Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti
Segui la storia  |       
Autore: coldcatepf98    16/11/2022    1 recensioni
Dopo che Historia decide di rivelare la sua vera identità, Erwin, indagando sulla faccenda, teme delle ritorsioni dal corpo di gendarmeria. Chiede quindi appoggio al comandante Pyxis, ma questo, non potendosi basare su fatti certi, concede al corpo di ricerca uno dei suoi soldati-spia che ha tenuto per sé gelosamente fino a quel momento: Siri, anche detta "il geco".
L'aiuto di Siri sarà fin da subito fondamentale per il corpo di ricerca, già provato dalle perdite dell'ultima spedizione, che avrà bisogno di un aiuto per affrontare il nuovo nemico: gli esseri umani.
Tuttavia Siri è una mercenaria, e non viene vista bene dagli altri soldati del corpo di ricerca, soprattutto dal capitano Levi che si mostra subito diffidente verso la ragazza sfacciata. Presto, però, si renderà conto che Siri non è quella che sembra.
Genere: Avventura, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Hanji Zoe, Levi Ackerman, Nuovo personaggio
Note: What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Spoiler!
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Capitolo 29 – Preludio al caos

 
La nazione natale di Onyankopon era tra le più a sud tra quelle conquistate dall’impero Marleyano, oltre che una di quelle aveva sempre cercato di contrastare l’egemonia del conquistatore, fallendo miseramente. Vedere la sua nazione, una volta così fiera, costretta ad obbedire e cedere al conquistatore forze militari e risorse, che fino a poco tempo prima rendevano la nazione stessa così florida, di certo rendeva Dakarai a dir poco insofferente. Ma ormai ci era abituato a fare buon viso e cattivo gioco, un po’ perché voleva garantire una vita serena ai suoi tre figli, un po’ perché era anche stanco della guerra e di tutte le cose orribili che essa comportava.
Fame, ferite, infezioni, morte.
I suoi ricordi adolescenziali erano costellati da quelle orribili immagini e per anni non aveva desiderato altro che tutto finisse, che quella nazione così avida di conquista finisse una volta per tutte di tendere la sua mano su un territorio che aveva sempre chiamato “la mia terra” e li lasciasse semplicemente in pace. Invece furono semplicemente annientati, Dakarai era stato fortunato a poter dire di essere ancora vivo anni dopo la fine della guerra, a leggere il giornale del lunedì che annunciava solenne in prima pagina “Vicini alla conquista: Medio-Oriente in ginocchio”. Deglutì a fatica mentre stringeva il giornale tra le dita: doveva trattenersi, era seduto in un bar in centro città nel giorno feriale per eccellenza e, a parte la sua gente, c’erano anche tanti poliziotti Marleyani nelle vicinanze. Oltre a chissà quante spie disseminate ovunque. Non voleva di certo farsi arrestare per sospetto ammutinamento al governo centrale, dopotutto, seppur non rivestisse una posizione di spicco, ne occupava comunque una negli uffici centrali del governo: smistava pratiche, controllava assegni, ma il suo compito più importante era sicuramente quello di archiviare documenti sui rapporti internazionali, non solo della Nazione del Sud (come avevano carinamente rinominato il suo stato dopo l’annessione) ma anche, da qualche anno, quelli di Marley.
Chiunque governasse quella nazione guerrafondaia non era affatto stupido, Dakarai l’aveva intuito da tempo. La figura misteriosa a capo di tutto era capace di dare ordini di morte e distruzione e, quando aveva finito, anche di distruggere l’identità nazionale degli sfortunati sconfitti, eccezion fatta per le sue qualità, e dio solo sapeva quanto fosse bravo a mantenere quelle che lui o lei riteneva “buone abitudini”. Che cosa prenderà adesso dal Medio-Oriente? La risposta era semplice e non tardò a darsela, perché l’aveva vissuta in prima persona anni orsono: la sua dignità e la sua ricchezza, per lasciarne una landa desolata popolata da sfollati poveri e malati.
Incredibile quanto la misteriosa malattia che stava distruggendo i raccolti occupasse un inserto striminzito rispetto a quello dedicato alla guerra.
Lasciò cadere incurante il giornale sul tavolino e pescò dalla tasca dei pantaloni delle monete per pagare il suo caffè e la brioche, si alzò con movimenti precisi dalla sedia per non disturbare le persone attorno a lui e si guardò attorno per cercare il contatto visivo con un cameriere. Finalmente, dopo aver alzato un paio di volte il braccio senza risultato, una cameriera biondina e un po’ in difficoltà gli si avvicinò, facendosi spazio tra i numerosi clienti frettolosi di fare colazione e andar via.
- Mi scusi, gentile cliente. – Dakarai la guardò dall’alto in basso notando fosse solo una ragazzina, doveva avere a malapena diciassette anni, forse poco più, per cui addolcì la sua espressione per farle capire che non si era infastidito e capiva si trattasse solo di una giornata indaffarata. La ragazza aveva persino gli ordini appuntati sulle mani, quasi le faceva tenerezza.
- Non si preoccupi. I lunedì mattina, eh?
La cameriera alzò brevemente lo sguardo sui suoi grandi occhi scuri, poi li riabbassò imbarazzata e portò una ciocca bionda dietro l’orecchio: - Già… Lavoro qui da ormai qualche mese, eppure ancora non mi ci sono abituata. Desidera altro? Magari d’asporto?
Dakarai le porse il denaro con una buona mancia e prese tra indice e pollice la visiera del suo cappello: - No, la ringrazio. Non si disperi, andrà meglio. Buona giornata.
Lei gli sorrise mentre lo guardava allontanarsi e salire sul tram in partenza.
Seduto da pochi minuti alla scrivania, incolonnata assieme alle altre esattamente uguali alla sua nel grande ufficio in cui lavorava, si prospettava una noiosa quanto ordinaria giornata, l’unica “anomalia” sembrava essere il leggero ritardo del nuovo assunto, Bernard, che si occupava di smistare i plichi di documenti giornalieri.
Come non detto.
Il ragazzo alto e bruno entrò trafelato dalla porta principale, salutando tutti con foga. La segretaria all’entrata lo guardò da sopra i suoi occhiali a mezzaluna e scosse la testa affettuosa: - Buongiorno Bernard. Anche oggi hai perso il tram?
L’uomo, dall’altra parte della stanza, sentì il ragazzo farfugliare qualche scusa col fiatone che lo interrompeva e non riuscì a trattenere un sorrisetto divertito nel vederlo così impacciato.
- Va bene, basta, o ti verrà un infarto. – lo interruppe la segretaria tra le risate – I plichi non sono ancora arrivati, sei fortunato. Hai il tempo di toglierti almeno il cappotto.
- S-sì. Vado.
Lo vide arrivare a grandi passi nella sua direzione, togliersi il cappotto e la sciarpa e poggiarli sulla scrivania accanto alla sua. Quando lo sentì sospirare esausto non poté trattenersi, sarebbe stato uno spreco non approfittarsene: - Alla buonora Bernard.
Lo sguardo allucinato con cui l’altro gli rispose bastò per far scoppiare Dakarai in una risata divertita. Non era nemmeno in grande ritardo, neanche lontanamente nei guai, ma si divertiva da pazzi a fargli pensare il contrario: il nuovo arrivato era molto impacciato e a volte fin troppo servile, ma era preciso e ordinato, oltre che abbastanza intelligente, qualità essenziali per ricoprire quel ruolo e che gli avevano permesso di non sbagliare mai una consegna e farlo così entrare nelle grazie di tutti i colleghi, che lo avevano ormai ben accettato.
Mezz’ora dopo, Bernard aveva consegnato a tutti il lavoro da fare per la giornata e ognuno aveva preso a lavorare di buona lena, quando a Dakarai capitò sottomano un documento da smistare molto interessante: riguardava la costruzione di nuovi edifici da parte di Marley in vari settori della Nazione del Sud che erano stati bombardati e distrutti durante la guerra, gli era rimasto parecchio impresso il caso perché era il principale motivo che aveva garantito ai conquistatori di garantirsi il benestare (barcollante) dell’opinione pubblica. Il documento, che, per certo, non doveva essere nel suo plico, diceva nero su bianco che il governo Marleyano voleva reindirizzare almeno più della metà dei fondi per il progetto ad altre cause, sfogliò velocemente i fogli fino ad arrivare alla tabella di bilancio le cui causali erano state secretate con codici alfanumerici.
Dakarai si guardò attorno sospettoso da una parte e dell’altra, assicuratosi che i colleghi al suo fianco fossero immersi nel loro lavoro, si curvò ancora di più sui fogli per nasconderli ad occhi indiscreti. Riprese ad osservare più attentamente la tabella di bilancio, quei codici gli dicevano qualcosa, ma vedeva continuamente cifre e tabelle del genere, quindi poteva essere solo che stesse cercando di riportare alla mente documenti visti il giorno prima che non avevano nulla a che fare con quelli che aveva sottomano.
Ma come ci è finito nel mio plico?
Dakarai si voltò a guardare Bernard seduto alla sua scrivania, intento a scrivere chissà che rapporto. Per un attimo lo attraversò il pensiero che fosse stato lui a farglielo recapitare, era l’unico a parte lui ad avere accesso ai plichi, ma scacciò questa ipotesi all’istante per due ragioni: la prima è che il ragazzo distribuiva i plichi sigillati, ricevuti direttamente dal governo centrale, impossibili da richiudere se aperti; la seconda è che era praticamente impossibile che Bernard fosse venuto in possesso, anche solo per caso, di un documento così importante e compromettente. E poi, che motivo avrebbe avuto per farlo, lui era Marleyano e l’eventuale diffusione di una notizia del genere avrebbe avuto delle conseguenze estremamente dannose per la sua nazione natale. Senza contare che la vecchia famiglia reale, al comando prima che fossero deposti di forza dal governo Marleyano, non aspettava altro che qualcosa del genere per scatenare disordini e cercare di riappropriarsi del suo popolo. Era già da qualche mese che si era diffusa tra le nazioni annesse una penuria di cibo per una misteriosa malattia del raccolto e i vecchi monarchi non si erano certo fatti scappare l’occasione per gettare carne sul fuoco.
- Dakarai.
L’uomo sussultò e coprì all’istante i fogli con altre carte che aveva sulla scrivania, alzò lo sguardo e incontrò quello distratto della segretaria che gli si stava avvicinando: - Scusami se ti disturbo, ma c’è una persona che ti sta cercando. Dice di lavorare per il… Argh, non mi ricordo, era un nome strano da testata giornalistica, credo sia locale. La mando via?
- Ehm… – abbassò per un attimo gli occhi sula scrivania, poi fece una smorfia condiscendente – Falla venire, me ne occupo io. Magari può essere solo un’intervista scolastica, in caso contrario me ne occupo io.
La segretaria non sembrava essersi insospettita, lui la osservò andare via, riprese i documenti secretati e, dopo aver lanciato una breve occhiata a Bernard che al suo fianco sbadigliava sonoramente mentre si passava una mano nei scompigliati capelli marroni, li mise in una cartelletta celeste deponendola poi davanti a se poco prima che una giovane donna dalla pelle scura come la sua non lo raggiungesse. Vedendo che superava di gran lunga l’età scolastica, sperò fosse perlomeno una studentessa universitaria, odiava dover cacciare i giornalisti che, pur non presentandosi all’ordine del giorno, pullulavano negli uffici del suo dipartimento anche troppo spesso, desiderosi di carpire informazioni interessanti dagli organi governativi.
Dakarai si alzò non appena la donna si fermò davanti alla sua scrivania, sorridendo cortese: - Buongiorno. – lo salutò lei cordiale – Mi chiamo Nasha Sanogo, sono una giornalista.
Si strinsero la mano: - Piacere, Dakarai Samparé. Prego si sieda.
La donna prese posto di fronte a lui: - Mi dispiace disturbarla signor Samparé, lavoro per un piccolo giornale locale, la Sentinella, e volevo porle qualche domanda se non le dispiace.
- Nessun problema, beh, dipende dalle domande, s’intende.
Lei scosse i palmi aperti davanti a lui, come a scusarsi: - Oh, non si preoccupi, non riguarda strettamente il suo lavoro, nulla che la metterebbe in difficoltà. Capisco le esigenze dei miei intervistati, infatti sono disposta a garantirle il pieno anonimato.
Dakarai tossì piano e guardò per un attimo la cartella sotto le sue mani. Si era quasi scordato fossero lì. Chissà cosa darebbe questa Nasha per dei documenti del genere…
- Va bene, signorina Sanogo. Ma questo forse dovrei deciderlo – sorrise serafico – dopo che lei mi ha illustrato su cosa verte la sua intervista.
La donna stava facendo il passo più lungo della gamba, aveva dato per scontato che lui avrebbe risposto alle sue domande, ne aveva incontrati di giornalisti in passato ed erano tutti dotati di una parlantina anche fin troppo abile. Purtroppo per lei, lui sapeva benissimo tener testa in questo tipo di conversazioni.
Nasha si risistemò sulla sedia, lisciandosi l’elegante blazer nero che indossava sopra la setosa camicia azzurra a girocollo: - Mi perdoni signor Samparé, era chiaramente mia intenzione parlarle della mia indagine.
Indagine? Dakarai s’irrigidì. La donna stava scrivendo un articolo inchiesta, non era qualcosa di innocuo come lamentele per l’aumento delle tasse o la riparazione delle strade della capitale.
Scosse la testa, già sul punto di cacciarla: - Non credevo lei stesse svolgendo un’… indagine. Non capisco come io possa aiutarla.
- Non s’indispettisca, la prego. Come le ho detto posso garantirle il pieno anonimato, inoltre, come le ho già detto, non è implicato direttamente nella faccenda. – fece un sonoro respiro, facendosi più dritta con le spalle – Come penso lei sappia, da qualche settimana è scomparso un ambasciatore della nostra vicina naz-… regione annessa, la piccola penisola mediterranea. 
Ci mise qualche secondo per fare mente locale: aveva letto la notizia sul giornale mattutino qualche giorno prima, glielo aveva gentilmente dato Bernard dopo che questo era venuto a sapere da Dakarai che non era riuscito a leggerlo prima di andare a lavorare. Era un caso abbastanza strano, pur essendo una notizia parecchio importante, l’articolo non occupava che qualche riga e poi non c’erano stati più aggiornamenti nelle edizioni successive. Si era astratto a pensarci così tanto che non si era reso conto che la sua interlocutrice stava continuando a palargli.
- … per cui, sono stata incaricata di scrivere un articolo sulla sua sparizione. I miei… come dire… informatori, mi hanno indicato lei.
- Chi le ha suggerito di venire da me? – adesso la cosa iniziava a puzzare. Prima quei documenti, adesso questa giornalista, sembrava come se si stessero allineando dei pannelli invisibili di cui ignorava il quadro più grande che componevano. Una cosa era certa, Marley in tutto questo giocava un ruolo centrale, non sapeva ancora dire se a suo vantaggio o svantaggio.
- Come le ho detto, garantisco l’anonimato a chi lo richiede e beh…
- Sì, ho capito, – le rispose leggermente infastidito – il suo dannato informatore vuole rimanere anonimo. Mi sfugge ancora cosa lei possa volere da un funzionario come me.
Nasha prese coraggio e gli disse risoluta: - Vorrei mi mostrasse dei documenti dall’archivio. So perfettamente che lei è uno dei pochi ad averne accesso.
A lui sfuggì un sorriso divertito che cercò di contenere col dorso della mano: - Mi scusi ma, è davvero divertente quello che mi chiede. Come dovrebbe aiutarla a fare luce sulla sparizione di un ambasciatore scomparso?
- Come le ho già detto è un articolo inchiesta, non sono autorizzata, né obbligata, da lei o chicchessia, a rivelare i dettagli delle mie ricerche che, sfortunatamente per lei evidentemente, mi hanno portata qui.
Dakarai sospirò. Sicuramente doveva essere una brava giornalista, non lo metteva in dubbio, una parlantina niente male, coraggio da vendere, ma non poteva aiutarla. 
- Mi dispiace signorina Sanogo, ma mi vedo costretto a…
Lei lo interruppe prima che potesse continuare, era esperta a sviare situazioni come quella, di quelle in cui la gente era desolata ma doveva impedirle di ottenere quello che voleva: - Che io sappia, l’accesso al tipo di documenti che lei controlla e che vorrei chiedere di visionare dovrebbe essere libero e garantito per legge, per ogni cittadino che ne abbia bisogno, e si dà il caso che io ne abbisogni.
Adesso Dakarai stava iniziando a spazientirsi: - Questo è vero. O meglio, era vero quando ancora eravamo sotto monarchia costituzionale, che, dovrebbe ben sapere, è caduta ann-
- Sì, va bene, non sono qui per una lezione di storia. – l’uomo sgranò gli occhi per l’affronto, ma non riuscì a ribattere alla sua insolenza – Sarò franca con lei, signor Samparé. Io sono in cerca di risposte. – continuò lei sporgendosi verso di lui e abbassando la voce – Lei mi guarda e pensa che razza di pretese una giornalista di un giornale così piccolo come il mio pretende di avanzare, ma non si può ragionare con questa retorica pretenziosa, non quando gente, persino molto più importante di me o lei, sparisce senza che nessuno muova veramente un dito per cercarlo. Io credo che ci sia molto di più dietro questa storia, e, la prego, mi permetta di accertarmi se questo sia vero o meno. Non le chiedo altro, soltanto il suo aiuto per capire la verità a cui la mia professione è così tanto devota.
Nasha respirava profondamente e lo guardava inflessibile coi suoi occhi grossi e neri. Dakarai rimase senza parole e quando non riuscì a sostenere più quello sguardo così implacabile dovette abbassare il suo che finì, inevitabilmente, su quella cartelletta celeste che giaceva ancora lì davanti a sé: si sentiva colpevole, un’irrazionale paura che tutti lo stessero osservando lo aveva assalito, per questo scandagliò di nuovo l’ufficio, quest’ultimo totalmente ignaro di quello che stesse succedendo alla sua scrivania.
Fu in quel momento che se ne ricordò.
Quel giorno in cui aveva letto la notizia dell’ambasciatore sul giornale aveva archiviato un documento commerciale coi movimenti di denaro contrassegnati da codici alfanumerici, esattamente come quelli segnati nel documento incriminato di quella mattina, e li aveva ricollegati perché, che gli capitassero sottomano documenti del genere senza che le causali fossero indicate chiaramente era abbastanza raro, se non addirittura singolare. 
Scosse la testa. Poteva sbagliarsi. Eppure… Le coincidenze erano troppe fino ad allora, doveva assicurarsi di persona che, almeno quella, lo fosse per davvero.
Si decise a guardare la donna dopo averci pensato un po’ su; quindi, sospirò e si protese verso di lei per evitare di farsi sentire dai suoi colleghi: - Mi aspetti all’esterno dell’ufficio, senza farsi notare troppo. La porterò negli archivi, – la vide sorridere tronfia per cui si affrettò a continuare – ma avrà soltanto un’ora di tempo per trovare e leggere quello che cerca, il tempo che io trovi quello che sto cercando a mia volta. È fortunata perché oggi devo andarci anche io per delle pratiche che ho consegnato e che vorrei revisionare.
Nasha si alzò con una faccia soddisfatta tenendo sottomano il cappotto, tese l’altra verso Dakarai: - La ringrazio signor Samparé per la sua cordiale disponibilità. Mi scusi per il disturbo.
L’uomo le strinse la mano e aspettò che uscisse dal suo ufficio prima di aprire guardingo la cartelletta e trascrivere su un foglio di carta i codici della tabella. Ogni codice era fatto apposta per essere decifrato solo da persone come Dakarai che avevano la piena conoscenza della catalogazione degli archivi: ogni lettera e ogni numero, e ogni particolare sequenza di essi, corrispondevano a file e colonne precise degli infiniti scaffali, per chiunque sarebbe risultato davvero difficile orientarsi all’interno di quel labirinto. Ma, ovviamente, non per lui che aveva dalla sua parte la dimestichezza di anni e anni di lavoro.
Potrebbe non significare niente.
Pensò, mentre scendeva le scale in pietra che portavano agli archivi. I tacchi bassi di Nasha, che lo seguiva a pochi passi da lui, ad ogni scalino battevano scandendo il rumore con un eco prodotto dalle rampe.
Potrei semplicemente scoprire che in realtà i fondi sono stati suddivisi per trarne il profitto più funzionale dai progetti di ricostruzione e ristrutturazione post-bellica.
Quando finalmente arrivarono all’archivio, Dakarai infilo la chiave nella grossa porta in metallo e la girò per parecchie mandate prima di aprire con un suono cigolante ed entrare assieme alla giornalista nell’enorme stanzone ricolmo di documenti e scatoloni.
- Mi faccia vedere il codice dei documenti che cerca.
- Sì, subito. – la donna frugò all’interno della sua valigetta in cuoio e dopo aver trafficato un po’, gli porse un foglietto scritto a mano. Dakarai prese il foglio e lo lesse, poi la guardò di sottecchi: chiunque aveva concesso a quella donna delle coordinate così precise doveva sapere il fatto suo, per di più era ancora più incredibile pensare che lei fosse riuscita ad estorcerlo. Concedere un simile foglio poteva significare la reclusione di quei tempi.
Sospirò stancamente, riporgendole il foglietto: - Libreria GK, scaffale numero 3, colonna 4. Il nome preciso del documento dovrebbe essere indicato sulla costina del plico, o magari è uno scatolone, non si può sapere con certezza fino a quando non si trova quello che si cerca. Le mie informazioni comunque le dovrebbero bastare.
Nasha annuì compita e fece per allontanarsi guardandosi attorno per capire la disposizione delle librerie, quando l’uomo la fece fermare parlando ancora: - Signorina Sanogo. – la donna si voltò a guardarlo visto che lui aveva fatto una pausa proprio per attirare la sua attenzione – Tra un’ora deve tornare esattamente in questo punto, altrimenti non ci penserò due volte ad uscire senza di lei da qui dentro.
La giornalista annuì sorridendo: - Non si preoccupi. È un lasso di tempo più che ragionevole per me.
I due si divisero, Dakarai prese il corridoio centrale a grandi falcate si diresse alla libreria che stava cercando. Guardando il codice doveva essere intorno alla K… No, pensò, è intorno alla G
Continuò a decodificare nella mente la prima riga alfanumerica, e più trovava le coordinate che cercava più si sentiva mancare la terra sotto i piedi.
Non può essere.
Attraversò i corridoi laterali, sporgendosi ogni qualvolta a guardare e mentre superava ogni lettera appuntata con un cartellino ad ogni libreria in metallo, un rivolo di sudore gli colava dalla fronte, pur essendoci un freddo umido e poco accogliente in quei sotterranei. Quando arrivò alla libreria di suo interesse si fermò e incredulo abbassò di nuovo lo sguardo sul foglietto scritto velocemente che aveva tra le dita.
Non può essere.
Rimase in attesa finché non sentì il suono dei tacchi di Nasha arrivare nella sua direzione dal corridoio opposto al suo. Il passo di lei era sicuramente molto meno deciso, non era avvezza come lui ad orientarsi in quella stanza, ma quando finalmente arrivò alle lettere GK, ci si fermò davanti con gli occhi abbassati sul suo di foglietto, controllò in alto che fosse quella per poi incrociare lo sguardo perso di Dakarai di fronte a lei, dall’altra parte della libreria.
Avanzarono l’uno verso l’altra, fermandosi esattamente davanti allo stesso punto, colonna 4, scaffale numero 3. Le vecchie lampadine sfarfallarono per un momento sopra di loro e intesero che entrambi stavano cercando gli stessi identici documenti.
Per Dakarai fu lampante a quel punto che non poteva più trattarsi di una coincidenza, quei fondi nascondevano forse una verità ben più scomoda di una semplice suddivisione più funzionale, qualcosa in cui non ci si doveva implicare se non si voleva sparire esattamente come quell’ambasciatore. E, forse, Nasha poteva essere l’incontro più fortunato che aveva fatto quel giorno.
 
[Anno 854]
 
- Se ci pensi Levi, questa è la missione per la quale il corpo di ricerca è stato fondato sin dall’inizio.
Hange sembrava fondamentalmente molto ottimista riguardo la missione di esplorazione a Liberio, Levi un po’ meno, ma il buon umore del comandante era contagioso e lui si lasciava trasmettere molto bene quello stato d’animo, soprattutto quando sbarcare sarebbe significato rivedere Siri dopo parecchio tempo di assenza dal quartier generale.
Lei, Jean, Bernard e Yvonne erano arrivati a Liberio alcune settimane prima di loro per “predisporre il territorio”, a quelle parole nero su bianco Levi aveva commentato ad alta voce: «Un mucchio di stronzate», facendosi riprendere da Hange che sedeva di fronte a lui nel suo studio, dove l’aveva chiamato per comunicarglielo.
Se pure non aveva usato il modo più consono di esprimersi, di certo poteva dire senza alcun dubbio di aver ragione: appena sbarcati, il porto, come poi tutto il lungomare, era brulicante di gente di ogni età, i marciapiedi e le piazze ricolme di bancarelle e artisti di strada, confondersi sarebbe stato talmente facile, che forse solo gridare davanti a dei poliziotti “Noi siamo di Paradise” li avrebbe fatti scoprire. Quella di Siri era stata palesemente una scusa per tornare nel continente e completare chissà quale missione, Levi guardò Hange correre via dietro una macchina assieme a Connie e Sasha mentre pensava che proprio lei aveva sicuramente tutte le risposte che cercava, lei conosceva per certo tutta la verità che a lui, come a tutti gli altri, non era dato conoscere.
- Se non li fermate tenteranno di dare a quell’ammasso di ferraglia delle carote. – fece notare a Onyankopon che gli rispose allegro e solare come sempre. Lo guardò in tralice, studiandolo attentamente. Di certo quel viso così amichevole non gli diceva assolutamente nulla, ma nutriva continuamente il dubbio che anche lui sapesse qualcosa.
Chi può dirlo.
Una persona, in realtà, l’avrebbe capito con un solo sguardo, avrebbe decifrato Onyankopon e Hange come se nulla fosse, peccato quella persona fosse la stessa dalla quale voleva estorcere informazioni e, a meno di non resuscitare il vecchio zio Kenny, sarebbe stato come chiedere la luna.
Guardò l’uomo rincorrere poco dopo la comandante e sospirò contrariato: - Tsk.
- Capitano!
Levi si voltò: Jean, in perfetta giacca e cravatta, lo stava raggiungendo con un’andatura sicura, perfettamente a suo agio tra la folla. L’aveva visto quando la ferrovia era in costruzione poco tempo prima, eppure la sua altezza lo spiazzò lo stesso.
- Allora, – disse guardandosi attorno non appena Jean si fermò di fronte a lui – dov’è?
L’altro capì al volo a chi si riferisse: - Oh, ehm, non era ancora pronta, ci raggiunge tra poco. Se vuole può raggiungere Bernard nel frattempo.
- Preferisco rimanere qui.
- Va bene, a dopo capitano! Si diverta! – Jean gli fece un occhiolino mentre si allontanava, guadagnandosi un’espressione tra l’incredulo e il truce dal capitano. 
Si diverta”.
Camminò lungo il porticciolo e si fermò dove poteva tenere d’occhio i ragazzi, intenti a comprare del gelato. Stava osservando Jean prenderne uno e portarlo a Mikasa, quando qualcuno alle sue spalle gli si avvicinò. Convinto fosse Siri, rilassò le spalle contratte e aspettò che gli parlasse, curioso di capire cosa si fosse inventata per fare la sua entrata.
- Ehi bel bambino.
Levi sbiancò. La voce profonda e nasale di chiunque fosse colui alle sue spalle non era sicuramente, in alcun modo, quella di Siri. 
- Lo vuoi un lecca-lecca? Eh, bravo bambino? – sgranò gli occhi ancora più sbalordito e a disagio. Si voltò e guardò truce l’uomo vestito da pagliaccio che l’aveva approcciato e, proprio in quel momento, qualcuno fece scivolare un braccio sulla sua spalla, fino a circondarlo. La mano lunga e affusolata, coperta con dei candidi guanti femminili, si era fermata appena davanti al suo torace, ferma e rilassata.
- Bravo bambino?! Lui?! – lui alzò lo sguardo su Siri sorpreso – Anche se un po’ scostumato, è più bravo adesso che quando era ancora più basso di così. Io però sono una brava bambina, vero?
Lei allungò l’altra mano verso il clown, rimasto senza parole, sfilandogli via il dolce e avvicinandolo alle labbra. Vedendo che l’uomo era rimasto ancora lì impalato, Siri corrucciò le sopracciglia: - Se non vuoi che diventi cattiva, sparisci e lascialo in pace.
Mentre il Clown si allontanava chiedendo scusa, Levi si girò verso di lei, scostandosi.
- Sei… – gli si mozzò il respiro quando i suoi occhi la inquadrarono meglio.
Bellissima. Indossava un vestito da cocktail a maniche corte bianco con piccoli pois arancioni e collo a doppio petto arancio, continuava in basso con una gonna plissettata lunga poco oltre il ginocchio, mentre i capelli mossi erano sciolti, ad eccezione dei ciuffi laterali che aveva portato indietro con un piccolo codino.
- … Più alta? – provò ad indovinare Siri con un sorrisetto impertinente, allungò una gamba in avanti, mettendo in mostra gli stivaletti in cuoio col tacco che indossava – Con queste sono alta quanto Hange, anche un po’ di più forse. È un problema?
Levi, che la guardava ancora ammutolito, guardò le scarpe e, dopo aver metabolizzato la visione della donna, tornò in sé: - Perché dovrebbe esserlo. Stupida saltimbanco.
Non poteva essere un problema, non poteva esserci nulla di anche solo lontanamente problematico.
Quando si soffermò meglio a guardarle il viso, però, sussultò visibilmente.
- Che succede?
Levi alzò una mano ma la fermò a mezz’aria, riportandosela in tasca: - La…
- Oh, la cicatrice dici?
Levi annuì.
- Beh, è un tratto troppo riconoscibile. – disse toccandosi la guancia coi polpastrelli – L’ho nascosta con del trucco.
- Mh, giusto.
Che Levi avesse saputo o meno cosa Hange e Siri stessero tramando, non sarebbe cambiato molto, come capì in seguito. Per un anno intero aveva percepito la sensazione che lei gi stesse nascondendo qualcosa, il modo in cui lo evitava accuratamente ogni qualvolta terminasse una riunione con la comandante e la sua squadra era il segno inequivocabile che non poteva metterlo al corrente. La parte più irrazionale di lui ne era risentito, ma se quella distanza tra i due avesse potuto risolvere le disgrazie del loro popolo, allora avrebbe sopportato in silenzio, per quanto doloroso potesse essere.
Più tardi quel giorno Levi era alla finestra della dimora degli Azumabito, dopo aver scostato di poco la tenda per guardare Jean, Armin, Connie e Sasha allontanarsi per raggiungere Mikasa ed Eren che si erano allontanati poco prima.
- Mi chiedo perché mi ostini ad accettare i vostri inviti a giocare. – disse Onyankopon, poco distante, in palese difficoltà.
Dall’altra parte della stanza, gli altri, ad eccezione di Hange che si era rintanata nella sua stanza per leggere dei libri che Siri le aveva procurato, erano raccolti attorno ad un tavolo in legno coperto da un’elegante tovaglia in velluto rosso, su cui i quattro giocatori di poker avevano adagiato fishes e scoth. Sembravano tutti abbastanza allegri, nonostante qualcuno tra loro fosse già in palese vantaggio a giudicare dalle fishes dalla sua parte.
Siri, infatti, ghignò e si bagnò le labbra col suo bicchiere, lasciando praticamente quasi la stessa quantità di alcol che c’era all’inizio: - Non hai una strategia, è questo il problema.
- O forse è perché non sbirci le carte degli avversari. – rispose Yvonne di getto, piegando la testa mentre guardava con sfida la donna di fronte a lei, che, invece, non la degnò neanche di uno sguardo, tenendolo concentrato sulle carte tra le mani guantate.
- È capitato solo una volta ed è stato solo per sbaglio, se pensassi più al tuo gioco forse la vinceresti una mano una volta tanto.
- Se le premesse sono queste è matematicamente impossibile vincere.
Siri sbuffò, mentre Bernard rise sommessamente: - Abbiamo capito che ti piace molto, ma non mettere in mezzo la matematica per favore.
- Altrimenti qui rischiamo di portare alla luce antichi risentimenti accademici… – disse Bernard pungente.
- Taci tu e vedi di deciderti: punti o passi? – disse acida Siri, rivolgendogli poi lo sguardo tagliente.
- Argh, lucertolina, sai, io credo proprio tu questa volta non abbia proprio nulla, per cui… – lanciò delle fishes nel piattino. Siri rimase completamente impassibile, spostò semplicemente lo sguardo su Yvonne che sostenne lo sguardo con sfida.
- Rilancio.
Siri sibilò un: - Puttanate. – che fece esplodere Bernard in una sonora risata che riecheggiò nella stanza, mentre Onyankopon guardava i tre confuso, non sapendo bene cosa fare.
- Ehm… Argh, no, non mi fido! Voi volete solo farmi puntare di più!
- L’hai detto tu Onyankopon… – gli rispose Siri, passando l’indice sul bordo del bicchiere intarsiato – Allora? Rinunci quindi?
L’uomo guardò nervoso Bernard e poi Siri, che lo fissava con gli occhi che sembravano quelli di un serpente a sonagli: Yvonne aveva rilanciato probabilmente per trarre in inganno la sua superiore in comando, ma quest’ultima non era di certo il presidente degli incapaci.
Rilassò le spalle e gettò le carte coperte sul tavolo: - Rilancio.
Siri alzò un sopracciglio incredula: - Ma sapete un minimo giocare? Sul serio, è da quasi quattro anni che giochiamo e davvero non… Siete degli idioti, lasciatevelo dire. – concluse, gettando le fishes nel piattino al centro per vedere.
Bernard si passò le mani nei capelli, conscio di aver perso. Quando a turno scoprirono le carte si scoprì che Yvonne non aveva battuto Siri per un soffio, e questo scatenò tra i giocatori un battibecco animatissimo.
Quando Siri con un sorrisino soddisfatto raccolse tutte le carte e iniziò a mischiarle, si accorse di un movimento alle sue spalle, poi alzò distrattamente lo sguardo su Levi che stava avvicinando una sedia e sistemandosi tra Yvonne e Onyankopon.
- Che stai facendo? – chiese Siri, fin troppo impulsivamente. Bernard guardava velocemente prima l’uno e poi l’altro con estremo interesse.
- Mi unisco a voi, non si vede?
Siri roteò gli occhi nervosa: - Forse non dovr-
- Siri! Perché il capitano non dovrebbe poter giocare con noi?! – Bernard, capendo al volo l’origine del disagio di Siri, intravide gli effetti benefici che la situazione gli avrebbe portato, quindi aveva circondato le spalle della donna con un braccio, mentre le sorrideva maligno, continuò ironicamente – Credo sia molto bello avere anche Levi al tavolo, è sempre meglio scuotere le dinamiche del gioco di volta in volta, non trovi?
Levi guardò interdetto l’uomo, poi Siri che, a sguardo basso, stava mischiando le carte respirando pesantemente dalle narici dilatate, in evidente sforzo per trattenere una reazione.
- Se il fatto che giocherò con voi ti emoziona così tanto fa attenzione a non fartela sotto per la felicità.
Siri ghignò soddisfatta, diede quindi uno scossone alle spalle per far togliere il braccio a Bernard: - La signora Azumabito ci tiene molto alla tappezzeria, fa attenzione. – nonostante Levi avesse alleggerito di molto la sua tensione, non fu comunque necessario a rilassare la spia che ebbe serie difficoltà nel gioco e, come ben notarono i suoi colleghi, a malapena toccò il resto dello scotch che aveva nel bicchiere.
Ricevette una sonora sconfitta ad una mano, dopo la quale decise di abbandonare il tavolo, portando con sé la bottiglia, facendo stiracchiare soddisfatto Bernard.
- Oh, non fare così lucertolina, ogni tanto può capitare di prendere uno scivolone.
Siri mugugnò delle parolacce e si allontanò portando con sè la bottiglia, senza concedergli di vederla sconfortata, Levi la osservò prendere il corridoio e scomparire oltre il muro.
- Capitano, allora, – continuò il bruno imperterrito – te la senti di fare un’altra mano senza la tua compagna d’armi a coprirti le spalle?
- Forse dovremmo andare tutti a dormire. Domani dovremo assistere all’assemblea del consiglio per la protezione degli Eldiani.
- Siri non te l’ha ancora detto, vero?
Levi, che si era alzato dalla sedia, si bloccò e gli rivolse un’occhiata ambigua: - Che vuoi dire?
- Che non ci andiamo domani a quell’assemblea.
- Siri ha detto che è una perdita di tempo. – continuò Yvonne per il superiore, con un tono mellifluo.
- Hange ci andrà. Quindi noi ci andremo lo stesso. – decretò il loro interlocutore che augurò la buonanotte a tutti gli altri che si decisero ad andare a dormire. Abbassò l’intensità delle luci nello studio in cui erano per dirigersi nel salotto dove Siri si era rifugiata: aveva lasciato l’intera stanza al buio, con una mano teneva la bottiglia sul bracciolo della poltrona dove si era allungata, mentre con l’altra mano s’attorcigliava ciuffi di capelli con lo sguardo perso nel vuoto, pensando a chissà quali elucubrazioni mentali.
- Scusa. – esordì Levi mentre entrava, attirando su di sé l’attenzione della donna che spostò semplicemente gli occhi nella direzione del rumore dei suoi passi alle spalle, per niente sorpresa dalla sua piccola irruzione lì dentro.
- Per cosa, boss?
Si fermò dietro la spalliera della poltrona e vi poggiò una mano sopra: - Devo chiederti di farmi compagnia prima che vada a recuperare la mia squadra.
Lei strofinò la testa sulla spalliera e si limitò a pronunciare un: - Mh-mh – quasi faticosamente.
Levi si spostò di lato rispetto a lei e fece scendere una mano sul colletto arancione del suo vestito che strofinò tra pollice e indice, constatandone il tessuto morbido e pregiato.
- Ti piace? – chiese lei distrattamente – È seta.
Siri non stava bene. O meglio, probabilmente non era così grave, comunque il suo modo di essere parlava per lei quando erano insieme, e lui sapeva che qualcosa la tormentava, ma non avrebbe potuto chiederle a bruciapelo cosa non andasse, doveva cercare di tirarglielo fuori con le pinze. Sarebbe stato anche più facile del previsto: Siri glielo aveva detto anni prima, “se vuoi sapere qualcosa ti basta chiedere”, e da quella volta, a meno che non si trattasse di lavoro improrogabile, aveva sempre rispettato la sua promessa con onestà. Eppure, a volte, doveva trovare metodi alternativi per conoscere i pensieri che l’affliggevano.
- Seta dici?
- È un tessuto molto pregiato. È prodotto da un verme, lo sapevi? Un baco tecnicamente.
Levi le sfilò la bottiglia e bevve un sorso, si spostò poi nella poltrona accanto alla sua e le ripassò lo scotch.
- Non è roba tua, quindi. – alludendo alla sua passione per la botanica.
Siri spostò lo sguardo perso davanti a lei, deglutì e scosse la testa: - Già. Non è roba mia… – disse roca, rimase così per qualche secondo, intenta a pensare a qualcosa, quando poi fu finalmente pronta diede voce ai suoi pensieri e Levi pensò che, decisamente, non era stato poi così difficile, dopotutto.
- Sai cos’altro non è roba mia? – disse sconfortata – Tutto questo. Stare qui, svegliarmi la mattina e andare in giro come un… geco a raccogliere informazioni, mettere a tacere testimoni, picchiare, torturare, va bene non faccio più la maggior parte di queste cose, ma… sento come se le cose non fossero cambiate di molto da quella notte all’ospedale.
Levi la stava ascoltando attentamente, attendendo con ansia la conclusione di quel discorso che già ben immaginava. Lei quindi si voltò verso di lui e lo guardò estremamente seria: - Sono stanca Levi. non credo ci siano parole più giuste per descrivere come mi sento. Non mi piace spiare, non mi piace ricattare, non mi piace… uccidere. – tornò a guardare davanti a sé e tirò un sorso dalla bottiglia ormai semivuota – Sono stanca di tutto questo, lo sento nelle ossa e in ogni singolo muscolo. E sai, ormai queste cose fanno così tanto parte di me che le faccio, sento di doverle fare e non me ne lamento nemmeno più…
Levi piegò la testa di lato e disse ironico: - Alla faccia. – facendola voltare di nuovo nella sua direzione. Siri scosse la testa e sorrise in silenzio.
Lui, quindi, allungò la mano e prese la sua che penzolava oltre il bordo del bracciolo: - Non sei una che lascia le cose a metà. Per il resto hai dei compagni che ti guardano le spalle, se vorrai lasciare saremo tutti con te in questa decisione.
Aveva ragione. Siri non era una persona a cui piaceva lasciare le cose a metà, e ormai aveva innescato una sequenza di eventi inarrestabile che aveva bisogno di controllare costantemente, fino a quando non avrebbe dato i suoi frutti.
 
Nota dell’autrice: col prossimo capitolo ci sarà una comunicazione importante, non ho avuto tempo di correggere capitoli, spero di farlo nei giorni a venire.
Ora veniamo alla parte più “tecnica” riguardo questo capitolo:
 
Come avete potuto notare, la prima parte è ambientata nella nazione natale di Onyankopon a cui Isayama, purtroppo, non ha mai dato un nome. Ho cercato di inventarne uno che riprendesse le origini africane, ma, chiaramente, è stato molto difficile e, purtroppo, non avevo molto tempo per approfondire origini etimologiche delle parole, per cui mi sono lasciata guidare dalla fantasia e ho cercato in tutti i modi di non nominare città o lo stato stesso (dopotutto ho pensato che il tutto si riallaccia perfettamente al concetto che ho voluto portare di Marley che vuole cancellare l’identità nazionale delle sue nuove conquiste). Oltre alla difficoltà incontrata dalla scelta stessa dei nomi, comunque è difficile scegliere uno stato africano per rappresentare l’intero continente, è immenso e ricco di cultura e ogni stato può essere estremamente diverso l’uno dall’altro. È molto probabile Onyankopon sia cittadino del Ghana nella realtà (viste le origini del nome), tuttavia, non avendo le giuste conoscenze dalla mia parte, soprattutto la certezza che si trattasse effettivamente del Ghana, ho preferito lasciar perdere tutta questa questione.
  
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti / Vai alla pagina dell'autore: coldcatepf98