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Autore: Persefone26998    25/11/2022    0 recensioni
"...ci sono più parole in quella lingua fatta di mani e di sguardi di quante potresti mai trovarne scritte su tutti i libri della casa di Denha"
Kavetham nata dalle "cuffie" che Al-Haitham porta e che ispirano l'anima angst che c'è in me; tema: la disabilità in ambito accademico e relazionale... e ovviamente, gli screzi dei nostri amati Casa Vianello
Genere: Angst, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi | Personaggi: Altri
Note: Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Da dove vieni le stagioni seguono un corso diverso da Teyvat, con estati che possono durare generazioni nel ribollire del loro calore mordente e inverni ricoperti di neve lunghi quanto la distanza tra la volta celeste punteggiata di stelle e il fondo delle vie sotterranee del Chasm; su Teyvat tutto ha una regolarità circolare che ti fa girare la testa, come se il tempo si divertisse a inghiottire se stesso per provare il brivido della propria autodistruzione e le stagioni, o quello che potresti definire tale in quell’oroboro vivente, si rincorrono con la cadenza dei tocchi di una campana. Il clima stesso dei luoghi in cui sei stato sembra una grande ruota, sole e pioggia si rincorrono come lancette di un orologio, calore e freddo si alternano nelle terre in cui la fine sabbia, i picchi nevosi o le rocce scoscese sembrano fingere di essere padroni in quel gioco.
Non sapresti dire esattamente cosa ti dia così tanto quel senso di perfezione che si mangia nel suo ripetersi, forse è che nelle vicende dei tuoi viaggi tutto è diventato la grande ruota del samsara nell’oscillazione tra passato e presente; forse è che sta cominciando a diventarti stretta quella continua rincorsa del tuo gemello in un mondo che pare fatto come la ruota della gabbietta di un criceto. O forse è che le strade di Sumeru City sono così circolari da farti girare la testa mentre cerchi il tetto di mattoncini bianchi e la porta rossa che Cyno ti ha detto essere la casa di Al-Haitham.
Ti eri attardata troppo quella mattina nelle commissioni che la Gilda ti aveva presentato sul piatto, ma ti eri fatta tentare dalla ricompensa stranamente alta per quelle che sembravano delle mansioni da facchino, non ci avevi neanche fatto davvero caso alla locazione, soprattutto con la voce tipicamente entusiasta di Paimon a trillarti nelle orecchie; voce che si era trasformata in una lamentela continua da quella mattina, da quando vi eravate ritrovate a dovervi spostare in un punto assurdamente remoto del deserto, e che continuava a ferirti le orecchie anche ora che le luci della città si accendevano come piccole lucciole mentre il sole si tuffava tra le montagne dietro di voi.
- Credo sia quella!
L’entusiasmo di Paimon è come l’ennesima stilettata nel mal di testa che ti percuote le orecchie, per quanto tu voglia bene alla tua piccola amica in certi momenti vorresti poter diventare sorda alla sua voce; era stato un puro caso che vi foste ritrovate davanti alla porta rossa dello Scriba quella sera, invece che al bancone di Katherine a raccogliere il frutto delle vostre fatiche, un puro caso che aveva la voce di Nahida e il viso del puppet dietro al bancone della Gilda. Eppure, guardando la trapunta di stelle sopra di te, un po’ ti dispiace dover disturbare Al-Haitham a quell’ora tarda della sera, come se il compito che vi ha affidato la piccola Archon non avesse potuto aspettare il giorno dopo; non che sia qualcosa di tanto lontano dalla realtà, la cartelletta azzurra che stringi tra le braccia come il bene più prezioso è la riprova che qualunque cosa ci sia lì dentro è un’urgenza che richiede l’attenzione dell’inufficioso Grande Saggio, ma con la schiena indolenzita e il freddo che ti si arrampica sotto la pelle, non puoi fare a meno di dispiacerti di dover strappare quello che hai imparato a considerare come un tuo amico alle sue ore di riposo.
La prima volta che bussi cade nell’oblio della sera, tra lo scalpiccio dei vicini e l’ultimo canto delle cicale, Paimon accanto a te sembra diventare sempre più inquieta ogni minuto che passa e quasi devi trattenerla per non farla urlare; la seconda volta cominci quasi a pensare che non ci sia nessuno in casa e che devi sembrare proprio inquietante a giudicare dalla vecchina della casa a fianco che ti spia dalla finestra, ma l’emicrania batte troppo sulle tempie per permetterti di fare qualcosa in più del dondolare sullo zerbino dell’altro. E, per quanto non vorresti essere ancora più invadente di quanto tu non sia ora che la sera è già calata e Paimon sta urlando il nome di Al-Haitham come se potesse vederlo comparire da un momento all’altro, forse chiedere alla vicina impicciona non è un’idea così malvagia e potrai finalmente andare a mettere qualcosa tra i denti.
- Guarda che urlare non serve a niente, non può sentirti ora
La voce dietro di te è familiare, ha quella punta di esasperazione e cipiglio divertito che ti è capitato di sentire altre volte, anche se da lontano; non hai mai parlato con Kaveh direttamente, neanche nelle numerose volte che ti è capitato di incrociarlo mentre usciva dall’ufficio dello Scriba sbuffando come una teiera tenuta troppo sul fuoco, o negli spettacoli di Nilou dove i due sembravano più due ombre che due spettatori pur facendo più baccano dei bambini all’ascolto. Quella è letteralmente la prima volta che ti senti rivolgere la parola e non sei neanche sicura che l’altro sappia il tuo nome, neanche quando Paimon spiega animatamente perché siete lì e l’altro vi fa entrare annuendo distrattamente mentre bilancia il sacchetto della spesa sotto braccio.
La loro casa è più piccola di quanto immaginassi, piccola e confortevole e se non fosse per i libri accumulati all’angolo del divano e la tavola invasa da carte millimetrate, l’ambiente sarebbe in un ordine maniacale. È strano come avessi sempre immaginato la casa di Al-Haitham come un luogo freddo e asettico, fatto della stessa spinosità del suo carattere e del grigio dei suoi capelli; non che in realtà ti sia sbagliata così tanto sui colori asettici, tendenti al tortora e al mogano, ma è quella nota di rosso gettato come papaveri in un campo di erica a renderlo accogliente, quelle piccole macchie che sembravano uno spaccato di un pezzo di vita che non avesti mai immaginato dell’altro.
Macchie che sapevano di Kaveh, della sua invasione nel mondo di Al-Haitham, che nel riverbero dl loro contrasto si inseriscono come un perfetto incastro, come se nel mescersi dei loro caratteri fosse possibile raggiungere una sorta di equilibrio che non ti eri aspettata di ricercare tanto; perché se Al-Haitham sa del grigio di una giornata piovosa e del candore pallido della luna, Kaveh sa del rosso infuocato del sole a mezzogiorno, sa dei papaveri sognatori e del sanguigno del suo carattere, sa della perfetta altra faccia della medaglia e, mentre Paimon si guarda attorno quando ti siedi sul divano, il merletto del grembiule bianco crea un’armonia quasi romantica sui suoi vestiti che non assoceresti a nessun altro.
- Dov’è Al-Haitham?
- Spero a letto o gli infilo il lassativo nella zuppa
Dal modo in cui l’altro sta affettando il porro, sei al limite se chiedere cosa abbia causato tanta violenza sul povero ortaggio e il fingere di essere parte integrante dell’arredamento; Paimon, invece, è priva di qualsiasi istinto di autoconservazione e piega appena la testa guardando il coinquilino di Al-Haitham come se gli fosse spuntata una seconda testa biondissima, si fa portavoce dei tuoi pensieri e in alcuni momenti sei grata che non sappia tenere la bocca chiusa.
- Perché?
- Perché?
Dalla finestra aperta dietro le spalle dell’altro riesci a scorgere la vicina che guarda incuriosita, il naso ingobbito spunta appena dietro il bordo della finestra mentre finge di essere intenta ad annaffiare le piante del suo giardino; ti chiedi quanto debba essere ricorrente quella scena per farla sembrare uno spettacolo così accattivante, tanto che l’aria sembra sospesa attorno alla figura ribollente di fastidio del biondo. È strano che con tutto il fracasso che sta producendo nella sua arringa distruttiva, sbraitando e sbattendo malamente i ciocchi di legno all’interno della stufetta per cucinare, i capelli argentei di Al-Haitham non siano ancora apparsi dal corridoio.
- Perché quel buffone arrogante... quella testaccia dura stacanovista, lui e quella sua stupida tracotante saccenza... non sa prendersi neanche cura di se stesso
- Sta male?
- Ha una contusione dietro la testa grande solo quanto la sua faccia tosta e sta lavorando come l’asino che è perché il grande Scriba non sa che significhi riposarsi, lui e i suoi piani stupidamente rischiosi e la sua dannatissima incoscienza
Stringi la cartellina al petto e un po’ ti senti in colpa ad esserti presentata a quell’ora, di non esserti preoccupata che nessun’altro si fosse ferito durante il vostro piano di salvataggio; non che tu ne abbia avuto davvero tempo, costretta a letto per giorni nella casa di Tighnari e presa dal marasma di informazioni che Nahida ti aveva riversato addosso e che non eri sicura di essere riuscita ancora ad elaborare per davvero. Questo non ti scusa, tuttavia, dall’essere in quella stanza in quel momento e dal compito che ti è stato affidato, accettato senza davvero chiederti se fosse rimandabile.
Ti accorgi delle iridi rosse di Kaveh fisse su di te come due fuochi fatui che ballano nell’oscurità, ispezionano incorniciati da sopracciglia aggrottate l’azzurro del contenitore di quei documenti di cui non sai niente; Nahida aveva mormorato qualcosa a bassa voce su un’urgente tratta di risorse dal centro di Sumeru ad Aru Village, ma non eri certa di aver capito a pieno se stesse parlando di materiale scolastico o di risorse umane da impiegare nel piano di ricostruzione di Sumeru. Sai solo che se degli occhi potessero far prendere spontaneamente fuoco agli oggetti, in questo momento tu e quei documenti sareste cenere che si confonde sul divano color ardesia di Al-Haitham; se il fastidio derivi dal motivo per cui ti trovi lì o per la tua stessa presenza, non è qualcosa che puoi identificare a colpo d’occhio, neanche con la consapevolezza di non avere nessun trascorso burrascoso con il biondo.
Soppesi le parole in punta di lingua per non farti scaricare addosso l’irritazione dell’altro, Paimon ti occhieggia in modo strano mentre sembra anche lei a corto della sua solita logorrea.
- È importante
- Lo so, non ce l’ho con te per averli portati, ce l’ho con quello stupido che si metterà a lavorare anche se dovrebbe starsene a letto
L’altro si gira a controllare la zuppa ribollente sul fuoco, le forcine rosse nei suoi capelli per un attimo riflettono la luce della lampada a olio e sembra quasi che quella corona dorata brilli, conferendogli un’aria eterea; e per un folle attimo ti pare di vedere il quella luce il riflesso dei capelli di tuo fratello, il brillio del sole tra le sue ciocche dorate e ti costa uno sforzo immenso ricordare di essere in quella casa, in quella nazione dove tutto si ripete in se stesso e niente è privo di quel senso di deja-vu.
- E poi Loto si sarebbe lamentato fino alla morte e non ho proprio voglia di sentirlo stasera
Kaveh alza il palmo rivolto verso di te e ne schiude le dita in modo circolare, quasi disegnando la delicata corolla dei petali di un loto a mezz’aria, ti sembra quasi che nei suoi gesti si possa vedere la delicata danza di quei fiori sulle acque; c’è una cura tutta particolare nel movimento delle le sue dita, una sorta di dolcezza che contrasta con la testardaggine di quel carattere di cui hai visto ancora troppo poco, come se in un singolo gesto fosse possibile riassumerti un’intera storia da esplorare.
- Loto? Chi è Loto? C’è qualcun altro che abita qui?
Paimon si alza dal cuscino affianco a te e svolazza a mezz’aria, guardando il biondo come se provenisse da un altro mondo; non sai se ridere del cipiglio che le si forma in viso o mantenere la compostezza e dirle, cercando di non ridacchiare più del dovuto, che l’altro si sta riferendo ad Al-Haitham e che forse l’occhiata di sbieco che le rivolge Kaveh non dovrebbe indispettirla al punto da voltare il viso in modo così tanto infantile.
Non che l’altro abbia il tempo di risponderle quando il padrone di casa entra dal corridoio, le gocce che scorrono dalle punte dei suoi capelli ancora bagnati impregnando la maglia di quello che supponi essere il suo pigiama; la conformazione della casa porta Al-Haitham a darvi le spalle entrando nella stanza, ma ti permette di vedere la punta delle sue orecchie, la pelle ancora arrossata dall’acqua calda, e ti sembra quasi di commettere una blasfemia a guardarle con l’abitudine forgiata sulle cuffie che gli hai sempre visto addosso. La voce di Paimon ti picchia il timpano con violenza quando urla il nome del vostro amico, ma l’altro non sembra voler badare a lei e si dirige verso Kaveh, occhieggiando i fornelli con la stessa fiducia che Tighnari darebbe agli avventurieri nella foresta di Avidya; e se non ti sentissi così tanto a disagio nell’aver violato la privacy dell’altro in quel momento, rideresti fino alle lacrime allo sconvolgimento sul viso di Paimon quando l’altro si china a baciare Kaveh e gli sottrae il mestolo dalle dita.
Colpisci debolmente la piccola fatina volante, sussurrandole di chiudere la bocca o finirà a strozzarsi con qualche moscerino, quando ti guarda negheresti fino alla morte di essere arrossita come un melograno maturo; ti senti in colpa a sbirciare quel momento di intimità, un’intrusa di un momento e di un luogo che non ti appartiene, ma la curiosità è nemica del pudore e non saresti neanche in quella casa, in quel mondo se non fossi curiosa: la prima cosa che pensi, è che più che un bacio sembra quasi che Al-Haitham voglia distrarre l’altro e allontanarlo dalla cucina, mentre si appropria di quello spazio e slaccia silenziosamente il grembiule dai fianchi del biondo; la seconda cosa che pensi, e questa forse te l’aspettavi in un certo senso dalle poche volte che hai visto interagire quei due, è il pugno di protesta che Kaveh sbatte sul petto del biondo a quell’azione, il cipiglio infastidito di chi sa perfettamente di essere stato raggirato con un mezzo tanto subdolo.
La terza, e questa puoi dire con certezza che non te la saresti mai aspettata neanche nei tuoi sogni più vividi, è che non avresti mai associato Al-Haitham alla dolcezza del modo in cui lo senti ridacchiare a quel colpo fiacco, alla mano che passa delicata tra i capelli dell’altro per scostarglieli davanti agli occhi al fine di fissarli come se il mondo perdesse di importanza tra quelle sopracciglia aggrottate dal fastidio; non assoceresti mai Al-Haitham alla delicatezza con cui si china a baciare la punta di quel nasino arrossato da un misto di imbarazzo e nervosismo o al modo in cui le sue mani spettinano i capelli di Kaveh per vederlo protestare dal fastidio, prima di girarsi verso i fornelli e muovere le mani in gesti che ti sembrano mortalmente rivelatori in quel momento.
- Al-Haitham!
Il fatto che solo Kaveh si giri a guardare Paimon non è che una riconferma dei puntini che hai appena unito nella tua mente, il biondo sembra quasi infastidito dalla capacità dell’altra di non capire una cosa così semplice anche quando ce l’ha sotto gli occhi; e scopri che anche se consideri Al-Haitham un tuo amico, sai mortalmente poco di lui e senti come se avessi scoperchiato il vaso di Pandora. Non è sconvolgimento, hai attraversato talmente tanti mondi e conosciuto talmente tante persone che avevi sospettato ci fosse qualcosa di più di screzi e convivenza tra di loro, ma è come se nell’essere spettatore inconsapevole della loro intimità fossi diventata complice della violazione di qualcosa di sacro.
- Ma la pixie fluttuante è seria o ha bisogno di un disegno dettagliato?
- Temo sia un difetto di fabbrica
- Ehi! Paimon non è una Ruin difettata
- Stento a crederlo
Paimon mormora qualcosa sull’ingiustizia dell’essere maltrattata da tutti, ma sei troppo incantata a guardare le mani di Kaveh parlare ad Al-Haitham; e c’è più intimità in ogni singolo gesto che l’altro segna, in quella lingua che vorresti poter comprendere per leggere a pieno ogni sopracciglio alzato e ogni smorfia in cui si contrae il viso del biondo, ci sono più parole in quella lingua fatta di mani e di sguardi di quante potresti mai trovarne scritte su tutti i libri della casa di Denha. E forse è la cosa meno circolare che tu abbia mai visto da che hai messo piede in quel mondo, non ha il rintocco dell’ora che vortica su se stessa o la sensazione ridondante delle stagioni, cambia e si trasforma sotto i tuoi occhi come se a condividere quel pezzo dell’universo che è Al-Haitham niente fosse uguale a se stesso, neanche tu; è assurdo come tu ti non ti sia mai sentita più vicina a casa prima di guardarli.
È la prima volta da che sei entrata in casa di Al-Haitham che ti ritrovi i suoi occhi addosso, sono impenetrabili mentre ti scrutano e non sapresti dire se provano fastidio per la vostra presenza o curiosità; non ti ritieni una persona così inabile a leggere le emozioni degli altri, non con tutti i millenni che ti porti sulle spalle, ma Al-Haitham è come il meccanismo intricato di una Ruin Guard, pare qualcosa di così imprevedibile ed estraneo ai tuoi occhi che non sei mai davvero sicura di cosa stia pensando, come un eterno cammino lungo una corda appesa su di uno strapiombo.
China appena la testa al tuo timido saluto in punta di dita e si gira verso Kaveh, parlando quella lingua di cui sei ignorante e che ti affascina ogni secondo di più, Paimon accanto a te sta in silenzio e non sai se ringraziare l’occasione più unica che rara o se fermarti a pensare che la luce nel suo sguardo si riflette in modo davvero strano.
- Nella mia magnanima gentilezza, Loto mi ha chiesto di farvi da traduttore, dato che finché ha i capelli bagnati non può indossare le protesi... si scusa per il fastidio e spera che la masala sia di vostro gradimento, anche se io ne dubito
Al-Haitham osserva attentamente le labbra di Kaveh, sporgendosi quando l’altro si gira appena verso di voi, il suo sopracciglio si inarca scettico al commento del biondo come se fosse divertito dall’arricciarsi offeso delle sue labbra; e probabilmente deve esserlo davvero molto, perché quando segna qualcosa in risposta riesci quasi a scorgere un sorrisino beffardo alla risposta piccata di Kaveh.
- La tua cucina non è sana, è senza sapore... ti assicuro che il sale non è tuo nemico
Ti nascondi dietro la cartellina, fingendo di essere interessata a tutti i numeri e i nomi impilati e di cui non capisci assolutamente niente; Paimon non fa nessun mistero di ridere alle espressioni buffe che il volto di Kaveh prende mentre sembra che si siano dimenticati di voi nella stanza.
- Anche tu fai venire i capelli bianchi dal nervoso, ma nessuno se ne sta lamentando
Eppure, ti chiedi, se non sia poi davvero un male vederli persi in quella litigata tutta loro, fatta di segni a mezz’aria e di Kaveh che per poco non colpisce gli utensili meticolosamente ordinati sul piano nella foga del momento; forse non è quella casa a spezzare la circolarietà di quel mondo, ma è il mondo a dissolversi e ricomporsi tra le loro dita.
Sarebbe una bella storia da ascoltare.
 
Angolino del disagio
Buon salve gente!
Benvenuti in “Persefone si getta in una nuova long come se avesse giornate di 76 ore”; scherzi a parte, non fatevi ingannare dal prologo leggero e dal titolo, questa non è una “fairytale”.
O meglio, sì ci sarà la parte disagio e trash, perché sti due sono Casa Vianello e io sono follemente innamorata delle loro dinamiche, OTP di Sumeru. Tuttavia la storia ha un tema ben preciso, accennato in questo capitolo, ma che verrà esplorato a pieno in tutti gli altri: la disabilità e come questa si inserisce sia in ambito accademico sia in ambito relazionale.
Non mancheranno momenti di angst, in poche parole.
È un tema che mi sta molto a cuore, mi impegnerò come sempre a trattarlo al meglio della mia empatia e capacità di comprensione; sono sempre pronta a critiche costruttive e consigli.
Per ora è tutto, grazie di essere stati qui con me e alla prossima,
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