Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti
Segui la storia  |       
Autore: J Stark    20/11/2022    1 recensioni
Cosa succederebbe se inaspettatamente ti ritrovassi nel mondo dell'Attacco dei Giganti? Conoscendo la storia agiresti per cambiare gli eventi o lasceresti che facciano il loro corso? Assisteresti da spettatrice/spettatore alla morte dei tanti personaggi o cercheresti a tutti i costi di salvarli?
Ti invito a scoprirlo unendoti all'avventura di Carol, la protagonista di questa storia.
Genere: Avventura, Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Erwin Smith, Hanji Zoe, Levi Ackerman, Nuovo personaggio
Note: What if? | Avvertimenti: Spoiler!, Tematiche delicate
Capitoli:
 <<  
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Aprile 830


Xaver si sveglia all'improvviso, frastornato come se qualcuno gli avesse brutalmente strattonato le lenzuola facendolo cadere dal letto.

I suoi sensi sono ovattati ma capisce di non trovarsi nella piccola e umida stanza che occupa nella divisione scientifica del distretto di internamento. Allo stesso modo, pur essendo senza occhiali, sa che quella massa sfocata che svetta sopra di lui non è il soffitto di pietra segnato da crepe che conosce ormai a memoria.

La schiena poggia su una strana superficie che affonda e cede nell’accogliere il peso del suo corpo.
Ruota sul fianco per mettersi carponi, scoprendo sotto le proprie mani quella che a tutti gli effetti sembra sabbia che gli sfugge veloce dalle dita. Tasta a tentoni lo spazio intorno a sé in cerca degli occhiali, li trova e se li infila.

Finalmente tutto acquista nitidezza e Xaver può contemplare con assoluta meraviglia quel luogo magico di cui ha solo udito leggende.

Un immenso cielo, dove vivide sfumature di blu e violetto si fondono come pennellate, sovrasta una distesa di sabbia che si perde in un orizzonte infinito.
Sul fondale variopinto fluttuano in scie luminose moltissime strade di stelle.


I Sentieri.

D'un tratto avverte una presenza alle proprie spalle e capisce di non essere da solo in quel luogo.
 
Quando si volta vede una bambina esile vestita di abiti servili e logori. Le spalle incurvate e tutta la sua persona comunicano una profonda tristezza.
Xaver sente una strana inquietudine scorrergli nel corpo, qualcosa in quella creatura lo agita.
Deve avere appena dieci anni eppure in quello sguardo che non c'è, perché oscurato da una cupa ombra, si legge il peso di una vita estremamente lunga e sofferta.

Anche se Xaver non ha mai visto quella bambina sulle sue labbra un nome prende forma spontaneamente.

«Ymir»

Lei continua a fissarlo impassibile, poi gli volta le spalle incamminandosi sotto la scia di una delle tante vie tracciate nella splendida volta celeste.

Qualcosa gli suggerisce di seguirla e lui obbedisce.

Ymir si arresta dove il sentiero sembra perdersi in un portale talmente luminoso da non permettere a Xaver di scorgere cosa si trovi al di là di esso.
Osserva la sua piccola guida confuso sul da farsi. Lei non dice nulla ma con un cenno del braccio gli fa segno di inoltrarsi in quella luce abbagliante.
Titubante l’uomo getta un’ultima occhiata perplessa in direzione di Ymir ma il suo sguardo cieco è imperscrutabile.
Si avvicina al varco, la cui consistenza vaporosa lo attrae quanto una calamita. Allunga la mano per toccarla, è come attraversare dell'aria densa e fredda.

Prende un respiro e chiudendo gli occhi si inoltra nella nebbia fitta.

In una frazione di secondo si ritrova in un altro luogo che gli è estraneo.

Si tratta di una modesta stanza le cui pareti dall'intonaco rovinato ed i mobili consunti suggeriscono abbia visto tempi migliori. Dall'unica finestra filtra una vivace luce e si intravede un cielo azzurro senza nemmeno una nuvola. Apre un vecchio armadio e vi trova appese alle grucce delle divise che parrebbero appartenere ad un corpo militare. Accarezza lo stemma a due ali incrociate inciso su una giacca di pelle chiedendosi se abbia definitivamente perso il senno.

Un particolare attira la sua attenzione, sul dorso della mano sinistra nota una cicatrice frastagliata che non ricorda di essersi mai procurato.

A dire il vero, guardando meglio, quella mano è più grande del solito e le vene troppo in rilievo.
 

Qualcosa decisamente non quadra, ha la sensazione di essere in un corpo che non è il suo.

Spaventato si dirige verso lo specchio rettangolare agganciato alla parete e ciò che vi scorge non è affatto il riflesso dello Xaver che conosce. Quello che si sta specchiando è un uomo sulla trentina, biondo, piuttosto alto e prestante. La mascella squadrata ed il naso importante creano un viso particolare ma nell'insieme attraente. In quella cornice estranea nota qualcosa di familiare ed inconfondibile. Due occhi blu con pagliuzze grigie, i suoi. Lo straniero è vestito con una divisa uguale a quelle che Xaver ha trovato nell'armadio poco prima e dal fisico atletico sembrerebbe effettivamente un militare.
 
Si avvicina di più allo specchio, fissando sconcertato quel volto sconosciuto che gli restituisce lo stesso sgomento.
 
Probabilmente ha bevuto troppo quella sera, pensa. Come sempre tutta colpa di Hein il possessore del gigante corazzato e del suo nuovo liquore al sambuco di cui si vantava tanto. Deve essere collassato dopo aver fatto ritorno alla propria stanza e ora sta facendo quel sogno assurdo. DEVE essere così, la ragione gli suggerisce che è l'unica spiegazione. Xaver però nel profondo sa che non è vero.
 
Mentre cerca di svegliarsi a suon di schiaffi la porta della stanza si spalanca di colpo ed una risata infantile gli giunge alle orecchie.
 
«E quella cosa sarebbe Gunne, un rimedio contro le rughe? Se è quello il tuo cruccio arrivi troppo tardi»

La donna sulla soglia lo sta squadrando a braccia conserte in attesa di una risposta che però non arriva. Indossa la sua stessa divisa e Xaver la fissa imbambolato senza capire.

«Ma che hai questa mattina? Mi lasci ad aspettarti per mezz'ora al campo come una scema e poi ti trovo qui a specchiarti. Se non sbaglio eri tu che avevi detto di volerti alzare con le galline per allenarti» incalza impaziente la sua interlocutrice.

Lui si rende conto che nemmeno la più colossale delle sbronze può essere l'artefice di quell’incredibile situazione, ciononostante la tentazione di lanciarsi dalla finestra per testare un brusco risveglio è forte.

Si concentra sul viso della sconosciuta registrandone velocemente le caratteristiche con il suo occhio analitico, scientifico.

É carina, leggermente più alta della media. Il fisico è tonico anche se le proporzioni sono un po' sbilanciate verso la parte alta, evidenziando spalle e seno importanti. Il taglio sbarazzino ed i capelli rossi le conferiscono un'aria da ragazzina per quanto anche lei debba essere sulla trentina. Gli sorride guardinga scrutandolo con due occhi ambrati furbi e diffidenti.

Xaver capisce di dover stare al gioco, almeno finché non trova una via d'uscita da quel paradosso.

«Ehmm ma no...» farfuglia imbarazzato «oggi mi sa che non sono molto in forma, non ho nemmeno sentito la sveglia...»

Peccato che la sua risposta arrivi troppo tardi per non destare sospetti e così la donna inarca un sopracciglio poco convinta.

«Sarà meglio che tu faccia un salto in infermeria allora, abbiamo una spedizione a breve e come Caposquadra dobbiamo essere al massimo delle nostre capacità»

"Spedizione? Caposquadra?" ripete mentalmente Xaver.

«Hai ragione, ci vado subito. A più tardi e scusa ancora per l'allenamento» risponde frettoloso, superandola a testa bassa per allontanarsi dalla stanza e da quella conversazione che lo sta agitando.

Ha fatto solo pochi passi nel corridoio quando si sente nuovamente chiamare.

«Gunne»

Lui si volta fingendo nonchalance.

La donna, ancora appoggiata allo stipite della porta, indica con un cenno del capo la propria sinistra.

«L'infermeria è nell'ala Ovest, ricordi? devi andare di qui» precisa in tono sospettoso.

Xaver sente di poter quasi annegare nel proprio sudore.

«Certo che sbadato, oggi non è proprio la mia giornata buona» ridacchia mentre si affretta a percorrere quel freddo corridoio di pietra che gli ricorda l'interno di un castello.

Lo sguardo della donna continua a pungergli la nuca finché non scompare dietro un pesante portone di legno tirando un sospiro di sollievo.

Non sa come ma nel suo girovagare per quei corridoi infiniti trova la porta dell’infermeria, bussa piano ed una signora dai capelli argento in divisa bianca si presenta ad aprirgli.

«Gunne! Che sorpresa, hai bisogno di qualcosa?»

«…Katherine, buongiorno» risponde Xaver sbirciando il nome dell’infermiera sulla targhetta del camice «questa mattina mi sento piuttosto debole e mi è stato consigliato di venire qui»

La donna si fa da parte per farlo entrare e gli fa segno di accomodarsi sul lettino che occupa la saletta per le visite.

«Sono certa che è stata Elyn a convincerti a passare, quella ragazza si preoccupa sempre per tutti. E voi andate così tanto d’accordo che non mi stupisce abbia a cuore la tua salute»

Lui esita un attimo, indeciso su come ribattere a quella frase. Forse Elyn è effettivamente il nome della soldatessa che ha incontrato quella mattina, considerato l’atteggiamento amicale di lei nei confronti di questo Gunne.

«Ehm, sì… sai come è fatta»

Katherine gli sorride e lo fa con quella maniera confortante, priva di giudizi, tipica delle persone abituate ad offrire assistenza nella sofferenza e nella malattia. Gli ausculta il battito con il fonendoscopio, osserva la gola controllando eventuali arrossamenti ed abbassa la palpebra inferiore dell’occhio per vedere meglio il colore della sclera.

«Mmm sembra tutto a posto, probabilmente è solo stanchezza. Però è meglio ti dia uno dei miei tonici alle erbe» sentenzia dopo quell’attento esame clinico.

«Ti ringrazio» dice Xaver, arrischiandosi poi ad aggiungere «a quanto pare avremo una spedizione a breve, devo riprendermi in fretta»

Il volto dell’infermiera si rabbuia mentre rovista nell’armadietto dei medicinali.

«Già... e ogni volta siete sempre di meno a fare ritorno. Vuoi anche il tuo solito unguento per la mano?»

Xaver guarda la brutta cicatrice che ha iniziato a pizzicare.

«Sì forse è meglio. Sai… ormai non mi ricordo nemmeno più come me la sia procurata»

«Vuoi dire che ormai hai perso il conto di tutte le ferite che hai…» lo corregge lei fissandolo con la fronte aggrottata e lui teme di essersi appena tradito.

«Ahah certo, non posso ricordarmi tutto» si difende ridacchiando.

«La memoria in effetti non è mai stata il tuo punto forte, probabilmente dovresti dedicare più attenzione a quella e meno ai muscoli» commenta sarcastica, porgendogli una boccetta di vetro piena di un liquido verdognolo e un piccolo contenitore di legno «prendine un cucchiaio la mattina appena sveglio, la pomata invece massaggiala come al solito sulla cicatrice dopo gli allenamenti»

Xaver annuisce e si avvia verso l’uscita, deluso di non aver scoperto nulla che possa aiutarlo a capire dove diamine sia finito.

Ma proprio a quel punto Katherine gli svela l’arcano.

«Quei dannati giganti…dovranno pur esaurirsi prima o poi!»

Lui si blocca davanti alla porta, gli occhi sbarrati fissi sulle venature del legno. Incapace di voltarsi riesce ad emettere solo un mugugno accompagnato da un debole cenno del capo.

Prima che l’infermiera possa aggiungere altro abbassa la maniglia e si fionda in corridoio, adesso perfettamente consapevole della geografia e del nome della terra su cui poggia piede.

L’Isola di Paradis.



             ∞●∞●∞●∞●∞●∞●∞●∞●∞●∞●∞●∞●∞●∞●∞●∞●∞●∞●∞●∞●∞●∞●∞●∞●∞●∞●∞●



 
Una volta tornato in quella che è la stanza di Gunne, Xaver non riesce a smettere di tremare.
Guarda il panorama attraverso la finestra fissando atterrito l’imponente muraglia che si staglia all’orizzonte, chiedendosi come abbia potuto non notarla prima.
Si siede sul bordo del letto sforzandosi di riflettere sul da farsi e le idee piano piano iniziano ad affiorare, così come il potenziale senso logico di quegli avvenimenti.
Poiché gli Eldiani di Marley e quelli di Paradis fanno tutti parte del Popolo di Ymir evidentemente sussiste una certa connessione tra i due rami familiari tramite i Sentieri. Deve essere per quel motivo che la sua coscienza ha potuto trasferirsi nel corpo del suo simile e ciò vuol dire, conclude con ansia sempre maggiore, che forse allora Gunne in quel momento si trova a Marley in una speculare situazione.
Degli abitanti di Paradis Xaver conosce solo ciò che gli è stato trasmesso dagli insegnamenti di Marley, per la cui propaganda essi sono marchiati come gli Eldiani malvagi che terrorizzano il mondo detenendo il potere del Gigante Fondatore. Una minaccia che i Marleyani cercano di tenere a bada inviando sull’isola i condannati trasformati in giganti puri. A differenza dei suoi conterranei però Xaver non è propenso a dispensare odio a priori, non è un uomo di fede e necessita di fatti e prove prima di giudicare, ecco perché non ha mai subìto passivamente l’indottrinamento di Marley.
Superato l’iniziale sgomento e la preoccupazione su come fare ritorno casa capisce però che quella che gli si è presentata può essere un’ottima opportunità di studio per uno scienziato come lui.

Bussano alla porta e quando domanda chi sia dall’altro lato gli giunge una voce che già conosce.

«Sono io, Elyn»

«Entra pure»

La sinuosa figura comparsa sull’uscio lo studia vigile, memore degli eventi della mattinata. Xaver però ora risponde prontamente.

«Ti chiedo scusa per prima… sono andato da Katherine a farmi visitare e mi ha detto che si tratta di semplice stanchezza»

«L’ho sempre detto che ti alleni troppo» sbuffa lei, sembra sollevata «che programmi hai per il pomeriggio, stare a letto?»

Lui ci pensa un attimo su poi un’idea lo folgora.

 «No, credo farò un giro in città. Devo comprare un libro»

Elyn strabuzza gli occhi sorpresa di fronte a quella che evidentemente per Gunne costituisce un’evenienza quantomeno insolita.

«Questa è bella… in due anni che ti conosco non ti ho mai visto leggere delle pagine che non fossero i rapporti delle missioni»

Xaver si alza dal letto ed afferra con disinvoltura la giacca dalla sedia.

«C’è sempre una prima volta per tutto. Vieni con me?»

«Perché no, in effetti avrei anche io delle commissioni da fare. E poi conosco un’ottima libreria»

Insieme si avviano verso il cortile della caserma, ricambiando il saluto di altri soldati in cui si imbattono durante il tragitto. Xaver nota che alcuni, probabilmente di pari grado, gli sorridono rivolgendo un cenno del capo mentre altri si fermano sul posto battendo il pugno destro sul cuore e portando il sinistro dietro la schiena.
La sua mente analitica comincia a registrare tutte quelle curiosità come se fosse in una sorta di elettrizzante esperimento sul campo.
Si guarda intorno affascinato dalle case con i tetti rossi a spiovente e le pareti con travi di legno a vista incassate geometricamente nella pietra. Una città dallo stile singolare con torri che svettano tra un quartiere e l’altro ricordandogli i borghi fortificati di vecchie illustrazioni. 
Dopo aver preso varie traverse sbucano nella via principale della città dove Xaver può vedere all’opera i famosi demoni, in realtà non molto diversi dai propri connazionali.
Ci sono donne con cestini di vimini sotto braccio intente a fare la spesa al mercato chiacchierando nel frattempo del più e del meno. Nota bambini che giocano rincorrendosi per i marciapiedi o che contemplano con l’acquolina in bocca le meraviglie esposte sulle bancarelle di dolciumi. Ci sono uomini che leggono il giornale fuori da un’edicola, lamentandosi dell’aumento del prezzo dei viveri e commentando con disdegno l’operato di un certo Corpo di Ricerca.
Xaver si accorge che a quelle affermazioni il volto di Elyn si rabbuia e la donna stringe i pugni, accelerando il passo. Lui registra anche quel particolare e prosegue con la propria indagine osservando quanto il livello di sviluppo di quella società sia decisamente arretrato rispetto agli standard dell’epoca. Gli unici mezzi di trasporto sono carri e carrozze trainate da cavalli, non c’è traccia di automobili, treni, dirigibili, a testimonianza di quanto quel popolo sia completamente isolato dal resto del mondo.
 
Ad un tratto Elyn gli tira la manica per indicargli l’entrata di una libreria.
 
«Qui troverai sicuramente quello che cerchi, io proseguo per il negozio di ferramenta. Ci ritroviamo qui tra un’oretta»

«D’accordo a dopo allora» si congeda lui, indugiando sulla figura flessuosa della donna che si allontana sparendo tra la folla.

Per un istante si sofferma a pensare che lei gli piace e vorrebbe approfondirne la conoscenza.

E questa volta non è il suo spirito di scienziato a parlare.

Ma poi quel fugace pensiero se ne va veloce come è arrivato, Xaver si riscuote e spinge la porta del negozio.



                    ∞●∞●∞●∞●∞●∞●∞●∞●∞●∞●∞●∞●∞●∞●∞●∞●∞●∞●∞●∞●∞●∞●∞●∞●∞●∞●∞●



 
Dopo aver ringraziato Elyn per averlo accompagnato in città Xaver si siede alla scrivania e si tuffa nella lettura del libro di storia che ha appena acquistato.
Attraverso quel semplice testo scopre che la milizia alla quale appartiene Gunne è uno dei tre corpi militari che si occupano della sicurezza del territorio. Prende il nome di Corpo di Ricerca, istituito con lo scopo di compiere spedizioni fuori dalle mura e uccidere i giganti. Apprende anche che gli Eldiani dell’Isola non sono a conoscenza delle proprie origini, tantomeno della vera natura dei giganti, vivendo nella convinzione di essere gli unici sopravvissuti della razza umana.

Quando richiude il libro la stanza è immersa nella luce aranciata del tramonto e una pesante stanchezza gli piomba addosso.

Improvvisamente un caldo formicolio inizia a diffondersi nel suo corpo, la vista si oscura ed avverte una grande forza risucchiarlo lontano.

Rientrato in possesso dei propri sensi davanti a lui si apre ancora lo spettacolare panorama dei Sentieri.

Una strana percezione lo spinge a voltarsi.

Ymir è dietro di lui, immobile come se dopo essersi separati lo avesse aspettato pazientemente.

A differenza di prima ha però con sé un secchio.
Versa l’acqua a terra e si china a raccogliere della sabbia bagnata compattandola nelle mani.
Poi immerge la palla di sabbia nel secchio e quando estrae la mano dall’acqua nel palmo ora regge un oggetto.
Senza dire una parola lo porge a Xaver. È una spilla d’argento di splendida fattura con lo stemma del Corpo di Ricerca.

Prima che lui possa chiedere spiegazioni un bagliore accecante si sprigiona dal gioiello e lui si sente nuovamente in balìa di un’immensa forza che lo trascina via.

La luce cala di intensità permettendogli di riconosce attorno a sé i contorni della propria stanza a Marley.

Corre in bagno, il volto riflesso nello specchio sopra il lavandino questa volta è proprio il suo.

Sorride, in parte perché è contento di essere di nuovo a casa, in parte perché ha capito che la spilla che stringe ancora in mano potrebbe essere la chiave per proseguire in quegli strani viaggi.



                ∞●∞●∞●∞●∞●∞●∞●∞●∞●∞●∞●∞●∞●∞●∞●∞●∞●∞●∞●∞●∞●∞●∞●∞●∞●∞●∞●




 
Trascorrono quasi due mesi prima che Xaver possa ritornare a Paradis.

I viaggi dapprima sporadici diventano in seguito piuttosto frequenti, anche più volte in uno stesso mese e lui si scopre sempre alquanto trepidante di lasciarsi assorbire nella nuova avventura.

Inizialmente non gli è chiaro se si tratti a tutti gli effetti di uno scambio bilaterale, oppure se a viaggiare sia solo lui e la coscienza di Gunne venga come sopita mentre ne occupa il corpo. Ad ogni suo ritorno a Marley non trova infatti segni o tracce che possano testimoniare il passaggio del soldato Eldiano, né i colleghi gli portano osservazioni su eventuali comportamenti insoliti come invece gli capita quando è a Paradis.


Trascrive fedelmente in un taccuino, di cui conserva una copia a Marley, tutte le scoperte e le esperienze che vive avendo cura di celare nomi di persone e luoghi dietro iniziali puntate.

Dalla permanenza sull’isola Xaver trae molti insegnamenti, la rivelazione più eclatante è però senza dubbio che gli abitanti definiti “demoni” non sono così diversi dal popolo d’oltreoceano. Certo tra essi ci sono individui dall’animo discutibile che potrebbero tranquillamente meritarsi tale appellativo, ma lo stesso ragionamento può essere applicato per qualsiasi società, Marley inclusa. Ciò che fa comprendere a Xaver quanto la condanna del mondo esterno sia ingiusta sono le azioni assolutamente umane delle persone comuni che incontra nelle sue esplorazioni in città, le scene di vita “normale” a cui assiste, gli sguardi di ammirazione che gli regalano i bambini nel vederlo in divisa. E tra tutti l’estremo sacrificio dei militari del Corpo di Ricerca che votano la propria vita a garantire la conservazione di tale quotidianità, servendo e proteggendo senza riserve quella stessa gente che spesso li critica. L’incarnazione vivente di questa vocazione è proprio Elyn che è anche l’unica ad accorgersi delle stranezze dette o compiute da Xaver in veste di Gunne.

Tra i vari commilitoni sembra essere quella con cui l’uomo è maggiormente in confidenza ed anche Xaver si sente davvero a proprio agio in sua compagnia.


Trascorre così, dividendosi tra la vita di scienziato ed il suo alter ego a Paradis, il primo di tanti anni.

A Marzo dell’831 il governo di Marley inizia a mettere in atto le proprie mire espansionistiche verso l’isola, ingolosito dalle abbondanti risorse naturali che essa possiede. La minaccia rappresentata dal potere di Re Fritz obbliga però gli alti vertici militari ad ideare un piano che prevede l’arruolamento e l’addestramento di bambini Eldiani ai quali trasmettere il potere dei sette giganti detenuti da Marley. A questa unità speciale verrà assegnato il compito di attaccare Paradis e recuperare il Gigante Fondatore, per consentire in seguito l’invasione da parte dell’esercito principale.
Xaver apprende con non poca preoccupazione tale notizia e per qualche giorno è tormentato dall’indecisione di rivelare ai suoi superiori quanto ha scoperto sugli Eldiani d’oltreoceano o al contrario tacere.
 
È l’ultima opzione ad avere la meglio poiché si rende conto che essi, accecati dai pregiudizi e dalla brama di potere, non potrebbero mai essere persuasi a cambiare idea su quel popolo.
I Marleyani trattano con sufficienza persino quelli come lui, gli Eldiani “buoni” del distretto di internamento, senza contare che anche questi ultimi disprezzano i propri confratelli accusandoli di aver condannato all’odio universale l’intera stirpe.
Aspettarsi che venga concesso il perdono ai demoni di Paradis è quindi assolutamente fuori questione. Inoltre il rischio che i superiori sfruttino i suoi viaggi obbligandolo a sabotare gli Eldiani dall’interno è molto elevato.

Xaver sceglie dunque la via del silenzio proseguendo la propria avventura sempre più addolorato per il destino di quel luogo e dei suoi abitanti, ignari delle disgrazie che vengono architettate ai loro danni.




                ∞●∞●∞●∞●∞●∞●∞●∞●∞●∞●∞●∞●∞●∞●∞●∞●∞●∞●∞●∞●∞●∞●∞●∞●∞●∞●∞●




Settembre 831



Xaver si sta godendo i tiepidi raggi del sole settembrino, il suo periodo preferito, quando gli ultimi sprazzi d’estate si mescolano all’aria frizzante che preannuncia l’arrivo dell’autunno. Le giornate si accorciano, le chiome degli alberi iniziano a tingersi di colori variopinti, la natura rallenta il proprio ritmo invitando anche tutte le creature viventi a fare lo stesso. E lui ha tanta voglia di riposarsi, i giorni appena trascorsi sono stati duri; il Governo ha intensificato le sessioni di addestramento dei cadetti e supervisionare quelli che per lui non sono altro che ragazzini che si allenano a diventare macchine da guerra, ad uccidere, non gli dà pace.

Ma quello che più lo preoccupa è il piccolo Zeke.

Si ritrovano spesso a giocare insieme, cercandosi istintivamente come se l’uno avesse bisogno della compagnia dell’altro per colmare una mancanza della propria esistenza. Vederlo impegnarsi strenuamente per stare al passo con le aspettative del padre, dal quale riceve in cambio solo sguardi delusi e rimproveri, lo intristisce. A Xaver è chiaro che il ragazzino non desideri affatto diventare un Guerriero ma stia ubbidendo al volere del genitore ricercandone l’approvazione. La tristezza e la solitudine che legge ogni giorno negli occhi di Zeke gli ricordano il proprio tormento, perciò si è ripromesso di stargli accanto, di giocare con lui e fornirgli quel supporto che non riceve dalla famiglia.

Tutti questi pensieri gli procurano una tensione non indifferente ecco perché cerca di godersi il più possibile i placidi momenti in cui si trova a Paradis, una dolce pausa dalla frenetica ed insidiosa vita che lo aspetta a Marley.

Sta percorrendo il sentiero sterrato e decorato di cespugli d’erica che attraversa i vasti campi del Wall Maria, quando riconosce Elyn intenta a cogliere dei frutti da un albero.

Senza pensarci devia istintivamente il proprio percorso per raggiungerla, camminando su un tappeto d’erba dove spuntano qua e là pozze dorate di heliantus.

«Ciao Gunne» lo apostrofa riconoscendolo immediatamente «anche tu hai deciso di sfruttare il giorno libero per scaldarti al sole?»

«Esatto… non mi andava proprio di chiudermi in stanza a compilare rapporti»

«Allora poi…sentirai che ramanzina…ti farà il Comandante» lo rimprovera mentre si solleva sulle punte per raggiungere un frutto troppo in alto per lei.

Xaver, che nei panni di Gunne possiede una notevole stazza, lo coglie al suo posto porgendoglielo con gentilezza.

«Che strani frutti» commenta osservando quei singolari e molli esemplari dalla forma a goccia.

La donna ripone il raccolto nel cestino di vimini che porta al braccio, fissando esterrefatta l’uomo.

«Ma come, non hai mai visto un fico?»

«Ehm no… a dire il vero non ho mai avuto il piacere di assaggiarli. Sono buoni?» domanda l’altro massaggiandosi la nuca perplesso.

«Io li adoro. Sono molto dolci ed incredibilmente versatili. Si possono utilizzare per torte, crostate, ma sono ottimi anche accompagnati a formaggi e pane»

«Mi stai facendo venire l’acquolina in bocca»

«Allora ti preparerò il mio piatto forte! La crostata con confettura di fichi» esclama Elyn regalandogli un sorriso smagliante che lo colpisce con una stilettata dritta al cuore.

«A-accetto molto volentieri» balbetta lui ancora frastornato dalla radiosità emanata dalla donna, così a suo agio e serena «è una tua invenzione?»

«No, seguo la ricetta di mia nonna» risponde lei e nel perdersi in ricordi lontani la sua espressione si addolcisce ancora di più «quando ero piccola trascorrevo spesso i pomeriggi dai miei nonni perché i miei genitori dovevano lavorare. In giardino c’era una pianta di fichi bella quanto questa e uno dei miei passatempi preferiti era arrampicarmi sui rami più alti e fare scorpacciate di fichi leggendo un libro»

Entrambi alzano lo sguardo verso le fronde dell’albero ammirando la stupenda trama dorata disegnata dai raggi del sole.

«E poi per merenda mia nonna preparava una crostata squisita… se chiudo gli occhi posso ancora rievocare chiaramente la sensazione morbida e dolce di ogni boccone. Ovviamente quando la cucino, per quanto segua per filo e per segno la ricetta, non ha mai lo stesso sapore della sua» chiosa Elyn in tono vagamente affranto.

«Credo che dipenda soprattutto dai ricordi felici che ti legano a quel piatto e dall’amore che provavi per tua nonna, più che dall’accortezza con cui ti attenga alla ricetta. La crostata che preparava lei quindi ti risulterà sempre più buona di qualsiasi altra»

«Probabilmente hai ragione. In effetti io sono stata fortunata ad avere un’infanzia serena, non mi è mai mancato nulla…ora che nella mia vita adulta vedo tanta morte e dolore ogni tanto sento il bisogno di riconnettermi a quegli anni spensierati, di ritornare la me stessa bambina che mangia fichi fino a farsi venire il mal di pancia»

«Basta che non esageri, altrimenti tutta la dolcezza dei fichi non potrà nulla contro Katherine ed i suoi ricostituenti amari» scherza Xaver mentre si incamminano per fare ritorno alla caserma.

«Bleah non farmici pensare» rabbrividisce Elyn con una smorfia di disgusto.

Molto elegantemente Xaver si offre di portare il cesto e la donna sembra apprezzare tale gentilezza, arrossendo appena.

Nel percorrere il sentiero davanti a loro sfilano veloci alcune rondini, che si innalzano nel cielo volando oltre le mura verso il caldo sole del meriggio.

«All’arrivo dell’autunno se ne vanno sempre verso Sud… chissà dove andranno»

Xaver conosce già la risposta, perché i volatili per svernare dirigono la propria rotta verso i caldi territori meridionali di Marley. Questo, però, lui non può rivelarlo.

«Sicuramente in un posto dove non faccia freddo»

«Tante grazie, questo lo sapevo anche io» sbuffa Elyn roteando gli occhi «intendevo dire… se davvero non esistesse altra terra all’infuori di questa, come raccontano i libri su cui studiamo, non avrebbero un posto in cui andare a passare l’inverno. Quindi qualcosa di vero nelle leggende deve esserci, sul mar…»

Si interrompe bruscamente, arrossendo come accortasi di essersi lasciata sfuggire un segreto.

Xaver non insiste, la osserva teneramente cercando di reprimere l’ardente desiderio di prenderle la mano o di stringerla a sé come da tanto, troppo tempo, non fa con una donna.

«Non è forse questo lo scopo del Corpo di Ricerca? Scoprire cosa c’è al di là?»

«Hai ragione» risponde lei con lo sguardo rivolto sempre più lontano «è per questo che noi esistiamo»



 
                ∞●∞●∞●∞●∞●∞●∞●∞●∞●∞●∞●∞●∞●∞●∞●∞●∞●∞●∞●∞●∞●∞●∞●∞●∞●∞●∞●



 
Agosto 832



Xaver apre gli occhi, ormai a proprio agio con quella sensazione di vuoto allo stomaco che persiste per qualche minuto dopo il cambio di corpo. L’atmosfera attorno a lui è molto accogliente, forse merito della candela sulla scrivania che ha immerso la stanza in una penombra calda ed intima.
Si specchia nel riflesso di Gunne alla finestra, oltre la quale regna un buio puntellato dalle luci delle fiaccole che costeggiano il cortile interno della caserma.
Nota che la classica uniforme è stata sostituita da una semplice camicia azzurra abbinata a dei pantaloni blu dal taglio morbido.
Abiti civili.
Incuriosito dal vociare che sente oltre la porta spegne la candela ed esce dalla stanza.
 
Il chiasso sembra provenire dal grande refettorio al piano inferiore e quando Xaver raggiunge la sala questa è gremita di militari che brindano e cantano.
 
Si appoggia allo stipite dell'ingresso osservando la scena e ritrovandosi a sorridere.
 
Ormai ha imparato a conoscere quelle persone e pensa che se i propri connazionali vedessero quegli uomini e donne divertirsi e bere esattamente come farebbero loro, forse riterrebbero stupido l’odio che per anni sono stati addestrati a covare. Tuttavia gli sovviene l’amaro sospetto che un antidoto per quel veleno a lento rilascio iniettato dalla propaganda Marleyana arriverebbe troppo tardi, perché il sangue ne è già saturo oltre il punto di recupero.
Pensa a quei ragazzini che stanno dando anima e corpo per diventare guerrieri, per ottenere una possibilità di riscatto e gloria che in realtà non è altro che una condanna a morte.
Pensa al piccolo Zeke con cui ha stretto un legame unico considerandolo praticamente un secondo figlio. Infine pensa a sé stesso, al fatto che non è stato uno spirito patriottico a spingerlo ad ereditare il Gigante Bestia quanto la rassicurazione di una sentenza di morte con una data di esecuzione prestabilita e certa. Dietro alla scusa di carpire nuove informazioni sulla razza Eldiana accedendo ai ricordi dei predecessori nascondeva infatti l’esigenza di espiare le proprie colpe. Accorciare la sua misera esistenza in una sorta di suicidio volontario gli era sembrata la cosa migliore per ottenere il perdono del figlio che il suo stesso egoismo gli aveva portato via. Eppure proprio quando l’aspettativa della morte era divenuta il suo chiodo fisso quell’occasione si era presentata, fornendogli una piacevole distrazione.

«Hey Gunne!» lo riscuote ad un tratto una voce familiare. 

Lasciatosi trascinare da quel fiume di considerazioni non si era accorto dell’uomo che gli si era avvicinato.

«Buonasera Keith» ricambia il saluto Xaver diradando la nebbia dalla propria mente «mi è giunta voce che sei il favorito per diventare il prossimo Comandante»

Shadis scuote la testa prendendo una bella sorsata di birra dal boccale che regge in mano.

«Dovrebbe essere un’informazione confidenziale…ma da quel che sento ormai è di dominio pubblico» bofonchia seccato.

Xaver si concede una risata accordandosi con l’aria di festa che si irradia attorno a lui.

«Non che ci fossero dubbi… sei un soldato esperto e giudizioso, sarai un ottimo Comandante»

L’altro corruccia la fronte e passa in rassegna con una vaga aria di superiorità i compagni intenti a divertirsi.

«Forse… però vorrei essere più di questo. Posso fare davvero la differenza, sento che ho un ruolo importante da compiere nel destino dell’umanità»

Xaver lo osserva stupito ma incuriosito da quella scintilla di ego che Keith, solitamente riservato ed abbottonato, si è lasciato sfuggire.

«Non capirò mai questo bisogno di ricercare grandi occasioni e imprese per sentirsi speciali, eccellere a tutti i costi. Credo che la soddisfazione si possa trovare anche nelle piccole cose, nella normalità. Non fraintendermi Keith è lodevole avere una sana considerazione di sé e volersi distinguere… l’importante è che essa non si trasformi in una rovinosa arroganza. Sai come si dice, chi vola troppo vicino al sole poi rischia di bruciarsi»

L’uomo, evidentemente punto nel vivo, lo fulmina con lo sguardo contrariato di chi è fin troppo consapevole del proprio valore tradendo la tendenza di porsi al di sopra degli altri.

«Questi discorsi profondi non sono proprio da te, sei già ubriaco? Comunque essere speciali non vuol dire essere arroganti. Non tutti hanno le capacità per realizzare qualcosa di epico, in questo sta la differenza.»

«Allora contiamo tutti su di te, grande uomo» conclude Xaver assestandogli una pacca sulla spalla e scrutando tra la folla alla ricerca di Elyn.

«È di fuori… l’ho vista uscire poco fa in cortile» lo anticipa Shadis nascondendo un ghigno dietro il boccale «e ti ricordo che le relazioni tra commilitoni sono fortemente sconsigliate e ufficiosamente vietate»

«E io ti faccio presente che non sei ancora il Comandante»

«Questa me la segno per dopo. Comunque proprio non ti capisco… ci sono momenti in cui ti comporti come se per te non fosse più di un’amica e altri, come adesso, in cui è palese che ti sei preso una bella sbandata»

Xaver apre bocca ma esita ad emettere suoni, realizzando che forse con le proprie azioni sta interferendo eccessivamente nel rapporto tra il vero Gunne ed Elyn.

«Oh beh, immagino non siano affari miei» prosegue l’altro gettando un’occhiata annoiata al fondo vuoto del boccale e constatando così di essere a corto di birra «però se i tuoi sentimenti sono sinceri parlagliene. Prima che qualcuno te la rubi»

Nell’osservarlo farsi largo tra i compagni Xaver prova un moto di compassione per Keith, che in quel momento gli appare alla disperata ricerca di alcol quanto di uno scopo. Un naufrago dall’animo colmo di rimpianti che, proprio come lui, non riuscirà mai ad integrarsi completamente in quel mondo.
Chissà quali eventi l’hanno spinto ad attaccarsi tanto ostinatamente all’aspettativa di un glorioso destino.
Forse una profonda insicurezza, forse la delusione di un amore che non ha potuto avere.


Con quell’immagine in mente Xaver prende la via che conduce all’esterno, lasciandosi alle spalle il calore della sala gremita e le risate che riecheggiano tra gli alti soffitti.

Trova Elyn seduta su una panchina sotto il porticato che fiancheggia l’edificio. Alla luce aranciata delle fiaccole i suoi capelli rossi sembrano ancora più brillanti. 

«Non dirmelo, là dentro c’era troppo divertimento per i tuoi gusti e avevi bisogno di una pausa» esordisce beffardo sentendo il proprio cuore accelerare i battiti.

«Non vedo cosa ci sia da festeggiare dato che dubito la cerimonia di diploma ci porti nuove reclute» gli risponde scettica la donna.

Lui annuisce capendo finalmente il motivo della festa e prende posto accanto a lei.

«Davvero assurdo» prosegue Elyn gesticolando nervosamente «dopo ogni spedizione siamo sempre più a corto di uomini e finanziamenti. Ma d’altronde non biasimo i cadetti, chi non avrebbe paura di unirsi ad un esercito dove ci sono pochissime probabilità di sopravvivenza?»

«Forse a mancare è soprattutto il desiderio di servire uno scopo più grande»

Elyn si volta verso di lui, soppesandolo in silenzio.

«Intendo dire… se c’è la volontà di realizzare il Bene del genere umano, di fare la differenza, credo che il coraggio di compiere questa determinata scelta poi venga da sé. Certo nessuno affronterà mai senza paura un gigante, però tenere fede al proprio ideale ti dà la spinta per sguainare le spade e combattere» specifica Xaver alzando lo sguardo al cielo siderale «sono sicuro che prima o poi arriverà qualcuno che incarnerà questo sogno più di tutti. Una guida che saprà ispirare i cuori dei propri uomini facendo nascere in loro la stessa consapevolezza. Allora il Corpo di Ricerca vivrà il suo periodo di splendore»

Quel monologo gli esce con naturalezza, come se sentisse il bisogno di riprendere le fila del discorso lasciato in sospeso con Shadis poco prima.

«Alcuni dicono che Keith potrebbe fare la differenza una volta diventato Comandante»

«Forse» si limita a commentare l’uomo, rifiutandosi di rovinare l’illusione di Elyn. In realtà dubita che il soldato in questione corrisponda al ritratto da lui appena tratteggiato.

«Però… non ti facevo così filosofico» lo stuzzica lei condendo quell’affermazione con un sorriso amorevole.

«Non sei la prima a dirmelo. A quanto pare stasera sono particolarmente ispirato» replica Xaver ricambiando spontaneamente il gesto.

Dall’interno della caserma inizia a diffondersi una vivace melodia portata dalle corde pizzicate di una chitarra.

«Ti va di ballare?»

La donna lo fissa un po’ interdetta e lievemente imbarazzata. Lui invece per una volta tanto si sente molto sicuro di sé come se le loro personalità si fossero momentaneamente invertite.

«Dai, ti prometto che non ti pesterò i piedi. Mia mamma era un’eccellente insegnante» la incalza scattando in piedi e tendendole la mano.

Elyn temporeggia ancora per qualche istante poi accetta l’offerta alzandosi a sua volta.

«Va bene. Ma sappi che se stai mentendo al prossimo allenamento ti restituirò i pestoni con gli interessi»

Xaver ridacchia alla battuta, avvertendo al contempo la gola farsi secca per la vicinanza di lei. La sua mano prende posizione sul fianco della donna e le dita accarezzano la stoffa leggera della camicetta, intercettando il calore della pelle sottostante.

Dondolano a tempo di musica, più che ballare, ma a nessuno dei due sembra importare.

Nel cortile ci sono solamente loro e le ombre della notte che danzano tremolanti sui muri di pietra insieme alle luci delle fiaccole.


Si specchiano l’uno negli occhi dell’altro così intensamente da far temere a Xaver che lei gli possa leggere l’anima e con essa il suo segreto.

Prova un moto di invidia per Gunne, il fortunato destinatario di quello sguardo languido e dolce.

Sarebbe sbagliato cedere alla tentazione che lo sta assalendo. Non può ingannarla, non così. E sa che lei è troppo ligia alle regole per non pentirsi di averlo assecondato.

Questo pensiero non basta tuttavia a trattenerlo dall’avvicinare le proprie labbra a quelle di Elyn, fino ad incontrarsi in un bacio che presto travolge entrambi. Manca la volontà di interromperlo, di fermarsi, tutto quello che Xaver sente è un bellissimo calore che gli scalda il cuore come non accadeva da tanto tempo.

«Eeeelyn! Dove sei?» chiama improvvisamente una voce femminile. Suona incredibilmente ovattata alle orecchie dell’uomo e non saprebbe definire da quale distanza provenga.

Anche Elyn mostra incertezza nell’interrompere quel contatto e quando si ritrovano nuovamente faccia a faccia si studiano in silenzio, restii a spezzare con le parole lo strano incantesimo che si è creato.

«Scusami… devo andare» mormora lei quasi intontita e senza voltarsi sparisce dentro l’edificio lasciandosi dietro un leggero profumo agrumato.  

Xaver resta lì in piedi in mezzo al cortile come sospeso in un limbo.

Poi un familiare formicolio si fa strada lungo i suoi muscoli e capisce che è ora di tornare a casa.




 
                 ∞●∞●∞●∞●∞●∞●∞●∞●∞●∞●∞●∞●∞●∞●∞●∞●∞●∞●∞●∞●∞●∞●∞●∞●∞●∞●∞●



 
Xaver bussa con decisione alla porta di Elyn.

È impaziente di vederla perché è passato ormai un mese dall'ultima volta. E in tutto quel tempo il pensiero del loro bacio non l'ha mai abbandonato.


Sente dei passi che si avvicinano da dentro la stanza mentre il suo cuore per un attimo salta un battito.
La maniglia si abbassa ed il volto della donna compare sulla soglia.

«Elyn...» la saluta con un sorriso ebete che percepisce allargarsi sempre di più.

Ma c'è qualcosa di strano, lei non ricambia con altrettanta felicità e anzi lo guarda con disprezzo, assottigliando gli occhi a due fessure. 

«Vaffanculo Gunne» sbotta prima di chiudergli violentemente la porta in faccia.

Xaver rimane interdetto per qualche secondo. Un po' per la reazione che non si spiega ed in parte perché, scioccamente, si aspettava che lei lo avrebbe chiamato con il suo vero nome.

Torna alla carica picchiando nuovamente sul legno.

«Ti ho detto di andartene»

Non volendo dare spettacolo in mezzo al corridoio ed essendo deciso a vederci chiaro, si arroga in via eccezionale il diritto di entrare nella stanza.

Elyn, seduta alla scrivania in mezzo alle scartoffie, scatta in piedi.

«Giuro che sei a tanto così dal prenderti un sonoro cazzotto» sibila mostrandogli pollice ed indice che quasi si toccano.

Lui para avanti le mani dando segno di avere intenzioni pacifiche.

«Elyn ti prego, non capisco questo comportamento»

«Ah non capisci??» inveisce lei lanciandogli uno sguardo di fuoco «mi prendi per il culo evidentemente. Prima mi baci, poi quando prendo io l'iniziativa mi respingi facendo il finto tonto e dandomi della pazza come se mi fossi inventata tutto»

L’uomo abbassa lo sguardo e capisce che in quel lasso di tempo il rapporto tra il vero Gunne ed Elyn è cambiato drasticamente e la colpa è solo sua.

L’altra rincara la dose, furente.

«E adesso ti presenti qui, dopo che non ci parliamo da un mese, con un sorrisetto del cazzo come se tutto fosse tornato come prima?!»

Lui si trova indeciso sul da farsi. È stanco di quella faccenda e vorrebbe dirle tutta la verità ma è anche consapevole che sarebbe una mossa stupida.

O forse no?

«Elyn» si decide finalmente a parlare «sbaglio o è da un po' di tempo che Gunne non si comporta più come suo solito?»

La donna gli riserva un'occhiataccia e prima che sferri un nuovo attacco Xaver si affretta ad aggiungere «Lo ritrovi a leggere libri che magari giorni dopo nega di aver letto, in alcuni allenamenti sembra troppo goffo nell’adoperare il movimento tridimensionale e a volte si interessa più del solito a te facendoti domande che non ti ha mai posto...potrei andare avanti ancora e ancora ma mi fermo qui. Perché sai esattamente di cosa sto parlando»

Elyn continua a fissarlo senza abbassare la guardia.

«Stai vaneggiando, hai dato a me della pazza quando l’unico con le rotelle fuori posto sei proprio tu!»

Ma a lui non sfugge il leggero incrinarsi della sua voce e l'ombra che le attraversa lo sguardo nell'attimo di un respiro.

Quel piccolo mutamento gli infonde il coraggio che gli serve.

«Lo so che l'hai notato, perché sono certo che anche tu avverti questa nuova sensazione quando siamo io e te. E non è la stessa che provi con Gunne» mormora iniziando ad avvicinarsi lentamente a lei.

La donna scuote la testa, senza però indietreggiare.

Ormai sono a pochi centimetri di distanza.

«Non sei pazza. Guardami bene e cerca tu stessa la conferma che ciò che dico è vero»

Gli occhi di lei saettano da un punto all'altro del viso dell’uomo poi si concentrano sulle sue iridi.

Elyn sussulta e Xaver capisce che ha trovato quello che cercava e che finalmente gli crede.

«Gunne ha gli occhi verdi...»

Lui le sorride e fa un cenno di assenso.

«Chi sei?» è la domanda che gli pone prima che la mastodontica rivelazione le cada addosso.



 
             ∞●∞●∞●∞●∞●∞●∞●∞●∞●∞●∞●∞●∞●∞●∞●∞●∞●∞●∞●∞●∞●∞●∞●∞●∞●∞●∞●



Giugno 833



Se qualcuno in passato si fosse avvicinato a Xaver durante il funerale di moglie e figlio dicendogli che quella non era la fine e che la vita sarebbe andata avanti, questi si sarebbe certamente ritrovato con il volto livido a suon di pugni. Perché la negazione nella quale Xaver era piombato l’aveva reso insensibile a tali verità che ora invece si palesavano in tutta la loro concretezza.
Sì, la vita in quanto processo dinamico prosegue nel suo inarrestabile incedere e ciò è un bene, perché significa che di riflesso anche tutto il resto muta. Anche il dolore più distruttivo si rimpicciolisce stringendosi un pochino per non ingombrare tutta la casa. In quello spazietto, all’inizio minuscolo ed inospitale, può allora fare capolino qualcosa per far compagnia al vecchio abitante. Un nuovo obiettivo, un nuovo amore, una nuova consapevolezza, qualcosa insomma che sussurri al nostro dolore “Hey, non voglio prendere il tuo posto o sbatterti fuori ma forse, se ti tengo la mano, tutto qui è più facile”.
Ecco cosa era diventata Elyn per Xaver, la provvidenziale gioia che gli faceva deporre l’ascia di guerra verso la vita e sé stesso. Un sé stesso del quale attraverso gli occhi di lei impara ad apprezzare alcune qualità ed accettare gli inevitabili, e per lui ancora in numero superiore, difetti.
E mentre in quel pomeriggio di giugno Xaver osserva Elyn passeggiare sulla riva di un placido laghetto di montagna, tirando le somme degli ultimi anni ringrazia mentalmente Ymir per quel dono inaspettato.

«Yuhuu, Tom! Ma non mi senti?» lo riscuote improvvisamente la voce di lei facendogli segno di raggiungerlo.

Lui posa il libro che stava leggendo e si mette in piedi con uno sbuffo, massaggiandosi il fondoschiena un po’ dolorante per il contatto con i sassi della spiaggetta.

«Sei proprio un vecchietto» lo canzona Elyn scuotendo la testa mentre l’uomo le si avvicina.

«Ah sì? eppure quando siamo a letto non mi sembra tu ti sia mai lamentata»

La donna gli getta le braccia attorno al collo rivolgendogli un’occhiata maliziosa.

«Questo lo dici tu, magari sei talmente sordo da non sentirmi»

«Insomma l’ultima parola deve essere sempre la tua»

«Ovviamente» risponde lei prima di baciarlo teneramente.

«Mi hai fatto alzare solo per questo? Stavo leggendo un passaggio molto interessante nel mio libro»

«Idiota» lo apostrofa Elyn con una mezza risata «volevo farti vedere cosa ho trovato»

Porge a Xaver un piccolo sasso sul quale in rilievo è ben visibile il profilo di una conchiglia.

«È un ammonite, un fossile» le spiega accarezzando le scanalature lungo il guscio.

«Sarebbe?»

«Si tratta di un animale che viveva sui fondali oceanici milioni di anni fa, con il passare del tempo sulla sua carcassa si sono sedimentati terra e minerali fino ad intrappolarlo nella roccia»

«Ma qui siamo in montagna, non c’è il mare» esclama l’altra giustamente perplessa dall’affermazione del compagno.

«Hai ragione, ma in epoca preistorica la maggior parte della superficie di questo mondo era rappresentata dall’oceano. Poi vari fenomeni naturali hanno permesso alle terre di emergere dando origine alle montagne, colline, pianure…»

«Quindi la terra su cui camminiamo in realtà è il fondale oceanico…» conclude Elyn fissando le montagne all’orizzonte.

La superficie dell’acqua, colpita dai raggi del sole, sembra un tappeto di diamanti e verrebbe quasi da schermarsi gli occhi tanto è abbagliante il riflesso luminoso. La donna invece non batte ciglio e Xaver si accorge che il suo volto si è intristito a quella scoperta. Sta per aggiungere qualcosa alla propria lezione improvvisata di scienze quando lei lo anticipa.

«Posso chiederti una cosa?»

«Tutto quello che vuoi» la rassicura lui.

«Che odore ha il mare?»

L’uomo rimane zitto per un secondo, sinceramente sorpreso da quella domanda e indeciso su cosa risponderle. È già un’ardua impresa descrivere qualcosa di concreto a chi non l’ha mai visto, figurarsi un profumo.

«È difficile da spiegare…è un odore umido, simile a quello che senti quando sei sulle sponde di un lago e sta piovendo. Ma è molto più forte e dal retrogusto salato… ti entra nelle narici, ti pervade completamente come se stessi respirando l’essenza di una creatura maestosa, un grande ecosistema in cui convivono tanti esseri viventi. Profuma di libertà»

Elyn chiude gli occhi e avanza immergendo i piedi nell’acqua, come se farlo l’aiutasse a visualizzare ciò che lui le ha appena spiegato.

«Vorrei tanto vedere il mare» confessa in tono malinconico, senza staccare gli occhi dall’orizzonte «quando ero piccola una mia amica, Hannah, un giorno mi fece vedere un libro. L'aveva trovato nascosto in fondo all'armadio di suo padre. Era uno di quei libri rilegati in cuoio che odorano di antico. Non dimenticherò mai il modo in cui le brillavano gli occhi mentre sfogliavamo quelle pagine ingiallite dal tempo. C'erano tantissimi disegni, uno raffigurava una distesa di sabbia chiamata deserto dove c'è un caldo torrido. Un'altra invece un continente di ghiaccio dove regna il gelo. Un'altra ancora un'immensa massa di acqua salata, il mare appunto»

Lui ascolta attentamente, contemplando gli occhi ambrati della donna che in quel momento sembrano oro fuso.

«Io non ci credevo... pensavo fossero sciocchezze perché a scuola non ci avevano insegnato nulla di tutto ciò. Lei invece non dubitava affatto dell'esistenza di quei luoghi, negli anni successivi continuò a ripetere che un giorno sarebbe andata oltre le mura per esplorare il mondo esterno»

Fa una piccola pausa, gli occhi le si inumidiscono e la voce si incrina mentre prosegue il racconto.

«Una volta cresciute io sono entrata nel Corpo di Ricerca e lei si è sposata. Un giorno che ero in licenza sono andata a trovarla a Shiganshina, vive a qualche isolato dal centro in una bella casetta con un piccolo giardino fiorito. Rivedendola provai un po' di invidia per quella vita stabile e serena così diversa dalla mia. Hannah mi confidò di non aver abbandonato il suo desiderio e di condividerlo con il marito. Le dissi che onestamente non ne vedevo il senso, ormai si sta costruendo una famiglia e non varrebbe la pena metterla a rischio per un capriccio infantile, oltretutto inoltrarsi nel territorio esterno per un civile costituisce un reato. Lei se ne risentì e mi rispose che, data la mia scelta, avrei dovuto capirla più di chiunque altro. Poi aggiunse che lo doveva ai suoi futuri figli, che non voleva crescessero in un mondo dove non vi era la libertà di inseguire i propri sogni e la verità. Da allora non l'ho più vista... so che sta cercando di rimanere incinta e spero che una volta diventata madre cambi idea»

«Non possiamo proteggere tutti, Elyn…» le dice Xaver stringendole delicatamente la mano.

Lei scuote la testa dando segno di non aver ancora concluso.

«È come se mi fossi svegliata da un lungo sonno. Ho scelto il Corpo di Ricerca perché credevo che uccidere i giganti fosse la soluzione per aiutare l’umanità e recuperare i territori invasi. In realtà c’era molto di più in gioco anche se non me ne rendevo conto. Ora che grazie a te conosco la nostra vera storia non posso fare a meno di pensare che Hannah abbia ragione, che quel profumo di libertà sia il vero Bene per il genere umano. La rappresentazione di quell’ideale di cui mi hai parlato quando ci siamo baciati la prima volta. Quel sogno che dovrebbe unirci tutti e spronarci a combattere per la libertà che ci hanno tolto»

Xaver la fissa intensamente, domandandosi come sia possibile che la forza di quella donna non cessi mai di stupirlo e scatenare in lui una sincera e profonda ammirazione.  

«Ti porterò a vedere il mare, te lo prometto. Magari costruiremo anche una casa sulla spiaggia» le sussurra stringendola dolcemente a sè. In quel momento non pensa a quanto sia irreale quel piano e numerosi gli ostacoli che ne impediscano la realizzazione, primo tra tutti il fatto che a Xaver restano ancora otto anni prima di tramandare il Gigante Bestia.

«Guarda che se me l’hai promesso non puoi rimangiarti la parola» lo ammonisce seria Elyn.

«Non ne avevo alcuna intenzione»

«Bene»

Rimangono stretti l’uno all’altra, godendosi la leggera brezza che ha iniziato a soffiare increspando la superficie del lago.

Ad un tratto Elyn scioglie l’abbraccio e fa qualche passo in avanti nell’acqua, dando le spalle a Xaver.


«Non è che per caso la spilla può anche fermare il tempo? I tuoi viaggi durano sempre troppo poco» confessa mestamente.  

Xaver sorride commosso perché conosce bene la fatica di Elyn nell’ammettere le proprie emozioni.

Si abbassa furtivo e con il palmo della mano schiaffa l’acqua in direzione della compagna che sussulta per quella sferzata fredda.

«Ma cosa…»

«Eri triste e come hai puntualizzato non rimarrò qui ancora a lungo, dovevo agire in fretta» si giustifica lui facendo spallucce con aria innocente.

«Adesso ti faccio vedere io» lo minaccia Elyn, ma sul volto campeggia un radioso sorriso ed i suoi occhi ambrati ammiccano furbescamente. 



 
                  ∞●∞●∞●∞●∞●∞●∞●∞●∞●∞●∞●∞●∞●∞●∞●∞●∞●∞●∞●∞●∞●∞●∞●∞●∞●∞●∞●





 
Febbraio 834



Fuori la pioggia picchietta debolmente contro il vetro della finestra, disegnando gocce che fanno a gara per correre una più veloce dell'altra.

Xaver si gode la sensazione di calore che gli dà il corpo di Elyn stretto al proprio mentre lei poggia la testa sul suo petto tracciandovi ghirigori immaginari con le dita. Nonostante quel gesto gli solletichi la pelle non si sogna nemmeno lontanamente di fermarla.

«Toglimi una curiosità…» esordisce con un tono più serioso del previsto.

«Come sei lugubre! Cosa vuoi sapere, un segreto di stato?»

«Quasi…» ridacchia lui aumentando intenzionalmente la suspence e la donna alza la testa scrutandolo impaziente «…come va con Gunne?»

Lei sbuffa roteando gli occhi al cielo, il rimprovero non verbale che gli riserva quando pronuncia una stupidaggine.

«Non c’è molto da dire… dopo averci litigato, per colpa tua ovviamente, gli ho chiesto scusa ma non abbiamo più avuto lo stesso rapporto. Certo continuiamo a collaborare negli allenamenti e in battaglia ci copriamo le spalle a vicenda, però la nostra amicizia si è… raffreddata»

«Mi dispiace…»

«Sì sai quanto ci credo, immagino mentre ti struggi all’idea che io e Gunne non siamo più così in confidenza» commenta sarcastica Elyn mettendosi a sedere ed appoggiandosi con la schiena alla testiera del letto.

Xaver non può darle torto, quando si guarda allo specchio è sempre inevitabile il confronto tra il vero Gunne ed il sé stesso esteticamente meno appetibile. Non potrebbero essere due persone più diverse fisicamente e caratterialmente.

«Quindi nessuno sospetta qualcosa di noi due?»

«Puoi stare tranquillo, quando ti trovi qui siamo sempre molto discreti. Inoltre i miei commilitoni hanno così paura che siano le loro di tresche ad essere scoperte che sono ben disposti a chiudere entrambi gli occhi»

Xaver annuisce e per un attimo restano entrambi in silenzio a guardare la tempesta che imperversa al di fuori di quella piccola bolla di felicità.

«Credi che riusciremo ad incontrarci prima o poi?»

«Mi sembra che siamo insieme proprio in questo istante» risponde lui cercando di sviare la domanda, anche se è consapevole che quell’infantile tentativo non attaccherà con Elyn.

«Sai bene cosa intendo. Riuscirò mai a vedere il tuo vero aspetto?»

Lui esita.

«Forse è meglio così. Ti ho già dato una descrizione ma dal vivo le cose cambiano…non credo sarei il tuo tipo, fisicamente parlando almeno»

A quelle parole la donna si sporge verso di lui piantando i palmi sul materasso per guardarlo dritto negli occhi con un’espressione a metà tra l’offeso e lo scocciato.

«Che cosa vorresti dire Tom, che non potrei amare qualcuno che non è considerato attraente?»

«No no» si affretta a giustificarsi accarezzandole i fianchi «solo che effettivamente tu sei più giovane e più bella di me… non ti biasimerei se incontrandomi per strada non mi degnassi di uno sguardo»

Elyn rimane un attimo a studiarlo in silenzio poi cambia posizione sedendosi a cavalcioni su di lui.

«Quindi fammi capire…» sussurra chinandosi a baciargli il collo «secondo te stiamo insieme perché in realtà sono gli addominali di Gunne e la sua mascella squadrata ad avermi fatta innamorare…»

Xaver sente la ragione farsi sempre più sfocata in accordo con la lentezza estenuante di quelle labbra roventi che gli percorrono la pelle.

«…mentre invece ciò che ci siamo detti, ciò che sentiamo l’uno per l’altra, le nostre affinità…non contano nulla?»

La dolce tortura si ferma e l’uomo apre gli occhi, ritrovandosi quelli ambrati di Elyn che lo interrogano pungenti come spilli.

«Dimmelo, voglio sentirti dire cosa pensi del nostro rapporto» gli intima lei perentoria serrando ancora di più le gambe attorno al bacino del compagno.

«Certo che tutto quello che hai detto significa moltissimo per me. Credo che il legame che abbiamo stretto vada oltre la fisicità, tuttavia…mi rendo conto che anche questo aspetto conti»

La donna avvicina il proprio volto a quello di Xaver senza interrompere il contatto visivo.

«Lascia decidere a me chi trovo attraente, così come chi voglio o non voglio amare»

Xaver ha un sussulto, quella rivelazione spontanea ed inaspettata era tutto ciò che aveva bisogno di sentire. Sapere di essere desiderato da Elyn è un balsamo per il sentimento di inadeguatezza che lo accompagna da sempre.

«Sbaglio o hai appena detto che mi ami?»

«Chissà…magari te lo sei immaginato. O forse parlavo con Gunne» ribatte lei con un sorrisetto sghembo.

«Anche io ti amo» ricambia Xaver con altrettanto ardore, prima di stringersi nuovamente a lei nel desiderio di non lasciarla mai andare.





 
               ∞●∞●∞●∞●∞●∞●∞●∞●∞●∞●∞●∞●∞●∞●∞●∞●∞●∞●∞●∞●∞●∞●∞●∞●∞●∞●∞●




 
Settembre 834


Quella mattina Xaver non si sente molto in forma.

Una strana sensazione gli pesa sullo stomaco, diversa dalla leggera nausea che lo accompagna i primi minuti dopo il cambio di corpo.

Ciononostante è felice di poter rivedere Elyn così presto; è trascorsa appena una settimana dall’ultimo viaggio, una circostanza altrettanto inusuale ma è un dettaglio su cui sorvola senza pensarci troppo. L’orologio sulla scrivania segna solo le sei eppure dalla finestra vede il cortile già affollato di soldati indaffarati come tante formichine. Molti sono intenti a caricare delle pesanti casse su alcuni carri, altri affilano le lame e controllano le attrezzature con grande attenzione.


Prima che possa chiedersene il motivo la porta della stanza si apre facendolo sussultare.

«Gunne ho dato un’occhiata al progetto della formazione e urge un cambio di programma. Oltre a Robert, Selka e Finn avrai in squadra due reclute altrimenti il nostro settore nell’ala destra avrà meno copertura»

Elyn si ferma a pochi passi da lui e quando realizza che chi le sta sorridendo non è il vero Gunne sul viso le cala un’espressione atterrita.

«…Tom?»

«Credevo saresti stata più felice di rivedermi» ironizza lui andandole incontro.

Ma lei sembra sempre più inquieta.

«No, devi tornare indietro. Non puoi rimanere qui, non oggi»

«Perché scusa?» domanda Xaver perplesso, senza capire il significato di quell’affermazione.

«Oggi dobbiamo uscire dalle mura…»

Lui impallidisce, non è mai capitato che venisse trasportato a Paradis in concomitanza di una missione esplorativa. Non ha la preparazione per svolgere il ruolo di Caposquadra e soprattutto non si sente minimamente in grado di gestire dei sottoposti in situazioni di pericolo.

Estrae dalla tasca dei pantaloni la spilla ed entrambi la fissano ansiosi nella speranza che questa lo ritrasporti indietro.

Ma non accade nulla.

«Non ho scelta. O sbaglio?» il tono dell’uomo è funereo e la domanda retorica perché tutti e due conoscono già la risposta.

«Ascolta, io e Gunne siamo entrambi assegnati all’ala destra quindi staremo insieme tutto il tempo. I membri della tua squadra li hai conosciuti durante gli allenamenti e sono praticamente autonomi, solitamente non necessitano di chissà quali direttive e nel caso per questa volta impartirò io gli ordini»

«Ma se dovessimo imbatterci in qualche gigante… io non ne ho mai affrontato uno…»

«Nelle sessioni di addestramento che abbiamo fatto insieme te la sei sempre cavata discretamente, è vero non eccelli nell’utilizzo del dispositivo ma sei in grado di difenderti e attaccare qualora dovesse presentarsi l’evenienza. Ad ogni modo si tratta di una perlustrazione nei territori vicini che sono già stati epurati dalla maggior parte dei giganti. Vi prenderanno parte solo sessanta soldati, non è una spedizione su lunghe distanze e i pochi titani che avvisteremo verranno abbattuti senza troppe difficoltà. L’importante è che non ci separiamo, resta sempre al mio fianco»

Xaver annuisce in silenzio con sguardo assente.

«Ti ricordi come è organizzata la nostra formazione, giusto? Te lo avevo spiegato un po’ di tempo fa…» domanda Elyn sistemandogli il colletto della camicia.

«Sì…il contingente è suddiviso in tre gruppi: ala sinistra, centrale e destra che si spartiscono il territorio da perlustrare restando però ad una distanza massima di un chilometro l’una dall’altra. La comunicazione tra le parti avviene a mezzo di vedette»

«Perfetto, andrà tutto bene vedrai» mormora lei abbracciandolo, ma sembra stia cercando di rassicurare più sé stessa che lui.

Uno squillo di tromba proveniente dall’esterno indica che è il momento di dirigersi al cancello della città. I due si separano da quel contatto con riluttanza ma quando la donna gli rivolge il suo solito sorriso da folletto Xaver si sente più tranquillo.

Recuperano i propri cavalli dai box e raggiungono gli altri membri della Legione nella piazzola antistante l’edificio principale, sfilando tutti insieme in due colonne ordinate verso il Wall Maria.

Studiando i soldati che lo circondano Xaver si rende conto della grande disparità di sentimenti verso l’imminente missione.

Alcuni sono trincerati in un cupo mutismo, di contro altri chiacchierano animatamente con i compagni o salutano la folla scesa in strada. Altri ancora tengono la testa alta con apparente sicurezza, se non fosse che l’eccessiva forza con cui stringono le redini frantumi tale illusione.

Qualche posizione avanti a sé scorge l’inconfondibile zazzera castana di Robert accanto alla chioma bionda di Selka, entrambi intenti a conversare con naturalezza come li ha visti fare tante volte durante gli allenamenti. Alla destra di Selka c’è Finn, il più giovane della squadra di Gunne nonché dotato di un’infallibile memoria e senso dell’orientamento. Si chiede come quei tre possano avere una tale parvenza di normalità e mentalmente ringrazia non siano vicini a lui che in quel momento invece sta sudando sette camicie.


Il loro incedere per le vie della città è accompagnato dalle affermazioni più disparate bisbigliate dalla gente accalcata ai lati della strada; elogi, commenti di sdegno, frasi compassionevoli.

Xaver si sente più un animale da parata che un soldato.

Elyn gli lancia di sovente occhiate per accertarsi del suo stato d’animo e lui la conforta come può, ma la tensione gli cresce sempre di più in petto chiudendogli la gola.
La colonna di cavalieri si ferma davanti al cancello principale in attesa che i genieri del Corpo di Guarnigione aprano l’immenso portone che li separa dal mondo esterno.
La campana del municipio batte il primo rintocco e nell’aria cala un silenzio spettrale che gela il cuore a Xaver. Tra l’affanno e le martellate del proprio cuore impazzito riesce a distinguere il clangore delle catene che con infinita lentezza spalancano il cancello.
Quando anche l’eco dell’ultimo rintocco sfuma nell’etere il Comandante grida l’ordine di avanzare ed in un turbinio di polvere e scalpitare di zoccoli il contingente supera le mura, cavalcando nel verde delle immense praterie.


La luce del sole sembra più abbagliante lì fuori e l’aria odora di fresco, tanto che Xaver riesce a cogliere quel desiderio di libertà tanto caro ad Elyn. I nervi si distendono ed anche le spalle sembrano meno pesanti, permettendogli di rilassare la presa sulle briglie.

Al segnale del Comandante i militari si schierano secondo la formazione abituale, dividendosi in tre gruppi. Xaver segue Elyn nell’ala destra composta da quattro squadre che poi avanzeranno accoppiate in due unità.

Procedono in linea retta tra quel verde senza fine per circa mezz’ora, quando da un vicino boschetto emerge la figura sgraziata di un titano che inizia a correre verso di loro.

«Caposquadra Gunne! Classe sette metri in avvicinamento da sud-est!» grida Robert affiancandosi a Xaver.

«Lascia che me ne occupi io» lo anticipa Elyn risoluta e fa un cenno ad una sottoposta «Alicia, con me!»

Con un colpo di redini le due soldatesse sterzano prontamente in direzione del grottesco essere che appena le individua accelera ancora di più la propria andatura, agitando convulsamente le braccia in aria.

Il cuore di Xaver freme di paura nell’assistere alla scena.

Le donne caricano il nemico frontalmente a tutta velocità come se fossero due arieti pronti a sfondare le porte della cittadella.

Quando solo pochi metri le separano dal gigante e quest’ultimo scatta in avanti per afferrarle loro deviano la traiettoria per evitarlo. Prima che il titano si giri sparano i rampini conficcandoli all’altezza di quei polpacci che paiono colonne di granito, quindi danno di gas tranciandone i tendini con un colpo secco.
Il mostro lancia un latrato di dolore e si rovescia a terra prono, sollevando una nube di polvere massiccia quanto la sua mole.
È quindi la volta dei deltoidi, che recisi fanno afflosciare gli arti superiori proprio come ad una marionetta a cui vengono spezzati i fili. Mentre l’umanoide si dimena furiosamente Elyn è già pronta a scagliarsi sulla nuca che lui involontariamente le offre, ponendo fine allo scontro con un fendente chirurgico.


In un istante i gorgoglii cessano e le soldatesse sono già in sella sane e salve.

Xaver non sa se è più la paura di quell’incontro indesiderato ad averlo frastornato oppure le superbe abilità di combattimento di Elyn. L’aveva già osservata durante alcune sessioni di allenamento ma quella è la prima volta che la vede in azione sul campo di battaglia.

«Ottimo lavoro!» esclama l’uomo rivolgendosi ad entrambe.  

«Ci vuole ben altro per fermarci» risponde lei facendogli l’occhiolino, senza alcun accenno di paura in volto.

«Ho consumato troppo gas, vero Caposquadra?» domanda Alicia alle loro spalle in tono affranto.

È una cara ragazza, segue Elyn come un’ombra ascoltando con ammirazione tutto ciò che ha da insegnarle. Ormai anche Xaver si è affezionato a lei ed ha imparato a riconoscere la tenace grinta celata dietro quel volto angelico spruzzato di lentiggini.   


«Hai tardato a tirare le redini quindi ti è servita più pressione per coordinarti a me nell’esecuzione della manovra… ma non colpevolizzarti, sono accorgimenti che si imparano con l’esperienza» la rinfranca Elyn.

«La ringrazio Caposquadra! Farò tesoro di questo consiglio»

Xaver contempla di nascosto il profilo aguzzo di Elyn pensando a quanto è fortunato ad averla come compagna, un’anima tanto bella che il solo udirla parlare scalda il cuore.

La colonna procede indisturbata sotto un cielo che si fa sempre più plumbeo ed al quale si aggiunge un sensibile calo della temperatura.
Xaver nota che la situazione non sembra piacere ai soldati, tantomeno ad Elyn che si guarda attorno con aria inquieta.


«Qualcosa non va?» le domanda.

«Stiamo cavalcando da troppo tempo senza avvistare giganti e non abbiamo ancora ricevuto comunicazioni dalle vedette dell’ala centrale. Ho un brutto presentimento»

«Ma non avevi detto che si tratta di una zona già ripulita dai giganti?»

«Infatti è così» ribadisce la donna «tuttavia è insolito non imbattersi in qualche esemplare proveniente da altri territori… sono creature che si spostano continuamente»

Un violento acquazzone si rovescia improvvisamente su di loro con il frastuono di un’impetuosa cascata, tanto che in pochi secondi sono già tutti fradici da capo a piedi. 

«Maledizione!» urla Elyn cercando di farsi sentire sopra lo scrosciare della pioggia ed il rombo dei tuoni «così non va, la comunicazione è compromessa e abbiamo perso di vista le squadre di Keith e Frances»

«Dobbiamo trovare subito un riparo!» le fa eco Xaver schermandosi il viso dai goccioloni che per le violente raffiche di vento hanno l’effetto di dolorose frustate.

«Se non ricordo male procedendo in questa direzione dovremmo incontrare una foresta a meno di un chilometro!» grida Finn controllando la bussola.

«Caposquadra non si vede niente!» urlano altri sottoposti spaventati.

Un nitrito inaspettato annuncia la comparsa di un militare alla sinistra della formazione.

«Il contingente centrale è sotto attacco da un gruppo di esemplari giunti da Sud Ovest! Dovete subito venire in aiuto» li informa il cavaliere.

«Come è possibile che le vedette dell’ala sinistra non abbiano dato l’allarme?!» chiede Elyn arrestando l’avanzata.

Il soldato china il capo e l’acqua gli ruscella copiosamente dal cappuccio.

«Non esiste più alcuna ala sinistra…è stata la prima ad essere annientata»

Quella rivelazione gela il sangue a tutti i presenti ma è nuovamente la donna a prendere in mano la situazione.

«Presto, facci strada!»

Al posto della pioggia battente una fitta nebbia ostacola adesso il loro incedere, il vapore si leva alto dalla terra e l’aria è satura di umidità rendendo sempre più concreta l’angoscia di essere travolti da un’orda di giganti. Sul terreno zuppo d’acqua si iniziano a distinguere pozze di sangue e cadaveri gettati al suolo come pupazzi inerti. Xaver scavalca all’ultimo secondo una sagoma scura, a prima vista scambiata per un grosso ramo e rivelatasi invece una gamba amputata.

La vedetta all'improvviso fa segno di arrestarsi e fare silenzio.

Xaver attorno a sé non distingue altro che un biancore lattiginoso, un’atmosfera da incubo.

In mezzo a quelle nubi però il suo orecchio coglie un rumore raccapricciante, un masticare vorace, di gusto, unito a rantoli disperati.

I peli gli si rizzano sulla nuca mentre attende insieme ai compagni che la bruma si diradi, permettendo loro di agire in maggior sicurezza.


Quando il paesaggio si fa meno appannato i contorni di tozze figure, i numerosi giganti che continuano imperterriti a maciullare militari ancora agonizzanti, si delineano davanti ai loro sguardi atterriti.

Non c’è più nessuno da salvare ed ora rischiano di diventare le nuove prede di quei mostri.

Ad una rapida conta sono circa dodici esemplari contro i dieci membri delle squadre di Elyn e Gunne.

Anche ammesso che il resto dell’ala destra arrivi in soccorso rimangono comunque troppi da affrontare in campo aperto, soprattutto in quelle condizioni metereologiche.


Avvertendo l’odore del sangue i cavalli nitriscono e subitamente le teste dei giganti scattano nella loro direzione. Abbandonano a terra il resto di quel macabro pasto che per loro ormai ha perso attrattiva e corrono incespicando nel fango, la lingua a penzoloni come un branco di bestie affamate.

«Non c’è tempo! Abbattiamoli qui o ci inseguiranno!» ordina Elyn con voce ferma.

Uno sfiatare di molteplici bombole segue il suo comando, solo Xaver non è in grado di muovere un muscolo.

«Gunne! Con me!» lo afferra lei per la manica trascinandolo verso un piccolo classe quattro metri.

Ci pensa Elyn a rendere inoffensivo l’avversario in modo che Xaver, recuperata sufficiente lucidità, possa misurarsi con le proprie capacità compiendo la sua prima, seppur un po’ impacciata, uccisione.

«Bravo!» lo incoraggia «aiuta come puoi e cerca di non esporti troppo! Occupati piuttosto degli esemplari più piccoli»

Al cenno di assenso di lui Elyn saetta verso un classe sette metri che sta dando filo da torcere a due reclute.

Xaver non saprebbe dire quanto a lungo si protragga lo scontro, sa solo che la stanchezza sta inesorabilmente prendendo il sopravvento fendente dopo fendente, scatto dopo scatto. Cerca come può di rispondere alle richieste di aiuto dei compagni che divengono sempre più numerose e disperate.

I piedi scivolano sul terreno fangoso privandolo di un solido appoggio e rallentando i suoi movimenti proprio quando i secondi si fanno più che mai preziosi.

Il picchiettare costante della pioggerella sembra scandire il tempo come le lancette di un macabro orologio.

Ben presto si accorge che le perdite umane sono purtroppo maggiori di quelle avversarie e pochi sono i militari ancora in grado di tenere testa ai giganti.

«Caposquadra Gunne!» grida Robert disperato mentre due giganti lo sovrastano.

Xaver si affretta a raggiungerlo facendosi largo tra la calca della battaglia e chiedendosi dove sia finita Selka, dal momento che lei e Robert fanno parte della stessa formazione di combattimento.


«Abbatti il più piccolo!» ordina al sottoposto mentre lui stesso si lancia verso l’altro esemplare, un classe cinque metri con la testa decisamente sproporzionata rispetto al resto del corpo.

Appena entra nel campo visivo del gigante questi spalanca la bocca in un inquietante sorriso ed allunga subito le braccia per afferrarlo, ma Xaver mulina le proprie spade riuscendo a troncargli alcune dita delle mani. Mentre l’essere si divincola con urla bestiali lo scienziato ne arpiona le tozze cosce dando prontamente di gas per ferirlo all’inguine. Nonostante i tagli siano troppo superficiali per recidere i muscoli il dolore che provocano è sufficiente a far perdere l’equilibrio al mostro.

Finalmente Xaver ha un buon accesso alla nuca, se non fosse che nell’attimo in cui le spade affondano nella carne realizza di aver commesso un grossolano quanto grave errore.

Nella foga si è dimenticato di sostituire le lame il cui filo, ormai usurato per la sua scarsa perizia di combattimento, ha perso efficacia di taglio.

L’acciaio termina la propria corsa incastrandosi nel collo del gigante ed annullando così la manovra d’attacco.

Xaver nel panico, accecato dal vapore che ha iniziato a sfiatare dalla ferita, strattona con forza le impugnature riuscendo a recuperarne una prima che su di lui cali l’enorme mano del titano.
 
È il provvidenziale intervento di Robert a salvarlo da morte certa con un colpo secco che recide il polso del mostro.
 
Poiché non c’è più tempo per provare a liberare l’altra impugnatura ed essendo questa strettamente connessa al sistema di manovra, Xaver si trova a dover compiere una scelta estrema. Mentre Robert mantiene concentrata su di sé l’attenzione del gigante, sgancia il cassone destro del dispositivo lasciandolo appeso alla carne del titano per mezzo di rampino e spada.
 
Privo di impedimenti può quindi svincolarsi da quella schiena rovente atterrando maldestramente nel fango.
 
Prima di ingaggiare nuovamente battaglia si affretta a sostituire la lama rovinata e nota con la coda dell’occhio un oggetto rotondo vicino a sé. Nel metterlo a fuoco si rende conto con orrore che si tratta della testa mozzata di Selka. Gli occhi vitrei lo fissano spalancati e quella splendida chioma bionda di cui tanto andava fiera è ora imbrattata di sangue e sudiciume.

Xaver reprime a fatica un conato ed è solo l’urgenza di aiutare Robert a dare stabilità alle sue gambe tremanti.

 
Il sistema di manovra ormai squilibrato gli impedisce di tentare un nuovo assalto al collo e nonostante il sottoposto sia riuscito ad azzoppare il gigante, questi non accenna a demordere.
 
«Robert!» grida a pieni polmoni attirando l’attenzione del ragazzo «continua a distrarlo poi al mio segnale lanciati sulla nuca!»

Sfruttando quel diversivo spara il rampino nella pancia del titano e sfiata la bombola prendendo sempre più velocità.

«ADESSO!» urla prima di squarciare l’addome del mostro. Una massa fumante e viscida si riversa a terra, seguita dal corpo dell’umanoide sul quale si abbatte immediatamente Robert ponendo fine allo scontro.

«C-caposquadra, Sel-selka è…» lo informa il soldato con una voce in cui l’affanno dato dal combattimento e la sofferenza per la perdita dell’amica si fondono in un lamento che spezza il cuore.

«Lo so…mi dispiace» risponde mestamente Xaver poggiandogli una mano sulla spalla. È un gesto rapido, di misero conforto, ma in quel contesto è tutto ciò che si possono permettere.  

Robert annuisce asciugandosi il naso con la manica della giacca. In una smorfia di dolore distoglie lo sguardo dal punto in cui giace il cadavere di Selka.

«Caposquadra il suo dispositivo, deve sostituirlo immediatamente! Le coprirò io le spalle»

«Adesso ne recupero un altro, tu pensa ad aiutare chi è in difficoltà. Possiamo ancora farcela non restano molti giganti»

«Agli ordini!»

«Robert» lo richiama Xaver prima che il soldato si lanci nuovamente nella mischia «la riporteremo a casa, avrà la sepoltura che merita te lo prometto. Tutti loro l’avranno»

Il volto del ragazzo assume un’espressione di pura gratitudine e senza dire una parola gli risponde battendo il pugno destro sul cuore. Quel momento dura pochissimi secondi ma la sua portata è talmente intensa che sembra quasi fermare il tempo, una minuscola bolla di silenzio in mezzo al frastuono della battaglia.

Poi il miraggio si dissolve e Robert è già impegnato in un nuovo combattimento.


Xaver scandaglia rapidamente l’area con lo sguardo, la prospettiva di sganciare il dispositivo da uno dei tanti cadaveri che lo circondano lo frena ma sa di non avere alternativa.

Ne trova uno ancora in buone condizioni, lo stesso non si può dire invece per il suo possessore; a giudicare dal volto infantile con un minimo accenno di barba non doveva avere neppure vent’anni.

Come la maggior parte di quei soldati è solo un ragazzino.

È di fronte a tale scenario che a Xaver monta una rabbia viscerale, un odio verso il Governo di Marley che alimenta quello sterminio inviando sull’isola gli Eldiani trasformati in giganti. Maledice le smanie di conquista della nazione ed il progetto della Squadra Speciale che condanna ragazzini ad uccidere altri ragazzini.
Eppure è soprattutto sé stesso che detesta perché anche lui fa parte di quello stesso esercito d’oltremare, anche lui addestra futuri soldati per una guerra fratricida.

Mentre si lascia trascinare dalle proprie considerazioni improvvisamente una voce familiare catalizza la sua attenzione spazzando via come una folata di vento ogni altro pensiero.

Nel voltarsi vede Elyn fronteggiare da sola un classe nove metri che si sta portando alla bocca Alicia.

La ragazza ha appena il tempo di emettere un grido disperato prima che le fauci del gigante si chiudano sul suo bacino. La metà inferiore del corpo scivola nello stomaco dell’immondo essere mentre l’altra precipita nel fango accompagnata da un copioso fiotto di sangue.


Il titano si concentra allora sul suo prossimo boccone avventandosi famelico su Elyn, la quale lo accoglie spiccando il volo a lame sguainate.

Xaver rinuncia a sostituire il dispositivo e si getta in suo aiuto, una scelta le cui conseguenze lo tormenteranno per sempre.

Gli arti estremamente lunghi del gigante impediscono ad Elyn di mirare immediatamente alla nuca, costringendola a tenersi a debita distanza per evitare di venire afferrata.

Per agevolarle l’attacco Xaver decide allora di replicare la tecnica utilizzata poco prima con Robert ma il gigante in questione si rivela per sua sfortuna più agile del precedente. Così quando il rampino si conficca nella carne del titano quest’ultimo assesta una potente manata all’uomo che, in mancanza dell’altra metà del dispositivo di manovra, non può evitare il colpo e viene scaraventato al suolo.

L’impatto lo stordisce ed è colto da violente vertigini che lo paralizzano.


«TOM! Vattene da lì!» si leva forte la voce di Elyn ma lui non può ubbidire a quell’ordine finché il mondo che lo circonda non smette di girare.

Il gigante pregustando quella facile preda protende gli arti per afferrarlo ed è a quel punto che la donna può assestare il proprio fendente alla nuca. Le lame ormai completamente consumate si spezzano in una pioggia di schegge, per quanto il colpo inferto riesca comunque a mandare al tappeto l’avversario.

«Tom, sei tutto intero?» domanda Elyn accostandosi immediatamente al compagno. Gli prende il volto tra le mani esaminandolo attentamente e nota una ferita sanguinolenta alla tempia, per fortuna non un taglio profondo.

«Sì, adesso almeno riesco a stare in piedi…anche se mi sembra di essere ubriaco» risponde lui con la voce impastata.

«Segui il mio dito con lo sguardo» gli intima seria muovendo l’indice davanti agli occhi e Xaver ubbidisce.

Constatando che non sembrano esserci, almeno in apparenza, danni cerebrali Elyn tira un sospiro di sollievo.

«Sei stato un cretino, cosa pensavi di fare con l’attrezzatura ridotta a quel modo?»

«Volevo solo aiutarti» ammette l’altro sorridendole fiacco.

Talmente presi dal proprio dialogo i due non danno importanza ai gorgoglii emessi dal gigante a pochi metri da loro ed ignorano che la carcassa non stia evaporando come accadrebbe dopo un abbattimento.

Se Elyn prima di correre da Xaver avesse verificato l’effettiva uccisione, si sarebbe infatti accorta che il colpo non era stato letale poiché aveva solo sfiorato il cuore della nuca.


Quando la mano del gigante striscia sul terreno attirando finalmente l’attenzione della donna è ormai troppo tardi per sfuggire all’inevitabile.

Le enormi dita si stringono attorno al suo corpo sollevandola da terra sotto lo sguardo sgomento di Xaver.


Mentre il titano si rimette mollemente in piedi l’uomo aziona il rampino accorgendosi però che questo, probabilmente a causa dell’urto di poco prima, si è inceppato.

Un rumore orrendo di ossa frantumate accompagnato dalle urla di dolore di Elyn manda in panico Xaver, che in una mossa disperata si ferisce il braccio con la spada.

L’amara verità non tarda a palesarsi, perché quello non è il suo vero corpo e quindi non è in grado di trasformarsi.


Nessuno può correre in loro aiuto e così, con le urla strazianti della compagna che gli rimbombano nelle orecchie, si fionda contro il gigante insistendo forsennatamente sul grilletto nel tentativo di sbloccarlo. Finalmente il meccanismo scatta ed il rampino si conficca proprio nell’occhio del mostro, seguito dalla lama che ne dilania la gola.

Il titano letteralmente accecato dal dolore lascia cadere a terra la propria prigioniera ed entrambi impattano al suolo con un tonfo sordo.

Xaver getta uno sguardo disperato in direzione del corpo immobile di Elyn, ben consapevole di non poterla aiutare prima di aver ultimato l’uccisione.

Rilancia l’arpione sul dorso del mostro agonizzante, dà fondo al gas che gli rimane e schizza a tutta velocità sulla nuca. Con tutta la forza di cui è capace sferra l’ultimo colpo tranciandola di netto.

Il cadavere non fa in tempo ad evaporare che Xaver è già chino su Elyn, riversa supina nel suo stesso sangue.

Un rivolo cremisi le cola dalla bocca e la gamba è ruotata in una posizione innaturale, la gabbia toracica deformata da quella presa stritolatrice.

Non serve essere medici per capire che nemmeno un miracolo potrebbe salvarla.

Le si accosta tremante e quando la donna si accorge della sua presenza spalanca le palpebre e lo cerca con la mano. Xaver incapace di proferire parola gliela stringe singhiozzando, abbracciandole il busto per sostenerla.
Gli occhi della soldatessa ricoperti da un velo acquoso rotearono senza meta prima di soffermarsi su di lui.


«R-resta con me Tom…ti prego»

L’uomo si paralizza, avvertendo un ferro rovente calare lunga la propria gola. Deglutisce dolorosamente sforzandosi di vincere l’ustionante resistenza che i muscoli gli oppongono.

«Non vado da nessuna parte, tesoro» sussurra, sperando che quel sangue che tinge l’erba dello stesso colore dei capelli di Elyn si porti via ogni dolore, risparmiandole atroci sofferenze.

«Come brilla il sole… c-come quel giorno al lago…» ansima la donna con una voce flebile che si spegne ad ogni parola.

Tom segue la traiettoria di quello sguardo appannato, ritrovandosi anche lui a fissare un cielo che in realtà non può essere più grigio e dove il sole è coperto da nubi gonfie di pioggia.

«Hai ragione» asserisce sforzandosi di ricacciare indietro le lacrime «ti ricordi quanto ci siamo divertiti, solo io e te?»

L’altra annuisce debolmente, l’esile corpo sempre più pesante e la mente ormai lontana da quello spiazzo infernale.

«Tom… finalmente vedo il mare…è così bello. T-ti aspetterò qui» mormora con il respiro ridotto a rantoli.

Gli occhi di Xaver si inondano di lacrime mentre si china per posare un ultimo bacio su quelle labbra già fredde.

«Va bene, aspettami dove vuoi. Ti amo Elyn»

Un sorriso si congela sul volto pallido e sugli occhi ambrati cala il vacuo oblio della morte.

Rimangono aperti a fissare assenti l’immenso cielo sopra di loro, lo specchio della libertà tanto agognata che non avrebbero mai contemplato.

Tom si trattiene dal serrarle le palpebre, forse perché la vastità di quell’orizzonte solcato dalle nubi gli sembra preferibile alle tenebre eterne.

Sente un dolore immane come se gli avessero cavato il cuore dal torace, la stringe a sé ancora più forte e rimane a piangere a dirotto mentre pesanti gocce di pioggia ricominciano a cadere.

La squadra di Keith lo troverà in quella stessa posizione un’ora dopo, fradicio e con lo sguardo spento, il corpo di Elyn ancora tra le braccia.
   
 
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<  
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti / Vai alla pagina dell'autore: J Stark