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Autore: ConstanceKonstanz    13/11/2022    0 recensioni
Questa storia inizia nel passato.
In un mondo diverso dalla Terra, più freddo della Terra, più piccolo della Terra.
Dove abbiamo imparato a lavorare il ghiaccio, a usarlo come arma, come sostegno per le case. Dove la pioggia non è acqua, ma un tesoro da conservare. Dove la neve è più di un elemento: è una pietra preziosa. Dove il nostro nemico maggiore è ciò che ha permesso ai vostri antenati di sopravvivere: il fuoco.
Questa storia inizia nel Mondo del Natale.
Ed inizia con un nome.
Quello della mia nemica, o dell’unica persona che abbia mai conosciuto veramente: Dinah.
Genere: Avventura, Fantasy, Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Ricordo di aver pensato che il palazzo era davvero grande.  E che, se non ci fossero stati Dinah e Nico a guidarmi, mi sarei persa.
Ci muovevamo furtivi. Io, con tutti quei metri di tessuti e un pugnale nella mano, con i piedi nudi, dato che mi ero anche dimenticata le scarpe, rallentavo il gruppo. Ma Nico e Dinah mi aspettavano sempre. Formavano una squadra perfetta, a dire il vero. Sapevano cosa fare, anche senza dirselo. Sapevano chi dei due doveva aspettarmi e chi doveva andare in avanscoperta per assicurarsi che la strada fosse libera.  Cambiammo strada solo un paio di volte. Immaginai che il popolo non conoscesse il mio palazzo tanto meglio di me, perché più ci allontanavamo dalle stanze reali, più le loro grida si attutivano.
Iniziammo a scendere. Attraversammo le stanze della servitù, quelle dei soldati, la dispensa, scendemmo fino ad arrivare alle fognature del palazzo.  Non sapevo dove mi stavano portando, ma fu a quel punto che iniziai ad avere paura.
“Dove siamo?” domandai  “Dove stiamo andando?”
“Non c’è tempo per questo” ringhiò Dinah, afferrandomi per il polso “Muoviti, Siena!”
So benissimo che una guardia non dovrebbe rivolgersi così al proprio sovrano, ma Dinah lo aveva sempre fatto. Quando eravamo da sole, era raro che mi chiamasse principessa. E anche se non ne conoscevo il motivo, quella confidenza non mi aveva mai dato fastidio. Nelle notti più buie, quando fuori aveva fatto freddo e il vento ululava più forte di qualunque cosa, sentire la sua voce, il mio nome pronunciato con tono di disapprovazione e non di rispetto, mi aveva sempre fatto sentire al sicuro.  Dinah era come una sorella per me. Per la maggior parte del tempo. Ma nessuno lo sapeva. Forse neanche lei.  
Ci arrestammo di colpo e io sbattei contro la schiena di qualcuno.
“Che succede?” chiesi seccata, massaggiandomi il naso.
Davanti a me c’era un muro. Era piuttosto malridotto. Ricoperto di muffa e ragnatele. Dinah e Nico gli sia avventarono contro e iniziarono a colpirlo con fendenti e calci. A un certo punto, Nico iniziò perfino a prenderlo a testate.
“Che state facendo?” sbottai, afferrandoli per le spalle. Non servì a molto, si liberarono dalla mia stretta e ricominciarono a menare fendenti a destra e manca.
“Fermi!” riprovai “Fermatevi! Esigo di sapere cosa state facendo!”
“Non si vede?” rispose Dinah, con la fronte imperlata di sudore “Stiamo cercando una porta”
La fissai perplessa.  “Quale porta? C’è solo un muro!”
“E’ una porta segreta, infatti” spiegò Nico, infilzando la sua spada in una fessura tra due mattoni “Dietro questo muro c’è una stanza. E’ lì che si trova il passaggio infra- mondo”
“Ancora questa parola” incrociai le braccia “Cos’è un passaggio infra-mondo?”
Le spalle di Nico si irrigidirono improvvisamente. Allentò la presa sulla sua spada e si voltò verso di me. Mi studiò con un’intensità tale da mettermi a disagio. “Davvero non sai cosa sia?”
“No” risposi, sforzandomi di non distogliere lo sguardo.
“Non può essere … Tutti i sovrani sanno cos’è. C’è stato un tempo in cui anche ogni suddito lo sapeva” un lampo improvviso negli occhi, un passo nella mia direzione “Come puoi non saperlo?”
“Non lo so!” sbottai, trattenendo a stento le lacrime “Non so un sacco di cose! E c’è stato un tempo in cui il mio popolo non avrebbe mai attaccato il palazzo! Quindi dimmelo tu! Sei qui per proteggermi! Dimmelo tu!”
Lampi d’odio nei suoi occhi grigi. Lui torreggiava su di me, la mascella contratta, le spalle tese. Ma io ero la sua principessa ed un giorno sarei stata la sua regina. Mi costrinsi a sostenere il suo sguardo. Non sarei stata io ad indietreggiare.
Qualcosa nella sua espressione mutò. L’odio tornò ad essere calcolo, il grigio degli occhi, una nebbia impenetrabile.  
Si allontanò di qualche passo. “Il passaggio infra- mondo è un specie di tunnel tra il nostro mondo e la Terra” mormorò infine, tornando a colpire il muro.
Terra … Non conoscevo il significato di quella parola. Non ancora. Ma l’ avevo già sentita. Anche se non ricordavo né dove, né perché. Avvertii la testa iniziare a girare, mentre una parte di me, una parte che era stata nascosta per molto tempo, tornò a farsi sentire. Mi guardai attorno. Mi sembrava di essere già stata lì. In un altro tempo, quando ero più piccola. L’occhio mi cadde sul muro. Mi mossi come un automa, con la sensazione di stare sognando. Ogni cosa, attorno a me, si fece confusa, ogni suono ovattato. Misi una mano al centro del muro e la sentii combaciare perfettamente con un’impronta, una specie di serratura nascosta da anni di sporcizia. Osservai una luce bianca disegnare i contorni della mia mano e poi esplodere in un unico, meraviglioso bagliore che colorò ogni singola crepa di quel muro. Tutto a un tratto, la luce aumento di intensità e mi costrinse a chiudere gli occhi. Quando li riaprii, davanti a me, come se fosse sempre stata lì, c’era una porta di legno.
Mi allontanai lentamente, avvertendo la testa girare terribilmente. Sentii qualcuno cingermi la vita.
“Siena, ti senti bene?” domandò Dinah, ma io non ero sicura di avere le forze di risponderle.
Nico mi guardò, poi guardò la porta, infine scrollò le spalle e l’aprì con un calcio.
“Via libera” annunciò, entrando.
Dinah annuì, poi, sorreggendomi, raggiunse Nico.
Entrammo in una stanza circolare più alta di quello che mi era immaginata. Il pavimento era fatto di ghiaccio. Un ghiacciò così liscio, così bianco da brillare quasi di luce propria. Una luce molto simile a quella di poco prima. Osservandolo meglio, capii che non era lui a brillare, ma le minuscole scritte incise su di esso. Era così minute, così perfettamente intagliate, da sembrarne parte integrante. Mi abbassai per sfiorarne una e quando la toccai, la luce divenne più intensa. Sorrisi. Era un bel posto per morire.
“Che lingua è?” domandò Dinah, osservando il pavimento.
Aguzzai lo sguardo. Era vero, quello non era il nostro alfabeto. Ad essere sincera non assomigliava a nessun genere di alfabeto di mia conoscenza. Ogni scritta sembrava variare a suo piacimento. Alcune erano tondeggianti, altre più rigide, certe si rimpicciolivano, altre ancora andavano a capo in maniera brusca, fino a formare due ordinate colonne. Il mio sguardo si posò su delle scritte più elaborate, avvicinandomi capii che non erano scritte, ma dei disegni. Figure con il corpo d’uomo e la testa d’animale .
“Dobbiamo darci una mossa” la voce di Nico riecheggiò tagliente nella stanza “Dinah, estrai la tua spada, principessa, anche tu, prendi il tuo pugnale”
Mi riscossi all’improvviso e ancora un po’ intontita strinsi il pugnale di mia madre. Quando vidi la velocità e la precisione con cui Nico e Dinah estrassero le loro armi, avvertii una fitta di paura. Il suono metallico delle loro spade risuonò nella stanza, perforandomi i timpani. Sospirai. Non era il momento di perdere la testa.
“Io, Nico di Noci, cavaliere del mondo del Natale” esordì il ragazzo, con una voce così severa, da farmi credere , ancora una volta, che avesse molto più di diciotto anni “Dichiaro di proteggere fino alla morte, in questo mondo o in un altro, contro ogni tipo di nemico, ricordando che il mio compito principale è mantenerla in vita, la principessa Siena di Spagna” e così dicendo si inginocchiò e infilzò con tutta la forza che gli era rimasta, la sua spada nel ghiaccio. Vidi le parole attorno a lui illuminarsi e aumentare di intensità e lentamente, librarsi  in aria e avvolgerlo. Lui chiuse gli occhi, sembrava non accorgersi di nulla.
Gridai, ma prima che potessi muovermi, anche Dinah conficcò il suo guio nel ghiaccio e le parole presero ad alzarsi e a circondarla. Sembravano quasi dei piccoli tatuaggi. Ma poi il suo volto iniziò ad apparirmi confuso, troppo luminoso e tutto ciò che riuscii a distinguere ,alla fine, fu la sua sagoma, bianca ed immobile.
Provai ad alzarmi, ma fu inutile. Ero come incollata, una forza invisibile mi vietava di muovermi. Gridai, ma nessuno rispose. D’improvviso avvertii un forte calore alla mano destra, dove stringevo il pugnale. Una scritta, una piccola scritta, di una lingua sconosciuta, andò a imprimersi sul palmo. Vis. Forza. Era Latino. Sussultai. Io non sapevo neppure cosa fosse il latino. Cercai di cancellarla, ma ottenni solo di aumentare il suo calore. Trattenni le lacrime, mentre tutte le scritte di quella stanza iniziarono a brillare ed alzarsi in volo. Avevo paura. Molta paura. Ed ero sola. Guardai Nico e Dinah le loro sagome illuminate e la disperazione divenne odio. Non avrebbero dovuto abbandonarmi così! Io ero la loro principessa, avevano fatto un giuramento. Il calore alla mia mano iniziò a diminuire e divenne quasi piacevole. Vis . Risuonava bene nella mia mente. Guardai il pugnale di mia madre, le parole che volevano attorno a me e tutto ciò che pensai fu che io avevo già vissuto quel momento, qualcuno mi aveva insegnato il latino, qualcuno mi aveva già portato lì. Chiusi gli occhi e lasciai che a guidarmi fosse quello stesso passato che di solito mi indeboliva fino a farmi perdere i sensi. C’era un vuoto, nei miei ricordi. Un specie di buco nero che iniziava con la mia nascita e finiva con il ricordo di quel temporale e le parole di Dinah non sono una principessa.
Ogni volta che provavo a ricordare qualcosa di più, la testa mi girava, le gambe cedevano ed io dovevo rimanere a letto per giorni. Avevo provato a chiedere spiegazioni. A mia  madre, mio padre, alla stessa Dinah, alla servitù, alle mie dame di compagnia. Ma tutto ciò che avevo sempre ottenuto in cambio erano stati sguardi di paura e dolore. “Non preoccuparti, piccola” mi diceva mia mamma, di solito “Un giorno ricorderai”. Per il resto del tempo, cercavo di non pensarci. Stavo troppo male e ricordare, col tempo, era diventato sempre meno importante. Ma, quella sera, in quel momento, capii che ricordare era la mia unica speranza.
Perciò presi il pugnale, lo alzai in aria e giurai di vivere fino a che il mio regno avesse avuto bisogno di me, che non sarei mai venuta meno ai miei doveri.  Poi, quasi con dolcezza, incastrai il mio pugnale nel ghiaccio, sapendo che lo avrebbe tagliato come burro. Vidi le parole volare verso di me, le sentii stringere, bruciare, ma non provai dolore. Chiusi gli occhi mentre sentivo il mio corpo sollevarsi da terra e perdere consistenza.
Non so come descrivere la sensazione di un viaggio infra-mondo. Sembra quasi di sognare, solo che ti rendi conto che quel momento è vero. E’ come non sentire il tuo corpo, ma sapere benissimo che dentro ci sei ancora tu. Ti senti schiacciato, la testa sempre più compressa, l’aria ti manca fino a che, all’improvviso, capisci che ,invece, stai volando, che sei in mezzo al nulla e che potresti rimanere lì anche per l’eternità. Poi, tutto finisce. E ti ritrovi in caduta libera, a gridare, con milioni di luci che si fanno sempre più vicine.
 
Avevo letto da qualche parte che cadere nell’acqua da un’altezza elevata, era come spiaccicarsi su una lastra di ghiaccio. Ecco perché , quando capii di stare andando a schiantarmi in un fiume, le mie grida aumentarono. Mi guardai attorno, ma non sembrava esserci nessuno in grado di aiutarmi e con orrore mi resi conto che sarei morta in un fiume, a causa di una panciata. E se la situazione non fosse stata così drammatica, avrei anche riso. Ma lì per lì, tutto ciò che mi venne in mente di fare fu di agitare le braccia su e giù come avevo visto fare agli uccelli, convinta ,immagino, che sarei riuscita a volare. Logicamente non fu così, perciò ,quando mi trovai a pochi metri dall’acqua, chiusi gli occhi e lasciai uscire una lacrima.
Fu a quel punto che qualcosa mi afferrò per la vita, ma quando tentai di aprire gli occhi , sbattei la testa e tutto divenne nero.
 
Quando mi ripresi, la testa continuava a girare terribilmente. Mi guardai attorno, ma era tutto troppo scuro perché potessi distinguere qualcosa. Alle mie spalle, sentii qualcosa grattare, poi una specie di mormorio.
“Siena?” fece una voce, cogliendomi di sorpresa. Mi voltai, cercando di ignorare il dolore lancinante alla testa e incontrai un paio di occhi color cioccolato “Ti senti bene?” mi chiese Dinah.
Annuii, ma sapevo che la mia faccia non era d’accordo.
“Nico ti ha presa appena in tempo” fece, avvicinandosi e tastandomi le costole “Non sembra esserci nulla di rotto”.
Un grugnito attirò la mia attenzione “Non sarebbe dovuto esserci nessun appena in tempo” borbottò Nico, alzandosi in piedi e mettendosi davanti a Dinah. Li guardai e per la prima volta mi accorsi dell’espressione sui loro volti: rabbia.
“Che è successo?” tossicchiai, tentando di alzarmi.
“Stai giù, principessa” mi ordinò Nico, degnandomi appena di uno sguardo “Sei troppo debole”
“Non è troppo debole” lo corresse Dinah seccata “E comunque non possiamo passare qui la notte”
“Qui dove?” chiesi. C’era troppa poca luce perché riuscissi a distinguere qualcosa, ma in lontananza sentii l’acqua infrangersi a riva. Evidentemente non dovevamo essere così distante da dove avevo rischiato di morire. Con un brivido ricordai quei momenti. Gli ultimi che avevo creduto di poter vivere.
“Se tu avessi aspettato la principessa, lei non avrebbe rischiato la vita ed ora sarebbe abbastanza in forze per muoversi” stava dicendo Nico, facendo saettare continuamente gli occhi dal fodero della sua spada a Dinah.
“Sei tu che dovevi dirmelo, capo” ribatté lei, sarcastica.
Osservai la mano di Nico serrarsi attorno all’elsa della sua spada “Il nostro compito è quello di difenderla, primo Babbo, capito?”
L’aria si fece pesante. Il primo Babbo era il grado militare più umile di tutti. Di solito, era conferito solo agli schiavi liberati o ai figli dei contadini più poveri. Dinah era stata la figlia di un erede la trono, era stata la nipote del re, era stata nobile, molto più di quanto Nico avrebbe mai potuto essere. E poi era diventata figlia di un traditore, era stata graziata e accolta in casa del uomo che aveva condannato i suoi genitori, era stata privata dei suoi titoli e ed era stata costretta a diventare primo Babbo e ad accettare che quella era e sarebbe rimasta la massima carica militare a cui avrebbe mai potuto aspirare. Dare del primo Babbo a Dinah voleva dire ricordarle ogni singolo evento di un passato ancora più oscuro del mio.
Ma Nico non sembrava sentirsi particolarmente in colpa. Mi si avvicinò e si inchinò “Principessa, ci muoveremo tra un’ora, d’accordo?”
Annuii e mi chiesi quale sarebbe stata la sua reazione se avessi provato a contraddirlo.
“Nico” lo chiamai, mentre sentivo la testa riprendere a farsi pesante “Dove siamo?”.
I suoi occhi brillarono, ma non riuscii a capire perché “New York, principessa. Il posto dove la magia del Natale batte più forte”.
C’erano almeno un altro milione di domande da fare, come, ad esempio, capire cosa fosse la magia del Natale, ma Nico mi fece segno di tacere ed io mi sentii improvvisamente davvero tropo stanca.
 
 
   
 
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