Film > Il gobbo di Notre Dame
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Autore: Fiore del deserto    09/11/2022    1 recensioni
Durante uno spettacolo improvvisato, Clopin Trouillefou si imbatte in una giovane di buona famiglia e tra i due sembra nascere una particolare empatia. Ben presto, inevitabilmente, la palese differenza di origini di entrambi si fa sensibilmente sentire: lei, benestante e timorata di Dio, lui, girovago, re dei gitani e pagano. Con il tempo, gli incontri clandestini diventeranno sempre più complicati e l’istinto protettivo di Clopin indurrà quest’ultimo a proteggere la ragazza da un possibile scandalo.
Genere: Commedia, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Clopin, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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CAPITOLO II
 
L’effetto della bellezza nell’animo di zingaro

 
Con la testa che gli rintrona come un campanile, Clopin ammette a sé stesso di averne avuto abbastanza per quella giornata. Per un caso fortuito, una delle campane di Notre Dame ha appena suonato.
«E per di più,» parla a sé il gitano «quella casa sapeva di muffa. Via! Prendiamo la borsa e convertiamone il contenuto in bottiglie.»
Getta un occhio di tenera meraviglia verso il balcone dove aveva visto la damigella che lo aveva invitato. Quantomeno, i modi gentili di fare di lei avevano fatto la differenza. Nonostante tutto, n’era valsa la pena. Clopin si resetta un po’, si strofina gli stivaletti, una spolverata alle maniche per cacciare via la cenere della coltre di fumo precedente. Una piroetta, un piccolo fischiettare e si rende conto di aver lasciato uno spettacolo in sospeso: il giovane pubblico è rimasto lì, davanti al carretto, aspettandolo pazientemente. Aveva promesso a quei fanciulli che sarebbe ritornato, doveva mantenere la parola data. La conversione in bottiglia del contenuto della borsa, pensa il gitano, per il momento è rimandata.
 
Fatto qualche passo, Clopin vede due bisonti in contemplazione davanti al colonnato della Cattedrale.
«Non me ne importa un accidente,» ruggisce il più bestiale tra i due mendicanti «da domani, ognuno per sé!»
«È colpa mia se la gente si scandalizza della tua brutta faccia?»
Due brutti ceffi, poco raccomandabili al primo sguardo accennato a pochi chilometri di distanza. Il primo tra tutti è Clopin a definirli come un cinghiale e un maiale che tendono a stabilire la propria supremazia. Il cinghiale è alto e coperto da una folta peluria, dai lunghi e unti capelli di pece accomunati dai foltissimi baffi della medesima tonalità, porta due orecchini d’oro e a contraddistinguerlo sono i due canini dello stesso metallo appena citato. Da quando era molto giovane, nemmeno lui ricorda più quanto tempo sia effettivamente passato, non ha fatto altro che “guadagnarsi” da vivere elemosinando e mettendo in evidenza una benda nera sull’occhio sinistro – del tutto sano.
Il maiale, a sua volta, ha poche differenze rispetto al suo rivale, se non fosse per la testa picchiettata da qualche ciocca nera sparsa in maniera del tutto casuale, lorda di grasso e con qualche pidocchio costellato di qua e là pronto a divorargli parte dell’epidermide. Un solo orecchino all’orecchio e un solo dente d’oro, mendicava da anni con la stessa tecnica del cinghiale. 
«Affé mia,» ridacchia Clopin dopo aver sentito l’altro mendicante pronunciare parole poco consone e non adatte a questo genere di storie «non ce la fate proprio ad andare d’accordo, non è vero?»
La voce del burattinaio arriva alle orecchie dei due grossi mendicanti, facendoli trasalire. Interrompono il litigio, si voltano e vedono il loro leader che li sta salutando con mirabile brio.
«Affé del Cielo, perché questa valanga di paroline graziose?» domanda Clopin mettendosi le mani sui fianchi.
«Scusa, capo.» si giustifica il cinghiale, scuotendo la testa «Veniamo da una giornataccia...»
«Non dire altro,» lo ferma Clopin, sospirando e indicando la via che porta alla magione di madame Aloise «io vengo dalla casa di quelle smorfiose e per poco non ne sono uscito con la gola piena di insulti. Mancava poco perché non li sputassi. Ho rischiato di soffocare, tuoni e fulmini!»
«Vieni a bere con noi?» lo invitano e la proposta alletta il leader dei gitani.
«Magari. Avete i quattrini?» vedendoli scuotere il capo, dispiaciuti, Clopin sorride largamente «Ne ho io.» con vivace semplicità, Clopin spalanca la borsa sotto gli occhi dei due compari.
Nonostante rispettassero il loro capo, per i due mendicanti pare assurdo che Clopin possa avere un sacchetto così piena di soldi. Il maiale, il più coraggioso tra i due – o il più avventato – arrischia mettendo a punto la propria opinione.
«Una borsa così piena per uno spettacolo di burattini, capo?» c’è stupore e un leggero tremolio nella sua lingua «Non facciamo che sia piena di sassolini?»
Il sorriso di Clopin si trasforma in una smorfia fredda, severa e sdegnata, facendo pentire il maiale di quanto detto poco prima. Tuttavia, riesce a mantenere ben saldo il proprio umorismo.
«Ecco di quali sassolini riempio la mia borsa.» apre il sacchetto e ne rivela l’interno, gettandolo per terra con noncuranza. Targhe, monete d’argento, denari parigini.
Mentre Clopin rimane dignitoso ed impassibile, i due mendicanti si chinano per terra per raccogliere tutte le monete, anche quelle cadute dentro una pozzanghera.
«Vergogna, Mathias Hungadi Spicali!» li guarda alternativamente, usando una voce tra il serio e il faceto «Vergogna, Guillaume Rosseau
Mathias, il maiale e Guillaume, il cinghiale, contano i denari per terra, privi d’amor proprio e senza farsi scalfire dalle parole del loro capo.
«Ma qui ci sono trenta denari.» esclama Guillaume «Dove li hai presi?»
Clopin getta indietro la testa e socchiude gli occhi in maniera sdegnata.
«Casa Place du Parvis ha una proprietaria rincitrullita. Anzi, due. Madame e figliola.» il lettore, essendo molto intelligente, avrà senza dubbio capito che Clopin abbia derubato madame Aloise e Fiordaliso sotto il loro naso, pur volendo, per puro spirito vendicativo.
«Andiamo a bere.» propone nuovamente Mathias «Al Ancienne taverne
«Macché?» esclama Clopin «Si va al Bouquet d'Aphrodite. Lì il vino è migliore, poi accanto all’entrata c’è un vigneto che mi rallegra mentre bevo.»
«Ma è una casa di peccato.» sogghigna Guillaume con finto moralismo, producendo una risata divertita da parte di Mathias. 
«Non sta scritto “Peccatori e prostitute vi precederanno in paradiso, più che dei giudicatori”?» canzona Clopin effettuando un balletto «Non giudicate, se non volete essere giudicati.»
I due mendicanti seguono il loro leader, in cammino verso il Bouquet d’Aphrodite. Inutile dire quanto stiano pronosticato il momento dell’ebrezza e di una successiva circostanza di piacevole compagnia di donne ubriache, magari anche grasse e sciatte. Nulla di diverso nell’udire battutacce amichevoli, senza curarsi di non dimenticare di mettere in risalto vecchie confidenze. Boccali, donne, risse, vino, pazzie.
Incrociato il vicolo che li avrebbe condotti ad un passo verso il chiosco, un suono di un tamburello giunge alle orecchie di Clopin.
«Maledizione, affrettiamo il passo.» sibila Clopin, facendo ai due un cenno con la mano.
«Perché, capo?» domanda Mathias.
«Ho paura che mi veda mia sorella.» rivela il burattinaio, stringendo i denti.
«Esmeralda?» chiede goffamente Guillaume.
«E chi altri sennò?» quasi tuona seccato Clopin, per l’ovvietà «Dimentico sempre che a quest’ora si mette a danzare qui. Sbrighiamoci, non voglio che mi veda.» gli battono i denti, un brivido gli percorre le carni al pensiero di poter essere intravisto dalla sorella recarsi in quel postaccio.
Senza dire altro, i due mendicanti eseguono quanto ordinato dal loro capo. Superata la strada, cambiano atteggiamento e la spensieratezza si fa di nuovo strada in loro.
 
Scende la sera e la famigerata osteria diventa sempre più caotica quando il sole diventa assente. Tavole ricolmi di boccali riempiti fino all’orlo, pronti ad essere vuotati da bocche sdentate e avide, donne compiacenti a scialacquamenti e perverse passioni guidati dai fumi dell’alcool, frastuoni di bicchieri, canzonacce stonate, imprecazioni, pugni e schiaffoni volanti.
Non solo gentaccia, feccia dei peggiori quartieri parigini, ma anche signorotti di buone casate che di giorno scherniscono la povera gente, per poi mescolarsi tra loro con un mantello indosso per dare spazio ai loro più bizzarri desideri.
Quando scoccano le ore serali, la borsa di Clopin è bella che vuota, mentre il vino gli brucia nella gola come un fiume di lava.
«Ebbene, che i blasonati e i loro figli possano essere impiccati con le loro budella d’oro.» esclama Clopin, ricolmo di vino come una tegola di un tetto zeppo d’acqua quando piove.
Tutti quanti intorno a lui ridono, bevono, brindano a lui, imprecano.
Dà uno spintone a Guillaume, brillo ma non ubriaco alla pari del re dei gitani. La ballata dell’ebbrezza viene interrotta da un terribile fracasso alle sue spalle. Si volta e si accorge che una trave è appena caduta dal soffitto, schiacciando diversi tavoli sotto di essa.
Nemmeno Clopin è in grado di spiegare perché mai la trave sia precipitata, non riesce nemmeno a distinguere cosa accade di fronte al proprio naso.
Superato lo stupore iniziale – per fortuna, nessuno si è fatto male – Clopin trova una spiegazione, a suo dire, plausibile.
«È la punizione divina per una casa di peccato?»
Altre risate e tutto sembra essere dimenticato.
Un lieve passo e Clopin scivola lungo una parete, cadendo mollemente su di una statua raffigurante un’Afrodite che regge in mano una cornucopia con grappoli d’uva. Il re dei gitani non si regge più in piedi e, conservato un briciolo di coscienza, Mathias si rende conto che la situazione possa peggiorare. Prendendo di peso un afflosciato Clopin, sprona Guillaume a lasciare quel postaccio maleodorante di vino, sudore e di altri materiali immondi che non verranno elencati per mantenere un certo decoro.
 
Quando Juliette era entrata per la prima volta nella magione di Madame Aloise, di certo tutte quante le fanciulle, da Fiordaliso a Colombe, avevano ben chiaro che non sarebbe mai stata l’allieva prediletta della signora madre. Solo Fiordaliso doveva essere considerata l’onore di quella casa e, per esteso secondo la loro logica, di tutte le educatrici delle giovani aristocratiche.
Fiordaliso era riuscita a passare davanti alla stanza in cui avrebbe alloggiato Juliette e, quando la porta era aperta, era arrivata a vedere una pila di scatole arrivate in ritardo da qualche negozio. 
«È talmente piena di gioielli e diamanti,» aveva sussurrato Amelotte «di sicuro, suo padre è molto ricco.»
«Mia madre dice che i diamanti sono ridicoli e cafoni per una damigella.» aveva sentenziato Fiordaliso «Le fanciulle di ottima casata devono vestirsi e indossare gioielli in modo semplice e raffinato.»
«Però, c’è da ammettere che è molto bella.» aveva pronunciato con un gran rischio Colombe.
«Io non credo affatto che sia bella.» sospirava Fiordaliso, indispettita «I suoi occhi sono strani, i suoi modi di fare sono strani. Il suo accento è strano. La sua faccia è strana. È tutta strana.» 
«Non è bella come lo sono le altre belle persone.» questa sarebbe stata l’unica cosa sensata che avrebbe mai detto Colombe da quando il lettore ha avuto modo di conoscerla «Ti fa venir voglia di guardarla ancora. Ha uno sguardo intenso.»
Di certo, Fiordaliso era piuttosto carina ed era sempre stata colei che vestiva nel miglior modo possibile nella Place du Parvis, tutto grazie alle immense fortune della madre, fino a che non era apparsa la semplice ed umile figura di Juliette. La nuova arrivata non aveva bisogno di abbigliamenti sgargianti per mettere in risalto le proprie ricchezze, educata com’era nel vestire un comportamento soave, mite e docile. I gioielli di cui tanto parlavano, altro non erano che dei ricordi di famiglia che Juliette non avrebbe voluto indossare fino a che non si sarebbe sentita pronta.
Ciò che amareggiava Fiordaliso era il fatto che Juliette aveva intorno tanto amore dalle persone benché non facesse nulla di grandioso, né mai si metteva al centro dell’attenzione. L’esatto opposto di ciò che faceva madame Aloise con la sua amata figliola e, per qualche scherzo del destino, l’effetto desiderato era quasi sempre l’opposto di quello sperato. Per buon senso, era d’obbligo presentare i propri ossequi a madame e figliola, d’altra parte nessuno era realmente interessato alla figura smorfiosa di quella rampolla così piena di sé.
Era vero, Juliette non era grandiosa. Si trattava di una piccola anima amorevole che condivideva i privilegi e le sue cose liberamente. Fiordaliso e le altre, abituate a disprezzare e a ricevere ordini da donne mature, detestavano questa sue doti. Invidiavano quella ragazza materna che non esitava a far sorridere un poveraccio o ad asciugare gli occhi un bambino affamato regalando loro qualche soldo perché si comprassero del pane o qualche scialle per proteggersi dalle intemperie.  
Non li respingeva mai, non li umiliava, non li scherniva, né si vantava della propria fortuna.
Senz’altro, il lettore si chiederà perché mai madame Aloise abbia deciso di accogliere una ragazza così invisa agli occhi della sua amatissima figlia. Il lettore deve sapere che Juliette era tanto sgradita quanto portatrice di un’inimmaginabile eredità. Il padre, infatti, era conosciuto come Monsieur le Grand, il Grande scudiero e responsabile delle scuderie reali, colui che gestiva personalmente la Grande Équire di Versailles. La sua autorità si estendeva anche nel territorio del regno, arrivando alle accademie per l’addestramento dei giovani nobili alle arti militari. Oltretutto, Jacques Régalien aveva pagato profumatamente l’acida vedova perché si occupasse dell’educazione e della grazia della sua prima figlia, colei che un giorno avrebbe portato con sé una sostanziosa fetta del suo patrimonio.
L’astio della signora madre non era da meno, ma il profumo del denaro le facevano gola e non sia mai che a Parigi si sussurrasse che avesse cacciato dalla sua magione una delle figlie di Monsieur le Grand. Troppo pesante l’onta da sopportare.
Madre e figlia sopportavano in gran silenzio, ma il Cielo solo sapeva quanto entrambe desiderassero vedere Juliette sprofondare nel fango, umiliandola con tutta l’asprezza conservata nella loro nera anima.
 
«Ma era bella, ve lo posso giurare.» delira Clopin, gonfio di vino e traballante tra le possenti braccia di Mathias.
‘Abbiamo capito!’ vorrebbero urlare i suoi compari, poiché avevano sentito quell’affermazione almeno cinque volte. Per tutto il tragitto, il leader degli zingari non ha fatto altro che smaltire la sbornia commentando la figura della fanciulla dai capelli dorati, presente in Place du Parvis.
«Bella come il raggio di sole che penetra nella Cattedrale di Notre Dame.» sentenzia ancora.
«Se è così bella,» alza le spalle Guillaume «perché non vai a rivederla?»
«E stai a vedere che lo faccio!» singhiozza Clopin, con la lingua che inciampa nell’accento di un ubriaco «Quella ninfa sarà mia!»
«Di sicuro...» lo asseconda Mathias, cercando di tenere il suo capo in equilibrio e non badando al peso di quelle parole.
Se si dice che il vino lasci esprimere la verità, stiamo pur certi che Clopin si sarebbe rivelato lo zingaro più sincero di tutta Parigi.
«Domani!» urla improvvisamente, facendo trasalire i suoi compagni «Domani sarà mia!»
Hanno appena il tempo di pronunciare un preoccupato “shhh!”, per poi sobbalzare nuovamente quando un paio di guardie nota il loro comportamento poco conforme.
Schiamazzi notturni da parte di tre zingari, l’ideale per passare la nottata con un’emozione in più. Mathias e Guillaume sprecano un secondo per gettare qualche parola non proprio garbata, quindi scappano a gambe levate nel loro rifugio, con Clopin che ulula svariati giudizi negativi nei confronti delle guardie.
  
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