Che
cos’è un’anima?
È una
notte fredda e tranquilla.
Matt siede sul bordo del tetto, in ascolto. È pronto a
scattare, se ci fosse
bisogno di lui, ma non crede succederà. Non è
quel tipo di notte.
Inclina la testa
per
distinguere meglio i passi leggeri alle sue spalle. Li riconosce,
così come il
battito e il profumo della nuova arrivata: è già
la terza volta che la donna
senza nome lo trova, dopo un primo incontro casuale alle prese con un
borseggiatore in un vicolo di Hell’s Kitchen. Matt non si
gira.
“Sei
di nuovo qui.”
La donna si
siede accanto a
lui sul tetto, non troppo vicina. “Non sai chi
sono,” afferma come se fosse una
risposta logica alla sua osservazione.
Matt piega la
testa
dall’altro lato, incuriosito. “Dovrei?”
Un sospiro.
“Sembra lo
sappiano tutti.”
“Non
sono bravo con i
volti.” La sua voce, in effetti, potrebbe averla
già sentita. In televisione, forse;
non riesce ad associarle un nome, ma è certo di non averla
incontrata dal vivo
prima dello scontro nel vicolo. La sconosciuta ha un battito
estremamente
regolare, controllato in qualsiasi situazione. È difficile
leggerla, e Matt ne
è intrigato.
Lei scuote la
testa. “Mi
piace che tu non lo sappia.”
“Perché?”
Il volto della
donna resta
puntato sulla città e per un attimo Matt crede che non
risponderà. Lo fa,
invece, in un sussurro talmente basso che non sa se qualcuno senza
super-udito
sarebbe in grado di coglierlo. Pensa di no.
“Neanch’io
so chi sono.”
Il suo battito
non tradisce
alcuna menzogna.
*
“Ho
provato a riportarla indietro.”
Qualcuno
la sta chiamando. Non sa chi sia. Non sa neanche
dov’è… Un luogo caldo.
Confuso. Non vede o percepisce nulla, se non la chiamata insistente di
qualcuno
che potrebbe aver conosciuto in un’altra vita.
Improvvisamente,
ha freddo. Apre gli occhi. Persone. Tante persone.
La guardano.
Una
di loro, un uomo con in mano un arco, le corre incontro.
“Nat,” chiama
implorante. “Pensavo… Nat…”
“Кто?”
L’uomo
si ferma. “Nat? Sei
confusa? Certo, certo, dopo che…”
Lei scuote la
testa.
Comprende la lingua dell’uomo, anche se non è la
sua. Chiude gli occhi e prova
a ricordarla. Sa di conoscerla. “Chi?” ripete.
“Chi… sono?”
Chi è
lei, chi sono loro?
La sua mente
è piena di
informazioni, ma nessuna di esse è sulle persone che ora la
circondano. Nessuna
è su di lei. Non sa chi è,
non sa nemmeno dove fosse prima di apparire
in una stanza che non le dice nulla. Sente il suo cuore accelerare i
battiti
mentre l’enormità di ciò che le manca
diviene più evidente.
“Nat.”
La voce dell’uomo si
spezza.
Poi il mondo
esplode.
Dopo la
battaglia – ha
scoperto che lottare è puro istinto, per lei, e le riesce
fin troppo bene
ferire – ha accettato di lasciare che l’uomo verde
la esaminasse.
Analisi del
sangue,
risonanze magnetiche. Si sottopone a tutto, sperando di ottenere le
risposte
che le mancano.
L’esito
è… insoddisfacente.
“Non
ricordi davvero nulla?
Nomi, persone, un animale che ti piace?”
Scuote la testa.
L’uomo
verde si lascia
ricadere sulla sedia. “Non c’è una
spiegazione medica per la tua perdita di
memoria, il tuo cervello è perfettamente funzionale.
È come se tornando tra i
vivi avessi perso un pezzo, ma le gemme dell’infinito non
sono un concetto che
comprendo a pieno. Forse dovremmo chiedere a Thor.”
L’altro
uomo presente nella
stanza, Clint, scuote la testa. È lui il primo che le si
è rivolto, quando è
apparsa. Era incredulo e sollevato, allora. Adesso appare solo rassegnato.
“Un’anima
per un’anima,” scandisce. Suona
arrabbiato. “Quel maledetto custode ha
detto così. L’hai riportata indietro,
eppure… eppure Nat non c’è
più. Non c’è.
L’ho persa.” Oh, non è rabbia. Amarezza
e lutto: sono emozioni che conosce in
modo distante, ma le viene intuitivo identificarle.
“Non
è colpa tua, Clint.”
“Tu
non c’eri, Bruce, avrei
dovuto— Ma no, nessuno poteva fermare Nat.”
Nat.
È così che la chiamano,
gli uomini che dicono di esserle amici. Di conoscerla.
Non crede che
mentano, ma
lei non è la donna di cui parlano. Sa di non esserlo.
Chi sia
è un’altra
questione, una a cui non ha ancora trovato risposta.
*
Un’anima…
per un’anima.
“Credi
nelle anime?”
Matt richiude il
cellulare –
la polizia arriverà a minuti, devono muoversi – e
lo ripone in tasca, prima di
voltarsi verso la donna. L’incontra almeno una notte a
settimana, ormai, e
spesso lei lo segue negli scontri. Parlano anche, un po’ di
tutto, ma la
domanda di stanotte non è una che si aspettasse. Le fa un
cenno per farle
capire che devono andare, parleranno dopo, e scatta verso la scala
antincendio
più vicina.
Poco
più tardi, sono su un
tetto a tre isolati di distanza dal vicolo in cui la polizia sta
arrestando due
criminali già convenientemente storditi. Matt piega la
testa, concentrando
i suoi sensi sul resto di Hell’s Kitchen, ma non sente nulla
che richieda la
sua attenzione.
Si siede,
incrociando le
gambe. “Parlavi di anime?”
La donna lo
imita, sedendosi
di fronte a lui. Matt avverte l’aria spostarsi per il suo
cenno d’assenso, ma
poco dopo lei aggiunge anche a voce: “Sì. Credi
nella loro esistenza?”
È una
domanda strana, ma non
difficile. “Sono cattolico.”
La donna piega
la testa e
Matt si chiede che tipo di sguardo gli stia riservando.
“Io
non ne ho una.”
Matt inarca un
sopracciglio
sotto la maschera. È vero che non sa neanche il nome della
sua compagna, ma
dopo tutte le notti passate insieme sente di conoscerla almeno un
po’. Non gli
è mai sembrata il tipo di persona che si lascia divorare dai sensi di colpa. In effetti, il modo in cui
ha appena dichiarato di non avere un’anima è fattuale,
privo d’emozione. Almeno in
apparenza.
“Tutti
ne hanno una.”
“La
mia l’ho persa.”
Ancora, la donna
non mente,
o il suo corpo non rilascia segnali che Matt possa interpretare in tal
senso. È
davvero convinta di aver perso la sua anima, qualsiasi cosa voglia dire.
“Come?”
“L’ho
scambiata per un sasso
arancione.”
Prima che Matt
possa pensare
di chiedere altro, la donna scatta in piedi e corre via nella notte.
Poco dopo,
uno sparo rimbomba a due isolati da lì. Matt scaccia la
curiosità e Daredevil
risponde alla città che esige il suo protettore.
*
“Non
sono tua sorella.”
“Sei
Natasha Romanov.”
“Lo
sono?”
Yelena non
risponde subito.
Sostiene il suo sguardo a lungo, come a cercarvi la verità,
ma non è in lei che
può trovarla. “Lo eri. Chi sei ora, non lo
so.”
Yelena si volta
e corre via.
Lei non sa se sia un comportamento normale – è
sempre stato il tipo che scappa,
la sorella di Natasha, o è più il tipo che resta
e combatte?
Forse non ha
importanza.
Clint non le
volta le
spalle. Insiste per portarla a casa, dove sono sua moglie e i suoi
figli. Uno
di loro porta il suo nome – il nome del suo passato
– e questo dovrebbe farle
sentire qualcosa, immagina. Nella sua mente c’è il
solito bianco.
“La
tua migliore amica è
persa, Clint. Non so nulla di lei, se non quello che mi dite
voi.”
“Sei
sempre tu, Nat. Con o
senza ricordi. Non sei sola.”
Clint non le
volta le
spalle, ma lei vede i suoi sguardi. La sua presenza gli fa male, forse
più di
quanto gli faccia bene. Non può piangere la morte di Natasha
se il suo fantasma
si aggira per casa.
Se ne va lei,
con un breve
saluto a Laura. Lei sembra capirla.
Chissà
se era un tipo che
scappa, Natasha? Dalle storie che ha sentito, direbbe di no.
I racconti
sbagliano, a volte
– forse non questa.
New York, San
Francisco, Los
Angeles – non fa differenza.
Ovunque vada,
c’è sempre
qualcuno che la riconosce, qualcuno che la ringrazia.
Lei non ha
salvato nessuno.
Natasha Romanov
è morta, al
suo posto c’è solo il prezzo pagato per salvare
tutti gli altri.
*
“Sai
che cosa si prova
quando tutti pensano tu sia qualcuno che non sei?”
Matt non esita
prima di
annuire. È una sensazione fin troppo familiare, e non deriva
solo dagli
sconosciuti che vedendo occhiali e bastone decidono abbia bisogno di
aiuto per
tutto.
Si volta verso
la donna,
come se volesse guardarla. Nello scontro di poco prima, uno dei
criminali l’ha
riconosciuta e ha sibilato un nome tra i denti. Se ora chiede, lei
scapperà
via?
“Chi
sei?”
Il suo battito
accelera,
forse per la prima volta da quando la conosce.
“Sono
il fantasma di una
sorella. Sono il fantasma di un’amica. Sono il fantasma di
un’assassina e di
un’eroina.” Fa una pausa. Il suo cuore torna al
ritmo regolare di sempre. “Sono
un’ombra che si trova meglio a parlare e lottare al fianco di
un vigilante che
circondata da persone che dicono di amarla.”
Hanno raggiunto
il tetto del
suo condominio. Matt muove un passo verso la porta d’accesso
al suo
appartamento. È un po’ ormai che riflette sulla
possibilità di rivelarsi alla
donna misteriosa. Un segreto per un segreto, forse?
“Non
sei Natasha Romanov.” Sente
il cuore della donna saltare un battito.
Matt
non sa molto degli Avengers o di come siano riusciti a riportare
indietro metà
universo, però conosce la donna che lo affianca ormai da
mesi, senza mai
rivelare niente di più di quel che vuole. Conosce la donna
che gli si è mostrata per gradi, un indizio qui e uno lì, come se
lasciarsi vedere intera
fosse una debolezza da evitare. Lei gli piace, e questo gli basta.
Ha preso la sua
decisione.
Non sa molto di ciò che hanno fatto gli Avengers, ma pensa
che forse sta per
scoprirlo. Apre la porta, poi si volta verso di lei e accenna un
sorriso. “Vuoi
raccontarmi perché?”
NdA
Intanto, grazie
per aver
letto!
E grazie a
Sofifi per avermi
aiutata e supportata durante la stesura 💙
Il tema della
perdita della
memoria come alternativa alla morte mi incuriosisce da quando
l’ho incontrato in
una delle mie opere preferite, di cui non menziono il titolo
perché sarebbe
spoiler. È molto che avrei voluto scrivere qualcosa a
riguardo, e curiosamente
l’occasione per rifletterci mi è arrivata dalla To
Be Writing challenge di
Bellaluna. Il tema di novembre era Fix-it/Canon divergence.
Mi è stata
suggerita la possibilità di aggiustare la morte di Natasha,
e la mia reazione è
stata: sì, ma come? Uccidendo Clint al suo posto? (No.)
Mandando qualcun altro
a morire su Vormir? E chi? Insomma, avevo scartato l’idea
perché, per quanto mi
piacerebbe avere Natasha viva, non saprei come toccare la sua morte.
Ore dopo, mi
è venuta l’idea
di farla portare indietro da Bruce… ma non senza
conseguenze. Sono arrivata a
questa fic, insomma. Non la definirei una fix-it della morte di
Natasha, vista
la direzione che ho adottato, in compenso nella mia testa aggiusta un
altro dei
miei rimpianti per il MCU: il fatto che Natasha e Matt non si siano mai
incontrati.
Spero che questa
storia
abbia senso anche per qualcuno che non sono io, a me sicuramente
è piaciuto
scriverla. Grazie per aver letto fin qui! Vi lascio il mio profilo Ao3, dato che alcune storie marvel le posto solo lì.
Alla prossima,
Mari