Serie TV > Il paradiso delle signore
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Autore: Helen_Rose    15/11/2022    1 recensioni
Si tratta di una delle 'fix-it fic' con la più alta percentuale di 'fix-it' che abbia mai scritto in assoluto.
Gli IRocco sono i protagonisti principali.
Ho aperto una una finestrella anche sui SanColombo.
Ma una delle lacune narrative che più mi incuriosisce e, pertanto, ho voluto tentare di colmare, riguarda il passato di Gloria. La sua forza combattiva, l’estrema indipendenza che a soli 25 anni l’ha condotta verso una nuova vita anziché il manicomio, l’incondizionata compassione per chiunque appartenga al genere umano, l’amore smisurato che dà... Devono pur nascere da qualcosa; magari da un vissuto doloroso...
Per levarmi dall’impaccio, o per meglio dire complesso d’inadeguatezza, derivante dal presupporre che Gloria Morelli Moreau in Colombo sia un essere straordinario e ultraterreno, mi sono risposta nel seguente modo: dev’essersi abituata in tenera età a fare affidamento unicamente su di sé, pur conservando una carenza affettiva che perlopiù maschera solo per orgoglio e compostezza.
In particolare, il background di mia invenzione giustificherebbe la sua indulgenza nei confronti delle Zanatta, che non nomino mai in nessuna delle mie fic perché non le reputo interessanti.
Spero possa piacervi.
Happy Birthday to my IRoccoPerSempre
Genere: Angst, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: AU, What if? | Avvertimenti: nessuno
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“Bedda ca si.” Rocco ripone l’ultimo piatto asciugato nella credenza, prima di circondare con entrambe le braccia la vita di Irene e darle un bacio sul collo. “Non vedo l’ora di vederti con un pancione grosso accussì; sicuramente, diventi ancora più bedda.”
Irene Cipriani s’irrigidisce istantaneamente, come se fosse stata pervasa da capo a piedi da una scossa elettrica. Ci impiega ancora qualche istante, prima di realizzare pienamente ciò che le sue orecchie hanno udito, e conseguentemente a staccarsi pian piano da Rocco, quasi per inerzia, e sedersi.
Avrebbe dovuto immaginarlo, che le sarebbe arrivato un castigo di qualche tipo, ordinato da qualche entità astratta o terrena, per aver sovvertito l’ordine precostituito della routine domenicale. Aveva insistito perché lei e Rocco pranzassero da soli a casa ragazze, approfittando del fatto che Stefania fosse dai genitori, che avevano ricreato la tradizione del pranzo domenicale; con tanto di lamentele di Agnese, che avrebbe avuto ‘solo’ Salvo e Sofia a casa, dato che Armando aveva deciso di allungare il suo giro in bicicletta al punto da pranzare fuori, e sarebbe stato accompagnato da Rocco, se non avesse deciso ben volentieri, almeno per un giorno, di staccare dalla sua passione, dal momento che era diventata a tutti gli effetti anche il suo lavoro.
Essendo stata presa totalmente alla sprovvista e, pertanto, non sapendo come replicare, tenta debolmente di ironizzare: “Sei carino a dirlo, visto che sai quanto tenga alla linea.”
Non si rende conto di aver peggiorato la situazione, finché non nota l’espressione di Rocco: una risposta talmente educata e riguardosa non le si addice, e quel povero ragazzo si è già pentito amaramente di aver esternato così, senza rifletterci troppo, un pensiero tanto ‘delicato’.
Non potendo sapere che, saltuariamente, Irene stessa non riesce a levarsi dalla mente l'immagine di un bambino con i ricci di entrambi, scuri com'è il colore dei capelli di lui, e con gli occhi verdi come lei; e di una sé stessa in miniatura, ma con gli occhi nocciola, caldi e profondi del suo Rocco... Di quello che sarebbe suo padre. Non esiste al mondo un ragazzo che più naturalmente ne indosserebbe le vesti. Il problema risiede nell’aver sentito le fatidiche parole pronunciate ad alta voce da lui, non solo rendendole estremamente reali, ma segnando un punto di non ritorno; per di più, legato a uno degli ambiti che più la affascina e l’angoscia insieme: la gravidanza, quella gestazione di nove mesi in cui potrebbe accadere di tutto; Tina ne è l’esempio vivente, e non è ancora detta l’ultima parola.
Eppure, è abbastanza certa del fatto che l’idea della maternità non rappresenti affatto un vezzo, un capriccio, tantomeno un costrutto sociale, né ai propri occhi né a quelli di Rocco, per l’appunto. Quella caparbia ostinazione nel volerla scacciare a ogni costo dal proprio orizzonte, dipende dall’altrettanto affidabile certezza riguardo al fatto che sia un’imposizione della società stessa; e ogni qualvolta Irene Cipriani avverte l'ombra di una precisa aspettativa su di sé, o peggio, di un’imposizione, con tutte le implicazioni del caso, svicola con la naturalezza e l'agilità di una gazzella tra leoni, pronti ad azzannarla per cibarsene con gusto.
Ma Rocco non vorrebbe mai incastrarla di proposito; di questo, è perfettamente consapevole.
Sarebbe il caso di notificarlo anche al diretto interessato, quanto prima. Ma non in questo momento.
Non ora che tutte le migliaia di buone ragioni per cui non dovrebbe diventare madre stanno girando vorticosamente nella sua testa, divertendosi un mondo a farla sentire inadeguata sotto vari aspetti.
Perciò, nonostante Rocco la inviti a discuterne insieme, resosi conto anche lui di aver raggiunto il punto di non ritorno… Dal suo stato di trance, Irene gli comunica di essere attesa a casa Colombo.
“Ma non avevi detto alle quattro? Non sono neppure le tre!”
“Non importa, faccio una passeggiata e poi magari vengo via prima. A dopo… Ciao.”
Dallo stato confusionale in cui anch’egli è piombato, Rocco si aggrappa tenacemente a quel: ‘A dopo’.
-
Irene fa irruzione a casa Colombo in quella che apparentemente è una domenica pomeriggio qualunque; viene accolta dagli sguardi perplessi di madre e figlia, visto il netto anticipo con cui si è presentata per la merenda insieme… Ma il suo viso pallido le invita a non interrogarsi troppo.
“Ezio è già uscito con Vittorio e Roberto.” la informa Gloria, sorridendo, mentre le versa il tè caldo: ha tutta l’aria di averne particolarmente bisogno. “Vorresti anche dei biscotti, oppure…”
Di comune accordo, hanno deciso di darsi del tu al di fuori dell’orario di lavoro, per evitare di attirare dicerie sul fatto che la signora Colombo abbia non una, bensì due preferite tra le Veneri.
“No, grazie; per ora, sono a posto così.” la interrompe Irene, sorridendole debolmente.
“Bene, allora… Ci dici che ti prende?” rompe ogni indugio Stefania, con la franchezza che può permettersi per via del fatto che la conosce come le proprie tasche, mitigata da una carezza sul viso. Ultimamente, sembra aver preso l’abitudine inconscia di riprodurre parecchi gesti della madre.
Irene deglutisce. “Rocco ha sganciato una bomba non indifferente, poco fa, a casa.”
Attende che madre e figlia siano sedute e completamente in ascolto, prima di spiegarsi meglio.
Lo sguardo di Gloria s’illumina immediatamente. Potrebbero passare mille anni, ma l’emozione provata quando seppe di essere incinta di Stefania, e ogni qualvolta aiutava una creatura a venire al mondo, anche se aveva svolto quel mestiere per quasi un decennio, si ripresenta sempre. “Oh!” esclama, semplicemente.
“Ah!” le fa da controcanto secco Stefania, invece: conosce perfettamente Irene, e se sta reagendo così, significa che i passi in avanti compiuti su questo fronte non sono poi tanto significativi.
“Tesoro, potresti essere un po’ meno catastrofica! Mi pare di capire che si stia ragionando di un’eventualità, dico bene Irene?” la redarguisce Gloria, rivolgendo il più materno dei suoi sorrisi a quest’ultima. ‘Materno’, appunto: Gloria è madre in ogni microscopica particella del suo DNA… Per cui, non tarda a rendersi conto che Irene sia stata effettivamente travolta da una bomba, per lei. Si alza dalla sedia in cui aveva preso posto, per avvicinarlesi il più possibile; prende la sua mano destra tra le proprie e, con infinita dolcezza, la invita ad aprirsi. Stefania la imita in tutto e per tutto.
“è che… Le mie perplessità sono infinite, ma ce n’è una su tutte, martellante proprio: come faccio ad essere una buona madre, se la mia l’ho persa quando ero troppo piccola per imparare da lei?”
Gloria le sorride empaticamente, sentendo già aprirsi nel petto quella voragine che ha un nome ben preciso, e che rimarrà sempre presente finché avrà vita: senso di colpa. *1
“Sono stata cresciuta da mia zia Luisa, che è stata impagabile, un po’ come zia Ernesta, ma…”
‘Non è la stessa cosa’, completano mentalmente tutte e tre. Stefania asciuga furtivamente una lacrima solitaria che stava iniziando a rigarle la guancia sinistra; non è il momento e non è il caso, per nessuna delle parti coinvolte, che si mostri ancora così sensibile all’argomento. Ora tocca a Irene, non a lei.
“Penso di aver avuto solamente bisogno di essere… Compresa.” scandisce lentamente e attentamente.
Gloria le rivolge uno sguardo più carico di significati di quanti potrebbe esprimere a parole… Prima di addentrarsi nel racconto della propria esperienza personale, dagli albori fino al presente conosciuto. Stefania conosce qualcuna delle parti della storia, ma non aveva mai sentito la madre raccontarsi con tale incontrollata trasparenza e fragilità e insieme; men che meno a beneficio di Irene, benché tutti loro, ormai, la considerino parte integrante della famiglia. Se c’era una caratteristica di Gloria che l’esilio in Francia aveva rafforzato, era la riservatezza. Ma questo è il momento ideale, per raccontarsi con generosità e alleggerirsi anche un po’ da troppi macigni che tuttora porta nel cuore.
L’aver perso il padre da piccolissima aveva generato in lei una sorta di idealizzazione della figura paterna, dei rapporti coniugali -quello dei suoi soprattutto- e familiari in generale, oltre ad aver gettato il primo seme di una carenza affettiva acuita dall’atteggiamento e dalla personalità della madre. Rebecca *2 era una donna dalla tempra invidiabile, che Gloria aveva inevitabilmente assorbito; ma l’ottimismo e la positività li aveva per indole e tramite i geni paterni, certamente non materni. Una vedova negli anni ’20 doveva affrontare difficoltà economiche e sociali non indifferenti, e il lavoro di sarta, se da un lato le consentiva di potersi occupare personalmente dell’educazione della figlia mentre metteva la pagnotta in tavola, dall’altro la costringeva a nottate insonni per portare a termine tutte le commissioni di cui si faceva carico in rigorosa solitudine, portandola al progressivo peggioramento di un carattere già schivo per natura. Gloria le sarebbe stata eternamente grata per i principi trasmessile e l’attenzione rigorosa dedicatale; ma non si era mai sentita veramente compresa, sostenuta… Era certa dell’affetto della madre, benché non fosse in grado di dimostrarglielo come lei avrebbe voluto. Personalità intrinsecamente affettuose come quella di Gloria spesso sviluppano poi una forza propulsiva d’amore, mai pago di trasmettere amore molto più che di riceverne a propria volta. Il giorno in cui scoprì di essere incinta, giurò a sé stessa che non avrebbe mai mancato di far percepire ai suoi figli quanto tenesse a loro, anche a costo di risultare soffocante. Avrebbe voluto averne tanti; ma nulla, da quel maledetto giorno di 17 anni prima, era andato secondo i suoi piani. Ecco che si era ritrovata a costruire un rapporto sano per forza di cose con una figlia già adulta e autonoma, ma avendo anche la possibilità di dar sfogo alla riserva d’amore ormai incontenibile che aveva stipato nel cuore per 15 interminabili anni, potendolo destinare a una persona soltanto ovvero Madame Moreau. E a beneficiarne erano state proprio le Veneri, passate e presenti: ognuna di loro, per diversi motivi, si era conquistata un posto fisso nel suo cuore, ed era ben felice di riservarglielo.
Ecco perché la storia con Ezio la prese alla sprovvista e le sconvolse l’esistenza superando le sue più rosee aspettative, fin dal primo momento: quell’uomo bellissimo, dagli occhi color carta da zucchero, limpidi, profondi e al contempo con una vena ironica, svegli, pronti a leggerle dentro in ogni istante, aveva scelto proprio lei, da amare, rispettare, far sentire speciale ogni giorno della loro vita insieme. Fondere i loro corpi e le loro anime per dare alla luce Stefania era stata una naturale conseguenza. Aveva sempre amato quel nome, il suono che producevano le loro voci nel pronunciarlo ad alta voce; l’aveva chiamata così in onore di Stéphanie Félicité Ducrest de St-Albin, comtesse de Genlis, una specie di Maria Montessori francese. Certamente, mai avrebbe potuto immaginare che, per 16 anni, su di lei sarebbe pesato il significato tradizionale religioso di Stefania, riferito alla corona del martirio.
Non aveva mai avuto una figura maschile di riferimento, né un vero e proprio fidanzato prima di Ezio, che per lei era tutto: amico, fratello, padre, prima che compagno di vita e padre di sua figlia. Probabilmente, sotto certi aspetti l’aveva anche idealizzato, ma le risultava impossibile non sentirsi grata per il regalo fattole dal destino, di averle fatto incontrare la sua metà perfetta ancor prima di compiere la maggior età; il mito di Platone sulle due metà destinate a cercarsi per tutta la vita l’aveva terrorizzata a morte, all’idea di dover aspettare un tempo eccessivamente lungo prima di incontrarla. Sapeva bastare a sé stessa, ma ciò non escludeva la sua capacità di amare incondizionatamente e il bisogno spasmodico di essere riamata: perché il fatto stesso di individuare un oggetto d’amore, di accantonare l’idea astratta del sentimento, fa sì che il bisogno vada di pari passo con la volontà.             Zia Ernesta, la prima figura materna vera e propria che avesse mai conosciuto, spesso ironizzava sul fatto che Gloria fosse ‘troppo in gamba per quel salame di mio nipote’, che adorava pazzamente beninteso, anche se dimostrava l’affetto in modo piuttosto burbero con chi decideva lei; e Gloria era fin troppo riguardosa per replicare che, non avendo mai provato in vita propria un sentimento così travolgente e totalizzante, senza per questo risultare soffocante, non poteva proprio capirlo.           Ezio era per Stefania un padre ideale, o perlomeno lo era ai suoi occhi; non ebbe remore dal punto di vista dell’affidargli la loro creatura, proprio perché aveva sempre sofferto per quella mancanza.
Il vero punto di criticità consiste nel fatto che non sempre le fiabe di riscatto mantengono intatta per sempre la magia; e l’aver passato ben 16 anni separati, portando alle stelle, insieme al picco di dolore, anche quello di idealizzazione di Ezio, non aveva certamente aiutato un ritorno più morbido alla realtà. Non solo suo marito si era indurito, ma covava nei suoi confronti un rancore che era stato difficile mettere da parte; ma analizzandolo, nasceva semplicemente da una ferita con cui non aveva veramente imparato a convivere; semmai, l’aveva rinchiusa in un cassetto per non permetterle di disturbarlo. Naturalmente, era capitato anche nei primi anni di matrimonio di discutere; ma mai così. Quel che è praticamente scontato precisare, è che 15 anni di autoreclusione preparano per qualunque battaglia: Gloria non era più una giovane assetata d’amore, ma una donna consapevole e temprata. Ciò non significa che avesse smesso di amare il marito, o di desiderarne l’amore… E infatti, dopo le difficoltà insorte, erano tornati a comunicare efficacemente, avendo deciso di ricostruire da dove si erano interrotti, tenendo conto degli inevitabili ostacoli che avrebbero continuato a presentarsi, ma tenendo anche a mente quel legame viscerale così particolare che li aveva sempre uniti.
Tutto ciò per dire a Irene che, se la propria indole e le circostanze della vita portano a voler cambiare un destino che sembra essere già scritto, lo si può fare tante volte quante è richiesto farlo.
“Posso chiederti se… Hai più rivisto tua madre, quando ti sei sposata?”
“Certo… Saltuariamente, però. Anche perché, appena fui denunciata, tutto fece meno che starmi accanto; si rinchiuse ancor di più nelle quattro mura in cui abitava, evitando accuratamente i contatti col mondo esterno: provava una vergogna indescrivibile, senza neanche essersi sforzata di capirmi.” Gloria fa spallucce, bevendo un altro sorso di tè; è passato troppo tempo, ormai l’ha accettato.
“Dev’essere stato terribile.” osserva Irene, con occhi dolenti.
“Sì, lo è stato, non lo nego. Ma in quel momento, avevo altre priorità: una su tutte, Stefania. Quando diventi madre, il baricentro della tua vita si sposta completamente. Anche su Ezio, naturalmente. Sulla famiglia che avevo desiderato e creato con tutte le mie forze e il mio amore, che mi aveva scelta, amata incondizionatamente dal primo istante. La loro perdita è stato il vero strazio, in quei 15 anni.” Unicamente il fatto di riaverli entrambi vicini le impedisce di parlarne ancora con sofferenza.
“E tua madre…” si azzarda a domandare Irene. Stefania non le ha mai parlato della nonna materna, e ora capisce perché: si tratta di ricordi che nessuno di loro rievoca volentieri. È veramente incredibile come una persona come Gloria sia diventata così, crescendo in un ambiente tanto arido e buio.
“Quando sono tornata, mi è stato detto che non c’era più. Si era spenta in casa, da sola, come aveva condotto la sua vita da quando era morto mio padre. Non c’era veramente spazio neppure per me…” Gloria tradisce uno sguardo sofferente, ma si ricompone in fretta.
“E… L’hai perdonata?”
“Sì.” conferma, convintamente. “Ha fatto del suo meglio. Ma mi sono ripromessa di fare ben di più.”
“Finora, stiamo andando a gonfie vele.” conferma Stefania, sorridendole con dolcezza.
“E a tal proposito…” azzarda Irene, sollevando una delle mille questioni che l’attanagliano: “Come hai fatto a continuare a lavorare, quando è nata Stefania? Voglio dire, come ti sei organizzata?”
“La zia Ernesta si è rivelata fondamentale fin da subito.” ricorda Gloria, con una sfumatura tenera nella voce. “Ma c’è da dire che il mio lavoro non aveva orari; fondamentalmente, per i primi tempi ho chiesto di venire contattata il meno possibile, e ogni minuto libero lo passavo a casa con Stefania.”
“Quindi, non ti sentivi… In colpa?”
“Ogni volta in cui varcavo la soglia. Ma mi sarei sentita più in colpa a non farlo.” A quel punto, si azzarda a rivelare l’elefante nella stanza: “Tua mamma ha continuato a lavorare? Se lavorava.”
Per un attimo, a Irene manca il fiato. Appena lo recupera, risponde: “Mia madre… Diana.” Ogni volta, era una coltellata in pieno petto pronunciare quel nome così prezioso, che non portava nessuno di sua conoscenza, e che si sforzava di omettere il più possibile. “Era una ballerina di danza classica; ma dopo la gravidanza, non tornò più sulle scene, troncando un’eventuale promettente carriera sul nascere. Aveva solo 25 anni, ma non si sentiva più in forma. Divenne direttamente insegnante.”
Le sorridono entrambe, incuriosite. “E… Sembrava pentita?” incalza Gloria, con circospezione.
Irene sospira profondamente. “No… Mi è sempre sembrata felice. Almeno, lo spero.”
“Non sarebbe potuto essere altrimenti.” la rassicura Gloria, dandole un buffetto sulla guancia. Ora, sopraggiunge il punto focale della questione: “Immagino e spero che anche lei avesse qualche piccolo difetto… Come tutte noi.” Le sorride, per mitigare l’affermazione, e si avvicina per farle una carezza sulla gamba; già pronta a ritirare la mano, se Irene dovesse risentirsi giudicandola inopportuna.
Inaspettatamente, Irene trattiene la sua mano, la afferra con entrambe le proprie, e inizia ad aprirsi. “Mia mamma era la pacatezza fatta persona… Il contrario di me; da questo punto di vista, somiglio più a mio padre.” Fa un sorriso dolceamaro, autorizzando le Colombo a fare altrettanto. “Non si arrabbiava quasi mai… Ma c’era una cosa che la mandava su tutte le furie: era gelosissima dei suoi effetti personali, perciò era mi era proibito giocare con i suoi trucchi e i suoi abiti senza permesso; se mi beccava, aveva scatti d’ira che la rendevano quasi irriconoscibile perfino per mio padre.”
Fa una pausa. È sempre doloroso ricordare sua madre, e a maggior ragione evidenziare le sue imperfezioni, che scoppiano la bolla di idealizzazione sapientemente costruita intorno alla sua figura in tutti quegli anni, per consentirle di rifugiarsi nel suo ricordo in modo da difendersi dalla freddezza e intransigenza del padre; presumendo che, se la madre fosse ancora viva, la sua intera esistenza sarebbe stata completamente diversa, certamente migliore, e utopicamente priva di sofferenza.
Le sue interlocutrici, che probabilmente non immaginano Irene come una bambina sconsiderata che potesse danneggiare accessori e vestiti della madre, fanno trapelare una velata perplessità; si affretta a precisare, per evitare fraintendimenti sulla persona che ha amato sopra ogni altra per più di 20 anni: “Indubbiamente, questa caratteristica ci accomuna; anch’io sono molto attaccata alle mie cose… E proprio come lei, sono disposta a condividerle in determinate circostanze. Infatti, probabilmente perché si sentiva un po’ in colpa, a fronte delle mie coetanee che, invece, potevano giocare quanto volessero con i contenuti degli armadi e dei portagioie delle madri, purché ne avessero cura… Nei pomeriggi liberi dal lavoro, o la sera se non era troppo stanca, mi teneva compagnia e, al contempo, si assicurava che non rompessi o danneggiassi nulla.” Accenna un sorriso. “Non aveva molta fantasia, ma adorava raccontarmi le trame dei noti balletti che aveva interpretato o che aveva visto inscenare; altrimenti, mi guardava giocare e inventare storie, accettando di essere coinvolta se necessario. Sono i miei ricordi preferiti d’infanzia: io, su tacchi spropositatamente alti, con un mascherone di cipria e rossetto in viso e pesantissime collane di perle al collo, mentre declamavo versi sconclusionati allo specchio, sotto lo sguardo dolce di mia madre che applaudiva alla fine di ogni nuova storia.”
Gli occhi di Gloria si inumidiscono, ripensando a uno dei tanti privilegi che non ha avuto, e che le altre madri tendono a dare per scontati: giocare insieme alla propria figlia. 
  ‘Una diva affamata di attenzioni già allora’, vorrebbe sdrammatizzare Stefania, ma non le sembra opportuno farlo, proprio in uno dei rari momenti in cui Irene si sta aprendo senza riserve. 
“So cosa stai pensando!” esclama immediatamente l’amica, cogliendola in flagrante. “Sì, lo ammetto: da questo punto di vista, non sono cambiata poi molto. Tranne…” sospira, deglutisce e prosegue: “Dal punto di vista creativo; e ti invidio moltissimo, Stefy, per aver mantenuto intatto questo tuo lato. Semplicemente, mi sembra privo di senso inventare storie che mia madre non può più ascoltare.” Non l’aveva mai ammesso ad alta voce, perciò lo fa tutto d’un fiato; gli occhi azzurro ghiaccio, che stanno virando verso le sfumature delle profondità del mare, traboccano pericolosamente di lacrime che Gloria sembra non avere alcuna intenzione di frenare, dal momento che sceglie di riscuotere il momento bonus carezza proprio in quell’istante, peggiorando la sua fragilità emotiva. “Sono sicura che tua madre veglia su di te; ed è felice di quello che vede.” asserisce, con la stessa emozione malcelata che aveva nella voce quando proferì queste parole per la prima volta, ma in direzione di Stefania, la quale è vicinissima a seguire a ruota la migliore amica; ha perdonato ormai da tempo la madre per aver mantenuto per un anno le mentite spoglie, perciò la sua mente non fa che andare a tutti i momenti che non hanno potuto condividere, e che non torneranno indietro. Ed è come se lei e Gloria stessero sentendo lo stesso sentire; ma la madre è troppo occupata a rassicurare Irene, per lasciare campo libero alle proprie emozioni. Stefania le cinge la schiena con un braccio, appoggia la testa sulla sua spalla e le sorride. Fino a quel momento l’aveva evitato, per concentrarsi su Irene, la sorella dell’anima. E Gloria, che ormai sa interpretare anche i pensieri inespressi di sua figlia, a propria volta posa un braccio sulla schiena di Stefania, e dall’altro lato lo allunga per spingere Irene ad avvicinarsi; la considera, a tutti gli effetti, una figlia acquisita, ma soprattutto un’amica e alleata.
Quindici lunghi anni di esilio possono creare una sovrabbondanza d’amore spropositata, che continua volentieri a distribuire tra le Veneri, adorabili fanciulle meritevoli di affetto; ma con Irene ha sviluppato istintivamente un legame elettivo, in modo tacito ma evidente a tutti. Forse dipende dalle loro solitudini, diverse eppure per certi versi simili; o forse, dal suo proverbiale rigetto per le ingiustizie, che le ha consentito di rimanere fedele a sé stessa per 16 anni ma anche di assentarsi dalla sua vera vita, per quei 16 anni, e da ultimo l’ha portata ad avvicinarsi a quella ragazza che nessuno, tranne Rocco, Roberta -che sfortunatamente, al momento vive altrove- e sua figlia Stefania, sembra aver profondamente capito*1 . Eppure, Irene sa essere tanto ermetica quanto un libro aperto; il punto è che, del libro, a pochissimi eletti viene concessa la chiave, un po’ come fosse un diario segreto, e Gloria rientra tra quei pochissimi. La fiducia e il rispetto si concedono a chi dimostra di meritarli poiché ne riconosce il valore; e un pregio indiscutibile di Irene Cipriani è l’istinto affinatissimo che la porta a non sbagliare mai nelle sue scelte, che vanno dal giusto abbinamento di abito e accessori alle questioni di vitale importanza, come questa. Ecco perché una ragazza notoriamente restia al contatto fisico non oppone nessuna resistenza, anzi, si crogiola ben volentieri in quella stretta, che non le dà la sensazione di una morsa opprimente; al contrario, le restituisce una libertà che le è mancata per troppo tempo, in passato: quella di amare incondizionatamente, senza temere che ne abusino, o peggio, di non essere capita, di non essere accettata, di essere respinta. Chiunque abbia consapevolmente scelto come membro della sua famiglia del cuore, è potenzialmente destinato a restarlo a vita, se si dimostrerà meritevole di tale onore: naturalmente, visibile a loro, non di certo a Irene, che negli affetti è tutt’altro che presuntuosa, e ha imparato ad essere meno possessiva, poiché rappresenta uno degli atteggiamenti comprensibilmente forieri di abbandono immediato del campo.
“Irene…” le sussurra Gloria, che volendosi accertare di avere su di sé la completa attenzione uditiva della suddetta, attendendo un cenno di conferma che non tarda ad arrivare. “Sono più che certa del fatto che i tuoi figli adoreranno sentirti raccontare bellissimi aneddoti sulla nonna Diana. Soprattutto, saranno dei bambini fortunatissimi, perché la loro mamma creerà nuove storie apposta per loro.” sentenzia, depositando un bacio sulla sua testa, proprio come ama fare con Stefania.
“Gloria…”   
“Dimmi, tesoro.”   
                   “Ti sembra giusto far ingelosire Stefania, e destabilizzarmi in questo modo?”  
   “Ti voglio bene anch’io.” replica, impassibile, per poi ridacchiare insieme alle figlie.
-
“Stefania, sei pensierosa… Tutto bene?”
Viene riscossa dai propri pensieri dalla voce incuriosita di Marco, e al contempo calda, con quel tono che tipicamente riserva a lei e a pochissimi intimi; senza distogliere gli occhi dalla strada, le rivolge un sorriso tenero e allunga la mano destra per darle un buffetto sulla guancia, prima di scalare le marce per arrivare a frenare davanti al semaforo rosso.
Stefania si ritrova a pensare che è un po’ la metafora del loro rapporto: ogni volta in cui lei si sente sopraffare da un dubbio o una preoccupazione, si sente persa, lui la riporta coi piedi per terra.
“No, niente… Niente di importante.” minimizza, facendogli un sorriso stentato e poco convincente.
“ ‘Niente di importante’, ovvero il riassunto in tre parole di una catastrofe epocale.” ironizza Marco.
“No, davvero; ho solo voglia di passare una bella serata con te, senza appesantirci; abbiamo appena superato un interminabile alternarsi di una serie di fasi complicate, prima per te e poi per me.” tenta ancora una volta di svicolare lei, che almeno per quella domenica sera, in vista di un lunedì particolarmente ricco di impegni lavorativi, si era autoimposta di rilassarsi col suo promesso sposo. ‘Definirlo così non sembra la premessa ideale per raggiungere tale scopo’, direte voi; ma inaspettatamente, al di là del fatto che la parte stressante dei preparativi sia ancora lontana, la prospettiva del matrimonio è uno dei pochi pensieri in grado di tranquillizzarla, ultimamente.
 
“Stefania, io ti conosco molto bene…” esordisce Marco; a quel punto, lei ha già capito dove sarebbe andata a parare la restante parte del discorso, e decide istantaneamente di accorciare l’agonia per entrambi; ma non prima di avergli fatto giurare assoluta discrezione sull’oggetto delle confidenze.
Marco fa appena in tempo a incrociare per due volte entrambi gli indici e baciarli, a mo di ‘giurin giurello’, prima che il semaforo diventi verde; quel gesto fa sorridere di tenerezza Stefania, spingendola a ripensare alla prima volta in cui gliel’aveva visto fare, in foresteria, diversi mesi prima.
Fu in quel momento che si rese conto di strappargli promesse di mantenere il riserbo più totale come puro atto formale, nonché per il segreto -e neanche troppo- desiderio di vedergli fare quel gesto; una sorta di patto implicito tra loro, così come l’incondizionata fiducia reciproca alla base del rapporto.
La spiccata curiosità propria della personalità di entrambi, che consente loro di svolgere il mestiere di giornalisti al meglio, si accompagna al mantenere il riserbo in modo quasi maniacale, quando si tratta di rispettare la privacy degli interlocutori, sia a livello professionale che personale.
L’unica persona con cui si ritrovano regolarmente a rompere quei ‘patti di segretezza’, per Stefania consiste proprio in Marco, e viceversa; hanno personalità talmente speculari, da completarsi e fondersi alla perfezione in ogni circostanza, oltre a ‘contaminarsi’ vicendevolmente, molto spesso.
 
Ragion per cui, Stefania si sente assolutamente libera di confidargli i crucci di Irene, pur senza scendere eccessivamente nei particolari: è innanzitutto e soprattutto un’ottima amica.
Al termine del racconto, sono praticamente già arrivati al ristorante.
Marco ha ascoltato con grande attenzione, senza interrompere. Si è limitato a commentare di comprendere perfettamente il punto di vista della fidanzata di Rocco, nonché di Rocco stesso, in base al proprio vissuto così simile a quello di Irene in particolare; benché non si tratti di una ragione sufficiente per rinunciare al desiderio della genitorialità, qualora sia radicato e, soprattutto, ragionato.
Stefania concorda, ma la perplessità e il turbamento che l’attanagliano sono evidenti.
Intanto, si concentra su un tema riguardo al quale non ha alcun dubbio: ordinare una cotoletta alla milanese, accompagnata da patatine, giusto per sottolineare il desiderio di un ritorno all’infanzia.
 
Marco la spinge ancora una volta ad aprirsi, con delicatezza; stavolta, non deve neppure insistere:
“È che… Oggi, sentendo parlare Irene e mia madre, forse per la prima volta mi sono DAVVERO interrogata sul concetto che ho di ‘maternità’. Fino a questo momento, l’avevo sempre considerata una tappa ancora remota della mia vita, però possibile; ma in qualche modo, era sempre stata una sorta di passaggio obbligato, qualcosa che immagini nella tua vita perché è normale farlo, uno dei tanti tasselli che ci si aspetta facciano parte della vita degli adulti. Non so se per te valga la stessa cosa…”
“Più o meno, sì… Avendo qualche anno in più di te, come ti dicevo, ho avuto modo di approfondire un po’ di più la faccenda, ecco tutto.”
“E poi dicono che voi uomini ci delegate ogni responsabilità…” commenta lei, facendo un mezzo sorriso tra il furbetto e il tagliente.
“Signorina Colombo, Le ricordo che presto sarà mia moglie: spero non voglia appropriarsi spudoratamente dell’appellativo di ‘SanSarcasmo’ *3 , proprio ora che incominciava a piacermi…” la punzecchia Marco, facendo riferimento al soprannome affibbiatogli da lei stessa, come monito.
“Per carità, non mi permetterei mai…” ribatte lei, scimmiottando tono e movenze del fidanzato quando è solito pronunciare questa frase per prendersi bonariamente gioco di zia Adelaide.
Marco finge di non cogliere la provocazione.
 
“Tornando a noi… Sul momento, ero troppo impegnata ad ascoltare mamma e Irene, cercando di rendermi utile nel rassicurarla; poi, ho avuto modo di riflettere sull’argomento mentre mi preparavo, e… Non lo so, Marco: chi mi assicura di non diventare una pessima madre? In fondo, io sono stata cresciuta da zia Ernesta, che ha fatto un ottimo lavoro, ci mancherebbe, per cui ho un affetto smisurato e a cui i miei genitori devono eterna riconoscenza, ma non è stata una vera e propria mamma… Non ho mai più ritirato fuori l’argomento per non farglielo pesare, ma nessuno potrà mai cancellare quei 16 anni di profondo dolore e sconforto e senso d’inadeguatezza e spaesamento… Nessuno mi insegnerà mai le basi che avrei dovuto quantomeno imparare per osmosi, perché sono sicura che mia madre avrebbe fatto un ottimo lavoro sempre… Sono stata educata benissimo da zia Ernesta e da papà, ripeto, e poi sono stata fortunata con tante figure di riferimento, però insomma…”
 
Marco interrompe il fiume in piena della sua Stefania accarezzandole la mano e sorridendole in modo rassicurante. La invita a respirare profondamente e, nel frattempo, tenta di ricordare con esattezza la citazione, poiché sarebbe alquanto deprimente un’imprecisione su parole scritte da lui stesso, per di più in un’occasione tanto cruciale e solenne:
“Stefania Colombo ha accresciuto la sua naturale predisposizione all’ascolto.”
La mente di lei ha già fatto l’associazione spontanea, per cui sorride scuotendo la testa.
“L’empatia verso chiunque si rivolga a lei serve a comprendere la persona, la sua storia e le sue esigenze. Proprio questa capacità di compassione, cioè di comprensione senza pregiudizi, è una caratteristica importante per chi, come la signorina Colombo, aspiri alla professione di giornalista.”
“Chapeau per la memoria, davvero, ma… Che starebbe a significare?” domanda, ironica.
“Non hai avuto bisogno di crescere con tua madre, per diventare la persona meravigliosa che sei.”
Stefania si scioglie in un sorriso colmo di gratitudine. Gli attestati di stima reciproca sono abbastanza frequenti, tra loro; ma probabilmente, non si abituerà mai a complimenti così espliciti e ‘altisonanti’.
“Le caratteristiche di cui sopra non sono utili solo per svolgere bene il nostro mestiere, ma anche e soprattutto nell’ambito dei rapporti umani. Sicuramente, ricongiungerti con tua madre anche se inconsapevolmente ha messo in luce queste tue qualità, che in parte ti sono state donate dalla genetica, in altra parte dagli esempi respirati nella tua vita e nelle tue letture;” -ne hanno fatti, di passi avanti, da quando la prendeva, prima sarcasticamente e poi bonariamente, in giro per la sua passione per i rotocalchi e Brunella Gasperini, che si era poi rivelata il collante del loro rapporto professionale- “ma sono innanzitutto delle peculiarità proprie della tua natura, che ti renderanno una madre spettacolare. I bravi genitore non si riconoscono dalla prontezza con cui cambiano i pannolini, ma dalla capacità di ‘vedere’ i figli che hanno di fronte, invece delle proprie proiezioni su di loro. Parlo per esperienza personale, lo sai bene.” Indubbiamente, ne è perfettamente a conoscenza.
Come sa del suo amore incondizionato; ma non si aspettava nutrisse tanta stima a prescindere per un ruolo che non si era ancora neppure avvicinata a ricoprire, e su cui lei stessa si sente tanto insicura.
Probabilmente, l’amore aiuta a vederci con gli occhi di chi davvero ci conosce e ci ama per questo.
Stringe con forza ancora maggiore la mano di Marco, che non l’aveva mollata per un solo istante, e se la porta su una guancia, depositando un bacio sul palmo. “Ti amo, lo sai vero?” dice semplicemente.
“Mai abbastanza.” replica lui, vittima della stessa sete di conferme ma più efficacemente nascosta.
 
“E comunque, è sempre bello vedermi coi tuoi occhi… Soprattutto perché, nella maggioranza dei casi, almeno posso dirmi di essermi creata false aspettative con gioia.” spezza l’atmosfera romantica.
“Sapevo che era in arrivo la fregatura!” commenta lui, alzando gli occhi al cielo. “Avanti, spara.”
“Non per sminuire le tue capacità di astrologo, ma sul fronte professionale non ci siamo granché…”
“ ‘Astrologo’ sarà poi il cugino d’America, grazie tante.” chiosa Marco, spietato.
Stefania alza gli occhi al cielo. “Riuscirai mai a chiamarlo col suo nome? F E D E R I C O.”
“Ne dubito fortemente. Già solo per essersi lasciato sfuggire l’occasione di stare con te, dev’essere un tipo per nulla sveglio;” -Stefania si lascia sfuggire un sorrisetto, al pensiero che una volta avrebbe dato qualunque cosa perché, a seguito di un’affermazione del genere, Federico magicamente si accorgesse di lei, mentre allo stato attuale delle cose, niente le potrebbe interessare meno di quella prospettiva-
“in secondo luogo, Roberta l’ha lasciato per Marcello, il che mi porta a pensare che non le abbia dato motivi per restare, confermando la mia teoria di cui sopra;” -pur di avvalorare la crociata immaginaria ai danni di Federico, tirerebbe in ballo anche John Kennedy in persona; Stefania si diverte sempre parecchio, dinanzi all’insospettabile gelosia (sana, s’intende) di Marco, ma non lo ammetterebbe mai-
“in ultima istanza, sempre per ricollegarmi al discorso di prima: niente e nessuno mi assicura che, un giorno, non possa svegliarsi, rendersi conto di aver commesso il più grave errore della sua vita e tornare a Milano apposta per rimediare. E intendiamoci, non che ti consideri capace di preferire un ronzino a un purosangue;” -a quel punto, Stefania sospira per due ragioni: la prima, è che quando definì l’equitazione: ‘la tappa obbligata dei giovani di buona famiglia’, aveva fatto decisamente bene a guardare nella direzione del principale destinatario della frecciatina; la seconda, è che l’incontrollabile impulso di definire Federico secondo metafore del mondo animale, peraltro da coloro che meno di tutti dovrebbero temere la competizione con lui, rimarrà per sempre un mistero per lei e Roberta, inermi spettatrici di siparietti che poco si addicono a due uomini moderni quali i loro fidanzati sono-
“ma non vorrei mai che tua zia Ernesta smettesse di invitarmi a pranzo, se Federico il Grande *4 dovesse perdere la vita nel nostro duello all’ultimo sangue: vado pazzo per la sua cucina, lo sai.”
 
“Hai finito? Possiamo tornare a fingere, perlomeno, di essere persone serie?”
“Stavo appunto per ricordarti che, a conclusione di tutto quel discorso, scrissi anche: ‘Una strada che, siamo certi, questa ragazza speciale percorrerà con successo.’ Individua l’errore in questa frase!”
“Che il successo l’hai immaginato nella tua testa. Ho il blocco dello scrittore da settimane.”
“Ma è normale, può capitare a chiunque; la scrittura e la promozione del libro su tua madre ti hanno spossata particolarmente.”
“è proprio questo il punto, Marco: avevo scritto quel romanzo di getto perché avevo una vicenda reale su cui basarmi, nonché uno scopo nobile ed estremamente vitale per me. Ricordi quando ti dissi che non consideravo quello legato alla scrittura un lavoro?” Marco annuisce in segno d’assenso.
“Mi è sempre piaciuto pensare di poterlo fare seguendo l’ispirazione, per dare sempre il massimo secondo le mie possibilità e i miei standard; mai per obbligo. Ora, il dottor Conti non mi ha ancora parlato delle sue intenzioni per il prossimo numero, ma percepisco le sue alte aspettative su di me.”
Marco sospira. È incredibile la facilità con cui si scoraggia, quando si tratta di sé stessa.
“Stefania, tu devi preoccuparti solamente di due cose: innanzitutto, di ringraziare per questa favolosa cotoletta alla milanese con patatine fritte, e io per il risotto.” A scanso di equivoci, dà il buon esempio.
 
“E poi?” incalza lei, con un sorrisetto impertinente, curiosa di vedere come si caverà dall’impaccio.
“Effettivamente, a questo punto, si presuppone che ti indichi il cammino con una frase illuminante…”
Stefania si lascia andare a una risata liberatoria; saper sdrammatizzare, anche nei momenti più critici, con quel piglio indubbiamente ereditato da zia Adelaide, è una delle migliori qualità di Marco.
Che le sorride con amore, pienamente soddisfatto di essere riuscito nell’intento.
“Mettiamola così: non caricarti di alcuna pressione e lascia che l’ispirazione spontanea faccia il suo corso. Solo poco tempo fa, il tuo supporto si è rivelato fondamentale, per me, in una situazione che sembrava senza via di uscita; non vorrai mica gettare la spugna per un calo fisiologico di prestazione, che può capitare persino ai premi Nobel? Perché ti assicuro che ne ho intervistato uno, e…”
“Sì, lo so; me ne hai parlato. Molte volte.” chiosa Stefania, citando ‘Lilli e il Vagabondo’, con tanto di smorfia impertinente, immediatamente a seguire, e poi sorriso a 32 denti; come al solito, conosce sempre la chiave da usare, il momento in cui farla girare nella toppa, e quando ritirarla.
 
-
 
Irene fa avanti e indietro sul ballatoio almeno una decina di volte, prima di decidersi a bussare.
Strano che Rocco non l’abbia già sentita, aprendo direttamente la porta per spezzare gli indugi.
Sta cercando di prepararsi almeno una ‘bozza mentale’ del discorso che ha in mente di fargli…
Ma siccome l’unico risultato che sta ottenendo è quello di far aggrovigliare i suoi stessi pensieri e agitarsi ancor di più, tanto vale improvvisare, sperando che lui l’aiuti a rompere il ghiaccio.
“Uè, picciò; tutt’appost?” la saluta, fingendo indifferenza.
“Sì… Mi sono un po’ tranquillizzata. Credo. Posso entrare?”
“Come no, prego.” Si scansa dal minuscolo ingresso, per permetterle di passare.
“Sei solo?” le preme di accertarsi, prima di introdurre l’argomento spinoso che li vede coinvolti.
“Sì.” risponde seccamente. Peccato che per Rocco sia un po’ arduo fare il sostenuto, da quando hanno abbandonato le vesti di amici; a meno che Irene non lo faccia infuriare sul serio…. Chi riuscirebbe a resistere alla sfumatura calda -in questo caso, poiché intrisa di un evidente quanto raro e insperato senso di colpa- che sanno assumere quegli occhi azzurro ghiaccio? Non ci prova neppure.
Senza contare il fatto che, per abitudine, ormai la rende partecipe praticamente di qualunque cosa.
“Mia zia sta co’ Armando al piano di sopra, siccome Marcello e Roberta stanno a Trofarello, no? Salvo è uscito co’ Sofia, mi pare che dopo il cinema andavano a cena fuori, quindi torna tardi.”
“Perfetto, allora… Penso che dovremo parlare a lungo.” Il sorriso accennato di Irene si spegne rapidamente, dal momento che Rocco mantiene comunque un contegno distaccato.
 
Si tratta di una dinamica che le crea disagio; sa che dovrebbe scusarsi, ma non le viene naturale farlo.
“Sai… Ci ho messo un po’, per bussarti; speravo di fare chiarezza, prima…” temporeggia, incerta.
“U sacciu.” ribatte Rocco, seccamente. Vedendola confusa, chiarisce: “T’ho sentita.”
A quel punto, il sorriso di Irene diventa incontenibile: l’ha aspettata; le ha lasciato i propri tempi. E pensare che esiste la tendenza a sottovalutare questo tipo di attenzioni, non apprezzandole appieno. Rocco sa amare tanto coi silenzi, quanto con le poche parole che sceglie con cura, efficaci e dirette.
“Irè, ma ti pensi che per me è stato facile? Io provo a spiegarti un mio desiderio, e tu te ne scappi, come se ti avessi chiesto, anzi, COSTRETTA a fare questa cosa immediatamente. Ma invece di parlare con le amiche tue, non potevi parlare cu mia? Pensi ca sugnu babbu, ca nun capisciu? Stavi cercando delle parole facili per spiegarmi delle cose da grande scienziata? Avanti, sentemu.”
Per l’appunto. Con poche, semplici frasi, ha esternato tutta la propria angoscia, le proprie incertezze.
Oltre a sentirsi inferiore dal punto di vista emotivo, ciò che la colpisce è il fatto che sia la stessa sensazione di Rocco, che involontariamente ha contribuito a creare proprio lei. Riesce solo a tentare di rassicurarlo almeno su questo punto: “Ma ti pare; non potrei sminuirti così neppure provandoci.”
Nel frattempo, si è seduta al tavolo del tinello; Rocco si china, in modo da guardarla dritto negli occhi: “E allora, che c’è? PARLA, Irè; se non lo dici a me, a chi lo devi dire, ah?”
 
Quello sguardo così rassicurante, familiare, privo di giudizio, inizia sempre più ad acquisire il potere di abbattere l’infinita schiera di barriere autoerette(si). Senza dire una parola, si rifugia nel suo abbraccio. Lui si alza, la fa alzare e la porta sul divano, facendola sedere sulle sue ginocchia.
Aspetta pazientemente che si senta pronta ad aprirsi. Il solo aver ricercato il contatto fisico in un frangente così delicato, è segno di un enorme progresso, considerando la natura ermetica di Irene.
Ha un groppo in gola che sta cercando di dominare, altrimenti non arriveranno in fondo al discorso.
“Gloria e Stefania mi hanno aiutata a sciogliere tutta una serie di dubbi… Personali, diciamo.”
Rocco si sforza di non replicare subito, ma assume un’espressione perplessa: non ci saranno per caso degli ‘impedimenti fisici’ di cui non è a conoscenza? Per questo è così restia ad aprirsi?
“Magari più tardi te ne parlerò; ma per prima cosa, mi hanno incoraggiata ad essere assolutamente onesta con te riguardo ai miei timori e alle mie aspettative sulla nostra dinamica di coppia.”
È troppo circospetta; non può essere un buon segno. “Certo, dimmi.”
“Ho realizzato di essermi bloccata, prima, perché… Uff, per me non è facile dirti queste cose. Non voglio darti l’impressione sbagliata, di quella che pensa male di te; non è così, solo che…”
“Irè” la interrompe Rocco, con fermezza e dolcezza al tempo stesso; le prende il viso tra le mani con delicatezza, con le nocche della mano destra le fa una carezza e, appena si accorge di aver ottenuto l’effetto sperato, cioè di sciogliere la sua tensione, prosegue: “Primo: solo uno sciocco, o unu ca nun ti canusci, potrebbe pensare di farti dire qualcosa che non pensi;” essendosi guadagnato la prima risata dolceamara della serata, procede col secondo punto: “e poi, stiamo qua apposta pi raggiunari insieme. Se parti pensando ca ti giudico, non andiamo proprio da nessuna parte. U capisti?” conclude, atteggiandosi con un cipiglio severo di circostanza, mitigato da un occhiolino.
“Va bene… Allora, so perfettamente che ora sei un uomo evoluto e tutto quanto, ma vorrei sapere quali sono le tue intenzioni riguardo al mio lavoro.” spara tutto d’un fiato, onde evitare di autocensurarsi, perdendo così l’intero scopo del loro confronto.
A Rocco scappa da ridere. “Irè, tu sei andata in panico totale per un’intera giornata perché hai pensato che ti volevo rinchiudere in casa e buttare la chiave?”
Vedendola rabbuiarsi, fa rapidamente marcia indietro: “Scusa, c’hai ragione; continua.”
“Rocco, non si tratta di sfiducia nei tuoi confronti, ma una mera questione pratica: tua zia lavorerà ancora per qualche anno, e comunque non mi sembrerebbe giusto affidarle l’incombenza di crescere nostro figlio; tua madre vive in Sicilia, e la mia non c’è più; piuttosto che rivolgermi a Brigitta, rinuncerei a diventare madre... Gli asili a un certo punto chiudono, e noi lavoriamo tutti fino alle 19.”
“Ma scusa, Paola non c’ha sia la mamma che la suocera? Non possono prendersi un picciriddo in più?” Irene lo fulmina per la seconda volta in un minuto. “Ho capito, ho capito, non è divertente.”
“Lo vedi che non sai fornirmi una soluzione attuabile? Dovrei smettere di lavorare, almeno finché non comincerà la scuola elementare e sarà più autonomo. In Sicilia, le madri vi portano con sé nei campi; ma sai benissimo che non chiederei MAI favoritismi in tal senso al dottor Conti.
Senza contare il fatto che, se ti fosse sfuggito, siamo nel 1963, non nel 2063: hai idea di cosa pensano, di quelle madri che non lavorano perché strettamente necessario per arrivare a fine mese, bensì perché ne sentono il desiderio? Di quelle non ricche, specifichiamo. Mi correggo: ne hai un’idea fin troppo chiara, dato che fino a tre anni fa, era l’unica che contemplassi.”
“E da quando in qua t’interessa di quello che pensano gli altri? Sentemu.”
 
Ha ragione, ovviamente; si tratta meramente di un’ulteriore argomentazione a supporto della sua personale lista dei contro. Benché Rocco sia perfettamente a conoscenza del fatto che lei covi un animo da casalinga più inesistente che nascosto, le risulta comunque più complicato del previsto ammettere chiaramente il proprio profondo senso d’inadeguatezza dinanzi al figlio e nipote di una dinastia di donne siciliane specializzate nel partorire e crescere frotte di bambini; soprattutto perché non si tratta di uno stereotipo, visto che ha davanti ai propri occhi gli ineccepibili risultati di tutto ciò.
E se lei fosse in grado solamente di allevare figli destinati a diventare ancor più ingestibile di lei?
O peggio, di trasmettere loro tutto il ‘corredo dei blocchi relazionali’ al completo; perché non è possibile che siano tutti il risultato della perdita della madre e dell’educazione rigida ricevuta.
Per quanto cerchi di tacitarla, soprattutto perché la ripugna profondamente ed è in contraddizione con tutto ciò che ha sempre sostenuto, ogni tanto fa ancora capolino quella vocina: ‘Rocco si renderà conto che, rispetto alla perfetta donnina di casa che avrebbe trovato al paese, tu non ne vali la pena.'
È tutto ciò che il padre ha saputo ripeterle negli ultimi 15 anni: che in casa è perfettamente inutile, ma anche che è una delusione praticamente in qualsiasi ambito; perché non dovrebbe essere vero?
In fondo, non è che le persone sgomitino per convincerla del contrario, salvo rare eccezioni.
 
Come se le stesse leggendo nel pensiero, resosi conto del momento critico, Rocco decide di esporsi a propria volta, raccontando di aver parlato a lungo con Armando, di aver sollevato l’argomento anche con Marcello, nelle settimane precedenti, trovando immediata empatia per ovvie ragioni…
Giungendo alla conclusione che non valga MAI la pena di frenarsi, solo perché si ha paura di tentare: da che ne ha memoria, ha sempre voluto avere bambini, non per una questione di costrutto sociale, ma perché si sente portato per averci a che fare, gli danno gioia; il resto, come in tutto, verrà da sé.
 
A quel punto, Irene realizza che Gloria ha sempre avuto ragione fin dall’inizio, nel farle capire di aver perso di vista il punto focale della questione: non è sola, con queste perplessità, in questa lotta contro ideali, convinzioni, convenzioni e, soprattutto, sé stessa. Non è sola ora, e non lo sarà mai.
Suo padre, e in parte il padre di Stefania, non si sono trovati in difficoltà semplicemente perché uomini, nonché uomini di un’altra epoca, ma perché SOLI, privati della loro metà migliore.
Perché di una cosa era certa: se mai avesse involontariamente sottoposto i propri figli al dramma della perdita, com’era capitato a lei, sarebbero rimasti col migliore tra i due.
 
“Va bene, tanto non dobbiamo decidere per forza tutto adesso, no? Direi che questa parte è chiarita.”
Rocco rimane spiazzato. “Certo… Allora che dici, continuiamo dopo? Oppure un’altra volta?”
“Dopo, promesso.” asserisce Irene, appoggiando la propria fronte su quella di lui.
“Però, lo vuoi capire che mi devi dire le cose? Che non ti leggo nel pensiero? Mmh?”
“Lo so… Solo che avevo bisogno di fare un po’ di chiarezza dentro me stessa, in primis; te l’ho detto. Finché eravamo amici, era tutto più semplice *5; ora che siamo una coppia a tutti gli effetti, sento il peso delle aspettative… Ma è una cosa mia, non c’entri niente tu, o almeno non volontariamente…”
“Ricevuto, generale.” Le strappa sempre un sorriso, con quel nomignolo. “Tranquilla. E lo capisco. A me pure ha fatto bene parlare con Armando; anche perché ero decisamente spiazzato…”
Notando che sul viso di Irene sta tornando un’espressione colpevole, taglia corto: “Ci abitueremo… Non dobbiamo risolvere tutto ora, per forza. Allora, tregua?”
“Assolutamente sì.” conferma, rincuorata.
“Finalmente!” esclama lui, staccandosi e alzandosi dal divano. “Senti, ma… Io c’ho fame.”
“Che novità!”
“Spiritosa… è ora di cena; che vogliamo fare?”
“In effetti, ho un certo languorino anche io… Proprio una voglia precisa di…”
“Pizza.” Telepatia e complicità a dismisura, soprattutto per le cose che contano.
“Esatto… Pizza. Però, non ho proprio voglia di uscire…”
Rocco sgrana gli occhi, con fare melodrammatico: “Mamma mia, mi devo preoccupare?”
Smorfia, linguaccia. “Spiritoso.”
“Vabbè, facciamo così: la vado a prendere io, e la porto qua. Tu apparecchi?”
“Mi sembra perfetto.”
“Margherita per te?”
“Va benissimo. A dopo.”
Prende portafoglio, chiavi, giacca; si volta verso Irene prima di uscire: “Ti amo.”
Lei sorride, ammicca: “Lo so.”
Lui sbuffa, incredulo: “Preferivo ‘grazie’. Almeno significa che non mi dai per scontato.”
Lei ridacchia. “Che scemo che sei. Ti amo anch’io.”
 
-
 
Terminata la cena e il secondo round del confessionale, Irene fa ritorno al proprio appartamento.
Fa girare la chiave nella toppa, fermandosi sulla soglia, in attesa di suoni rivelatori, o meglio traditori.
Non tarda a sopraggiungere l'inconfondibile risata di Stefania.
Irene scuote la testa; PARREBBE che non stia avvenendo nulla di sconveniente.
 
Con delicatezza, bussa alla porta della stanza sua e di Stefania, per capire se abbia o meno il via libera.
Sente Marco schiarirsi la voce e, probabilmente, mettersi seduto -quelle molle non vogliono saperne di smettere di cigolare- , mentre Stefania, non senza un certo imbarazzo, conferma: “Entra pure.”
A quel punto, Irene spalanca la porta senza troppe cerimonie; constata con enorme piacere e sollievo che non darà motivo a quei piccioncini così discreti di sentirsi in imbarazzo con lei per gli anni a venire; sorride a Marco, saluta entrambi...
 
Dopodiché, notando che quel bravo giovane non accenna a muoversi, avverte la necessità di essere più esplicita: “Perdonami, futuro cognato... Lungi da me volermi comportare da maleducata, ma ho avuto una giornata infinita, e domani sarà anche peggio, per cui... Avrei bisogno di riposare.”
Scattando immediatamente sull'attenti e maledicendosi per non averci pensato autonomamente, Marco si congeda da Stefania con un bacio sulla guancia -rispetta la reticenza di lei dinanzi alle effusioni in pubblico, anche se consiste in persone di famiglia- e saluta Irene con un sorriso, un: ‘Buonanotte’ e una carezza sulla spalla mentre le passa di fianco per uscire.
 
Stefania lo accompagna, gli dà un bacio più ‘sentito’ sull'uscio dell'ingresso e gli augura la buonanotte; quel preciso momento inizia a pesarle particolarmente, ma oramai manca poco alla fine dello strazio dei saluti serali.
 
Uno degli effetti collaterali più evidenti e inevitabili del frequentare per lungo tempo Irene Cipriani consiste indubbiamente nel diventare (se già non lo si è) molto diretti.
Perciò, con totale schiettezza e senza troppi giri di parole, appena fa capolino sulla soglia della stanza, Stefania asserisce: “Veramente, credevo mi avessi chiesto il permesso di entrare per prendere qualcosa che ti serviva...”
Senza scomporsi di un millimetro, mentre spalma la crema idratante sul suo viso in cerchi concentrici, Irene per tutta risposta replica: “Stefania mia, ti pare che debba chiederVI il permesso di entrare brevemente in camera mia?”
Essendo fidanzata con Rocco, ormai è diventata un po’ poetessa pure lei.
 
-
 
Note:
 
*1  Si tratta di riflessioni che derivano da splendide chiacchierate con @ilariaseditz / Ila Sco
 
*2 Nome suggerito dalla mia socia Francesca, che mi dava un'idea di stabilità e solidità 
 
*3 Si tratta di un’illuminazione della destinataria stessa della fanfiction, @irocco.canon / IRoccopersempre
 
*4  Citazione dalla geniale fanfiction prodotto della mente creativa di @vsproductionedit
 
*5  Mi sono ispirata alla seconda stagione di ‘Un medico in famiglia’, in cui Lele e Alice si confrontano in merito al fatto che, smettendo di essere cognati e amici e diventando marito e moglie, rischiano di perdere quel confronto schietto e senza filtri che ha sempre contraddistinto il loro rapporto; quindi, si ripromettono di rivolgersi sempre ai cognati, qualora i coniugi dovessero farli arrabbiare (una metafora per sottolineare che, in un modo o nell’altro, non dovranno mai smettere di comunicare).
   
 
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