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Autore: blackjessamine    09/11/2022    4 recensioni
Hogwarts, per sua stessa natura, è un luogo straordinario.
Ma ci sono momenti della sua storia in cui l'eccezionalità prende una consistenza tutta diversa: accade quando le delegazioni di scuole straniere prendono posto sui suoi territori e i migliori studenti levano la bacchetta per confrontarsi in sfide straordinarie.
[La storia partecipa al "Torneo Tremaghi – Harry Potter Edition" indetto sul gruppo facebook l'Angolo di Madama Rosmerta]
Genere: Azione, Commedia | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Gilderoy Allock, Kingsley Shacklebolt, Nuovo personaggio, Olympe Maxime
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Da VI libro alternativo
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Sono voci sciocche quelle che si rincorrono nella sua testa, e Homer non è abituato a sentirsi la testa invasa da pensieri come gomitoli. Sprofonda un po’ di più nel letto, scivolando verso il basso e tirandosi la coperta sopra la testa nella vana speranza che sentirsi totalmente avvolto dal buio e dal tepore aiuti la sua mente a smettere di girare attorno alle stesse domande inespresse e si calmi abbastanza da lasciarlo scivolare nel suo consueto sonno senza sogni. 

Non funziona.

Eppure Ole, che a quanto pare è campione mondiale di pensieri intrusivi, di solito sembra riuscire ad addormentarsi solo così. O forse no, forse la posizione non ha niente a che vedere con quella testa troppo piena di pensieri.

Il dormitorio è pieno di respiri pesanti: evidentemente nessun Tassorosso del settimo anno è rimasto turbato dal discorso di Silente – non tanto da perdere il sonno, almeno. C’è stato un eccitato chiacchiericcio fino a tardi, ma quando alla fine i ragazzi si sono decisi a chiudersi le tende del baldacchino alle spalle, l’eccitazione ha lasciato il posto a una soddisfatta stanchezza. 

Per tutti, tranne che per Homer, troppo preso a vagliare scenari e possibilità per cedere davvero al sonno. Forse avrebbe fatto bene ad accettare l’invito del professor Lumacorno per quella tisana nel suo studio – ma no, lui non avrebbe fatto altro che aggiungere pensieri ai pensieri.

 

Infine, dopo quelle che a Homer sono parse ore di irritantissima veglia, la verità si apre una strada luminosa e inequivocabile nella sua mente: da solo non può sbrogliare quella matassa di pensieri. E allora fa l’unica cosa sensata, scivolando con leggerezza fuori dalle coperte e oltre le tende tirate del proprio baldacchino per raggiungere in pochi passi il letto dell’unica persona in grado di spegnere quelle voci che ha nella testa. 

“Ole… dormi?”
Homer ha già una mano infilata nella fessura dei tendaggi del letto di Ole, certo che l’amico gli risponderà prestissimo: Ole è sempre sveglio, quando Homer ha qualcosa da dirgli in piena notte. 

Sempre, tranne quella sera, evidentemente. Il che è anche sensato, perché Ole non è certo il tipo di persona capace di spendere troppi pensieri sulle conseguenze del discorso di Silente. Il che, però, è anche terribilmente ingiusto, perché Homer davvero non vorrebbe svegliarlo, ma non sa che altro fare – e del resto, lui da Ole si farebbe svegliare anche tutte le notti, se questo servisse a placare il rimuginare dell’amico.

Homer illumina la punta della bacchetta quel tanto che basta a vedere con chiarezza i contorni del letto di Ole, poi schiude le tende ed esita appena un istante a fissare il capo spettinato di Ole – l’unica parte del suo corpo visibile oltre l’orlo della coperta sotto cui si è rintanato.

“Ole… Ole!”

Allunga una mano, trova la sua spalla e la scuote appena. Gli basta un tocco leggero e Ole, con un sussulto spaventato, si volta di scatto.

“Che…”
“Sssh!”

Homer non vuole svegliare tutto il dormitorio, e Ole, confuso e ancora assonnato, sembra afferrare almeno quel concetto, perché lentamente si solleva a sedere, gli occhi stretti e fissi su Homer, e bisbiglia piano:
“Che cosa succede?”
Homer si porta un dito alle labbra, trova gli occhiali di Ole sul suo comodino e li porge all’amico. Quando i suoi occhi sembrano finalmente in grado di mettere davvero a fuoco, Homer fa un cenno verso la botola del dormitorio.

In una sera normale, Homer si sarebbe limitato a scivolare accanto a Ole, a lanciare un Muffliato attorno al baldacchino e a snocciolare le sue preoccupazioni restando comodamente appoggiato alla testiera imbottita del letto. Questa sera, però, preferisce lo spazio ampio della Sala Comune semideserta in cui sbucano dopo qualche minuto – Ole non ha fatto domande, si è solo attardato  a infilarsi un maglione pesante sopra la casacca del pigiama e lo ha seguito in silenzio.

Un movimento di bacchetta, e le braci del camino tornarono a risplendere sotto forma di vivaci e calde fiamme, permettendo loro di sistemarsi comodamente accanto al fuoco. 

“Allora? È successo qualcosa?”
Ole ha lo sguardo carico di sospetto, mentre Homer si dirige verso il bollitore accanto al camino, incantato perché una tazza di tè sia sempre pronta e disponibile per ogni Tassorosso che ne senta l’esigenza. 

“Avevo voglia di bere qualcosa di caldo”, cerca di minimizzare Homer, senza tuttavia riuscire a far riabbassare le sopracciglia inarcate di Ole. 

“Be’, ecco, in realtà stavo pensando una cosa”, mormora, porgendo a Ole una tazza calda e sprofondando nella poltrona di fronte a quella dell’amico. 

“Insomma, pensavo, io per il settimo anno non avrei neanche dovuto tornare a Hogwarts, no?”
Ole annuisce piano: Homer, forte della sua borsa di studio che gli consentirà di seguire un corso avanzato di avviamento alla professione di Guaritore presso la Scuola di Magia di Uagadou, aveva in mente di partire per l’Uganda già a settembre. Una brutta epidemia di Spruzzolosi a Grappolo, tuttavia, aveva reso impraticabile la scuola africana, costringendo gli studenti a rimandare l’inizio dell’anno scolastico a dicembre. Homer avrebbe potuto tranquillamente partire con i suoi genitori per visitare i boschi degli alberi da bacchetta del Canada, ma aveva preferito tornare a Hogwarts almeno per qualche mese.

“Bene, e, ecco, non ti sembra significativo che proprio quando io sono qui anche se non avrei dovuto, senza nessun preavviso, si organizzi di nuovo il Torneo Tremaghi?”
Il Torneo era ciò di cui tutti parlavano dal banchetto della prima sera dell’anno scolastico, ma per qualche motivo solo l’arrivo della carrozza alata di Beauxbatons e della nave di Durmstrang è riuscito a fare completamente breccia nella mente di Homer. 

“Mi sembra ovvio. Tu provi a lasciare l’Europa, tutta l’Europa viene qui a salutarti. Ti aspettavi qualcosa di meno?”
Homer soffoca la risata che gli sale alle labbra con una tazza di tè, prima di decidersi finalmente ad affrontare il nocciolo della questione.

“Sì, ok, però, dico, credo sia importante, no? Voglio dire, se partecipassi e dovessero scegliermi come campione, automaticamente la borsa di studio si congelerebbe, io potrei diplomarmi qui e partire solo l’anno prossimo, e ora avrei l’occasione di mettermi alla prova in situazioni che non avevo mai preso in considerazione”.

Improvvisamente quelle parole sembrano solo una sfilza di giustificazioni, soprattutto quando Ole lo fissa a lungo, troppo a lungo, incapace di abbassare la tazza o di portarla di nuovo alle labbra.

“Che ne dici?”
“Vuoi davvero partecipare al Torneo?”
“Be’, perché no? Potrebbe essere interessante! Voglio dire, non capita tutti i giorni di potersi confrontare con certe sfide…”
“Non capita tutti i giorni di rischiare di farsi ammazzare in modo atroce, vuoi dire!”
La voce di Homer, per un solo istante, incespica: non si era aspettato tanta ostilità nella reazione di Ole.

“Ma hai sentito Silente, quest’anno sarà molto più sicuro…”
“Ma la gente è morta! Morta, Homer, morta! Ma ti rendi conto?”
Homer prende un altro sorso di tè: è sicuro di aver letto qualcosa, anni prima, riguardo alle passate edizioni del Torneo Tremaghi, e se è vero che diversi Campioni sono morti, è anche vero che la maggior parte dei decessi sono avvenuti quando il Campione in questione non ha voluto arrendersi e ha perseverato nel portare a termine una sfida al di là della propria portata. Homer può aver voglia di mettersi alla prova, ma nemmeno per un istante ha mai pensato di anteporre l’orgoglio alla propria sicurezza. Non vuole vincere, vuole solo provare a partecipare per capire che cosa potrebbe succedere. 

“Pensavo… be’, insomma, ma almeno potremmo fare insieme l’ultimo anno! Quello sarebbe bello, no?”
“Sarebbe più bello saperti con tutti gli arti al posto giusto”, borbotta Ole, il viso affondato nella tazza di tè. 

“Eddai, credi davvero che farei così schifo?”
Ole lo trafigge con uno dei suoi sguardi limpidi:
“No, credo che tu abbia ottime possibilità di vincere. Ma è comunque un Torneo pericoloso, e onestamente non vedo il senso di rischiare l’osso del collo per… per nessun motivo, in fondo”.

Homer aspetta che Ole abbassi lo sguardo, ma l’amico continua a guardarlo, attento, come se stesse cercando di trovare sul suo viso un motivo valido per candidarsi al Tremaghi.

“In ogni caso, non è nemmeno detto che io diventi campione, ovviamente…”
“Oh, ma taci”, lo interrompe Ole, stavolta incapace di nascondere un sorriso. 

“Il Calice di Fuoco dovrebbe chiamarsi Tazzina di Fiammifero se fosse davvero così ottuso da non scegliere te come Campione di Hogwarts, e lo sai anche tu”.

Homer non lo sa, in realtà, ma è certo che i suoi voti sono sufficientemente alti da fargli credere di avere almeno una piccola possibilità di farcela. 

“Quindi, fammi capire, secondo te non dovrei provarci?”
Ole sospira, uno di quei sospiri che lo fanno apparire innegabilmente più vecchio dei suoi diciassette anni. 

“Secondo me hai già deciso e non hai bisogno del mio parere”. 

“Ma ovvio che ho bisogno del tuo parere! Perché se tu mi dicessi che non dovrei, che sarebbe meglio lasciare perdere e partire a dicembre, lo sai che io ti ascolterei…”
Ole non parla, continua a bere il tè e a osservare le fiamme nel camino. 

“Quindi? Vuoi a tutti i costi liberarti di me e mandarmi in Uganda?”
Ole sbuffa, spazientito. 

“Cretino. Lo sai che non è così. Però non voglio neanche vederti infilzato da una Manticora. Sai com’è, ho già abbastanza incubi, quindi almeno questo me lo risparmierei”. 

“Quindi vorresti dire che se fossi davvero scelto come campione di Hogwarts, tu non verresti a fare il tifo e a vedermi alle prove?”
Un altro sbuffo, ancora più spazientito. 

“Forse mi preoccupo per niente, forse sei davvero così cretino da essere al sicuro. Ti pare che non farei il tifo per te e non verrei a vederti?”

Per un attimo, Homer si perde a fantasticare di grida della folla del viso di Ole che spicca in mezzo agli altri studenti, come illuminato da una luce tutta loro.

“Quindi”, si affretta ad aggiungere, mettendo in un angolo le fantasticherie, “quindi se ora ti chiedessi di accompagnarmi giù in Sala Grande per mettere il nome nel Calice, lo faresti?”
Ole lo fredda con un’occhiata che cerca di essere truce, ma che non spaventerebbe nessuno. 

“Solo se scendi tu in Dormitorio a prendermi il maglione, ché con questo freddo io non ho intenzione di accompagnarti da nessuna parte!”. 

E Homer, improvvisamente, non riesce a trattenere un sorriso.

In qualche modo, sente di aver già vinto. 

 

***

Lo studio di Lumacorno sembra particolarmente affollato, quella sera, ma Gilderoy sa che si tratta solamente di un’impressione. La sensazione è data dal chiacchiericcio costante che anima i pochi invitati, un chiacchiericcio sommesso animato da eccitazione e voglia di discutere ogni dettaglio del discorso appena tenuto da Silente. 

Lo stesso Gilderoy, di solito piuttosto restio a parlare a sproposito, poco prima si era sorpreso a fantasticare insieme a Olmus Greenwood di creature pericolose e punteggi e giudici.
Nello studio ci sono solo una mezza dozzina di studenti, molti meno rispetto al nutrito gruppo di ragazzi e ragazze che abitualmente si affollano attorno alla tavola del professor Lumacorno: del resto, quella non è una cena, ma solo un incontro informale. Non ci sono stati inviti arrotolati in fiocchetti di velluto nero, ma solo la mano di Lumacorno posata su una spalla qui e una lì mentre la folla di studenti lasciava il banchetto per tornare ai propri Dormitori. A Gilderoy non è sfuggito il pattern di quei movimenti delicati: Lumacorno ha completamente ignorato gli studenti più giovani, limitandosi a invitare nel suo studio per una tisana digestiva solo gli studenti del settimo anno. Il che ha perfettamente senso, dal momento che Silente è stato estremamente chiaro quando ha parlato di Linea dell’Età.

 

Gilderoy annusa con circospezione l’odore vagamente pungente delle erbe nella sua coppa, osservando la scena: gli studenti chiacchierano, sussurrano ipotesi riguardanti il Torneo, e Lumacorno, seduto sulla sua poltrona migliore sistemata in posizione strategica così che possa assorbire la maggior parte del calore del fuoco e al tempo stesso permettergli di vedere tutti i suoi invitati si limita osservare con aria soddisfatta i ragazzi riuniti attorno a lui.

C’è una certa sensazione elettrizzante d’attesa sospesa nell’aria: è chiaro che Lumacorno sta solo aspettando il momento giusto per interrompere quel chiacchiericcio e dire qualcosa di importante. Vuole che la tensione cresca abbastanza, così da avere su di sé tutte le attenzioni necessarie. 

Virginia Abbott, Corvonero come Gilderoy, lancia un’occhiata brillante al professore, per poi esibirsi in un discreto colpo di tosse e mormorare:
“Professore… ecco, lei crede… ha qualche idea su chi secondo lei potrebbe essere un degno campione di Hogwarts?”
Lumacorno fa un cenno che vorrebbe essere l’imitazione di una modesta scrollata di spalle, ma è chiaro a tutti che il luccichio nei suoi occhi color uvaspina significa solo che Virginia ha colpito nel segno. 

“Mia cara signorina Abbott, non posso certo dire di avere la stessa lungimiranza di un oggetto di straordinaria fattura come il Calice di Fuoco, tuttavia…”
La porta dello studio si apre, e Lumacorno si illumina di un sorriso radioso.

“Oh, ecco il nostro ritardatario! Vieni, ragazzo mio, accomodati, accomodati! Stavamo giusto per cominciare”.

Gilderoy, che ha esaminato con estrema attenzione gli studenti presenti nello studio, si aspetta di vedere la figura alta e slanciata di Landmann, quello strano Tassorosso più interessato a girare il mondo che a studiare che però, per qualche strano motivo, sembra in grado di far cadere ai suoi piedi tutti i professori. Landmann spesso diserta le cene di Lumacorno, con grande rammarico del professore, ma Gilderoy è certo che quella sera Lumacorno si sia gettato al suo inseguimento con particolare tenacia. 

È dunque con una certa sorpresa che al suo posto Gilderoy osserva Kingsley Shacklebolt attraversare lo studio e prendere posto su un pouf di velluto verde che sembra assolutamente minuscolo e inadatto a contenere tutta la sua mole di muscoli. Non ha senso che il Grifondoro sia lì: Shacklebolt è più elusivo ancora di Landmann, e sembra aver sviluppato un particolare talento nello svicolare e saltare le riunioni di Lumacorno. 

E poi, Shacklebolt frequenta il sesto anno, quindi la sua presenza lì non ha il minimo senso.

“Bene, ora che ci siamo tutti, penso di poter rispondere alla domanda della signorina Abbott…” comincia Lumacorno, gettandosi subito in un lungo discorso sul Torneo Tremaghi, senza dimenticarsi di citare più e più volte per nome il Capo del Dipartimento per l’Applicazione della Legge Magica. 

Gilderoy, però, ben presto si ritrova a fissare Shacklebolt: il ragazzo non ha detto una parola, da quando è entrato. Si è limitato a lanciare sguardi attenti agli studenti che lo circondano, incapace tuttavia di apparire fuori luogo: chiunque, al suo posto, sarebbe sembrato un ragazzino inadatto a condividere la stanza con studenti più grandi, ma lui sembra il più padrone della situazione. Forse perché non si è lasciato sfuggire neanche un bisbiglio eccitato quando Lumacorno ha parlato del Calice di Fuoco, o forse perché c’è un leggero velo di disinteresse nei suoi occhi che il viso inespressivo non riesce a mascherare.

“Per questo ritengo che ognuno degli studenti presenti in questa stanza possieda le caratteristiche e le capacità richieste a un Campione. Chiunque di voi sia il prescelto, Hogwarts sarà fortunata, e mi auguro che anche coloro che non indosseranno l’alloro del Campione sapranno sostenere adeguatamente qualsiasi nome scelto dal Calice di Fuoco”.

Altri mormorii, altre battute, altra eccitazione a serpeggiare nello studio. 

Lumacorno estrae dalla tasca minuscoli rotolini di pergamena di un’elegante tinta vinaccia, distribuendo a ciascuno degli studenti un rettangolo di pergamena e agitando la bacchetta per far comparire una bella piuma iridata.

“Vi invito quindi a scrivere il vostro nome: potremmo scendere in Sala Grande e inserire i vostri biglietti nel Calice di Fuoco tutti assieme, così, come se fosse una piccola cerimonia di buon auspicio”. 

Gilderoy non crede di aver mai sentito nulla di più stupido: perché mai dovrebbbe svolgere una cerimonia di buon auspicio in compagnia di quelli che, a tutti gli effetti, considera degli avversari? Lui ha sempre saputo di voler mettere il proprio nome nel Calice di Fuoco, ma non ha mai avuto l’intenzione di farlo assieme agli altri pupilli di Lumacorno, e certo non ha intenzione di farlo in piena notte, quando tutti sono a dormire. Qual è il senso di inserire il proprio nome in quella stupida coppa se la scuola dorme, invece di essere pronta ad applaudirlo e a mostrargli aperto sostegno?
Tutti, però, si stanno affrettando a scrivere il proprio nome sulla pergamena – anche se almeno un paio di studenti hanno un’espressione tutt’altro che contenta – e così Gilderoy, con l’elegante svolazzo che ha messo a punto in lunghe sessioni di simulazione di autografo, firma il proprio rettangolo.

Solo Shacklebolt, nota, si è ficcato in tasca la pergamena senza scriverci sopra niente. 

“Benissimo, benissimo! Ma guardate un po’ che ore si sono fatte”, sbotta Lumacorno, battendosi una mano sulla fronte in un gesto chiaramente teatrale ed esagerato. 

“Il coprifuoco… oh, be’, forza, tutti in Sala Grande e poi tutti a letto! Non voglio che uno dei miei futuri campioni finisca nei guai con il signor Gazza per colpa mia… conoscete la strada, sì? Non c’è bisogno che vi accompagni fino in Sala Grande”.

Tipico di Lumacorno proporre una cosa ridicola come quella stupida cerimonia e poi tirarsene fuori.

Non che Gilderoy abbia intenzione di parlarne ad alta voce: Lumacorno, nonostante i suoi modi pomposi e le sue idee stravaganti resta comunque uno dei professori preferiti di Gilderoy, e lui sa di essere uno dei suoi studenti preferiti, ed è più che deciso a mantenere la situazione invariata.

Con un sospiro, si decide a seguire la lunga treccia scura di Virginia Abbott nel corridoio scarsamente illuminato. 

Certo, potrebbe sempre staccarsi dal piccolo drappello di studenti, tornare in Dormitorio e seguire il suo piano originario di inserire il proprio nome nel Calice solo nel momento in cui abbia un adeguato pubblico, ma questo comporterebbe far giungere a Lumacorno la voce del suo piccolo dissenso, e questo Gilderoy non lo vuole. Perché Gilderoy sarebbe pronto a scommettere i suoi Bigodini Autoriscaldanti imbevuti di Pozione Punte Compatte sul fatto che Lumacorno sarà uno dei pochi professori davvero disposto a chiudere un occhio sulle regole e ad aiutare il Campione di Hogwarts, se questo campione dovesse appartenere al ristretto gruppo dei suoi pupilli. E Gilderoy, discretamente sicuro di poter essere nominato Campione, non vuole correre il rischio di inimicarsi il professore che più di tutti potrebbe aiutarlo a trionfare – non che abbia davvero bisogno di aiuto, naturalmente, ma perché dover faticare più del necessario?

Arrivati in fondo al corridoio, Shacklebolt, che è davanti al gruppo, svolta a sinistra. Nella direzione opposta rispetto alla Sala Grande. 

Gilderoy registra la cosa senza nemmeno farci troppo caso, e con un sospiro si prepara a seguire il resto del gruppo. O per lo meno, lo farebbe, se solo Olmus Greenwood non facesse cenno a tutti di fermarsi mentre insegue Kingsley. 

“King! Eddai, ma vieni con noi, no?”
I due, ora Gilderoy lo ricorda, fanno entrambi parte della squadra di Quidditch di Grifondoro – Shacklebolt forse è solo una riserva, o ha giocato qualche partita per sostituire un infortunato, non ricorda. 

“Non avrebbe senso”, risponde la voce pacata e profonda del ragazzo, “divento maggiorenne a mezzanotte, quindi tanto vale aspettare domani mattina”.

“Ma no, dai, non manca così tanto a mezzanotte! Ti aspettiamo, così possiamo anche farti gli auguri!
Gilderoy è disgustato: le offerte di amicizia di Virginia Abbott sono sempre tanto plateali quanto false. Sicuramente non le importa niente di fare gli auguri a Shacklebolt, ma il suo bisogno di presentarsi a chiunque come la ragazza più gentile della scuola la spinge  a questo tipo di esternazioni. 

Shacklebolt tentenna, incapace di nascondere un rapido lampo di irritazione alle parole di Virginia, ma poi torna lentamente sui suoi passi. 

Mai nella vita Gilderoy avrebbe creduto di trovarsi in compagnia di persone con cui a stento scambia due parole fuori dallo studio di Lumacorno, in piena notte, intento a condividere un momento che avrebbe immaginato del tutto diverso. C’é però uno strano senso di comunanza nel percorrere insieme i corridoi silenziosi: per un attimo, un solo, lievissimo istante, a Gilderoy sembra di fare parte di una squadra. È la stessa sensazione che ha provato quando il terrore generale per i G.U.FO., due anni prima, aveva reso gli studenti di Corvonero particolarmente inclini a sedere nello stesso angolo di Sala Comune a parlare delle stesse cose. 

 

Quando arrivano in Sala Grande, i loro passi risuonano nelle stanze silenziose.

Il Calice di Fuoco getta tutto attorno a sé un bagliore azzurrino che stempera nell’oro della linea dell’età imposta da Silente: la sala è così silenziosa e tranquilla che dire qualsiasi cosa sembrerebbe un sacrilegio. 

I ragazzi rimangono immobili, posizionandosi a poca distanza dal Calice di Fuoco, e Olmus si avvicina al naso il quadrante dell’orologio da polso.

“Mancano solo due minuti a mezzanotte!”

“Qualcuno dovrebbe prestarmi una piuma, se ce l’ha, perché non ho scritto il mio nome”, mormora Shacklebolt, estraendo dai meandri delle sue tasche un rettangolo di comunissima pergamena – non, nota Gilderoy, la costosa pergamena color vinaccia di Lumacorno.

Gilderoy, con un sospiro, estrae da una piega del mantello la sua bellissima piuma nuova: un elegante oggetto tinto di un tenue lilla, Autoinchiostrante  e con brevetto Anti-Sbavatura, e la porge al Grifondoro.

 

Sabine McClan, un’allegra, minuscola ragazzina di Serpeverde con un innato talento per il disegno improvvisa un conto alla rovescia, scandendo i secondi che li separano dalla mezzanotte. Sembra quasi che sia Capodanno, ma invece di scambiarsi calorosi auguri, al sorgere del nuovo giorno tutti, come mossi da un medesimo istinto, gettano la propria pergamena nel Calice di Fuoco.

E poi la magia sembra spezzarsi. 

I ragazzi tornano ad essere un gruppo di studenti che in comune hanno solamente l’apprezzamento di Lumacorno, e fra saluti imbarazzati e qualche pacca sulla spalla di Shacklebolt, ognuno si volta per fare ritorno nella propria Sala Comune, da solo. 

Mentre attraversano la Sala Grande, Shacklebolt posa una mano sulla spalla di Gilderoy. Ci si aspetterebbe che un ragazzo robusto come lui avesse una presa simile a quella di una tenaglia, e invece il suo tocco è delicatissimo. 

“La tua piuma”.

Gilderoy abbassa lo sguardo sulla piuma, la sua bella piuma, quella con cui si è sempre immaginato firmare autografi e dediche. 

E, del tutto inaspettatamente, si ritrova a scuotere la testa e a sorridere. 

“Ma no, tienila pure. Considerala un regalo di compleanno”.

Non sa perché l’abbia fatto. 

Sa solo che gli è sembrato giusto

E che il sorriso sul viso di Shacklebolt è del tutto inaspettato, ma genuino e in grado di illuminare quel volto sempre così serio in un modo che Gilderoy non avrebbe mai immaginato. 

“Grazie. E buona fortuna, allora!”
 




 

 


 

Note:

Sento che questa storia avrebbe bisogno di note lunghissime, ma non credo di essere in grado di scriverle.

In parole semplicissime, il gruppo facebook "L'Angolo di Madama Rosmerta" ha organizzato un Torneo Tremaghi: i miei tre campioni affronteranno tre prove, questo capitolo serve per introdurli  e presentarli.

Temo di avere fallito l'obiettivo, e mi rendo conto che questo capitolo è tremendamente sbilanciato verso Ole e Homer, ma insomma, sono un pessimo genitore e ho decisamente due figli preferiti.

 

   
 
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