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Autore: Mari Lace    21/11/2022    8 recensioni
E se Bruce usando le gemme fosse riuscito a riportare indietro Natasha... o parte di lei?
Il volto della donna resta puntato sulla città e per un attimo Matt crede che non risponderà. Lo fa, invece, in un sussurro talmente basso che non sa se qualcuno senza super-udito sarebbe in grado di coglierlo. Pensa di no.
“Neanch’io so chi sono.”
Il suo battito non tradisce alcuna menzogna.

[La storia partecipa alla Challenge "To Be Writing 2022" indetta da Bellaluna ed è candidata agli Oscar della Penna 2024 indetti sul forum Ferisce la penna.]
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri, Clint Barton/Occhio di Falco, Laura Barton, Natasha Romanoff/Vedova Nera, Yelena Belova
Note: What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Che cos’è un’anima?

 

È una notte fredda e tranquilla. Matt siede sul bordo del tetto, in ascolto. È pronto a scattare, se ci fosse bisogno di lui, ma non crede succederà. Non è quel tipo di notte.

Inclina la testa per distinguere meglio i passi leggeri alle sue spalle. Li riconosce, così come il battito e il profumo della nuova arrivata: è già la terza volta che la donna senza nome lo trova, dopo un primo incontro casuale alle prese con un borseggiatore in un vicolo di Hell’s Kitchen. Matt non si gira.

“Sei di nuovo qui.”

La donna si siede accanto a lui sul tetto, non troppo vicina. “Non sai chi sono,” afferma come se fosse una risposta logica alla sua osservazione.

Matt piega la testa dall’altro lato, incuriosito. “Dovrei?”

Un sospiro. “Sembra lo sappiano tutti.”

“Non sono bravo con i volti.” La sua voce, in effetti, potrebbe averla già sentita. In televisione, forse; non riesce ad associarle un nome, ma è certo di non averla incontrata dal vivo prima dello scontro nel vicolo. La sconosciuta ha un battito estremamente regolare, controllato in qualsiasi situazione. È difficile leggerla, e Matt ne è intrigato.

Lei scuote la testa. “Mi piace che tu non lo sappia.”

“Perché?”

Il volto della donna resta puntato sulla città e per un attimo Matt crede che non risponderà. Lo fa, invece, in un sussurro talmente basso che non sa se qualcuno senza super-udito sarebbe in grado di coglierlo. Pensa di no.

“Neanch’io so chi sono.”

Il suo battito non tradisce alcuna menzogna.

 

*

“Ho provato a riportarla indietro.”

 

Qualcuno la sta chiamando. Non sa chi sia. Non sa neanche dov’è… Un luogo caldo. Confuso. Non vede o percepisce nulla, se non la chiamata insistente di qualcuno che potrebbe aver conosciuto in un’altra vita.

Improvvisamente, ha freddo. Apre gli occhi. Persone. Tante persone. La guardano.

Una di loro, un uomo con in mano un arco, le corre incontro. “Nat,” chiama implorante. “Pensavo… Nat…”

“Кто?”

L’uomo si ferma. “Nat? Sei confusa? Certo, certo, dopo che…”

Lei scuote la testa. Comprende la lingua dell’uomo, anche se non è la sua. Chiude gli occhi e prova a ricordarla. Sa di conoscerla. “Chi?” ripete. “Chi… sono?”

Chi è lei, chi sono loro?

La sua mente è piena di informazioni, ma nessuna di esse è sulle persone che ora la circondano. Nessuna è su di lei. Non sa chi è, non sa nemmeno dove fosse prima di apparire in una stanza che non le dice nulla. Sente il suo cuore accelerare i battiti mentre l’enormità di ciò che le manca diviene più evidente.

“Nat.” La voce dell’uomo si spezza.

Poi il mondo esplode.

 

 

Dopo la battaglia – ha scoperto che lottare è puro istinto, per lei, e le riesce fin troppo bene ferire – ha accettato di lasciare che l’uomo verde la esaminasse.

Analisi del sangue, risonanze magnetiche. Si sottopone a tutto, sperando di ottenere le risposte che le mancano.

L’esito è… insoddisfacente.

“Non ricordi davvero nulla? Nomi, persone, un animale che ti piace?”

Scuote la testa.

L’uomo verde si lascia ricadere sulla sedia. “Non c’è una spiegazione medica per la tua perdita di memoria, il tuo cervello è perfettamente funzionale. È come se tornando tra i vivi avessi perso un pezzo, ma le gemme dell’infinito non sono un concetto che comprendo a pieno. Forse dovremmo chiedere a Thor.”

L’altro uomo presente nella stanza, Clint, scuote la testa. È lui il primo che le si è rivolto, quando è apparsa. Era incredulo e sollevato, allora. Adesso appare solo rassegnato. “Un’anima per un’anima,” scandisce. Suona arrabbiato. “Quel maledetto custode ha detto così. L’hai riportata indietro, eppure… eppure Nat non c’è più. Non c’è. L’ho persa.” Oh, non è rabbia. Amarezza e lutto: sono emozioni che conosce in modo distante, ma le viene intuitivo identificarle.

“Non è colpa tua, Clint.”

“Tu non c’eri, Bruce, avrei dovuto— Ma no, nessuno poteva fermare Nat.”

Nat. È così che la chiamano, gli uomini che dicono di esserle amici. Di conoscerla.

Non crede che mentano, ma lei non è la donna di cui parlano. Sa di non esserlo.

Chi sia è un’altra questione, una a cui non ha ancora trovato risposta.

 

*

Un’anima… per un’anima.

 

“Credi nelle anime?”

Matt richiude il cellulare – la polizia arriverà a minuti, devono muoversi – e lo ripone in tasca, prima di voltarsi verso la donna. L’incontra almeno una notte a settimana, ormai, e spesso lei lo segue negli scontri. Parlano anche, un po’ di tutto, ma la domanda di stanotte non è una che si aspettasse. Le fa un cenno per farle capire che devono andare, parleranno dopo, e scatta verso la scala antincendio più vicina.

Poco più tardi, sono su un tetto a tre isolati di distanza dal vicolo in cui la polizia sta arrestando due criminali già convenientemente storditi. Matt piega la testa, concentrando i suoi sensi sul resto di Hell’s Kitchen, ma non sente nulla che richieda la sua attenzione.

Si siede, incrociando le gambe. “Parlavi di anime?”

La donna lo imita, sedendosi di fronte a lui. Matt avverte l’aria spostarsi per il suo cenno d’assenso, ma poco dopo lei aggiunge anche a voce: “Sì. Credi nella loro esistenza?”

È una domanda strana, ma non difficile. “Sono cattolico.”

La donna piega la testa e Matt si chiede che tipo di sguardo gli stia riservando.

“Io non ne ho una.”

Matt inarca un sopracciglio sotto la maschera. È vero che non sa neanche il nome della sua compagna, ma dopo tutte le notti passate insieme sente di conoscerla almeno un po’. Non gli è mai sembrata il tipo di persona che si lascia divorare dai sensi di colpa. In effetti, il modo in cui ha appena dichiarato di non avere un’anima è fattuale, privo d’emozione. Almeno in apparenza.

“Tutti ne hanno una.”

“La mia l’ho persa.”

Ancora, la donna non mente, o il suo corpo non rilascia segnali che Matt possa interpretare in tal senso. È davvero convinta di aver perso la sua anima, qualsiasi cosa voglia dire.

“Come?”

“L’ho scambiata per un sasso arancione.”

Prima che Matt possa pensare di chiedere altro, la donna scatta in piedi e corre via nella notte. Poco dopo, uno sparo rimbomba a due isolati da lì. Matt scaccia la curiosità e Daredevil risponde alla città che esige il suo protettore.

 

*

 

“Non sono tua sorella.”

“Sei Natasha Romanov.”

“Lo sono?”

Yelena non risponde subito. Sostiene il suo sguardo a lungo, come a cercarvi la verità, ma non è in lei che può trovarla. “Lo eri. Chi sei ora, non lo so.”

Yelena si volta e corre via. Lei non sa se sia un comportamento normale – è sempre stato il tipo che scappa, la sorella di Natasha, o è più il tipo che resta e combatte?

Forse non ha importanza.

 


Clint non le volta le spalle. Insiste per portarla a casa, dove sono sua moglie e i suoi figli. Uno di loro porta il suo nome – il nome del suo passato – e questo dovrebbe farle sentire qualcosa, immagina. Nella sua mente c’è il solito bianco.

“La tua migliore amica è persa, Clint. Non so nulla di lei, se non quello che mi dite voi.”

“Sei sempre tu, Nat. Con o senza ricordi. Non sei sola.”

Clint non le volta le spalle, ma lei vede i suoi sguardi. La sua presenza gli fa male, forse più di quanto gli faccia bene. Non può piangere la morte di Natasha se il suo fantasma si aggira per casa.

Se ne va lei, con un breve saluto a Laura. Lei sembra capirla.

Chissà se era un tipo che scappa, Natasha? Dalle storie che ha sentito, direbbe di no.

I racconti sbagliano, a volte – forse non questa.


 

New York, San Francisco, Los Angeles – non fa differenza.

Ovunque vada, c’è sempre qualcuno che la riconosce, qualcuno che la ringrazia.

Lei non ha salvato nessuno.

Natasha Romanov è morta, al suo posto c’è solo il prezzo pagato per salvare tutti gli altri.

 

*

“Sai che cosa si prova quando tutti pensano tu sia qualcuno che non sei?”

Matt non esita prima di annuire. È una sensazione fin troppo familiare, e non deriva solo dagli sconosciuti che vedendo occhiali e bastone decidono abbia bisogno di aiuto per tutto.

Si volta verso la donna, come se volesse guardarla. Nello scontro di poco prima, uno dei criminali l’ha riconosciuta e ha sibilato un nome tra i denti. Se ora chiede, lei scapperà via?

“Chi sei?”

Il suo battito accelera, forse per la prima volta da quando la conosce.

“Sono il fantasma di una sorella. Sono il fantasma di un’amica. Sono il fantasma di un’assassina e di un’eroina.” Fa una pausa. Il suo cuore torna al ritmo regolare di sempre. “Sono un’ombra che si trova meglio a parlare e lottare al fianco di un vigilante che circondata da persone che dicono di amarla.”

Hanno raggiunto il tetto del suo condominio. Matt muove un passo verso la porta d’accesso al suo appartamento. È un po’ ormai che riflette sulla possibilità di rivelarsi alla donna misteriosa. Un segreto per un segreto, forse?

“Non sei Natasha Romanov.” Sente il cuore della donna saltare un battito. Matt non sa molto degli Avengers o di come siano riusciti a riportare indietro metà universo, però conosce la donna che lo affianca ormai da mesi, senza mai rivelare niente di più di quel che vuole. Conosce la donna che gli si è mostrata per gradi, un indizio qui e uno lì, come se lasciarsi vedere intera fosse una debolezza da evitare. Lei gli piace, e questo gli basta.

Ha preso la sua decisione. Non sa molto di ciò che hanno fatto gli Avengers, ma pensa che forse sta per scoprirlo. Apre la porta, poi si volta verso di lei e accenna un sorriso. “Vuoi raccontarmi perché?”

 

 

 

 

 

 

 

NdA

Intanto, grazie per aver letto!

E grazie a Sofifi per avermi aiutata e supportata durante la stesura 💙

Il tema della perdita della memoria come alternativa alla morte mi incuriosisce da quando l’ho incontrato in una delle mie opere preferite, di cui non menziono il titolo perché sarebbe spoiler. È molto che avrei voluto scrivere qualcosa a riguardo, e curiosamente l’occasione per rifletterci mi è arrivata dalla To Be Writing challenge di Bellaluna. Il tema di novembre era Fix-it/Canon divergence. Mi è stata suggerita la possibilità di aggiustare la morte di Natasha, e la mia reazione è stata: sì, ma come? Uccidendo Clint al suo posto? (No.) Mandando qualcun altro a morire su Vormir? E chi? Insomma, avevo scartato l’idea perché, per quanto mi piacerebbe avere Natasha viva, non saprei come toccare la sua morte.

Ore dopo, mi è venuta l’idea di farla portare indietro da Bruce… ma non senza conseguenze. Sono arrivata a questa fic, insomma. Non la definirei una fix-it della morte di Natasha, vista la direzione che ho adottato, in compenso nella mia testa aggiusta un altro dei miei rimpianti per il MCU: il fatto che Natasha e Matt non si siano mai incontrati.

Spero che questa storia abbia senso anche per qualcuno che non sono io, a me sicuramente è piaciuto scriverla. Grazie per aver letto fin qui! Vi lascio il mio profilo Ao3, dato che alcune storie marvel le posto solo lì. Alla prossima,

Mari

  
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