Amshula si era trovata su un materasso sporco di sangue in uno stanzino semibuio. I frammenti sconnessi della violenza erano collimati con il dolore fisico e con lo sconvolgimento mentale: si era resa conto di non aver sognato e l’impatto con la realtà l’aveva sconvolta.
«Sei cosciente?»
Era sussultata alla voce maschile, si era rannicchiata terrorizzata dalla presenza estranea, stringendo le nudità nel lenzuolo spiegazzato.
Un uomo sulla quarantina, abbigliato con le vesti dei guaritori, era uscito dalla penombra e si era approssimato senza riguardo per il suo stato di prostrazione e vergogna. Avrebbe voluto gridare, ma dalla gola non era uscito che un gemito.
«Sono il medico di Namta. Temo abbia esagerato anche stavolta. Lasciati visitare.»
Anche questa volta?
Amshula aveva sbarrato gli occhi in un misto d’orrore e consapevolezza: era indietreggiata fino a strisciare la schiena contro la parete di pietra e le lacrime erano scese in muto dolore sulle guance esangui.
«Sì, non sei la prima» aveva confermato l’uomo alzando le spalle «I pettegolezzi sui gusti particolari del re sono veri. Rassegnati, non ti lascerà andare. Tornerà finché gli risulterai gradita e, come immagini, opporsi non è salutare. Ma io ti aiuterò. Se farai tesoro dei miei suggerimenti, sopravviverai.»
Le aveva sciolto la stoffa dalle dita contratte e aveva iniziato a esaminarla con freddezza, ignorando il trauma cui era stata sottoposta, costringendola a esporsi al tocco invasivo.
«Ti fa male ma non è grave» aveva sentenziato asettico, come se lo stupro non fosse di per sé esecrabile «Applicherò un unguento lenitivo e ti spiegherò come renderlo piacevole, per quanto possibile. Se il re è ubriaco, non riesce a contenersi.»
Si era imposta di ascoltare quelle parole avvilenti e assurde, che tentavano di convincerla che le future violenze comportassero aspetti gradevoli.
«I-io… non voglio! Aiutatemi, vi prego… avvertite la mia famiglia!»
«Mi spiace, non posso. Avrai sentito raccontare delle ragazze scomparse, non ti illuderò con false aspettative. Hai due modi per uscire da qui: tra le braccia del divino Custode o diretta al tempio di Amathira come vestale. Il secondo implica compiacere Namta in ogni richiesta, sta a te decidere se avvalerti dei miei consigli.»
Aveva iniziato a spalmarle il farmaco sui lividi che la lussuria del re le aveva impresso addosso, palpando le morbidezze del suo corpo prima di raggiungere la sua intimità senza empatia alcuna. Amshula era stata colta da un moto di repulsione e investita da un’ondata di nausea.
Il guaritore aveva atteso che rovesciasse l’anima sul pavimento, poi l’aveva ripulita e aveva ripreso la procedura.
«È l’effetto del farmaco che ti ha sciolto nel vino» aveva spiegato senza considerare l’ipotesi del disgusto provocato dal contatto «Sapevo sarebbe successo, perciò non ti ho dato subito le erbe anticoncezionali. Ti conviene berle con regolarità. Il re cerca un erede, ma non da una concubina un po’ troppo giovane… a meno che tu non riesca a fargli perdere la testa e non ti pretenda tutta per sé. Da ciò che vedo potresti incantare anche un sasso.»
Lei si era sentita violare una seconda volta dall’occhiata esplicita e non aveva compreso appieno il senso dell’affermazione.
«Mia… cugina? Lei è…?»
«Suppongo nelle sue stanze in attesa del promesso sposo, la facciata di Namta è impeccabile. Invece quando ti ha notata, ha dimenticato il matrimonio, il banchetto, la discendenza e tutto il resto. Non mi sorprenderei se la rimandasse a casa con una scusa e un lauto indennizzo per mettere a tacere le rimostranze dei genitori.»
Amshula aveva faticato a seguire il ragionamento, eppure un brivido supplementare si era insinuato tra i pensieri.
«Perché accondiscendete? Perché non mi lasciate andare?»
Le dita dell’uomo erano tornate tra le sue gambe con un’urgenza diversa da quella professionale. Aveva cercato di sfuggirgli, invano.
«Piano. Piano, principessina, se ti muovi è peggio. Io sono più delicato di Namta, ma devi lasciarmi fare. Non hai capito? Il re non riuscirebbe a soddisfare gli istinti senza conseguenze, se agisse in solitaria. Ha dei complici e deve ricompensarli.»
Le nubi si erano diradate in un lampo accecante.
«Vi prego…!»
Il respiro del guaritore si era fatto pesante, le mani avevano iniziato ad accarezzarla con depravazione, si era aperto gli abiti e aveva abusato di lei, sussurrandole quanto fosse gentile e cosa fare per accontentare lui e quelli che coprivano la perversione del sovrano.
 
«Non ho mai provato niente. Niente! Aspettavo solo che finissero, garbati o violenti o saturi di vino come otri! E Namta non lo tollerava. Detestava la mia indifferenza, si sentiva sminuito perché non riusciva a farmi gridare di piacere e sbraitava che lo facevo apposta, che ero una sgualdrina bugiarda. Così mi cavava la voce a furia di cinghiate, eccitato come un animale in calore e assisteva agli amplessi con i luridi membri della sua cerchia per vedere se qualcuno era più capace di lui!»
Per un attimo Eskandar esitò, ma la determinazione prevalse sull’inusuale senso di compassione che il raccapricciante resoconto gli aveva suscitato.
A prescindere da ciò, farò in modo che si fidi di me. Le complicazioni sono una sfida, non fanno che stimolare il mio orgoglio guerriero. Lei cadrà per me.
«Come vedi non esistono ragioni al mio strano tollerarti» concluse la regina tra le lacrime «Tranne l’incanto o la coercizione.»
«Non mi stai tollerando. Mi vuoi. Quale sia il motivo, non riconosci gli indizi perché non è mai capitato. Lo sento dal tuo odore, dal tuo fremito, dal pulsare del tuo sangue. Hai paura e neghi l’evidenza, preferisci attribuirmi poteri che non possiedo. Sostieni di non essere prigioniera, ma la gabbia in cui sei rinchiusa l’hai creata tu e continui a restarci persino ora che tuo marito è polvere.»
«Non è vero! Cerchi solo di confondermi!»
«Non ne ho bisogno. Hai la testa piena di sciocchezze e la febbre non ti aiuta a ragionare, perciò fallo quando ti sarai rimessa. E soprattutto lasciami dormire!»
L’attirò a sé con uno strattone e si rilassò nel calore condiviso del giaciglio.
   
 
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