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Autore: Nymeria90    25/11/2022    0 recensioni
Questa storia prosegue il filone narrattvo di "La fine è il mio inizio".
"Sono il prodotto del mio passato, Vega, il risultato di scelte giuste e di scelte sbagliate. Senza di esse non sarei la donna che sono ora: il comandante in grado di portare sulle spalle il sacco dei dolori del mondo. Senza quegli errori non sarei Shepard e, forse, la galassia sarebbe spacciata. Se tornassi indietro cento volte, Vega, per novantanove volte rifarei le stesse scelte.
-E la centesima?-
Sasha gli rivolse uno strano sorriso, a metà tra malizia e tristezza - La centesima sceglierei di essere felice.-"
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Comandante Shepard Donna
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Cadde per così tanto tempo che pensò lo avrebbe fatto per sempre.
Udì delle voci mentre precipitava in quel vuoto senza fondo. Qualcuno urlava, sentì dei singhiozzi e delle bestemmie. Sprazzi di luce le ferirono gli occhi. Stava accadendo qualcosa di spaventoso e terribile. 
Qualcosa che aveva pregato non succedesse mai più: da qualche parte, nell’infinto universo, la stavano riportando in vita.
Kaidan … pensò, disperata … lo hai promesso.
Ma Kaidan, forse, era morto.
La sua schiena impattò al suolo senza preavviso e si sentì mozzare il fiato.
Molto distante sentì l’eco di un macchinario che fischiava, voci concitate e poi … il gorgoglio di un ruscello e il cicaleccio degli insetti.
Alle narici le arrivò il profumo di erba e resina. 
Aprì gli occhi e fu abbagliata dalla luce del sole.
Il sollievo fu tale che scoppiò in lacrime.
Affondò le dita nell’erba umida, aggrappandosi alla morte come non aveva mai fatto con la vita.
Rimase a lungo distesa in quel prato, ad osservare le nuvole rincorrersi nel cielo, restia a proseguire il suo cammino di redenzione poiché adesso temeva che, una volta giunta alla fine, non ci sarebbe stato per lei alcun riposo.
Qualcosa la colpì sulla fronte e sussultò, rizzandosi a sedere. Si asciugò gli occhi e si guardò intorno, mentre l’istinto della guerriera prendeva il sopravvento. Non c’era nessuno.
Di nuovo qualcosa di piccolo e duro la colpì, questa volta tra le scapole. Frugò tra l’erba alla ricerca del proiettile e trovò una piccola ghianda. Con la coda degli occhi scorse un movimento tra gli alberi e scattò in piedi, accorgendosi, dalla leggerezza dei suoi movimenti, di non avere più indosso l’armatura. 
Indossava una camicia a scacchi e un paio di jeans con l’orlo sfilacciato che cadeva morbido sugli scarponi da montagna. 
Il paesaggio che la circondava era bello da togliere il fiato. Si trovava in una grande prateria, circondata dalle vette frastagliate di montagne sconosciute. Un ruscello gorgogliava placidamente tra l’erba alta e macchie di alberi salivano lungo i pendii che la circondavano. 
Si accorse di essere assetata e, per un attimo, dimenticò l’attacco delle ghiande e si precipitò al ruscello per bere ampie sorsate di acqua cristallina.
Questa volta la ghianda le colpì il dorso della mano.
-Chi sei? Fatti vedere!- gridò, rompendo la quiete di quel luogo.
Un’ombra si mosse tra gli alberi che delimitavano la radura, a est, e subito corse in quella direzione.
Si addentrò nel bosco, incurante dei rami che le sferzavano la faccia, guidata dal miraggio di una figura umana che si lasciava seguire senza farsi mai raggiungere.
Infine si trovò davanti ad incantevole laghetto dalle acque smeraldo. Lì si ergeva una semplice baita di pietra.
Quel luogo era molto simile, constatò con sorpresa, al rifugio di Ash.
Mentre elaborava quel pensiero la porta della baita si aprì in un silenzioso invito.
Sasha indugiò sulla soglia, come sull’orlo di un precipizio. Quando infine trovò il coraggio di entrare capì di aver tentennato per nulla. La baita era così piccola che le bastò uno sguardo per capire che era deserta, eppure c’erano occhi che la fissavano.
Lungo tutte le pareti erano appesi dei disegni tracciati con pezzi di carbone su fogli ingialliti.
Vide lo schizzo di una nave, inconfondibile nella sua forma affusolata, che fronteggiava la terribile sagoma di un Razziatore. In un altro la Cittadella veleggiava sopra il Big Ben, aperta come un fiore appena sbocciato.
E poi c’erano i volti. Tanti da sentirsi in soggezione. Alcuni erano appena abbozzati, altri così dettagliati da sembrare fotografie.
I volti di Ash e Jack si ripetevano spesso, come se l’artista non riuscisse a fare a meno di disegnarle. 
Ma, tra tutti, Sasha riconobbe il disegno più bello, così curato da sembrare reale, a cui erano stato aggiunto il rosso dei capelli e il verde degli occhi. Per un attimo pensò di trovarsi davanti a uno specchio, poi, con una punta di amarezza, realizzò di non essere mai stata tanto bella.
Lo sciabordio dell’acqua l’attirò fuori. Seduto su uno dei massi che puntellavano la riva, un uomo lanciava sassi nell’acqua.
Era di spalle, ma Sasha non ebbe difficoltà a riconoscerlo.
Sentì le gambe tremare: il suo ultimo ricordo risaliva al giorno in cui le era morto tra le braccia.
Si avvicinò con passo incerto, mordendosi le labbra per soffocare i singhiozzi.
Le larghe spalle erano strette in una giacca di pelle, i capelli erano corti, quasi rasati, e, accanto a sé aveva una bottiglia di vodka.
Non si voltò a guardarla nemmeno quando gli si sedette accanto.
Sbirciò il suo profilo, affilato come quello di un’aquila. La sua espressione era indecifrabile, ma la sua figura severa le trasmetteva un inaspettato stato di angoscia. 
-Alex …- sussurrò, non sapendo cos’altro dire.
Ciò che provava, la vergogna e la gioia, il sollievo e il terrore, la disperazione e la meraviglia, era così caotico e confuso da lasciarla stordita, incapace di riprendere il controllo delle sue emozioni.
Lui non si mosse.
-Alex …- ripeté, terrorizzata da quel silenzio. – Sono qui. Sono Sasha. Ti …- il cuore le martellava nel petto - … ti ricordi di me?-
Fu allora che lui la guardò.
Nell’azzurro di quegli occhi le parve di annegare.
-Ho sognato questo giorno, l’ho desiderato ardentemente, ma adesso …- una smorfia di dolore gli attraversò il viso – come posso gioire per la tua morte?-
E Sasha capì che ciò che aveva scambiato per rabbia era dolore.
Gli prese una mano, e a quel tocco entrambi sussultarono, come se una scarica elettrica li avesse attraversati e Sasha sgranò gli occhi quando vide ciò che lui era davvero.
In quel luogo, fuori dal tempo e dal mondo, le anime non appartenevano ad una vita solamente, condensavano in un’unica forma tutto ciò che erano state.
E quell’uomo non era solamente l’Alexander che aveva conosciuto, morto di una morte ingiusta su Akuze. Era il comandante Shepard che sarebbe diventato se il fato, quel fatale giorno di tanti anni prima, non avesse scelto di darle la possibilità di mostrare il suo valore.
Erano le due facce di una stessa medaglia che lì, dove non esistevano regole e il concetto di impossibile perdeva di senso, finalmente diventavano una.
Quando aveva incontrato il suo clone l’aveva chiamata sorella o gemella. Ma adesso era diverso.
Alex e Sasha erano molto più di una replica dei corpi: erano anime gemelle, nel senso più letterale del termine.
Loro erano il comandante Shepard.
Con un sussulto di orrore e di ammirazione, Sasha ripercorse la vita di quel comandante. Delle sue scelte a volte uguali, a volte completamente diverse dalla sua. Percepì con una punta di insensata gelosia l’amore travolgente che aveva provato per Jack e quello, più profondo e insondabile, per Ashley.
Poi vide la sua fine. E non riuscì a trattenere un grido strozzato quando vide ciò che aveva fatto e ciò che era diventato.
Tremò e allontanò la mano quando, finalmente, tutto fu chiaro.
-Tu …- sussurrò - … tu hai creato tutto questo.-
La figura di Alex s’increspò, come un riflesso nell’acqua e vide attraverso di lui la vastità di quell’universo di cui era dio e schiavo.
Scegliendo il controllo lui era diventato … altro e quello non era il luogo del suo riposo.
-Sì. – mormorò – L’ho costruito, pezzo dopo pezzo, da quando sono diventato … quello che sono. Ho vagato tra le dimensioni, scoprendo universi dove il flusso delle nostre esistenze proseguiva lungo binari diversi ma uguali. I nostri passi si sono talvolta sfiorati, spesso intrecciati, e poi, inevitabilmente divisi. Non esiste un mondo, nemmeno il più lontano e remoto, in cui siamo riusciti ad invecchiare insieme. Così l’ho creato. Ma speravo … speravo che la tua vita mortale potesse essere più lunga.-
-La mia vita mortale era solo una farsa. –
-Non sminuire in questo modo le persone che ti amano, quello straordinario equipaggio che ora piange la tua morte. Tu non sei mai stata il mio rimpiazzo. Tu sei Shepard, quanto lo sono io.-
Ricordò le parole dell’Intelligenza, quando, a bordo del Catalizzatore aveva fatto la sua scelta.
“Lui avrebbe scelto il Controllo.”
“Lui era un eroe” aveva risposto prima di sparare al cuore di quel mostro “Io sono un essere umano.”
Sospirò – Perché lo hai fatto?-
Lui abbassò lo sguardo – Perché non ho mai posseduto il tuo coraggio. Perché dopo aver sacrificato tutta la mia squadra su Akuze, non mi sembrava giusto sacrificare altri solo per poter riposare in pace. E così mi sono condannato a questo eterno tormento. Costretto ad esistere fino alla fine del tempo. –
Lei si coprì il viso con le mani -Alex … loro avrebbero capito. Nessuno ha mai preteso questo da noi. Questa galassia non ha mai meritato tanto.-
Le mani di lui le presero le sue, abbassandole così da poterla guardare – Non me ne pento. Ho potuto creare tutto questo, ho potuto rivedere te. Altrimenti sarei morto pensando di averti persa per sempre. Qui in questo crocevia tra i mondi ci siamo ritrovati.-
-A quale prezzo, Alex?-
-Qualunque sia il prezzo io sono disposto a pagarlo. È questo ciò che tu non hai mai capito: è sempre stata una mia libera scelta. Ciò che è accaduto nel nostro passato, i sacrifici compiuti, non sono stati una tua volontà, ma la mia. Io ho sempre scelto te. Io sceglierò sempre te, anche a costo di bruciare l’universo. –
Avrebbe dovuto dirgli che era folle, che non era ciò che voleva e altre idiozie perbeniste che, in fondo, reputava ridicole. Ma le era chiaro che, in quel luogo, esisteva solo la verità.
E la verità era che quelle parole la riempivano di smisurato orgoglio.
Era stata un’orfana rifiutata e scartata, poi un soldato con lo stigma della reietta ed infine l’eroe a cui non era concessa nemmeno la misericordia della morte. La galassia si era presa da lei tutto, dandole in cambio solo nuovo dolore. 
Di fronte all’abnegazione, totale e assoluta di Alex, finalmente scoprì il suo valore.
Non era la forza delle sue braccia o la scaltrezza della sua mente. Non era l’autorità o il grado sulla sua divisa. Non era il rispetto degli alieni o l’onore di essere il primo Spettro umano. 
Agli occhi di quell’uomo null’altro contava se non lei, spogliata di titoli e gradi, allontanata dall’aura di leggendario eroismo che la circondava, privata di quel nome che aveva cambiato la storia.
Alexander amava Sasha: non il comandante Shepard, solo Sasha.
Si mossero l’uno verso l’altra, guidati dalla medesima urgenza.
Le labbra si unirono, avide, in un bacio che sapeva di meraviglia. E per quanto fosse cosciente, in un angolo della sua mente, che nulla fosse reale, le parve di essere tornata finalmente alla vita.
Non la pallida imitazione cui Cerberus l’aveva costretta, ma vera vita, fatta di risate e sogni e magnifica spensieratezza.
I muscoli di Alex tremavano sotto le sue dita, la sua lingua era calda nella sua bocca, le guance ispide le graffiavano la pelle.
Non aveva idea di dove si trovasse, nel tempo e nello spazio, e non le interessava. Erano due amanti che infine si ritrovavano. Non importava come né quando.
Sdraiati nell’erba verde accanto al laghetto si amarono e, per la prima volta dal giorno del loro primo incontro, non ebbero altro pensiero che quello.

Le stelle erano diverse da come le ricordava. 
Non era il cielo che aveva contemplato da ragazza, quando saliva sul tetto di quell’edificio malconcio che aveva chiamato casa.
Non era nemmeno il cielo scuro e infinito contro cui aveva urlato tutto il suo dolore, su Akuze, stringendo tra le braccia il corpo straziato del suo unico amore.
E non c’era traccia, in quelle stelle così luminose, degli astri cangianti e talvolta velati che contemplava sdraiata sul suo letto a bordo della Normandy SR2. Era un cielo che non aveva mai visto, diverso da tutti quelli che conosceva.
-Quanto tempo, Alex?- domandò con un filo di voce – Quanto è passato dal giorno in cui hai scelto il controllo?-
Sentì le sue dita disegnarle il contorno del viso, come avevano disegnato il ritratto appeso nella casupola – Secondi, o forse millenni. Io non lo so. A volte sento ancora le mie dita bruciare mentre le stringo attorno alle barre di energia che mi hanno vaporizzato, altre volte non ricordo nemmeno cosa significhi avere un corpo. Immagino che il concetto di tempo sia relativo. – lo sentì sospirare – Io sono l’uomo che morì su Akuze, tra le tue braccia. E sono l’uomo che divenne comandante della Normandy, l’unico sciagurato superstite di un attacco di Divoratori, e che guidò il suo equipaggio di reietti in folli missioni per salvare la galassia dalla mietitura. E sono anche … molte altre vite. È come se … come se la mia anima fosse stata strappata in mille brandelli, sparpagliata tra i mondi e che qui, finalmente, si sia ricomposta.-
Sasha si accigliò, cercando dentro di sé la sensazione che lui descriveva. Ma non aveva altre memorie se non quelle che ricordava di aver vissuto – Io … io ricordo un’unica vita.-
Lui le posò un lieve bacio sulla guancia – Tu hai scelto la fine, mentre io ho scelto l’eternità. Non cercare risposte troppo grandi per entrambi.-
Si drizzò a sedere, guardandosi intorno – Come hai creato questo posto? E i nostri amici … li hai portati tu qui?-
Lui le accarezzò la schiena nuda – Non esattamente. Tu li hai portati qui. Io ho costruito questo … universo, ma era vuoto, prima che arrivassi tu. Sei stata tu a dargli un senso e a riempirlo. Lo hai trasformato in una specie di … anticamera.-
-Per cosa?-
-Per quello che c’è dopo. Io non posso saperlo. Non sono morto.-
-Non capisco.-
Lui si drizzò al suo fianco, posandole il capo sulla spalla – Un muratore costruisce un edificio: stende le fondamenta, alza i muri, posa il tetto e dipinge le pareti, ma non è altro che un ammasso di mattoni e calce. È la persona per cui è stato fatto che gli darà un senso e lo trasformerà in quello che vuole: un teatro, un ufficio, un tempio … una casa. Questo abbiamo fatto, tu ed io: abbiamo creato un luogo in cui ritrovare ciò che credevamo perduto. Tu avevi bisogno di rivedere quelle persone un’ultima volta, per congedarti, scusarti o fare ammenda, per queste le hai portate qui. Per poter riposare in pace.-
-E tu? Tu non vuoi incontrarli?-
Sentì la tensione percorrergli il corpo – No. Non sarei loro di conforto. Diventerei il loro peggiore rimpianto. Non mi hanno mai chiesto questo sacrificio, eppure l’ho fatto, perché credevo di non avere altra scelta. Non sarebbe giusto affliggere i loro ultimi istanti con la pena del mio eterno destino.-
-E allora perché io sono qui?-
Alzò gli occhi su di lei, così azzurri che ci si sarebbe potuta specchiare – Perché in un istante del mio eterno vagare ho desiderato qualcosa per me. Chiamalo egoismo o dolore o follia. Mentre mi struggevo per la mia eterna condizione, ho cercato tra i meandri delle mie infinite esistenze il più luminoso dei ricordi e mi è apparso il tuo viso.-
Il disegno, pensò Sasha, era l’unico con dei colori.
-E così, ebbro di felicità, ti ho chiamata a me, ma sapevo che, senza un mondo fisico cui ancorarti, non saresti stata che un’ombra di una vita sbiadita.- sorrise tristemente –Poiché è questo che fanno gli dèi: creano mondi per non essere più soli.-
Lo fissò, con una punta di timore – Tu sei … un dio?-
Lui ridacchiò – Che cos’è un dio? Io esisto, in ogni luogo e in ogni tempo. Ho memoria di tutte le vite che ho vissuto e di tutte le morti di cui sono morto. Sono eterno e onnisciente, ma non onnipotente. Posso giocare coi sogni e sussurrare parole nel vento o confondere le mie lacrime con la neve, ma ho distrutto le mie armi, i Razziatori, quando ho cominciato a bramare di usarli per poter tornare in quel mondo da cui sono irrimediabilmente disgiunto. Questo fa di me un dio?-
Sasha strinse le labbra – Questo fa di te un dannato.-
Alex l’attirò a sé, asciugandole lacrime che non si era accorta di aver versato – Ma io, ora, sono benedetto.-
-Rimarrò qui.- affermò, decisa – Con te, per sempre.-
-No, amor mio. Mai ti condannerei a questo. Il mio supplizio è sufficiente. Tu hai pagato abbastanza.-
-Ma io voglio restare! Non ti posso abbandonare.-
L’espressione di Alex s’intenerì, come di fronte a una bambina che non vuole che la sua infanzia abbia mai fine. Le accarezzò i capelli – Abbiamo parlato fin troppo di cose terribili.- si alzò e le porse la mano -Vieni. La cena è pronta e il vino versato. I massimi sistemi dell’universo possono aspettare. Il nostro destino può aspettare. Questa notte ti voglio solo amare.-
Lei si alzò e lo attirò a sé -Non solo questa notte, Alex. Promettimi che invecchieremo insieme.-
Negli occhi azzurri di Alex passò un lampo e Sasha intravide un minuscolo frammento di  ciò che lui era diventato: eterno, infinito, immortale. Per un istante, rapido come un battito del cuore, ne ebbe paura.
Poi lui la baciò e tutto fu dimenticato. 
Io sono tua, e tu sei mio
Per l’eternità.

Spalancò gli occhi, rantolando e sbavando, il petto che si sollevava frenetico, il battito del cuore impazzito nelle orecchie, incapace di muoversi, paralizzata e terrorizzata.
Qualcuno si chinò su di lei, una mano le accarezzò il viso e le tolse la maschera d’ossigeno che la soffocava. Udì parole indistinte e poi la luce artificiale che inondava la stanza.
Vide un soffitto di metallo.
Udì il ronzio dei macchinari.
Sentì l’odore dei disinfettanti.
E urlò, con tutto il fiato che le era rimasto. Urlò, maledicendo la galassia intera. 
Urlò il suo orrore per essere di nuovo viva.
  
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