Anime & Manga > I cinque samurai
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Autore: PerseoeAndromeda    13/11/2022    0 recensioni
Shin sente tutto, sente troppo e nella notte spesso si sveglia... sente il bisogno di vederli tutti, di sapere che stanno bene.
Mentre il suo cuore fragile fa sempre più male.
Genere: Angst, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Cye Mouri, Kento Rei Faun, Rowen Hashiba, Ryo Sanada, Sage Date
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Fanfic scritta per l'Inktober indetto da Fanwriter.it.
Lista: Pumpnight
Prompt: Respiro
Titolo: Paure notturne
Fandom: Yoroiden Samurai Troopers
Personaggi e ship: Un po’ tutti, punto di vista di Shin
Rating: Giallo per accenni a malattia e angst
Genere: Introspettivo, angst, malinconico, sentimentale

 

 
PAURE NOTTURNE

 

Fu un improvviso dolore al petto a fargli spalancare gli occhi nella notte e si ritrovò a boccheggiare, mentre il respiro faticava a trovare il proprio naturale percorso.
Trattenne a stento un gemito, consapevole delle persone che dormivano accanto a lui, la mano posata sul cuore artigliò la coperta.
Sollevò un braccio e lo portò alla fronte, tentò di riprendere il controllo delle proprie percezioni, ordinò al respiro di calmarsi.
Non vi era nulla di nuovo in ciò che provava e questo era un vantaggio: aveva imparato, in qualche modo, a gestirlo.
Quando ci riusciva, tuttavia, vi era un rituale che si rendeva necessario perché il suo mondo riprendesse un corso normale, era l’unico modo che conosceva perché la ragione tornasse ad avere la meglio sulla confusione emotiva.
Doveva verificare che il suo piccolo universo d’amore fosse al sicuro e sereno: come una mamma che si accertava del benessere della prole, Shin doveva controllare che tutto andasse bene… che loro stessero bene.
Respirò a fondo qualche istante, poi riabbassò il braccio che aveva tenuto sugli occhi e fissò l’oscurità. Allentò le dita sul petto ed entrambe le mani ricaddero ai lati del corpo, si spostarono di lato, finché entrarono in contatto con le inconfondibili presenze che, tutte le notti, gli dormivano accanto, lo tenevano in mezzo, a formare una barriera di protezione e dolcezza.
A Shin sfuggì un sorriso, nonostante la tensione.
Chiuse gli occhi, respirò ancora e ascoltò gli altri due respiri.
Li conosceva, come conosceva ogni sfumatura del loro essere.
I respiri di tutti loro entravano in assonanza come i battiti dei cuori, si facevano armonia e, se si concentrava, in quell’armonia distingueva ogni singola nota, ogni singolo fiato.
Il respiro di Ryo era profondo, come quello di un gatto pacioso e pigro, lento, anche se sapeva trasformarsi, da sveglio, in un leoncino agguerrito, vivace e mai stanco. Quello di Ryo era il sonno del guerriero, del giusto, che dava tutto se stesso in ogni attività giornaliera, ma sapeva dormire senza disturbi, godendo di ogni istante di riposo, per poi tornare più attivo e carico che mai.
Per ascoltare il respiro di Shu, invece, non era necessario concentrarsi troppo: la scimmietta era rumorosa, nel sonno come nella veglia.
Un po’ russava, un po’ parlava persino dormendo, si spostava, si rigirava, sbadigliava…
Shin non era disturbato da questo suo modo di essere, fingeva di arrabbiarsi quando, di notte, veniva svegliato dalla sua scimmietta agitata, ma era tutta una finta per poi stringersi l’uno all’altro con ancor più bisogno reciproco.
Senza contare che sapeva benissimo di poter essere tanto agitato anche lui nel sonno, i suoi sogni raramente erano piacevoli e tranquilli e spesso, senza accorgersene, si aggrappava all’uno o all’altro come se ne andasse della propria vita… e della loro.
Il sorriso scomparve dalle sue labbra e i battiti del cuore si fecero, di nuovo, più dolorosi.
Si morse il labbro e ordinò a quell’organo bizzoso di calmarsi, che non era il caso, che erano lì con lui e stavano bene.
Tuttavia, la certezza sarebbe giunta solo al termine di quel rituale che era solo all’inizio.
Si mise seduto e, con cautela, cominciò a muoversi, strisciò lentamente fino in fondo al letto, ne raggiunse il bordo e mise i piedi a terra.
Nel buio percepì il terzo respiro, tanto simile a quello di Ryo da sembrare quasi gemello.
Anche Byakuen dormiva tranquillo e, se niente turbava il sonno della loro tigre da guardia, allora non vi era di sicuro alcun motivo per allarmarsi.
Ma a Shin non bastava, doveva accertarsene di persona.
Camminò fino alla porta e sgattaiolò nel corridoio.
Venne aggredito da un getto d’aria gelida: da qualche parte, in casa, una finestra doveva essere stata lasciata aperta e il clima ottobrino cominciava a farsi sentire.
Strinse maggiormente lo yukata intorno al proprio corpo e proseguì il cammino, ignorando il pavimento freddo sotto i piedi nudi.
Shin era freddoloso e, quando era teso, lo diventava ancora di più.
Attraversò il corridoio nella sua larghezza e si fermò davanti alla porta di fronte alla stanza che condivideva con i due nakama.
Dall’altra parte di quella porta c’erano gli altri coinquilini, l’altra parte della loro famiglia: essi chiudevano il perfetto cerchio d’amore che, tutti insieme, avevano costituito.
Scivolò all’interno attraverso il minimo spiraglio che aveva creato e rimase qualche istante immobile, per abituarsi all’oscurità e cogliere il sottile fascio di luce che faceva capolino dalla strada, filtrando tra gli spiragli della tapparella non ermeticamente chiusa.
Il letto dei nakama aveva la spalliera contro il muro della stanza, un po’ distante dalla finestra: si trattava della parte più buia, quindi Shin impiegò un po’ per scorgere le sagome dei due giovani.
In apparenza era tutto tranquillo.
Come prima si concentrò, per cogliere i respiri, dapprima insieme, quasi fossero uno solo, poi li distinse e li riconobbe, un po’ nervoso e agitato quello di Touma, silenzioso, tranquillo, quello di Seiji.
Touma, durante il sonno, era un po’ come Shu, solo meno rumoroso, ma anche lui si agitava, parlottava e, a tratti, si abbandonava a un leggero russare.
Il sonno di Seiji, invece, rispecchiava in ogni sfumatura le caratteristiche della veglia: pacatezza, nobile silenzio, discrezione.
Era il respiro che Shin faticava di più a rintracciare tanto era silenzioso, era il respiro che, più spesso di ogni altro, lo metteva in allarme, perché sembrava non esserci, in aggiunta all’immobilità estrema di Seiji durante il sonno.
Anche questa volta l’ascolto non bastò e Shin sentì il bisogno di scrutare il nakama da vicino.
Girò intorno al letto, rassicurato dalla beatitudine trasmessa da Touma, aggrappato al cuscino e raggiunse il lato su cui giaceva Seiji.
Neanche il sonno incrinava la sua eleganza: sembrava che, persino in una condizione in cui, per la mancanza di coscienza, tutte le difese sarebbero dovute cadere, qualcosa, in lui, le mantenesse vigili.
Raramente abbandonava la posizione supina, era solito addormentarsi con il volto verso l’alto, una mano posata sul petto e l’altra adagiata sul fianco, la testa leggermente reclinata su una spalla.
Solo la sua espressione tradiva l’abbandono: si scioglieva, acquisiva morbidezza e la dolcezza che emanava induceva ad una commozione intensa.
Gli occhi di Shin si erano ormai abituati all’oscurità e, in qualche modo, riuscì a intravvedere i bei lineamenti dell’erede dei Date. Insieme ad essi lo colpì, all’improvviso, una visione così vivida che lo portò a sussultare, a portarsi una mano alla bocca e a trattenere a stento un singhiozzo: Seiji… un piccolissimo Seiji era immerso nelle tenebre e, da quella patina densa e impenetrabile, spuntavano mani, che lo accarezzavano, lo toccavano, lo agghindavano come una bambolina di porcellana.
Lui era immobile, proprio come un oggetto senza vita ma, dagli occhi viola, grandi come mai li aveva visti, sgorgavano lacrime mute.
Quello era ciò che Seiji stava sognando, Shin lo comprese subito: gli capitava spesso di cogliere i sogni dei suoi nakama, di recepirne flash, immagini e soprattutto emozioni, in particolar modo quando tali sogni erano dolorosi e urlavano una richiesta d’aiuto che il suo animo sensitivo ed empatico non poteva fare a meno di ascoltare.
Ascoltava e condivideva e, quel che sentivano loro, sentiva anche lui, come una serie di pugnalate affondate in un cuore troppo fragile.
Serrò gli occhi con forza, ma non riuscì a frenare le lacrime, che scivolarono sulle guance e sulle dita.
L’altra mano si mosse verso il petto ma, in quel preciso istante, un pugno si chiuse intorno al suo polso, una stretta forte, ma gentile.
Shin barcollò, riaprì gli occhi e venne trascinato in avanti, fino a sedersi sul materasso. Nel buio intravvide gli occhi di Seiji che lo cercavano.
La mano che si attardava sul volto ricadde e incontrò l’altra mano di Seiji, la voce morbida del nakama accompagnò il gesto:
“Pesciolino… che succede?”.
Shin ingoiò, si impose di fermare quel pianto, di prendere il controllo sulla propria voce:
“Mi dispiace… non volevo svegliarti… io…”.
Tentativo fallito.
L’ultima parola si spezzò e nell’ultimo singhiozzo si intrufolò la carezza gentile del richiamo di Seiji:
“Shin… mio dolce Shin…”.
Quelle parole furono il colpo di grazia e Shin crollò, chinò il capo e tentò, almeno, di rendere il proprio pianto più silenzioso possibile, perché Touma non venisse turbato nel suo sonno.
Un fruscio tra le lenzuola annunciò il movimento di Seiji, le sue braccia si richiusero intorno al corpo di Shin e una mano gli passò tra i capelli, in una carezza gentile.
“Ti ho sentito, sai” gli sussurrò nell’orecchio. “Sei venuto nel mio sogno e me ne hai tirato fuori”.
La fronte di Shin si strofinò sul suo petto, tirò su col naso e cercò il suo sguardo: Seiji gli stava sorridendo, neanche il buio della notte riusciva a nascondere quel sorriso.
“Va tutto bene, pesciolino. Io sto bene. Cerca di stare bene anche tu”.
Shin emise un profondo respiro, poi si lasciò andare e si ritrovò in ginocchio, la testa abbandonata sulle gambe di Seiji, che ancora gli accarezzava i capelli.
“Pensa un po’ a te stesso” mormorò Seiji, il tono che si faceva più triste e Shin si sentì in colpa.
Erano preoccupati per lui, lo sapeva, il suo cuore faceva sempre più male.
Ancora non aveva osato dire loro quanto grande fosse quel dolore, quanta paura facesse, voleva che l’illusione durasse ancora…
Il più a lungo possibile.
“Se loro stanno bene” si disse “anche io starò bene… farò del mio meglio per stare bene”.
   
 
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