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Autore: CedroContento    15/11/2022    8 recensioni
[Orgoglio e Pregiudizio Hogwarts!AU Torneo Tremaghi]
Quando il Calice di Fuoco viene posizionato al centro della Sala Grande, Elizabeth Bennet non ha dubbi, deve tentare la sorte e gettare una pergamena con il suo nome tra le fiamme; davanti ad una sfida non si è mai tirata indietro.
Fitzwilliam Darcy ritiene sarebbe un grande onore rappresentare Hogwarts, e non vede chi altro dovrebbe candidarsi alla competizione se non un mago talentuoso come lo è lui per tenere alto il nome della sua scuola.
Charles Bingley, dal canto suo, è sicuro che partecipare al Torneo sarà divertentissimo, un' esperienza unica che capita una sola volta nella vita, non può certo lasciare tutto lo spasso a Darcy.
In questa Hogwarts!AU i protagonisti del celebre capolavoro della Austen indossano le divise di Hogwarts, e di Beauxbatons e di Durmstrang, e si sfideranno fino all'ultimo colpo di bacchetta per vincere il Torneo Tremaghi. Chi sarà premiato con la gloria che spetta al vincitore?
[Questa storia partecipa al “Torneo Tremaghi - Multifandom Edition” indetto sul gruppo Facebook "L’angolo di Madama Rosmerta"]
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Charles Bingley, Elizabeth Bennet, Fitzwilliam Darcy, George Wickham, Jane Bennet
Note: AU, Movieverse | Avvertimenti: nessuno
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Il Calice di Fuoco ora splendeva più luminoso che mai, e lo sfavillio bianco e bluastro delle fiamme era quasi doloroso allo sguardo. Tutti lo fissavano in attesa…[...]
Le fiamme ridiventarono rosse all’improvviso. Dall’interno del Calice si sprigionarono scintille. Un attimo dopo una lingua di fuoco dardeggiò nell’aria, un pezzetto di pergamena bruciato ne volò fuori…


Elizabeth Bennet avvertì una scossa di orgoglio misto ad adrenalina correrle lungo la schiena, nell’istante in cui la preside di Hogwarts pronunciò ad alta voce il nome inciso sull’ultimo foglietto di pergamena che aveva restituito il Calice.

Era il suo. Era lei l’ultimo dei nove campioni del Torneo Tremaghi.

Giusto il tempo di metabolizzare quello che avevano appena sentito, e i Grifondoro balzarono in piedi urlando entusiasti - i suoi compagni della squadra di quidditch più forte fra tutti -, abbracciandola e dandole pacche sulle spalle.

La sensazione che provava era inebriante, le stordiva la testa. Non poteva credere alla fortuna che aveva avuto, l’occasione irripetibile di poter partecipare ad un’edizione unica del torneo. Quell’anno, infatti, non avrebbe partecipato un solo campione per ciascuna scuola, ma ben tre che si sarebbero alternati nelle tre prove.

Nella calca oro e scarlatta che le si era formata attorno, intravide sua sorella Jane, che cercava di raggiungerla dal tavolo dei Tassorosso con un sorriso felice stampato in viso. Solo chi la conosceva bene, come Elizabeth, avrebbe potuto leggere nei suoi occhi una punta di apprensione al pensiero di ciò che la sorella avrebbe dovuto affrontare. Dal giorno in cui Elizabeth aveva espresso la propria volontà di partecipare, Jane aveva spesso dato voce ai suoi dubbi e timori riguardo al fatto che fosse disposta a mettersi in tale pericolo. Nondimeno, le aveva assicurato il suo pieno sostegno in quell’impresa.

Elizabeth si fece largo tra i suoi compagni e la strinse forte tra le braccia, e quel contatto la aiutò a tornare perfettamente lucida e presente a sé stessa. “Mi sento così euforica che potrei svenire,” urlò per farsi sentire al di sopra degli applausi, che tuttavia già andavano scemando.

“Sono fiera di te,” disse Jane.

“Non me lo sarei mai perdonato se nostro cugino fosse stato scelto e io no!” esclamò Elizabeth, riferendosi a William Collins, un lontano cugino del padre che si era trasferito in Francia qualche anno prima e che era stato scelto dal Calice come campione per Beauxbatons.

Jane rise di cuore, e fu solo quando poi annuì, in segno di incoraggiamento, che Elizabeth si mosse, come in un sogno meraviglioso, verso la stanza dietro al tavolo degli insegnanti, dove gli altri prescelti aspettavano già.
***

Le teste degli otto campioni in attesa scattarono all’unisono verso la porta, quando questa si aprì ed Elizabeth fece il suo ingresso.

Lei esitò per un momento, guardandosi attorno nella stanza semibuia, fino a quando in un angolo, accanto al caminetto acceso, non scorse Fitzwilliam Darcy e Charles Bingley, e quest’ultimo non le fece un cenno per invitarla a raggiungerli.

Bingley - Tassorosso dello stesso anno di Jane e Cercatore per la squadra della sua Casa - la accolse calorosamente, alzando i pugni in alto in gesto di vittoria. Elizabeth, che non aveva smesso un istante di sorridere, fu contenta di poter condividere quel momento di entusiasmo con una persona come lui. Non a caso era tra gli studenti più popolari e benvoluti di tutta Hogwarts; merito di quella joie de vivre che Elizabeth talvolta si era scoperta ad invidiargli molto. Quando aveva messo il suo nome nel Calice, Bingley aveva spiegato che lo aveva fatto perché riteneva che sarebbe stato un vero peccato non cogliere l’opportunità di tentare di partecipare; era certo sarebbe stato tutto tremendamente divertente.

Se non era possibile provare una qualsiasi forma di antipatia nei confronti di Bingley, non si poteva certamente dire lo stesso per il primo campione il cui nome era stato restituito dal Calice: Darcy.

Anche se quest’ultimo aveva tenuto le motivazioni della propria candidatura per sé, Elizabeth poteva facilmente immaginare perché Darcy si fosse sentito in dovere di mettere il proprio nome nel Calice e rappresentare la sua scuola: per lui sarebbe stato un vero affronto al suo ego non farlo.

Elizabeth aveva sempre trovato Darcy un tizio insopportabile, arrogante e pieno di sé; era già certa che non sarebbe mai riuscita a non sentirsi in competizione con lui. Anche se bisognava ammettere che la sua sconfinata vanità avrebbe anche potuto essere giustificata, considerando che era indubbiamente tra i maghi più brillanti della sua generazione. Corvonero, Caposcuola, si era distinto per eccellenza in ogni singolo esame che aveva sostenuto. Se solo non avesse tanto palesemente mostrato un infinito disprezzo nei confronti di chiunque non fosse Bingley o la sorellina Georgiana, che frequentava il terzo anno.

Bingley e Darcy, per ragioni del tutto inspiegabili, erano migliori amici da sempre. Il perché quei due fossero tanto uniti sfuggiva alla comprensione di Elizabeth, visto che caratterialmente sembravano essere l’uno l’opposto dell’altro. Se uno era il sole, l’altro era la luna. L’unica cosa che li accumunava era che entrambi provenivano da due delle più importanti famiglie della comunità magica; purosangue da generazioni.

Anche in quel momento Darcy ostentava la sua tipica indifferenza nei confronti dell’universo. Degnò appena Elizabeth di un’occhiata fredda e distaccata.

“Benvenuta, Elizabeth! Siamo stati scelti, non è fantastico?!” esclamò Bingley, sfoderando il più radioso dei suoi sorrisi.

“Sì, è vero. Non vedo l’ora di sapere che sfide ci aspetteranno!”

“Ho sentito dire che in una delle scorse edizioni i campioni hanno dovuto affrontare addirittura dei draghi in carne e ossa. Sarebbe pazzesco!”

“Assolutamente!”

“Aspettate ad entusiasmarvi troppo,” li interruppe Darcy, atono. “Nel caso di una prova del genere la signorina Bennet non avrebbe nessuna possibilità di farcela. Credo che sarebbe un miracolo se non fossimo costretti a raccogliere le sue ceneri con una scopa”.

“William!” lo apostrofò Bingley, sgranando gli occhi chiari.

“Cosa hai detto?!” fece stupefatta Elizabeth, totalmente allibita per quell’uscita, dal momento che si poteva dire che quella era la prima volta che si rivolgevano parola.

“William, sei molto scortese,” fece notare Bingley all’amico.

“Non voglio essere scortese. La mia voleva essere semplicemente una previsione del tutto obiettiva. Affrontare un drago sarebbe una sfida molto al di sopra delle capacità di una studentessa del sesto anno. In realtà lo sarebbe già per un qualsiasi studente che non abbia ancora terminato gli studi”.

“Nemmeno tu e Bingley avete ancora terminato gli studi,” puntualizzò Elizabeth, sentendo il sangue salire al cervello. Dovette fare affidamento a tutto il suo autocontrollo per non afferrare la bacchetta e lanciargli una fattura.

“Questo è vero. Ma, a parte il fatto che Bingley ed io abbiamo un anno di studi in più a nostro vantaggio, la differenza sta anche nei contesti in cui siamo cresciuti. Tu e tua sorella Jane siete le uniche streghe nella vostra famiglia, sbaglio? I vostri genitori sono babbani,” continuò Darcy, non facendo a caso o ignorando deliberatamente il modo in cui Elizabeth si stava innervosendo.

“Più o meno,” disse Elizabeth, lanciando un’occhiata furtiva al cugino Collins - che in quel momento era impegnato a guardarsi intorno e a lodare l’attenta cura per i dettagli e la grande efficienza con cui la preside, la stimata Catherine de Bourgh, gestiva la scuola. “E con questo?” proseguì Elizabeth.

“Noi siamo cresciuti nel mondo magico,” disse Darcy, con un tono che faceva intendere quanto fosse seccato di dover spiegare una cosa tanto ovvia e banale. “Fin da bambini abbiamo avuto modo di conoscere le norme che lo regolano, le creature che lo abitano - come i draghi, per l’appunto. Siamo cresciuti con la magia. Tenendo conto del vissuto, dell’esperienza concreta, abbiamo più conoscenze di quelle che può avere una strega nata in una famiglia di babbani. E l’esperienza è il fondamento della conoscenza stessa.”

“Vuoi dire che consideri te e Bingley migliori di me?”

“Non intendevo proprio migliori. Solo, più competenti. Penso tu non sia all’altezza delle prove che ci attendono, anche se non è colpa tua. Francamente sono molto sorpreso che il Calice ti abbia scelta, e questo vale anche per il signor Collins. Siete parenti, vero?” disse, con una punta di malcelato disprezzo.

Ad Elizabeth vennero in mente almeno dieci maledizioni diverse - non tutte propriamente legali - che avrebbe tanto voluto sperimentare su Darcy, in quel preciso momento. E non era di sicuro d’aiuto il fatto che lui se ne stesse difronte a lei, tutto impettito, con la sua aria di superiorità. Se pensava di intimorirla, stava sbagliando di grosso.

“Bene, io credo che tu stia sottovalutando le mie capacità o la mia determinazione. Oppure temi così tanto che io mi riveli più in gamba di te e che ti metta in ombra? Al punto di cercare di minare la mia autostima, in modo che io mi senta insicura e commetta degli errori? E se il motivo è il secondo, mio caro Darcy, sappi che non funzionerà!”

“Ti suggerisco una terza ipotesi, se vuoi: forse è perché temo che la squadra di Hogwarts venga penalizzata dalla tua presenza” fece lui.

“In ogni caso, non ritengo che l’importante sia vincere,” si intromise Bingley, che fino a quel momento aveva preferito guardarsi i piedi, a disagio. “Sarei molto dispiaciuto se dovessi entrare in conflitto con uno di voi, o entrambi, solo per ottenere la vittoria a tutti costi. Noi dovremmo essere qui per mostrare le nostre migliori abilità, collaborare per la vittoria di Hogwarts, e soprattutto per divertirci. E anche per cercare di non farci fare a pezzetti da qualsiasi cosa ci aspetti”.

Darcy aprì la bocca per ribattere qualcosa, ma, qualsiasi fosse la risposta acida che era sul punto di dire, venne interrotta dall’arrivo della preside.

“Eterna gloria! Ecco ciò che attende il vincitore del Torneo Tremaghi. Ma per guadagnarsela questo studente dovrà affrontare tre prove; tre prove estremamente pericolose, invero. Siete pronti, campioni?”
***

“Quel Darcy è veramente odioso! Lui e i suoi stupidi pregiudizi sui nati babbani,” bofonchiò Elizabeth, per la milionesima volta dopo la sera precedente, mentre con Jane faceva per la seconda volta il giro del lago.

Era una mattina di inizio novembre e il cielo era di un azzurrino chiaro e limpido, più tendente al giallo ad est, dove il sole avrebbe fatto capolino a momenti. Sullo specchio d’acqua, perfettamente immobile, aleggiava una tenue nebbiolina, rimanente dalla notte appena trascorsa e che ancora esitava a dissolversi. Se fino a quel momento il clima di ottobre era stato clemente, negli ultimi giorni il freddo si era fatto pungente, e mentre camminavano, ben avvolte nei loro cappotti, i loro respiri si addensavano in dense nuvole di vapore.

Nonostante il freddo, Elizabeth trovava rinfrancante passeggiare presto la mattina, ancora prima di colazione; la aiutava a schiarire i pensieri. Ed era grata a Jane per essere sempre pronta a lasciare le coperte calde e accoglienti del suo letto all’alba, solo per starle accanto.

Le parole di Darcy, la sera prima, avevano turbato Elizabeth più di quanto le piacesse ammettere. Aveva veramente fatto vacillare la sua sicurezza, anche se avrebbe preferito morire piuttosto che ammetterlo ad alta voce. E ce l’aveva con lui il doppio perché era riuscito a rovinare un momento felice.

Fino a quel momento Elizabeth non aveva rimpianto nemmeno per un istante di aver messo il proprio nome nel Calice di Fuoco, non si era pentita delle proprie scelte. In realtà, l’idea di non candidarsi non l’aveva mai nemmeno sfiorata. Era capitano della squadra di quidditch dei Grifondoro, tra le streghe più promettenti del suo anno. Tutti sapevano che avrebbe tentato la sorte, e pochi o nessuno si era stupito quando era stata scelta come campionessa.

Ma se Darcy avesse avuto ragione? Se quella prova fosse veramente al di sopra delle sue capacità?

“Ti ha detto ciò che pensava in modo onesto e diretto. Brutale, ma onesto,” disse Jane.

“Essere onesti non dev’essere una scusa per dire delle cattiverie,”

“Questo è vero,” dovette ammettere Jane, che da buona Tassorosso quasi non arrivava a concepire tanta perfidia e scorrettezza.

“Ma vogliamo parlare di quel tonto di Collins scelto come campione? Non capisco come sia potuto succedere!” cambiò bruscamente argomento Elizabeth. Era stanca di torturarsi, voleva godersi la giornata.

“Non chiamarlo tonto!” rise Jane. “Al Calice di Fuoco deve essere andato completamente di volta il cervello. Oddio, mi spiace di aver detto una cosa così meschina…”

Elizabeth la urtò di proposito con la spalla, abbandonandosi al momento di ilarità. “E tu? Tiferai per la tua amata sorella o devo aspettarmi di essere tradita per il caro Mr. Bingley?”

Il rossore che Jane già aveva sulle guance a causa dell’aria fresca aumentò di intensità. Era una vita che lei e Charles avevano una cotta l’uno per l’altra, ma nessuno dei due aveva ancora avuto il coraggio di fare il primo passo. Jane era così timida che non avrebbe mai osato prendere iniziativa, ed Elizabeth sapeva che la parte più insicura di sua sorella aveva continui dubbi sul vero interesse che poteva avere lui nei suoi confronti.

“Suppongo che fare il tifo per te non escluda in alcun modo che io possa tifare anche per Bingley,” disse Jane, affondando il mento tra le pieghe della sciarpa gialla e nera che aveva al collo.

“Invece temo che grazie al caro Darcy sia così”.

“L’importante non è vincere. È che vi divertiate, e soprattutto che non vi facciate male,” disse Jane, facendo inconsapevolmente eco alle stesse identiche parole dette da Bingley, solo poche ore prima.

“Vi meritate proprio,” sospirò Elizabeth, scuotendo la testa, e Jane sorrise, mentre si stringeva a lei per camminare fianco a fianco a braccetto.

Elizabeth sarebbe stata felice se quei due si fossero finalmente decisi a dichiararsi; erano così simili, entrambi fin troppo buoni. Si era sempre chiesta come mai un tipo carismatico com’era Bingley esitasse tanto, nonostante avesse dimostrato più volte un sincero e vivo trasporto per Jane. Dopo il breve scambio di opinioni con Darcy, tuttavia, un dubbio le si era insinuato nella mente. E se fosse stato proprio il migliore amico di Bingley ad ostacolare una possibile relazione, facendogli il lavaggio del cervello? O Bingley in realtà condivideva l’opinione di Darcy e considerava Jane inferiore a lui, e quindi inadatta, solo per essere nata in una famiglia babbana?

Elizabeth era più propensa a credere alla prima ipotesi. Bingley non sembrava capace di un tale pensiero, e per quanto ostentasse sicurezza di sé nei modi, dava l’impressione di essere una persona che non era incline ad imporre le sue idee, e questo lo rendeva facilmente manipolabile da una persona con il carattere forte, come lo era Darcy.

Elizabeth ne era quasi certa, era di Fitzwilliam Darcy la colpa, proprio la persona che si era decisa a detestare per tutta l’eternità. Sentiva più che mai di avere un mucchio di ottimi motivi per dimostrare di essere più abile di lui, e fargli sperimentare, presumibilmente per la prima volta nella sua vita, la sua pochezza.


Note:
  1. Per la citazione iniziale: Harry Potter e il Calice di Fuoco, Capitolo 16
  2. Elizabeth frequenta il sesto anno (quindi diciamo che è nata fra settembre e ottobre), mentre Jane, Bingley e Darcy sono tutti del settimo.
  3. La frase detta dalla preside De Bourgh viene detta da Silente nel film.



Angolino dell’autrice:

Bentrovati, cari lettori!
Se siete stati costretti a leggere fin qui giù forse lo saprete già, ma questa storia nasce per il Torneo Tremaghi indetto dalla pagina Fb “L’angolo di Madama Rosmerta”. Riassumendo le regole: ogni partecipante ha dovuto scegliere tre campioni per una delle tre scuole a scelta (Elizabeth, Charles e Fitzwilliam per Hogwarts, in questo caso), e ognuno di questi tre personaggi dovrà affrontare ciascuno una prova del torneo, prova che sarà contenuta in un pacchetto segreto che verrà svelato il 24 Novembre.
Per il momento ringrazio tantissimo chi è arrivato a leggere fin qui, spero che la storia vi piaccia e che non abbia deluso chi l’aspettava.
Al prossimo aggiornamento! Lasciate un segno del vostro passaggio, se vi va.
   
 
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