Film > Le 5 Leggende
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Autore: SABRINA96_    19/11/2022    0 recensioni
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“Non riesci ad affrontare le tue debolezze. I tuoi vuoti. Mancanze.
Li riempi con l’acqua delle inutilità.
Ora crei effimere vie d’uscita, l’unica cosa che puoi fare.
Ne creerai a migliaia. Tutte fallimentari. Tutte con la stessa fine.
Illuditi pure di risolvere i tuoi demoni in queste Fiabe.
Hai fame di loro. Te ne daremo sempre, sempre di più!
Ci servi così. E forse a te fanno comodo. Non è vero?”
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Pitch si svegliò ad ogni Inverno gelido, e ogni Inverno lo mise alla prova.
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Genere: Angst, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altri, Emily Jane Pitchiner, Jack Frost, Pitch
Note: Movieverse | Avvertimenti: Contenuti forti
Capitoli:
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Ciao a tutti.
Benvenuti in questi mia primissima Fanfiction. Si tratta di una storia che ho in cantiere da ben cinque anni, circa. Finalmente, eccola qui. Prima di iniziare, premetto che non sono una grande scrittrice, questo racconto è stato scritto durante il tempo libero e per divertimento. Quindi mi scuso anticipatamente per eventuali errori di battitura, punteggiatura, grammaticali, ecc. Comunque ho fatto del mio meglio per dare una buona forma a questa storia.
Tra le varie avvertenze vi dico che principalmente la Fanfiction è legata al film ma ha alcuni, seppur pochi, riferimenti ai libri di William Joyce.
In più, è importante che sappiate che la Fanfiction tratta di temi quali depressione, malattia mentale e tutto ciò che è legato a questa tematica. Per piacere, se siete sensibili a questi argomenti, non andate avanti con la lettura.
 
Questo è tutto!
 
Buona Lettura!

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Acerbi


 
 

I


 

O Fortuna


 


 
 
Pitch ne aveva abbastanza di quelle pareti soffocanti.
Ne aveva abbastanza di quel posto.
Ma non poteva che aspettare il fatidico giorno, da solo, seduto sul letto cigolante e a meditare a occhi chiusi.
Dopotutto non c’era niente che potesse fare nella tetra prigione ma il solo vagar nella mente gli era concessa.
Niente e nessuno possedeva il potere di privargli l’unico modo di evadere da lì.
 
Sospirò.
 
La sua quiete vacillava facilmente al ricordo dell’ultimo giudizio sputatogli addosso dai suoi accusatori, l’attimo che sancì la fine di ogni cosa.
 
Schiuse le palpebre e sospirò di nuovo.  
 
Era ovvio dopotutto. Non si costruì mai delle stupide aspettative da quando fu pugnalato alle spalle da chi lo aveva sempre servito. E poi sapeva bene che i suoi acerrimi nemici non gliel’avrebbero mai fatta passare liscia. Dopo tutte quelle battaglie sanguinarie, dopo tutte quelle morti.
 
Un dolore lancinante divampò nel suo petto.  
 
Al che la sua bocca, spesso stretta in una sottile linea scura, esibì di nuovo i denti aguzzi arricciando il proprio naso. Era quel solito ma inconscio tic nervoso sviluppato in quegli ultimi mesi passati nell’oscurità.
Non sapeva cosa volessero significare quei ghigni involontari sul suo viso appuntito.
Forse era il simbolo del desiderio di un’atroce vendetta riservata ai suoi rivali, ma più i giorni scorrevano così svogliati, più interpretò quelle curve alte come una sorta di autodifesa al solo ricordo della sua imminente disfatta.  
Era schifoso, per lui, come man mano marcì il bruciore della sua ira ma almeno l’alto monolite del suo saldo ego gli impedì di piangere su sé stesso e su tutte le sfortune. Odiava commiserarsi sebbene l’amara fine a cui andava incontro. Sebbene che, nel profondo, si sentisse tremendamente triste e solo.   
Il fantasma di un giovane ragazzo malizioso girava la sua arma in quella piaga ma ecco che il ricordo delle risa di una bambina aiutavano a placare l’anima funesta.
 
Qualcuno ad un tratto parlò al di là delle sbarre.
 
Il cambio della guardia era il suo unico modo di intuire che giorno e che ora fosse.
Quanto tempo fosse passato da quando fu recluso lì e il momento in cui giurò a sé stesso di non rivolgere la parola a chi si prendeva la libertà di diffamarlo.    
Era comunque interessante come i soldati lo trovassero terrificante, come quei due ufficiali che lo osservavano e commentavano disgustati la sua figura slanciata.
Beh, la sua immagine spaventosa lo era. Lo ritrovavano immobile ogni singolo dì, con le mani intrecciate sulle cosce, capo chino, iridi che brillavano nel buio, avvolto dalle tenebre fuse nelle sue nere vesti.
 
“La superiorità del silenzio disturba l’orgoglio dei nemici.” Si ripeteva il prigioniero ossessivamente quando il capitano dei soldati, amico fidato del Re, veniva a fargli visita.
 
Scendeva giù nelle prigioni solo per irritare la sua suscettibilità.
In fondo era quello che desiderava ogni singolo ed onorevole soldato, un loro sporco gioco sadico per trascorrere lunghi e noiosi secondi a sorvegliare il temibile detenuto.
“Allora! Cominciano a girare voci su di te.” Disse il superiore all’ennesima ispezione derisoria “Pitchiner è già morto. Ora esiste ‘L’Uomo degli Incubi’, ‘Il Re della Paura’; stiamo lì. Beh, direi banale. Però dovresti esserne felice, no? Sembrano titoli che ti trasformeranno in una leggenda del terrore.”
Pitch restò con la schiena retta, nel tediante silenzio, il mento fieramente alzato ma con i pugni ben serrati.
L’ufficiale notò il piccolo dettaglio e parve pensieroso. Socchiuse le palpebre, cercò di leggere le sue forme indefinite dalle ombre.
“Noioso. Davvero noioso. Sai, l’altro è diverso.”
Pitch lottò per non sussultare.
 “Non fa altro che infierire su noi ufficiali. Comunque lo trovo molto più soddisfacente di te, lui sì che sa come farmi divertire.” Rise compiaciuto “Ma è al quanto fastidioso. Ha rischiato ripetute volte di restarci secco sotto le mani dei miei uomini. Ma se lo merita, quel bastardo traditore. Però… però è davvero un peccato. Un ragazzo così bello. La sua pelle ora è del tutto macchiata da orrendi lividi. Ma, ehi! Alla tua piccola famigliola le spetta tutto questo. Anche la tua bambina!”
Il prigioniero balzò in piedi apparendo alla luce. Sbatté alle sbarre allungando attraverso loro un braccio sperando di afferrare l’ufficiale.
Un lamento mostruoso scivolò sulla lingua ma non ci volle molto per tramutarsi nel ghigno perfido.  
Il capitano indietreggiò come un coniglio e un brivido gli corse veloce lungo la schiena. Credette per un momento che, quell’essere terrificante, gli avesse mangiato la faccia, di esser morto nelle macabre note di quell’inquietante ringhio.
Accertatosi che il suo volto fosse ancora integro, il suo sguardo impaurito si posò sulla minacciosa forma rantolante nella penombra.
Lo trovò raccapricciante fino alla fine, così come son state le sue gesta.
 
“Bene! Bene!” rise tra i baffi “Ora so come divertirmi per davvero.”
 
Pitch se ne rese conto troppo tardi di cosa aveva fatto.
Si maledisse per il resto dei suoi giorni.
 
 

-


 
Il suono di una gabbia che si spalanca, segno della sua sorte che si compie.
 
Vigile. Doveva restare vigile. Non poteva mostrare a quella gente priva di buone maniere quanto il suo corpo fosse indebolito.
Un uomo armato piombò nel buio e gli afferrò i polsi ammanettandoli. Lo spintonarono via per trascinarlo fuori dalla sua cella.
Camminò lentamente, ascoltando l’anomala quiete dell’immenso carcere disturbata dalle voci del disprezzo. Percorse le interminabili gallerie, studiò l’ambiente, superò numerose celle prive di anima viva pur di mantenere il suo stoicismo regale.
Ma ad un tratto delle grida ribelli picchiarono l’aria e la dimora delle pene divenne più gelida.
“Muoviti! Cammina!” Urlò un soldato spazientito dietro alle pareti che Pitch avrebbe attraversato in quell’istante.
 
Fermò i suoi passi quando lo vide.
 
 
Il ragazzo si dimenava ferocemente tra le mani di due enormi uomini in divisa. Non poteva dar vinta a loro, forse non aveva nemmeno accettato la sconfitta.
Sapeva che non trovò mai scuse per non lottare per una giusta causa, lo conosceva molto bene, troppo testardo ma in quel momento era così inutile perseverare.
Lo si notava da un miglio quanto fosse fragile. Il suo corpo era pericolosamente magro mentre le sue ossa sembravano quasi bucargli la pelle da quanto parve sottile.
Pitch ipotizzò che un solo colpo lo avrebbe messo a tacere una volta per tutte, ottenendo così un essere inerme e molle, adatto per gettarlo nelle braccia della morte senza che lui se ne fosse nemmeno accorto. Ma quello non era l’obiettivo primo di quegli uomini. Giustiziò molte persone, ed era a conoscenza della bellezza dell’umiliazione del nemico.
 
Pitch stirò un angolo delle labbra.
 
Deglutì cercando di sciogliere il nodo alla gola e girare la chiave nella serratura della sua voce.
 
 
“Jack…”
 
Pitch parlò.
 
Spezzò il suo voto al silenzio lasciando sbigottiti gli uomini armati.
La luce fioca delle torce modellò il viso del giovane mentre i capelli castani e sporchi di polvere scoprirono gli occhi. Si accorse che le parole beffeggianti del capitano, in quel lontano giorno dietro le sbarre, corrisposero alla verità.
Il suo volto, un tempo col suo bel colorito roseo, era pallido, scavato alle guance e, come il suo corpo scheletrico, coperto da macchie paonazze e graffi probabilmente infetti. Jack mise a fuoco l’uomo che lo chiamò.
Non proferì alcuna parola.
Il suo sguardo s’indurì.
 
Pitch rabbrividì.
 
Non poteva dir niente.
Poteva solo starlo a guardare.
 
 

-


 
 

“Non è giusto. Non è per niente giusto!”


 
 
Venne così l’ora.
 
Jack fu congiunto a Pitch una volta scesi gli scalini della carrozza, fatta di solo legno marcio e privo di tettuccio.
Intanto tutt’intorno a loro vi era festa e si udivano canti tipici della sua terra, come quelli che profetizzavano l’arrivo di una nuova era sempreverde.
Tra i vocalizzi distingueva la diffamazione:  
“A morte! A morte Jack, ‘il Sognatore’!” Lo urlavano troppo forte da stordire i sensi di Jack.
Qualcuno se ne approfittò, lo spintonò dietro le spalle gettandolo a terra. Il dolore abbagliante lo costrinse a stare giù, per un attimo non percepì nemmeno un lato del suo corpo e né i suoni. Solo uno stridulo fischio disturbò le sue orecchie.
Aprì lentamente i suoi occhi, lanciando poi un’occhiata a Pitch che gli fece ombra nell’attesa di riaverlo a suo fianco.
Gli porse un gomito e Jack si aiutò a rialzarsi tra i gemiti.
Era così difficile camminare, le gambe logore non potevano tenerlo in piedi ancora per molto.
Era arduo, soprattutto, stare con le palpebre aperte dopo giorni e giorni di reclusione nell’ombrosa prigione. Nemmeno la luce del sole gli diede tregua nel suo ultimo giorno di vita.
 
“Non è affatto giusto …”
 
Avanzò a testa bassa ma tenne conto dei passi oscillanti eppure dignitosi di Pitch che procedeva al suo canto.
“Pitch. Pitch.”
 Non faceva altro che giudicare quel nome mentre la rabbia aguzzò il suo sguardo.
Quell’uomo non deturpò mai al pubblico il suo orgoglio, né la sua immagine. Non disse nemmeno una parola e né mise in discussione la situazione in cui si ritrovarono. Cosa fosse meglio fare per quell’uomo? Oh, beh, Jack lo conosceva abbastanza da saperlo. Canzonò descrivendolo:
“La cosa migliore da fare è stare con le spalle alte e tenere gli occhi aperti davanti ad un unico punto innanzi a sé. Proprio come se stessi andando a sederti sul proprio trono, anche se quello che ti aspetta è ben altro che un rassicurante podio su cui regnare. Non importa quanto bruceranno alla luce le iridi. Quello che è stato, è stato. Dimostra il tuo potere interpretando la recita dell’uomo maledetto, misterioso e silenzioso. L’importante e morire con dignità quando non c’è più niente da fare. La gente si ricorderà di te.”
Si chiese come potesse farlo. Andare più in là dell’euforico popolo senza alcun supplizio e né un grido di ribellione, ad essere così inscalfibile, senza mostrare le sue molteplici sfumature.
L’ha odiata molte volte quella faccia tesa, i muscoli rigidi che appuntivano maggiormente il mento e i già affilati zigomi. Tratteneva una fredda apatia nelle iridi nonostante il loro colore caldo. Non lo sopportava.  
 
“Hai mai pianto?” Una volta gli chiese con le lacrime agli occhi.  
Era notte e dietro alla porta rossa degli appartamenti privati, entrambi erano stesi sul letto di Pitch. Lui lo guardava con fare confuso.
 “Sei sempre stato così emotivo?”.
Al ché Jack scoppiò in una risata col pianto che inumidì la pelle.
“Mi stai facendo quasi paura.” Disse ironico Pitch lasciandosi scappare una lieve risata beffarda mentre, con uno slancio, si mise su un fianco. Poggiò il capo su una mano mentre l’altra cinse la vita del più giovane portandoselo gelosamente a sé.
 
“Porgi i miei saluti a North, Sandy e a Toothiana. E anche al mio caro vecchio amico Manny.” Improvvisamente sentì dire da Pitch con sarcasmo, risvegliandolo dal ricordo.
Si rivolse al capitano dei soldati che li attendeva ai gradini del patibolo. Il superiore, dal canto suo, sorrise deliziato mostrando i suoi incisivi sporgenti. Poi li lasciò passare senza dire una parola.
 
Fu allora che, con scorse fugaci, Jack si accorse di alcuni dettagli fondamentali intorno a lui.
Come l’assenza di quella che chiamava la sua famiglia. Forse non avrebbero avuto il coraggio di veder morire una macchia disonorevole della splendente dinastia. In fine, non era altro che un “traditore”.
Un’etichetta che si porterà per sempre nella propria fossa.
Questa fu la prova in più per capire che non lo conoscevano affatto. Nessuno di loro. Nemmeno l’uomo che gli stava affianco.
 
“Se solo mi avessero ascoltato, se solo non m’avessero zittito. Se solo avessero provato a capire, se solo non m’avessero mandato al patibolo…”
 
Poi vide il suo cappio alla forca e fu in quell’angosciante attimo che realizzò che giunse davvero la sua ora.
Affianco al suo, vi era quello pronto per Pitch.
Furono allineati ognuno al proprio posto.
La ruvida corda cinse i loro colli.
Il boia marciò spensierato dietro i loro corpi indeboliti e, quando l’ufficiale iniziò a urlare al popolo le loro accuse, Jack inorridì.
Abbassò il capo ormai sconfitto.
 
Era la fine.
 
“Tieni alto lo sguardo, Jack. Sii forte.” Disse Pitch.
Alcuna risposta e né una protesta da Jack lo raggiunse. Pitch era abituato ad accesi riscontri spesso contradittori alle sue opinioni. Affrontarsi fu sempre stata una dura prova per entrambi. Perciò, con risolutezza, girò il volto stanco verso Jack e contemplò il terrore che contorse orribilmente il suo viso.
Era una quantità di paura che non vide mai in tutta la sua vita, nemmeno in faccia ai suoi nemici al suo solo passaggio. Ciò gli riportò alla mente i suoi giorni in prigione chiedendosi per mesi come tutto questo sarebbe arrivato al termine.  
 
Fissò così Jack per un po’.
Rimuginò.
 
“Jack.”
Non reagì ma Pitch imparò che egli era sempre in ascolto anche se preferì ignorarlo. Il suo silenzio lo ferì, lo faceva sempre, ma proprio in quel momento doveva insistere.
“Jack, devo parlarti.”
Allora la bocca di Jack si dispiegò in una sorta di risatina nevrotica e disturbante. L’altro sussultò stranito.
“Proprio ora, Pitch? Sai, sei leggermente, ma giusto poco poco, in ritardo.”
“Mi odi?” Domandò Pitch con freddezza.
“Per piacere, Pitch, stai- “
Non dovresti trovarti qui.” Disse Pitch in un solo fiato, forzando uno sguardo distaccato.
Jack finalmente lo guardò confuso.
Restò in attesa in quel poco tempo che fu rimasto, cercò di comprendere quell’uomo nei suoi ultimi minuti, non che potesse cambiare qualcosa.  
“Mi dispiace.”
“No. Non è vero.” Disse Jack, affilato, pungente.
Lo sguardo critico e sgranato del giovane su di lui non accennò a cadere e Pitch tremò alle parole accusatorie che non accolsero le sue. Jack lo vide balbettare ma la sua lingua fu priva di forze per parlare e di cercare una scusa. Ma le scuse non sarebbero servite. Così, preso alla sprovvista, il mento dell’uomo scese ad appoggiarsi al petto, schiuse la bocca e ricercò aria per poter respirare. Ma a un tratto qualcosa illuminò la sua memoria, Jack lo intuì dal suo volto rallegrato. Il gelo in viso evaporò grazie ad un sorriso e ritornò a Jack “Sai cosa mi sta tornando alla mente? I tuoi maledetti libri di favole. O fiabe. Quello che erano.” Gli occhi di Jack rotearono ma continuò “Ti ricordi quanto mi facevano incazzare?” rise. “Tu e mia figlia così fissati a leggerle. Ah... chissà dov’è lei.” Si trattenne in un attimo di silenzio per non vacillare.
“Non sono mai riuscito a credere per davvero alla tua visione delle cose, Jack. Ho sempre mentito.” Lo guardò “Non sono così diverso dalla tua famiglia, in fondo. Le favole non fanno per noi, tutti quei lieti fine… Niente può farmele piacere. Nemmeno in un’altra vita sarà possibile.” Pensò alle sue parole mentre il suo sorriso precipitò in rughe turbate. “Jack. E se fosse davvero così? Vivrò per sempre solo nell’oscurità, perseguitato dalla crudeltà del mondo!”
 
La folla urlò pronta per l’esecuzione.
 
“T-tu…tu non sei-” Jack cercò di dire rotto dal pianto “-tu non sei mai… stato libero…”
 
L’ultima cosa che Pitch vide fu il volto di Jack e le ciglia nere bagnarsi nelle sue lacrime. Con la bocca perseguitata dai singhiozzi.  
 
La botola sotto i loro piedi nudi si spalancò.
 
E il raggelante schiocco di ossa rotte li giustiziò.
 
 
 
 
 
 

   
 
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