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Autore: federicaMalik    11/11/2022    1 recensioni
*la storia fatta eccezione per il prologo è raccontata dal punto di vista della protagonista due anni prima.
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Il lieto fine non è garantito e l’amore non è sempre fisico.
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Dal testo:
“Come ti hanno convinta a venire a questa festa?” Mi chiese riscuotendomi dai miei pensieri.
“Tuo fratello ed Izi” sospirai alzando gli occhi al cielo “non volevano lasciarmi a casa da sola” conclusi, scrollando le spalle.
“Ed il tuo ragazzo?” Mi domandò, gettando la sigaretta a terra ormai terminata, dopo averla spenta contro il muro.
“Cosa avevi mercoledì pomeriggio?” Ignorai la sua domanda, intenta ad indagare su quanto era successo, continuando a scrutarlo
attentamente.
“Non so di cosa tu stia parlando”
Genere: Drammatico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Crack Pairing
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago, Universitario
Capitoli:
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Ciao a Tutti, Sono passati esattamente 10 anni da quando ho smesso di scrivere e pubblicare storie su questo sito. Allora ero un’adolescente innamorata degli one direction e con tanta fantasia. Ad oggi sono cresciuta, mi sono laureata, ma non ho mai smesso di leggere silenziosamente le storie presenti qui. Qualche mese fa, un piccolo imprevisto ha fatto riemergere in me quella stessa sensazione e bisogno di tornare a scrivere (ovviamente con una maturità e consapevolezza che 10 anni fa non avevo). Inizialmente avevo deciso di tenere questa storia per me, ma alla fine ho scelto di condividerla con voi. Ps: ho cambiato il nickname, ad oggi ancora FedericaMalik (😅), presto diventerà Fed_
Buona Lettura.


 

*la storia fatta eccezione per il prologo è raccontata dal punto di vista della protagonista due anni prima.

Alla mia generazione,
con gli ansiolitici nel cassetto al posto dei sogni.

 




Prologo





17 settembre 2022

Due anni dopo
 

Il caldo asfissiante di settembre era ancora troppo forte per poter indossare una camicia a maniche lunghe totalmente abbottonata; 

inoltre, se consideriamo le dimensioni estremamente ridotte del suo ufficio e la piccola finestra troppo alta per essere aperta era facile comprendere come in quel luogo mancasse l’aria necessaria anche solo per respirare, figuriamoci se potesse essere possibile concentrarsi un po’ di più su quell’articolo da ottomila caratteri.

Il suo sguardo cadde in basso alla sinistra del piccolo schermo del computer, aveva scritto solo 526 caratteri, eppure gli sembrava che stesse li a digitare lettere da una vita.

Le dita sudate sulla tastiera nera e gli occhi che gli bruciavano, la lancetta dell’orologio grande attaccato al muro che non gli consentiva di concentrarsi, non c’era proprio verso quel giorno di poter sperare in qualcosa di più.

Non era certamente da lui non avere niente da dire, tantomeno nulla da scrivere.

Eppure in quel momento, l’unica cosa a cui riusciva a pensare, che avrebbe voluto scrivere e poter urlare, era che gli mancava l’aria.

Portò le dita della mano destra vicino al colletto della sua camicia, proprio sul primo bottone - dio, quanto avrebbe voluto sbottonarlo- e cercò di allontanare la stoffa dal suo collo, come se quel movimento potesse aiutarlo a riempire i polmoni, come se potesse davvero alleviare la sua sofferenza.

Inconsciamente iniziò a tamburellare le dita dell’altra mano sulla scrivania, tenendo quasi il ritmo delle lancette dell’orologio, il suo sguardo cadde nuovamente sul numero di caratteri battuti: troppo pochi.

Emise un profondo sospiro, lasciandosi andare sulla sedia, passandosi una mano sul viso e percependo qualche goccia di sudore quando sfiorò la sua fronte; non era decisamente una buona giornata.

Tuttavia, non poteva non adempiere ai suoi doveri, perciò prese un gran respiro e strinse i pugni come se quel gesto  potesse dargli la forza di cui necessitava, riportò le mani sulla tastiera ed iniziò a scrivere.

Due ore dopo era nella stessa identica posizione, non si era mosso minimamente, la temperatura era ancora troppo alta così come la finestra ancora chiusa, le dita sulla tastiera decisamente sudate, le lancette dell’orologio ancora troppo fastidiose; tuttavia, sorrise impercettibilmente a se stesso, fiero, aveva un problema in meno.

Diede ancora un piccolo sguardo allo schermo, subito dopo aver messo il punto a quell’ultimo periodo; prese un respiro di sollievo, così profondo che quasi credette di non aver respirato nelle ultime ore, aveva finalmente finito il suo articolo.

Mandò in stampa il risultato di quella interminabile giornata e si avviò verso la porta dell’ufficio, appena l’aprí venne travolto da un aria freddissima che quasi lo fece rabbrividire.

Ovviamente i condizionatori funzionavano tremendamente bene in tutto l’edificio, tranne nel suo buco d’ufficio; si era rotto praticamente in pieno luglio e non era ancora stato riparato, non che prima funzionasse meravigliosamente, ma era comunque meglio di niente.

Scosse la testa impercettibilmente, risvegliandosi dai suoi stessi pensieri e rivolse un sorriso tirato ad Adele che gli aveva rivolto un cenno del capo mentre parlottava al telefono, la vide sollevare gli occhi al cielo e portarsi una mano alla tempia, probabilmente sfinita da quella conversazione con un potenziale cliente.

Si avvicinò alla stampante, recuperando i fogli contenenti il suo articolo e non perdendo tempo a spillarli.

Odiava essere uno stagista, odiava sentirsi l’ultimo arrivato -nonostante lavorasse in quell’ufficio da più di un anno-, odiava dover lavorare più di quanto stabilito, odiava poter scrivere solo articoli su argomenti marginali e di scarso interesse -almeno per lui- ed odiava guadagnare così poco.

Odiava talmente tanto quella situazione, che quasi si ritrovò a dar ragione a suo padre e le sue parole gli tornarono in mente in pochi secondi, sentendo la sua voce a pronunciarle: “che lavoro vorrai mai fare con una stupida laurea in scienze delle comunicazioni”.

Sospirò, per l’ennesima volta in quella giornata, mentre si fermava davanti ad una porta nera, non perse ulteriormente tempo, e sollevò la mano, iniziando a picchiettare sul finto legno.




Non aspettò molto prima che una voce dal suo interno gli diede il consenso di entrare, e fu allora che avvicinò la mano alla maniglia e l’abbassò, mettendo su il suo sorriso migliore.




“Vieni entra e siediti pure Nick, immagino tu abbia concluso l’articolo che ti avevo chiesto..”  disse il suo capo non appena scrutò la sua figura sulla soglia della porta.

Il signor Davis era un tipo giovanile, nonostante avesse superato, non da poco, i 50 anni, aveva troppa barba e pochi capelli di un grigio scuro, indossava degli occhiali troppo piccoli che teneva sulla punta del naso e se avesse smesso di fargli scrivere degli articoli inutili o totalmente imbarazzanti, probabilmente, lo avrebbe trovato un tipo simpatico.

Staccò la spina dai suoi pensieri non appena si sedette di fronte al suo capo, allargando ulteriormente il sorriso non appena poggiò l’articolo sulla scrivania.

“Ecco qui, Signore, spero possa andare bene” mormorò imbarazzato, mentre quello già stringeva tra le mani il suo lavoro.

I cinque minuti seguenti li passò ad osservarlo, mentre corrucciava la fronte in un espressione concentrata e con gli occhi incollati sul testo che stava esaminando.

Ecco, odiava anche quello, quel sentirsi sempre sotto esame e la sua scarsa, se non nulla, sicurezza e fiducia nelle sue capacità non lo aiutava affatto.

Cercò di distrarsi da quello stato ansioso ed iniziò a guardarsi intorno, nella speranza che quel tempo finisse velocemente.

Proprio come se il signor Davis potesse sentire il flusso dei suoi pensieri, dopo pochi istanti si schiarì la voce e cominciò a parlare:

“Beh, considerando che non deve essere stato semplice per te scrivere riguardo alle abitudini delle donne in quel periodo del mese - disse, ridacchiando e lanciandogli un’occhiata divertita -credo che tutto sommato tu abbia fatto un buon lavoro” 

Nick si morse l’interno della guancia, cercando di non far trasparire il suo fastidio, non solo gli lasciava degli articoli alquanto imbarazzanti, ma si prendeva persino gioco di lui; tralasciò quel pensiero e gli mostrò un sorriso falsissimo, ringraziandolo per non si sa esattamente quale motivo.

Si alzò rapidamente dalla sedia, credendo che quel colloquio fosse giunto al termine, ma non fece in tempo a salutarlo e dargli le spalle che il signor Davis lo richiamò.

Girò il viso verso la voce che lo aveva richiamato, a pochi passi dalla porta, con un sopracciglio inarcato, non fece in tempo a dire o a pensare nulla, che il suo capo ricominciò a parlare.

“La prossima settimana verrà inaugurato un nuovo club letterario, mi piacerebbe se tu intervistassi la fondatrice e se potessi scrivere un articolo da pubblicare in concomitanza all’apertura”.

A quel punto annuì sorridente, mormorando un “certo, Signore,” dopo tutto lo trovava un lavoro interessante.

Fu allora che il signor Davis lo salutò e lui lasciò quella stanza, tornando nel suo ufficio.




La mattina successiva si svegliò con un mal di testa lancinante, strinse gli occhi massaggiandosi la fronte e con la mano libera cercò nel buio il suo cellulare sul comodino.

Lo prese e lo avvicinò a pochi centimetri dal suo viso, erano le 5.40 del mattino.

Emise un verso straziato, odiava i postumi della sbornia e odiava ancora di più se stesso per non aver ancora imparato, in tutti quegli anni, a capire quando era arrivato al suo limite.

Sbuffò tra le coperte prima di spingerle via in un gesto secco e lentamente si alzò dal letto, consapevole che non sarebbe più riuscito a dormire.

Appena appoggiò i piedi sul pavimento freddo un brivido lo attraversò per tutto il corpo ed uno sbadiglio fuggì dalle sue labbra.

Con movimenti lenti ed impacciati raggiunse la cucina del suo appartamento e mise in moto la macchinetta del caffè, quando quest’ultimo fu pronto, si avvicinò al piccolo balcone del suo trilocale, respirando l’aria fresca del mattino e beandosi dei colori del panorama.

Sebbene chiunque dopo una sbronza abbia solo voglia di dormire ed abbia capacità motorie molto limitate, Nick poteva considerarsi una vera e propria eccezione. 

Infatti, subito dopo aver terminato il suo caffè non perse tempo ad indossare un paio di pantaloncini, una maglietta e le sue fidate scarpe da corsa, uscendo svelto dall’appartamento con l’obiettivo di raggiungere il parco che si trovava sotto casa, con le cuffie, ovviamente, nelle orecchie e la musica ad accompagnarlo.




Raggiunse il suo ufficio alle nove in punto, la corsa di quella mattina lo aveva aiutato a smaltire tutti i postumi della serata ed aveva contribuito a metterlo di buon umore, inoltre, il sorriso affettuoso e materno che gli rivolse Adele fu sufficiente a farlo convincere che quella sarebbe stata una bella giornata.

Appena entrò in ufficio trovò un post-it attaccato allo schermo del pc ancora spento, doveva averlo lasciato Davis o qualcun altro per lui ed indicava brevemente il luogo e l’ora in cui avrebbe dovuto incontrare la fondatrice del club letterario che avrebbe dovuto intervistare quel giorno stesso.

Pertanto, passò l’intera mattinata a correggere alcuni lavori quasi terminati ed a strutturare alcune domande che avrebbe potuto porgere ai fini dell’ intervista; era così preso dai suoi lavori, che quando si accorse che erano già le 12.30 rimase sconvolto.

Nick imprecò mentalmente alzandosi di tutta fretta, non avrebbe fatto in tempo per l’intervista;

perciò chiuse velocemente in una cartellina le domande che aveva abbozzato e corse fuori dall’ufficio, senza fermarsi a chiedere ulteriori informazioni ad Adele.

Arrivò nel luogo dell’appuntamento con il fiato corto, ma in anticipo di qualche minuto e si fermò di fronte ad un piccolo stabile a vetrate, quello che sarebbe presto diventato un club letterario.

Iniziò a guardarsi intorno e focalizzò il suo sguardo sul l’insegna posta al lato della porta e sorrise osservando la frase scritta proprio sotto quest’ultima “Un libro ben scelto ti salva da qualsiasi cosa, persino da te stesso” (Daniel Pennac)




Si perse qualche altro secondo a pensare al significato di quella frase e dopo aver ripreso fiato decise di entrare nello stabile.

Abbassò la maniglia ed il tintinnare di un campanello posto sopra la porta annunciò il suo ingresso, si schiarì la voce e fu pronto a presentarsi non appena entrò, tuttavia, la voce gli morì tra le labbra non appena vide chi si trovava di fronte.

La guardò per infiniti secondi con gli occhi sgranati e le sopracciglia sollevate, completamente sconvolto e potè giurare che anche la persona che gli stava di fronte avesse avuto la sua stessa reazione nel rivederlo.

Ad certo punto iniziò a sentirsi le mani sudate e la camicia troppo stretta sulla gola, si sentiva soffocare e ritornò quella fastidiosa sensazione di non riuscire a respirare.

Ma questa volta non era colpa del caldo, non poteva credere di avere proprio Lei davanti a se.

 
  
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