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Autore: gt26    10/11/2022    1 recensioni
Claude Frollo ed Esmeralda sono una coppia felice.
L'unico problema è che nessuno sa di loro.
Una oneshot basata su un sogno, sulla voglia di scappare e di vedere il mondo.
Buona lettura!
Genere: Fluff, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Claude Frollo, Clopin Trouillefou, La Esmeralda, Quasimodo
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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"Claude?"

"Mh?"

"Non andare via così presto. Altri cinque minuti."

Su Notre Dame splendeva una bella domenica di sole. Erano le nove e mezza del mattino, e come ogni giorno Claude ed Esmeralda si erano svegliati con i raggi di luce che entravano dalla finestrella della loro stanzetta, in alto tra le torri della cattedrale. 

La ragazza aveva stretto a sé il prete, gli aveva dato un bacio su una guancia e con la testa si era appoggiata al suo petto. Non le piacevano, le domeniche. E Claude lo sapeva.

Per tutti gli altri era giorno di festa, passavano la giornata con la famiglia, con gli affetti più cari. 

Per loro due, significava stare separati tutto il giorno a causa dell'impiego di Claude. 

E la sera, vedendo il suo amato stanco, con poche energie rimaste, a Esmeralda dispiaceva tormentarlo con il racconto di ciò che aveva fatto e visto in sua assenza. 

Così lasciava che si addormentasse tra le sue braccia. 

Claude, poi, era consapevole di quanto a lei piacesse la gente, e quanto avrebbe desiderato passare le domeniche all'esterno, tra loro, a perdersi tra i viali di Parigi, nella confusione, ascoltando i pettegolezzi di paese e il chiacchiericcio. Ma il loro era un amore proibito, e lui lo sapeva che le voci in una grande città sono più veloci dei fulmini. Quindi, le chiedeva di pazientare, sperando che, magari un giorno, le acque si sarebbero calmate, e la gente avrebbe smesso di chiedersi dove fosse finita la gitana, così scampata alla forca. 

Stavano lì, loro due, abbracciati, senza la voglia e il coraggio di dirsi niente, assaporando quei pochi minuti disponibili per loro, cercando di farseli bastare. 

E poi, come ogni domenica, Quasimodo bussò alla porta. 

"Claude, è tardi, deve andare a celebrare messa."

E come ogni domenica, l'arcidiacono rispose:

"Arrivo, Quasimodo. Dammi cinque minuti."

Ormai era diventato quasi un rituale.

"Devi proprio andare?" Lui annuì, le diede un bacio tra i capelli, le rimboccò le coperte e le sussurrò

"Dormi ancora un poco, che è presto."

Poi sparì, chiudendo la porta alle sue spalle, piano, senza far rumore. 

 

Il poeta Pierre Gringoire quella mattina si era svegliato di buonumore. Pensava che l'estate sarebbe arrivata presto, e ne era felice. Guardando i fiori di Parigi sbocciare, aveva scritto una dolce poesia sull'amore, di getto, in cinque minuti. Pensava fosse la sua opera più bella. 

Così, aveva deciso di passare dall'arcidiacono Claude Frollo per sentire il suo parere. Si era immerso nei vicoli alberati, aveva respirato i profumi primaverili, ed era giunto davanti alla cattedrale. 

Gli aveva aperto Quasimodo, e l'aveva condotto da Claude. 

Il problema era che l'arcidiacono di Josas in quel momento stava facendosi un bagno e cambiandosi. 

Quando Gringoire aprì la porta, lo trovò intento ad uscire dalla vasca. L'impulso gli suggeriva di andarsene e ripassare più tardi, quando sentì l'arcidiacono dire

"Vieni pure, Pierre. Non ho segreti." Entrò, vide il prete che gli sorrideva. 

Frollo? Sorridere? Doveva essere davvero una mattina strana. 

"Scusi per il disturbo, Don Claude, ma...ecco... volevo farle leggere questa poesia che ho scritto. Credo sia molto profonda, magari potrebbe usarla per uno dei suoi sermoni."

"Grazie Pierre. Appoggiala pure su quel tavolino." Rispose, mentre si vestiva. Il poeta ribatté:

"Ah, senta arcidiacono, volevo chiederle una piccola cosa. In città girano voci sul suo conto... i parigini dicono che abbiate un'aria diversa, in questi mesi. Più...gioiosa, quasi."

"Puoi chiamarmi anche Claude, Pierre. Ormai siamo in confidenza, vieni da me ogni settimana a portarmi qualcosa." Rise. 

"Comunque, i parigini hanno ragione. Sono solo felice per l'arrivo della primavera. Deve essere l'aria, fa più caldo."

"Dice, do-...Claude? Non so se sa, ma gira voce che... beh, si ricorda la gitana, quella che dovevano impiccare qualche mese fa? Si dice che l'abbiate uccisa voi. E, vede in quanto suo...marito, mi pareva giusto chiederle informazioni."

"Posso fidarmi di te, Pierre?"

Il poeta rabbrividì, pensando al peggio. Deglutì, prima di rispondere. "Penso...di sì."

"Prendi il tuo poema, portalo tu nelle mie stanze, nella torre. Chiedi a Quasimodo di condurtici."

"Non l'ha uccisa, vero?"

Claude si girò verso il poeta, lo guardò negli occhi. Sorrise. Pierre non l'aveva mai visto sorridere. Capì. L'arcidiacono chiamò Quasimodo.

 

Qualche minuto più tardi, Claude, vestendosi, si rese conto di avere lasciato la talare di sopra. Salì le scale, portando con sé anche qualche pezzo di pane e del latte per Esmeralda. 

Mentre camminava, sentiva il vociare concitato della ragazza, mentre parlava con Pierre e gli raccontava tutto.

Entrò, si diresse alla scrivania, dove erano seduti i due, su due seggiole, chiacchierando. Claude poggiò le cose sul tavolo.

"Avevi dimenticato la veste." Gli disse lei. "Ti ho portato la colazione." Le disse lui. Si sorrisero.

Claude prese le sue cose, fece per andarsene, poi pensò che se la gente parlava, sarebbe stato giusto continuare a farla parlare. Diede ad Esmeralda il suo mantello nero. 

"Che ne dici di andare fuori, oggi, assieme a Pierre? È una bella giornata, e poi io sarò via tutto il tempo, ti sentiresti sola."

Lei lo guardò, incredula. "Sei sicuro che...?"

"Fidati di me, c'è così tanta gente là fuori, che non si accorgeranno di te. Potresti andare dalla tua famiglia, alla Corte."

Esmeralda si illuminò in viso. "Sarò qui stasera, te lo prometto! Grazie Claude!" 

Si alzò, lo abbracciò. 

Claude le sorrise, felice di vederla così estasiata. Avrebbe fatto di tutto per lei. E sapeva benissimo che una volta tornata alla Corte, dalla sua famiglia, nella sua vecchia casa, tra il suo popolo, non sarebbe più tornata da lui. Era quello il suo mondo, tra la gente, non rinchiusa tra delle mura di pietra. Era vero, lo amava, ma era sicuro che la sua libertà, i viaggi, il mondo, la sua giovinezza fossero più importanti. Era solo una bambina, e come tutte le ragazze pullulava di vita. 

 

Al suo ritorno, come previsto, Claude non trovò la sua Esmeralda. La stanzetta era vuota, e su Parigi era sceso già il buio. Era talmente stanco che si distese direttamente a letto. Poggiò la testa sul cuscino; c'era ancora il suo odore. 

Non si pentì di quello che aveva fatto. Saperla felice, quello valeva più di ogni altra cosa. Però si sentiva così solo. Pianse, in silenzio, un misto tra gioia e tristezza. Poi si addormentò. 

 

Non sapeva che ora fosse; semplicemente aveva perso la cognizione del tempo. I suoi compagni alla Corte avevano insistito perché rimanesse con lei, ma Clopin aveva capito; quello per Claude era vero amore, e niente avrebbe potuto separarla da lui. Quindi era tornata, e assieme a Quasimodo aveva guardato le stelle, pensando che Parigi fosse molto più bella dall'alto.

Vide Claude addormentato, gli si distese accanto, provò a chiamarlo, sussurrando. Non le rispose. Era immerso nel sonno, doveva essere così stanco. Gli passò una mano tra i capelli. Era così bello mentre dormiva. 

Anche se entrambi odiavano le domeniche, ne avrebbero passate altre mille, insieme.

   
 
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