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Autore: shaaaWn_    26/11/2022    2 recensioni
"Come ti è saltato in mente di fare una cosa del genere, razza di idiota."
Non capì se fosse una domanda retorica o meno, ma decise ugualmente di volergli rispondere, ora che aveva finalmente l'opportunità per farlo.
E stranamente, il coraggio.
"Toccava a me salvarti la vita, non trovi?" disse cristallino, un mezzo sorriso dipinto sul volto.
Quella risposta volò leggiadra, disperdendosi nei meandri della libreria, infrangendosi su i muri, stordendo il povero demone.
Genere: Angst, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Aziraphale/Azraphel, Crowley
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Londra,
31 Dicembre 1984

Aziraphale non era mai stato quel tipo di entità che nutriva interesse per i grandi eventi, specie se si trattava di sfarzose ed eleganti feste.
Puntualmente, la musica veniva messa ad un volume spropositato, la marea di gente presente non faceva altro che spingere, noncurante degli altri esseri circostanti e non sembravano mai giungere ad una conclusione.

Infinite, perse nel tempo, totalmente disinteressate al modo in cui il mondo funzionava veramente. Un organo a parte, avente le proprie regole.

Malgrado non si sentisse minimamente a proprio agio in quei contesti, soprattutto visto l'andazzo che avevano preso le feste negli scorsi anni, l'unico lato positivo che lo spingeva a parteciparvi, senza tener conto del fatto che in quell'occasione gli era stato praticamente ordinato, erano le prelibatezze che venivano offerte.
Maggiore era il calibro dell'evento, maggiore era il livello di squisitezza delle pietanze.

Si poteva definire l'elemento chiave che andava ad ammortizzare il resto dei lati negativi. D'altronde, tutti quei piatti stracolmi di antipasti e chissà quali altre leccornie, erano una delizia per gli occhi e soprattutto per il palato.

Certo, passare l'intera serata a gironzolare attorno al tavolo del cibo neanche fosse un'ape attratta dal polline, non era chissà quale emozionante attività, ma sicuramente era l'unica che poteva permettersi di intraprendere. Assieme ad un paio di miracoli sparsi qua e là, dopotutto era stato mandato a quell'evento per un motivo specifico.

La Wellington, una delle più prestigiose scuole private inglesi, aveva organizzato l'ennesima raccolta fondi.
Un evento degno di nota, forse uno dei più importanti in quel periodo, dopotutto la scuola vantava non solo di ottimi risultati scolastici e di un gruppo insegnanti a dir poco stupefacente, bensì anche delle numerose iniziative a cui aveva preso e prendeva tutt'ora parte. Per l'appunto, eventi di beneficenza.

A dir poco lodevole per i suoi gusti; in fondo la beneficenza poteva ritenersi uno degli atti più puri e benevoli. Si poteva perciò sentire onorato di essere lì, in quella splendida villa dai toni ottocenteschi, a sorseggiare un costosissimo champagne, gli occhi puntati distrattamente sulla calca di persone radunata nel centro della sala.

Pur trattandosi di un evento di una certa finezza, la dolci sinfonie offerte quella sera erano caratterizzate da un volume un tantino troppo alto per loro.
E per Aziraphale, naturalmente.
Eppure, ciò sembrava non turbare un singolo invitato se non lui.

Osservò la folla di persone, che con distinta eleganza oscillava e volteggiava nella sala, in maniera armoniosa. Si chiese come fosse possibile, vi saranno state centinaia di persone lì in mezzo eppure nessuna di esse pareva infastidita.

Il resto era sparso nella sala, divisi in gruppetti a ciarlare di chissà quale fattaccio dell'ultima ora. Da non considerare naturalmente il quartetto composto da gli illustrissimi insegnanti della Wellington, che andavano scambiandosi sguardi saggi e sussurri di un certo valore.
Conosceva uno di loro, il signor Fitz, un uomo severo dai saldi principi morali, che in quel esatto momento gli lanciò un'occhiata. Ne trasse sorpresa e interesse, ma se la svignò prima di poter essere accalappiato.
I suoi discorsi, per quanto fascinosi e giudiziosi fossero, erano anche ben conosciuti per essere prolissi.

Aveva tempo da vendere, d'altronde i suoi passatempi non erano realizzabili, ma preferí rimandare a quando magari avrebbe avuto più alcol a circolare nel suo corpo.

Bevve l'ultimo sorso di champagne, posando successivamente il bicchiere sul primo tavolo che gli capitò a tiro. L'agitazione e il disagio iniziavano a farsi sentire ed era più che deciso ad evitare eventuali incidenti.

Prese posto su una delle sedie situate ai vertici della sala, imbottite fin troppo e stracolme di pizzi e ricami, nascondendosi dalla traiettoria dello sguardo del signor Fitz.
Controllò ossessivamente l'orologio da taschino, come se a distanza di trenta secondi le lancette potessero passare dalle otto e quindici a mezzanotte.

Chiuse l'arnese dorato per l'ennesima volta con uno scatto secco, le dita della mano opposta che tamburellavano sulla gamba che ancora non aveva ceduto ai costanti tremolii.
La noia non era mai stata una sua grande preoccupazione, principalmente perché non era avvezzo a ritrovarsi con le mani in mano in un contesto sociale che lo metteva profondamente a disagio.
Diciamo che non era la combinazione adeguata, e non aveva la più pallida idea di come uscirne.

Percepì una goccia di sudore percorrergli il collo, che beffarda si intrufolò nella camicia, rendendola  opprimente; aveva bisogno di respirare aria fresca.
In un batter d'occhio, si fiondò verso le scale e con una velocità non sua, le salì disperatamente, giungendo alla fine di esse con il fiato mozzato.

Quando ebbe finalmente le forze, si fece strada nel lungo corridoio illuminato da preziosi lampadari di cristallo e sprazzi d'oro e turchese.
Ne rimase affascinato.

Spinse con delicatezza le porte che davano sull'ampia terrazza, dalla quale naturalmente era visibile l'intera Londra notturna, illuminata dalla vita.
L'aria gelida di fine dicembre gli graffiò feroce la pelle candida, facendolo rabbrividire; per la fretta, aveva scioccamente scordato di prendere il suo cappotto nel guardaroba.

Non poteva permettersi di rimanere là fuori a lungo, o avrebbe presto fatto compagnia alla statua di ghiaccio raffigurante il Big Ben. Un lavoro straordinario, a detta sua.

Voltò lo sguardo al cielo scuro, una nuvoletta di vapore acqueo si disperde nell'aria, quelle poche stelle visibili brillavano timidamente, l'una di fianco all'altra.

'Almeno loro hanno compagnia' pensò tra se, un sorriso amaro si dipinse sulle sue labbra.

Forse avrebbe gestito meglio quella serata se avesse avuto un volto familiare a confortarlo, e a rendere l'ambiente meno tedioso. L'unico essere che però combaciava con quella descrizione era Crowley.

Scosse la testa, nella speranza che il cervello si rimangiasse ciò che aveva appena pensato.
A dir poco ridicolo da parte sua, desiderare la compagnia di un Demone, ad un evento del genere per giunta!
Allucinante, vergognoso.

Non che la compagnia di Crowley fosse intollerabile, anzi in quei loro incontri casuali era stata piuttosto gradevole, ma alla fin fine si trattava pur sempre di un Demone, parte integrante della fazione opposta alla sua. Non potevano fraternizzare, se li avessero scoperti sarebbe stata la fine di entrambi.

E per quanto gli costasse ammetterlo, l'idea che Crowley rischiasse di passare guai grossi ogni singola volta, lo allarmava e non poco. Diciamo che gli sarebbe dispiaciuto non aver più quella presenza costante nella sua vita, e per quanto Crowley cercasse di non darlo a vedere, era sempre stato l'unico a trattare Aziraphale con gentilezza.

Alla quale lui aveva risposto aspramente in più occasioni, specie durante il loro ultimo imbarazzante incontro. 

Il senso di colpa e il disagio tornarono a galla, le sue gote si imporporarono leggermente.
Voleva togliersi quel demone dalla testa e aveva ottenuto il risultato opposto, incredibile.

Eppure, per sua fortuna o sfortuna, una voce familiare giunse alle sue orecchie, riportandolo alla realtà.

"Signor Fell! Ero sicuro di averla vista nella sala poco fa! Sfuggente, mi dicono" e il signor Fitz ridacchiò di gusto, posizionandosi alla sua destra.

Aziraphale forzò un sorriso, stringendosi nel completo color beige nella speranza che un po' di calore si facesse spazio nel suo corpo.
Non ottenne risultati.

L'unica cosa che ottenne, fu l'inizio dell'interminabile discussione giudiziosa in merito alla beneficenza e ai suoi enti, menzionando più volte quanto frivoli fossero gli eventi come quello a cui avevano preso parte quella sera.

Gran parte dei punti di vista offerti gentilmente dal signor Fitz, non potevano essere definiti chissà quanto oggettivi, tantomeno morali poi.
Ma Aziraphale aveva ben altro per la testa, e a prescindere da ciò, lo avrebbe ignorato in ogni caso, perciò si limitò ad annuire e a sorridere, alternando espressioni colpite.

Ebbe finalmente l'opportunità di rientrare nella maestosa villa, riacquistando finalmente sensibilità alle dita, e smanioso controllò l'orologio dorato che portava sempre con sé.

Le nove meno cinque.
Ottimo.

Sospirando, attinse nuovamente alle sue doti attoriali, prestando finta attenzione al signor Fitz, nel mentre che facevano ritorno alla sala principale.
La delicata fragranza emanata dalle calde pietanze appena servite, pervase le sue narici spudoratamente, risvegliando un leggero gorgoglio nel suo stomaco.
Fino ad allora era stato possibile assaggiare unicamente gli antipasti, evidentemente era tempo delle prime portate.

"Per questo ritengo che coloro che prendono parte a questi eventi-"

"Le dispiace se prendo da mangiare? La lasagna ha veramente un aspetto delizioso," sorrise dolcemente Aziraphale, nella speranza di poter fare riposare la sue orecchie.

"Certamente! Che senso ha offrire del cibo se poi non viene consumato? Questo mi riporta a quando le ho accennato la presenza di composti chimici..."

Continuò a parlare.
E a parlare, a parlare, a parlare, riempiendo la sua testa di giudizi e riflessioni, contestazioni e approvazioni.
Quelle sue interminabili discussioni sembravano risucchiarlo, intrappolarlo in una bolla dove il tempo scorreva dieci volte più lento rispetto all'esterno.
Notò infatti con orrore che erano a malapena le nove e mezza, ed era già alla terza porzione di lasagna alle verdure.

Forse fu a causa di un intervento divino  che il signor Fitz si tappò finalmente la bocca con un lungo sorso di champagne. Avrà sicuramente avuto la gola secca a furia di parlare a vanvera.
Aziraphale non gingillò, e colse repentino quel prezioso momento.

"Professor Fitz, come di consueto le sue riflessioni non peccano di saggezza ma temo di non potermi dilungare ancora per mol-"

L'uomo di fronte a sé, per poco non rischio di strozzarsi pur di stroncare sul nascere la scusa più banale di tutta la storia.

"La interrompo subito signor Fell! Prima di lasciarla andare, gesto più che dovuto visto che l'ho trattenuta per fin troppo tempo, c'è una persona che vorrei presentarle, questione di pochi minuti, parola mia."

Il sorriso affabile del signor Fitz, misto all'espressione innocente che mascherava un'evidente insistenza, convinsero Aziraphale a stringere i denti per un altro po'; d'altronde avrebbe dovuto semplicemente fare l'educato, presentarsi, mostrarsi interessato a qualsiasi discussione avrebbe preso parte e poi lentamente ne sarebbe uscito.
Un gioco da ragazzi.

Malvolentieri, seguì il professore in mezzo alla calca di gente, brontolando "permesso" un po' troppe volte per i suoi gusti. Senza contare che dovette praticamente sgusciare tra le persone e Dio solo sa quanto rimpianse amaramente la terrazza.

Ma per dirla tutta, non fu l'unica cosa che rimpianse quella sera.

Raggiunsero finalmente il gruppo illustre, in mezzo alle quali si trovava la misteriosa e interessante persona che il signor Fitz voleva disperatamente presentargli.

Se avesse avuto qualcosa tra le mani, probabilmente in quel momento si sarebbe ritrovato in mille pezzi sul pavimento.

"Signor Fell, le presento il signor-"

"Crowley?"

Con occhi spalancati, fissò sconcertato la figura allampanata del demone di fronte a lui. Un elegante completo rigorosamente nero, fasciava il suo corpo snello, adornato da una cravatta tinta di un rosso acceso, e la folta chioma fiammeggiante ricadeva leggiadra sulle spalle, accorciandosi di netto all'altezza delle orecchie.

"Oh, vi conoscete già?"

La domanda del signor Fitz nascondeva un evidente punta di delusione, ma nonostante ciò sembrò comunque sorpreso da quel colpo di scena.
Aziraphale deglutì, ancora allibito.

Quanto a Crowley, sorrise beffardo ed educatamente allungò la mano nella sua direzione.

"Mi spiace deluderla signor Fitz ma si può dire che ci conosciamo da secoli oramai."

L'angelo parve riprendersi, e dopo avergli scoccato un'occhiata torva, afferrò saldamente la mano e la strinse in segno di saluto.

Forse era un bene che si trattasse di Crowley, magari il signor Fitz non lo avrebbe obbligato a prendere parte ad insulse discussioni e sarebbe tranquillamente tornato ad annoiarsi in santa pace.

Anche perché Crowley poteva mostrarsi quando più disinvolto possibile, ma la tensione era così palpabile da poter essere tagliata con un coltello.

Il loro ultimo incontro risaliva al 1967.

La sera in cui Aziraphale gli aveva gentilmente offerto il thermos con l'acqua santa, si chiese che cosa ne avesse fatto, e successivamente aveva pronunciato una frase di cui andava pentendosi ancora.

Una tragedia.
Doveva assolutamente allontanarsi dal demone il prima possibile.

Per diciassette anni non lo aveva né visto né sentito, per niente inusuale dopotutto, ma per quanto prima non ci facesse poi così tanto caso, quegli anni erano stati piuttosto complicati. Sempre a guardarsi attorno, tra la folla, costantemente sull'attenti qualora avesse scorto una chioma rossa.

Era volato tutto a gonfie vele.
Fino a quel fatidico evento, di fine anno poi! Si chiese se lassù, Lei si stesse prendendo beffe di lui.

Scartò immediatamente quel pensiero.
Dio non gioca a dadi con l'universo.

Poi un dubbio lo assalì.
Perché diamine Crowley si trovava lì quella sera?
Un demone ad un evento di beneficenza sembrava l'inizio di una barzelletta, neanche poi così divertente.

Mentre si lambiccava il cervello alla ricerca di una spiegazione logica, il resto del gruppo proseguì l'animato dibattito a cui non aveva preso parte, ed era talmente concentrato, che trasalì vistosamente non appena percepì una mano salda afferrargli il polso.

"Perdonate la mia scortesia, ma io e il signor Fell avremo un argomento di cui discutere in privato, torneremo da voi tra poco."

Aziraphale impiegò più del necessario a metabolizzare la stupidaggine appena sparata da Crowley, che con la delicatezza di un elefante in una cristalleria, lo trascinò fuori dalla sala e successivamente nella prima stanza vuota che gli capitò a tiro.

Una volta udito il tonfo emesso dalla porta, sbatté più volte le palpebre, prendendo coscienza di sé stesso e dell'ambiente circostante.
Si trovavano in un enorme sala ovale dall'alto soffitto, decorato da splendidi affreschi, cornici dorate e turchesi, con ornamenti richiamanti la natura che si facevano strada lungo le pareti.

L'illuminazione proveniva da eleganti candelabri, che andavano alternandosi a splendidi quadri incastonati in cornici altrettanto preziose.

Rimase così ammaliato da quello spettacolare tripudio di raffinatezza e splendore, che rimosse momentaneamente il motivo per il quale era rinchiuso in quella stanza.
Con il naso ancora all'insù, si voltò di scatto verso Crowley, che evidentemente a disagio, se ne stava sull'uscio della porta con le braccia incrociate, saldamente strette al petto.

Incredibile come la tensione riempisse ogni centimetro della stanza. Assurdo pensarlo vista la grandezza spropositata.

Altrettanto imbarazzato, Aziraphale iniziò a ciondolare per la sala, analizzando minuziosamente ogni singolo dettaglio lì presente. Era genuinamente interessato allo splendore che aveva di fronte, ma in quel caso poteva definirsi un chiaro tentativo di tergiversare. Sebbene alla fine fosse stato Crowley a trascinarlo là dentro, per cui la parola spettava a lui.

Naturalmente era agitato.
Si era ritrovato catapultato in una sala vuota con Crowley, dopo diciassette silenziosi anni. Anni passati a coltivare un bellissimo seme di imbarazzo che con il passare del tempo era diventato rigoglioso, finendo con lo sbocciare finemente proprio quella sera.
Forze per affrontare la questione non ne aveva, tantomeno sapeva cosa dire.

Mi dispiace? Ho sbagliato? Ti prego dammi un altro paio di anni per capire come elaborare una spiegazione sensata?
Era tutto così banale e per nulla credibile, se non assurdo.

Ebbe il forte l'impulso di fare marcia indietro e lasciare il demone là dentro come uno stoccafisso, soprattutto quando notò infastidito che erano già passati dieci minuti dalla loro fatidica entrata in quella regale sala.
Eppure, Crowley parve leggergli nel pensiero, e finalmente ebbe modo di aprire bocca.

 Inizialmente si limitò a schiarirsi la gola, per attirare la sua attenzione.

Quando si voltò per l'ennesima volta nella sua direzione, lo vide avanzare nervosamente, gli occhi nascosti dalle spesse lenti scure.

Lo sentì sospirare. "Che ci fai qui?"

Aziraphale aggrottò le sopracciglia; non era esattamente ciò che si aspettava.

"È per questo motivo che mi hai praticamente trascinato in questa sala?" domandò genuinamente confuso.

Crowley emise un ulteriore sospiro, massaggiando l'attaccatura delle sopracciglia con fin troppo nervosismo.

"Ovvio che no," sputò sprezzante.
"Vuoi dirmi che diamine ci fai qui?"

L'angelo sospirò.

"È un evento di beneficenza, mi hanno obbligato a prendervi parte e la Wellington è conosciuta per i suoi atti benevoli," spiegò placido Aziraphale, le mani che si torturavano a vicenda.

Crowley lo fissò interdetto, prima di scoppiare in una risata fragorosa.

Quella reazione lo lasciò perplesso e non poco, visto che non aveva detto niente di così divertente.
Ne rimase anche enormemente infastidito. Prendersi beffe di lui non era mai stata una cosa che gli andasse chissà quanto a genio.

"Cos'è che ti fa tanto ridere per l'esattezza?"

Stizzito, portò le mani dietro la schiena, stringendo la sinistra con un po' troppa forza.

Quel continuo sogghignare ronzava fastidiosamente nelle sue orecchie.
Aveva messo su uno dei sorrisi più forzati e finti sulla faccia della terra, e disperatamente cercava di non lasciarsi andare a forti emozioni.
Anche perché non era elettrizzato all'idea di discutere.

"Benevoli non è esattamente il termine più adatto, sai?" gli fece presente Crowley, in maniera assai eloquente.

Aziraphale strinse i denti.

"No, onestamente non so a cosa tu ti riferisca, mio caro."

Sorrise di nuovo, e notò un cambiamento nell'atteggiamento di Crowley, dovuto anche al chiaro rilassamento della postura.
Aggrottò le sopracciglia, più smarrito di prima. Per quanto assurdo fosse, la tensione nella stanza non faceva altro che aumentare, cominciando a soffocarlo. Il fatto che sentisse così caldo non era fisicamente possibile.

"Quindi non sai che in realtà si tratta di una copertura? Un enorme balla raccontata per nascondere la verità?"

Vide un sopracciglio rossiccio svettare all'insù, accompagnato da una rapida occhiata scettica che colse grazie alla lesta sbirciatina che venne concessa alle iridi gialle.

Per quanto impressionante quella constatazione potesse sembrare, non era comunque sufficiente a indirizzarlo lì dove Crowley stava cercando di andare a parare. Era genuinamente e fastidiosamente disorientato, incapace di interpretare quel linguaggio enigmatico.

Inoltre, fino ad allora la serata si era rivelata più stressante e irritante del previsto, quindi la pazienza veniva meno ogni minuto che il demone passava a prenderlo per i fondelli.

"Crowley, se proprio devo essere sincero, non riesco proprio a capire di cosa tu stia parlando," rivelò sospirando, nella speranza che il suo fascio di nervi iniziasse a rilassarsi.

Evidentemente, i piani che avevano in serbo per lui quel giorno prevedevano un esaurimento nervoso.

Ed ecco che l'aria scettica tornò più forte di prima sul viso di Crowley, che con fare drammatico si tolse gli occhiali, massaggiandosi le palpebre. Aziraphale ebbe l'impulso di aprire bocca per chiedere ulteriori chiarimenti, ma venne preceduto.

"La Wellington, questo evento, è tutta una facciata, creata appositamente per nascondere ciò che in realtà fanno."

Concluso il discorso, non proprio del tutto soddisfacente, se ne stette nuovamente a braccia conserte a fissarlo, in attesa che dicesse qualcosa.
Ma la sua bocca si era inaspettatamente inaridita come la terra in piena estate. Riuscì solamente a sbattere le palpebre, lo sguardo perso nel vuoto.

Cosa andava blaterando? Cosa stava a significare tutto ciò? Cos'è che faceva veramente la Wellington?

Come per magia, Crowley roteò gli occhi al cielo snervato, e proseguì la sua spiegazione.

"I soldi che la scuola raccoglie non vanno in beneficenza," asserì solenne. "Vengono dati ad organizzazioni volte a boicottare le ricerche per l'AIDS."

Cadde il silenzio.
Improvvisamente.

Era come se tutt'a un tratto, le sue orecchie fossero state tappate, scollegate dalla realtà con violenza.
Percepiva solamente un leggere ronzio, nel mentre che le ultime parole pronunciate da Crowley riecheggiavano nella sua mente.

Il mondo sembrava essergli cascato sotto i piedi.

Il suo volto era il ritratto della neutralità, talmente scioccato e smarrito da non essere in grado di esprimere un'emozione specifica. Questa reazione allarmò parecchio il demone; ridusse ulteriormente la distanza, schioccando le dita davanti la faccia di Aziraphale, nella speranza che si risvegliasse da quello stato di trance.

"Aziraphale? Stai bene? Cominci a spaventarmi."

Tutti i rumori esterni arrivavano ovattati alle sue orecchie, come se avesse la testa immersa nell'acqua.

"L'AIDS?" riuscì a mormorare, occhi ancora vitrei.

Crowley corrugò le sopracciglia.

"Sai la malattia che sta colpendo praticamente ogni omosessuale che abbia mai vissuto nel Regno Uni-"

"So cos'è l'AIDS, Crowley," lo interruppe bruscamente Aziraphale, riprendendo pian piano contatto con la realtà.

Ora portava un'espressione calma, con una punta di austerità ad accompagnarla. Espressione che polverizzò l'atteggiamento da sbruffone che il demone aveva gentilmente deciso di adottare quella sera.
Sembrò quasi pentirsi di ciò che aveva detto e fatto fino ad allora, tant'è che si strinse nelle spalle.

"Cadono come foglie, è uno spettacolo orribile," mormorò afflitto. "La Thatcher si rifiuta di parlarne, ovviamente, e la gente continua a manifestare contro, come se fosse colpa loro."

Ci fu una breve pausa, decisamente pesante da sopportare.

"A quanto pare sono ancora più convinti che Dio odia gli omosessuali e che sono frutti del Demonio."

Aziraphale alzò lo sguardo, scontrandosi con le iridi dorate di Crowley.

"Lei ama tutti incondizionatamente," affermò piatto, convinto fermamente di ciò che diceva.

"Non sono completamente d'accordo, ma di certo non ci lancia persone al piano di sotto solo perché sono gay," borbottò stizzito Crowley, proseguendo con la discussione.

"E poi ci sono i carissimi membri della Wellington, che hanno deciso di voler rallentare le ricerche così da farli morire in quei sudici ospedali! Donando quanti più soldi possibili!"

A quel punto aveva iniziato a strepitare esasperato, alzando le braccia al cielo in segno di evidente disappunto. Aziraphale d'altro canto, continuava a rimanere immobile, intento a metabolizzare le miriadi di informazioni che Crowley gli stava offrendo.

"Angelo, credimi, la situazione peggiora di minuto in minuto, il caro signor Fitz non è chi credi che egli sia, così come la sua piccola combriccola di farabutti ignoranti."

Crowley lo guardò con timore e rammarico, prima di ricominciare a borbottare, deciso a consumare completamente le suole delle scarpe facendo avanti e indietro.

Aziraphale sentì il suo cervello esplodere. Troppe cose assieme, ingarbugliate in un filo confusionario che non riusciva più a seguire.

"Non che l'omofobia sia una notizia dell'ultimo minuto, gli esseri umani dopotutto sono sempre stati degli enormi stronzi, ma non capisco come mai-".

Silenzio.
La sua mente pare svuotarsi di colpo, come se avesse schioccato le dita e tutto fosse magicamente scomparso.
E nacque un dubbio, limpido e semplice.

"Come fai a saperlo?"

Quella domanda fu pari ad un palloncino scoppiato all'improvviso.
Crowley fece scattare la testa nella sua direzione, gli occhi ricolmi di sorpresa.
Lo aveva colto alla sprovvista e a confermare questa sua teoria, fu il comportamento evasivo che il demone assunse immediatamente.

"Ho le mie fonti," borbottò nervoso, lo sguardo rivolto altrove, le spalle ancora più strette di quanto già non fossero.

Ovviamente non se la bevve, e non comprese come mai avesse iniziato a fare il misterioso e il silenzioso tutto d'un tratto. Cosa gli nascondeva?

"Crowley," marcò duramente il suo nome. "Perché sai queste cose? E soprattutto perché me le stai dicendo?"

Il suo tono cominciava a trapelare preoccupazione, e un pizzico di autorevolezza, in qualche modo percepiva ci fosse qualcosa sotto, e non prometteva nulla di buono. Sperava solo di essere dalla parte del torto, perché in caso contrario non aveva idea del caos a cui sarebbe andato incontro.

Voleva solamente passare l'ultima sera dell'anno in santa pace, e invece si era ritrovato coinvolto in una delle situazioni più esasperanti di sempre.

"E poi perché dovrei crederti? Potresti benissimo star mentendo," asserì l'angelo, un broncio a dipingergli il viso.

Fu a quel punto che la nonchalance di Crowley si sgretolò, lasciando spazio ad un'espressione dura, ferita, che venne repentinamente nascosta da gli spessi occhiali scuri.
In poche falcate, il silenzio a fare da sottofondo, Crowley raggiunse Aziraphale, posizionandosi a pochi centimetri da lui.
Sentì il suo fiato solleticargli le labbra.

"Oh, io starei mentendo?" ridacchiò amaramente. "Illuminami, perché diamine lo starei facendo, mh?"

Aziraphale si sentiva un tantino messo all'angolo, non nascondeva di provare un certo timore nell'avere Crowley così vicino a lui e con il non più amichevole degli atteggiamenti.

Era l'ennesima discussione che andavano intraprendendo dopotutto, ma in quel caso era diverso.
Ritrovarsi dopo diciassette anni, quando il loro ultimo incontro si era rivelato così intenso, litigare aveva una sfumatura completamente nuova e malinconica.

"Sei un Demone, è nella tua natura," mormorò, cercando di non far trapelare nessuna emozione.

Fu un sussurro pesante, che si disperse leggiadro nell'aria e che frantumò il cuore di Crowley in mille pezzi. Una lancia lo aveva trafitto lì dove era più debole.

Facendo un rumoroso sospiro, prese le distanze dall'angelo, massaggiando smanioso l'attaccatura delle sopracciglia.

"Certo sono un demone, mi sembra naturale," borbottò tra se.
"Sono un Demone, quindi automaticamente vado in giro a raccontare stupidaggini, giusto?"

Aziraphale percepì un enorme quantità di disprezzo nel suo tono, e il senso di colpa risalì acido nel suo esofago. Aveva detto la cosa sbagliata, di nuovo.

"Secoli e secoli ad aiutarci a vicenda, e adesso mi vieni a dire che non ti fidi perché sono un demone! Che faccia tosta che hai, i miei complimenti! Razza di ipocrita!" ringhiò Crowley a denti stretti, la rabbia che pian piano prendeva possesso del suo corpo.

"Stupido io che ancora una volta ho cercato di aiutarti!" urlò infine esasperato, braccia e volto rivolti verso l'alto.

Udì svariate, colorate imprecazioni, prima che un Crowley infuriato, marciasse verso la porta a passi scattanti. Naturalmente non volle fermarlo, avrebbe aggravato ulteriormente la situazione ed era già abbastanza pesante così.

Il demone afferrò la maniglia e spalancò completamente la porta, eppure non si catapultò immediatamente fuori. Preferì voltarsi nella sua direzione, e con tono solenne asserire.

"Dovresti veramente andartene da qui, non è sicuro come credi," sbatté poi la porta con un tonfo non indifferente, lasciandolo in mezzo all'enorme sala, che si faceva sempre più fredda.

Aziraphale rimase immobile a fissare un punto indefinito, per un lasso di tempo a lui ignoto. Era troppo occupato a rimuginare su ciò che aveva appreso poco prima, tenendo pur sempre conto che non aveva la certezza che quelle informazioni fossero vere o meno.

Per di più, non aveva idea a cosa andasse riferendosi Crowley con quel suo ultimo inquietante avvertimento, per non parlare del suo comportamento evasivo. E perché venire da lui a raccontare l'intera faccenda? L'intento era chiaramente quello di metterlo in guardia, ma da cosa? Da chi?

Non era orgoglioso di come lo aveva trattato, specie dopo i loro trascorsi; ogni volta che si incontravano finiva con il ferirlo e cominciava a non sopportare più quel circolo vizioso. Era pur sempre un demone dopotutto, parte integrante della fazione opposta, coloro con cui non doveva avere nulla a che fare, i rappresentanti del male e di qualunque cosa ci fosse di sbagliato nel mondo.

Eppure, con Crowley nulla di tutto ciò era vero.
Si distingueva dalla massa, era fuori dall'ordinario, e non solo grazie al suo atteggiamento tendente all'altruismo, anche le vibrazioni che emanava solamente esistendo.
Al suo fianco, Aziraphale si sentiva costantemente al sicuro.

Una dolce e confortante sensazione si espanse nel petto, irradiandosi in tutto il corpo, restituendogli un po' del calore che aveva perso. Con un sorriso amaro a dipingergli il volto, ebbe finalmente la forza di abbandonare la sala, pronto a godersi il resto di quell'interminabile serata.

E quando con orrore scoprì che erano a malapena le dieci e un quarto, l'ultima traccia di quel sorriso sparì in un soffio.

Fatto ritorno nella sala principale, un enorme peso a gravargli sulle spalle, assaltò il buffet nella speranza di annegare lo sconforto e il senso di colpa in un bel piatto di carne arrosto. Non ebbe molto successo, senza contare che rischiò di far cadere il piatto quando scorse tra la folla una chioma rossa. Per fortuna, scoprì immediatamente non si trattava di Crowley.

Ci rimase male ugualmente.
Poi decise che ormai quel che era fatto era fatto, doveva solo sopravvivere al resto di quella barbosa serata e sperare con tutto il cuore di non scontrarsi più con il demone. Se per assurdo fosse successo, lo avrebbe ignorato beatamente, onde evitare ulteriori discussioni o fraintendimenti.

Aveva una collezione piuttosto vasta di quei momenti, allargarla non era in alcun modo una sua necessità. 

Forse avrebbe dovuto scusarsi.

Scosse la testa, come a voler cancellare quel suo pensiero. Non sarebbe servito a nulla, e poi non ce n'era motivo. Era stato duro ma la verità non sempre è piacevole, giusto?

Non gli sembrò corretta come considerazione, eppure la accantonò, più per evitare di rimuginarci sopra che per mancanza di interesse. Alla fine, gli importava di Crowley, più di quanto sarebbe stato disposto ad ammettere. E saperlo una sua sorta di debolezza non lo tranquillizzava minimamente.

Il cervello era ormai in fumo a causa dei continui pensieri che elaborava alla velocità della luce, uno dietro l'altro senza sosta. Unica attività che poteva permettersi quella sera, tolta la consumazione di ogni pietanza che veniva e che sarebbe stata servita in seguito. Sembrava un buffet infinito.

Eppure, per quanto cercasse di reprimere i dubbi continui, non ebbe successo. Domande senza risposta lo logoravano dall'interno, torturandolo vivo e si chiese più e più volte se ciò che Crowley gli aveva confidato fosse attendibile.

E se non lo fosse? Perché mentire? Perché prendersi gioco di lui a quel modo? Se invece fosse stato sincero? Se la Wellington fosse realmente colpevole di quegli atti abominevoli?

Incapace di prendere una decisione, realizzò che forse l'idea migliore prevedeva un'investigazione approfondita. Dunque, si recò a passi svelti verso il signor Fitz, individuato poco prima, il petto gonfio, il mento all'insù e i pugni stretti, accompagnato da un'espressione determinata sul volto.

Naturalmente, non diede subito inizio all'interrogatorio; ritenne più opportuno ammorbidirlo con semplici discussioni su gli argomenti più assurdi e inimmaginabili. E per sua fortuna, il fatto che il professore fosse una persona tremendamente loquace, per una buona volta gli tornò utile.

Qualche chiacchierata e bicchiere di champagne dopo, Aziraphale iniziò a tastare pian piano il terreno.

"Dunque, questa non è la prima raccolta fondi della Wellington," affermò cercando di risultare distaccato, gli occhi puntati sulle bollicine che volteggiavano allegramente nel suo bicchiere.

"Certo che no!" esclamò con fin troppa enfasi il professore. "La Wellington ha sempre avuto a cuore questo genere di cose, specie negli ultimi quattro o cinque anni."

Un brivido percorse la sua spina dorsale.
Il fatto che quelle date coincidessero con l'arrivo del primo ministro era un'assurda ed esilarante coincidenza, nulla di più nulla di meno.
Allora perché sentiva l'acido ribollirgli nello stomaco?

"Immagino," fece un sorriso forzato, il cuore che scalpitava nella gabbia toracica.

Non doveva in alcun modo perdere la calma, o avrebbe mandato tutto a monte. Necessitava delle risposte, dei chiarimenti, desiderava soltanto la pura e semplice verità ma in fondo sperava solamente di non dover sentire ciò che non voleva in alcun modo sentire.

"Lei per caso sa..." si schiarì la gola, diventata improvvisamente arida, "sa che fine fanno i fondi che vengono raccolti?"

Sfoggiò la più innocente delle espressioni, arricchita da un pizzico di interesse e ammirazione. Fare l'attore non gli si addiceva poi così tanto eppure fino ad allora se l'era cavata bene.

Il signor Fitz gli scoccò un'occhiata perplessa, quasi scettica e infastidita.

"In beneficenza, naturalmente," asserì con uno schiocco di lingua, prima di sorseggiare ulteriore champagne.

L'angelo percepì un rivolo di sudore ghiacciato colargli lungo il collo, che andò intrufolandosi nel colletto della camicia.
Anche le mani, che sfregava smanioso da un po' ormai, erano completamente fradice. Sperò con tutto se stesso di non star dando troppo nell'occhio.

"Naturalmente, si," gracchiò con una mezza risata, percependo una forte tensione. "Beneficenza di che tipo? Me lo sono sempre chiesto, sa?"

Fissò con insistenza il professore, fino ad allora rimasto silenzioso e confuso, il calice mezzo vuoto che ondeggiava tra le sue mani. Impiegò più del normale a voltarsi nella sua direzione e a squadrarlo velenosamente.
Aziraphale ne rimase colpito, mai aveva visto tanta cattiveria negli occhi di colui che considerava un conoscente.

"Non penso siano affari che la riguardino, signor Fell," scandì aspro e con durezza le ultime due parole, prima di riportare l'attenzione al suo bicchiere che nell'arco di due secondi divenne completamente vuoto.

Aziraphale strinse i pugni più e più volte, nella speranza che un miracolo divino venisse a salvarlo da quell'inferno nel quale si trovava. Giurò a se stesso di non partecipare mai più ad un party.
E giurò che avrebbe scoperto la verità, bella o brutta che fosse.

Prese un bel respiro. "Sono pur sempre uno dei vostri donatori, vorrei sapere a quale causa ho contribuito."

Mortalmente serio, ma con l'ombra di un sorriso sul volto, fissò con insistenza l'ospite seduto al suo fianco, i pugni talmente stretti da sbiancare le nocche.
Il professore ricambiò lo sguardo, dando inizio ad una sfida per chi sarebbe stato in grado di reggere più a lungo.
In quelle iridi scure, Aziraphale scorse un lungo processare di emozioni e conflitti interni, che andò concludendosi con un ghigno sfacciato che non gli piacque poi molto.

"Lei è un uomo che sa quello che vuole signor Fell," disse con franchezza e ammirazione, sistemandosi sulla sedia.
"E io mi fido degli uomini che sanno ciò che vogliono," asserì squadrandolo.

Aziraphale ingoiò rumorosamente la saliva, cercando di abbozzare un sorriso calmo e rilassato: l'esatto opposto di come si sentiva in quel momento.

"Mi sembra strano che in quanto donatore lei non sappia dove finiscono veramente i soldi," confessò, le sopracciglia aggrottate. "Ma le posso confidare, che vengono donati ad una causa assai più nobile della beneficenza!"

Lo stomaco era nel totale subbuglio, ebbe quasi l'impulso di vomitare pensando all'orrore che si celava dietro a quell'insulsa scuola.

"Ossia?" domandò tentennando, la fronte madida di sudore.

Il signor Fitz si guardò attorno rapidamente, cercando di capire se ci fossero ospiti indiscreti in ascolto. Dopodiché si avvicinò all'angelo, per sussurrargli all'orecchio, con tanto di mano di fronte alla bocca per non permettere a nessuno di leggere il labiale.

"Associazioni che rallentano le ricerche per l'AIDS, non le sembra grandioso?"

E per la seconda volta, il mondo gli crollò sotto i piedi, sebbene quella volta fu molto più devastante.
Sgranò gli occhi esterrefatto, il cuore che perse uno o due battiti, il respiro che venne mozzato di colpo.

Quelle parole iniziarono a rimbombare nella sua testa come un eco infinito, e in un piccolo angolo remoto della sua mente percepiva il demone che andava  rinfacciandogli ogni parola detta durante la loro discussione precedente.

Si sentì uno sciocco. Un enorme sciocco.
Ovviamente Crowley gli aveva detto la pura e semplice verità, eppure lui aveva messo in dubbio ogni sua singola parola. Lo aveva sempre fatto.
Il rimorso crebbe aspramente dentro di sé, avviluppando le sue budella in una morsa così stretta da soffocarlo.
Doveva assolutamente scusarsi.

Sorrise nervosamente al professore, borbottando una qualche sciocchezza, prima di allontanarsi dal suo alito fetido e dalla sua mente ristretta. Si sentiva macchiato anche solo per aver parlato degli atti abominevoli che compievano.
Naturalmente non aveva versato un centesimo quella sera, e menomale per giunta; aveva usato quella bugia come esca e il pesce aveva abboccato fin troppo facilmente.

Ora sapeva la verità, l'orribile verità.
E come un forsennato, iniziò a cercare Crowley per tutta la sala, ripassando a mente le scuse che meritava.

Disperato, si fece largo tra la folla, spintonando molte più persone di quante avrebbe voluto, ma dopotutto se si trovano lì significava che le loro intenzioni non erano delle migliori.
Quindi qualche spinta se la meritavano eccome.

Aveva la mente ingarbugliata, ricolma  talmente tanto da essere sul punto di esplodere e l'unica cosa che in quel momento lo teneva stabile era Crowley.
Il suo punto di riferimento.
Odiava ammetterlo, il solo pensarci mandava il suo cervello in panne e il cuore per poco non gli si strappava via dal petto, eppure era un semplice e fastidioso dato di fatto.

Non a caso, appena scorse Crowley, con la chioma rosso ardente e il suo charm impeccabile, un ampio sorriso si allargò sul suo volto. Lo raggiunse in fretta e furia, e seguendo il suo esempio di qualche ora prima, lo afferrò per il polso, trascinandolo con sé in un posto più appartato, senza dovute spiegazioni.

Stranamente non fece storie, anzi parve seguirlo con un certo trasporto, sebbene avesse un'espressione imbronciata stampata in viso.
A per di fiato, spalancò le porta a vetri di un balconcino, la mano sinistra ancora stretta saldamente al polso di Crowley.

"Ho un déjà vu," lo sentì brontolare. "È il mio turno ora? Devo dirti che nonostante ci conosciamo da quasi seimila anni ancora non mi fido di una singola parola che esce dalla tua santissima bocca?" ringhiò aspro tra i denti, prima di strattonare bruscamente il polso della sua presa.

Boccheggiante, Aziraphale replicò.

"Crowley, sono profondamente dispiaciuto, mi pento di ogni parola che ho pronunciato, lo giuro," sconfortato ma comunque determinato a riconquistare l'amicizia del demone, lo fissò insistente con i suoi occhi blu, continuando a parlare.

"Avevi ragione tu, su tutto quanto, ciò che fa la Wellington..." ci fu una breve pausa. "È abominevole, e deve essere assolutamente fermato, sono stato uno sciocco a non fidarmi delle tue parole ma adesso ho capito e ti credo," affermò con serietà, senza staccare gli occhi dalla figura non più tanto imbronciata di Crowley.

Ci fu un silenzio imbarazzante, a dir poco soffocante; ogni qualvolta si incontravano la tensione tra i due era talmente palpabile. 

"Accetto le tue scuse," bofonchiò, stringendosi nelle spalle.

Aziraphale si permise un sorriso trionfante, che vacillò nel momento che altri ricordi della precedente conversazione riaffiorarono.
A quel punto una domanda lecita gli sorse spontanea.

"Tu come facevi a saperlo?"

Ed ecco che la spavalderia di Crowley cadde, frantumandosi in mille pezzi.

"Mi hai anche avvertito in merito alla poca sicurezza di questo posto," rifletté ad alta voce, l'aria gelida che gli soffiava sul viso. "A che ti riferivi esattamente? Cosa sta succedendo?"

Allarmato lo guardò, scontrandosi con le lenti scure. Indugiò qualche secondo prima di rivelargli quel segreto; lo sentì sospirare rassegnato.

"Vuoi la versione più approfondita o quella meno approfondita?"

Aziraphale aggrottò le sopracciglia.

"Quella più approfondita, suppongo."

Lo vide massaggiarsi l'attaccatura delle sopracciglia per l'ennesima volta.

"Dunque," Crowley si schiarì la gola. "A causa dei continui rallentamenti nelle ricerche per l'AIDS, oltre alle numerose lamentele e sofferenze, alcune persone hanno si sono insospettite e hanno iniziato ad indagare e ficcando il naso qua e là, hanno trovato le prove inconfutabili degli atti deplorevoli commessi da questa scuola, non che alla fine si vergognino più di tanto a nasconderli," borbottò l'ultima parte, per poi continuare.

"Fatto sta che, naturalmente, questa scoperta non è stata di loro gradimento perciò hanno deciso di scatenare una sorta di rivolta, proprio stasera, qui, in questa sala, e si può anche dire che sia stato io ad aiutarli eccetera eccetera," concluse infine, le mani infilate nelle tasche dei pantaloni.

L'angelo, perplesso, fissò il demone per una quantità di tempo indefinita, cercando di metabolizzare ulteriori informazioni.

"La versione meno approfondita qualche sarebbe, scusa?"

"Pericolo, caos, persone giustamente arrabbiate, andiamo via di qui il prima possibile."

"Preciso e coinciso," borbottò distrattamente Aziraphale, ricevendo una scrollata di spalle in risposta.

Altro silenzio, altra tensione.
Voleva svignarsela ma la sua bocca lo anticipò.

"Perché non me l'hai detto prima?" chiese con garbo, iniziando a percepire il freddo invernale penetrargli nelle ossa.

"Tsk, che differenza avrebbe fatto? Non mi avresti creduto," ammise stizzito, facendo risalire il senso di colpa su per la gola dell'angelo.

"Mi dispi-"

Crowley lo interruppe, facendo un movimento distratto con la mano.

"Ho capito, lo so, non c'è bisogno di ripeterlo tutte queste volte."

Aziraphale sperò vivamente che la questione si fosse risolta e che le sue scuse fossero state prese per sincere, eppure continuava a sentirsi colpevole.
Abbassò lo sguardo, e fu come se si fosse rimpicciolito, di fronte alla figura possente e intimidatoria che Crowley aveva assunto. Non è che avesse paura di lui, anzi, era più spaventato di ciò che Crowley rappresentava: una sua debolezza.

Scacciò quel pensiero, e immediatamente un altro quesito giunse a lui.

"Esattamente, quando dovrebbe iniziare questa rivolta da te organizzata?" domandò allarmato e con severità; le manifestazioni non del tutto pacifiche non finivano mai bene.

"Prima di tutto, non l'ho organizzata io, non direttamente quantomeno," spiegò irritato, cercano di difendersi. "In secondo luogo," diede un'occhiata rapida al suo orologio,"non dovrebbe mancare molto, quindi ti suggerisco di lasciare questo posto immediatamente."

Apprezzò la premura che ripose in quel comando, ma Aziraphale era un gran testardo e non volle demordere.

"Cos'è che faranno di preciso?"

Crowley si accarezzò il mento pensiero e l'angelo si chiese seriamente se si stava prendendo gioco di lui con quella scenetta ridicola da pensatore.
Attese con pazienza che quel teatrino finì e grazie al cielo il demone aprì bocca.

"Non è proprio la classica classica manifestazione, sai? Sicuro faranno-"

Ci fu un ulteriore interruzione.
Si udì un tonfo secco, di legno che veniva sbattuto bruscamente.
Poi uno sparo, sordo.
E infine, urla disperate.

Aziraphale fece scattare la testa verso la sala e assistette con orrore alla caotica scena che gli si presentò davanti.
Il caos assoluto.

"Ecco cosa faranno," confermò i suoi sospetti Crowley, con un tono decisamente fin troppo calmo.

Non che ne rimase sorpreso, c'era il suo zampino dietro a tutto questo eppure gli sembrava una mossa fin troppo esagerata, soprattutto per lui.
Con occhi sgranati, si voltò verso il demone.

"Ti ha dato di volta il cervello?" starnazzò allarmato. "Hanno delle armi! Come ti è saltato in mente?"

Fu il turno di Crowley a stringersi nelle spalle, diventando piccolo piccolo.
Forse si stava effettivamente rendendo conto del guaio che aveva causato.

"Ti ho già detto che non organizzato io questa cosa," disse tra i denti, indicando con un cenno il caos che si stava scatenando nella sala. "Li ho aiutati a trovare le informazioni che gli servivano e poi ho suggerito loro di fare qualcosa a riguardo, qualcosa di concreto, ma la parola arma non è mai uscita dalla mia bocca."

Indifferente, Crowley si voltò verso lo splendido panorama su cui si affacciavano, del tutto irrilevante in quel momento; Aziraphale sentì l'urgenza di di scuoterlo o tirargli uno schiaffo per fargli capire la situazione precaria in cui aveva messo sia loro che gli invitati.
E anche coloro che avevano effettivamente organizzato quella sommossa.

Non ricevendo ulteriori segni di interesse da parte del demone, decise di intervenire per conto suo, intenzionato ad ammorbidire i danni quanto più possibile. Mise piede nella sala, e il frastuono lo sopraffò di colpo, come un enorme onda che si getta bruscamente sul bagnasciuga. Gente che scappava terrorizzata nella speranza di salvarsi, le urla disperate che si propagavano per la stanza, altri spari che fendevano l'aria pesante, tavoli rovesciati che fungevano da riparo.

Nonostante avesse assistito a numerosi spettacoli orribili nell'arco del suo lungo soggiorno sulla Terra, puntualmente rimaneva interdetto ogni qualvolta gli se ne presentava uno davanti.
Un enorme peso gravò sulle spalle, mentre la scena si svolgeva a rallentatore di fronte ai suoi occhi.

Fu un ulteriore sparo ad attivarlo, e si affrettò a raggiungere il tavolo più vicino, dove una coppia impaurita tamponava con garbo le ferite leggere che si erano procurati.

"State bene?" domandò allarmato, scrutando con attenzione entrambi.

La coppia annuì intimorita, avvicinandosi l'uno all'altro in cerca di conforto. Aziraphale ebbe un leggero tuffo al cuore.
Si guardò attorno, il caos che vigeva nella sala non più così elegante, e notò solo allora come tutte le porte fossero state bloccate. Le finestre ovviamente erano fuori discussione, dato che si trovano al terzo piano, per cui non vi era nessuna via d'uscita.

Osservò nuovamente la coppia tremante che aveva di fronte e senza ulteriori indugi, schioccò le dita, spalancando la porta più vicina a loro.
La donna, visibilmente impressionata, guardò prima il simbolo della sua salvezza e poi guardò Aziraphale.
Sorrise radiosamente, e in fretta e furia, con il marito per mano, si dileguò.

"Che cosa stai facendo?" sentì la voce tuonante di Crowley alle sue spalle e si voltò immediatamente, un cipiglio a decorargli il viso.

"Metto in salvo queste persone," indicò severo la porta da lui appena aperta. "Il fine non giustifica i mezzi, dovresti saperlo."

Incrociò le braccia al petto.

"Vuoi farti ammazzare? Non puoi andare in giro ad aprire porte e a salvare vite, se qualcuno ti vedesse?" lo redarguì Crowley sottovoce.

Aziraphale gli scoccò un'occhiataccia, trovandosi a corto di parole per controbattere. Balbettò la prima cosa che gli passò per la mente.

"Non mi ha visto nessuno."

E a quanto pare, si era sbagliato.
Oltre a starsene entrambi in piedi in mezzo al caos come due pesci lessi, una delle persone partecipante alla rivolta aveva notato il suo atto di buona fede, e con il suo gran vocione aveva urlato contro di loro, additandoli sprezzante.

Poi ci fu un altro sparo.

Aziraphale assistette alla scena a rallentatore. Il proiettile volò fuori dalla canna, fendendo l'aria con un fischio, la cui traiettoria aveva Crowley come bersaglio.
Gli ultimi secondi, invece, avvennero così velocemente che non ebbe modo di fermarsi a riflettere. Agì e basta.

Spinse il demone all'indietro, mettendosi nella linea di tiro, e nell'arco di un secondo avvertì un dolore lancinante al fianco destro, una macchia rossa che si allargava sulla camicia.
Caddero rovinosamente a terra, fortunatamente riparati da un altro tavolo rovesciato.

Crowley lo fissò sbalordito, gli occhiali erano sul pavimento, lasciando libero arbitrio ai suoi occhi dorati completamente sgranati.

"Cosa..." balbettò il demone, incapace di creare una frase di senso compiuto. "Perché lo hai fatto?"

Il suo tono non aveva traccia di rimprovero, solo pura agitazione e stupore.

Aziraphale gli rivolse un mesto sorriso, il sangue che incessante sgorgava dalla ferita, la quale ovviamente gli causava un dolore indescrivibile. Si era ferito più volte nell'arco dei secoli precedenti, ma mai aveva preso una pallottola.
E avrebbe voluto mantenere quel record a dirla tutta.

Volle veramente rispondergli, fargli sapere che quella volta era stato il suo turno di salvargli la vita, visto le innumerevoli occasioni passate nelle quali era stato Crowley a giungere in suo aiuto, ma una dolente fitta gli fece emettere un verso strozzato che allarmò ulteriormente il demone.

"Cosa stai aspettando esattamente? Un invito scritto? Schiocca quelle dannate dita e curati Aziraphale!"

Cercava chiaramente di non darlo a vedere, ma Crowley stava lentamente scivolando nel panico.

Aziraphale si permise una piccola risata.

"Temo di essere a corto di miracoli questo mese," spiegò lentamente, impiegando più forza del necessario nel mettere una parola dietro l'altra.

Il cuore di Crowley parve arrestarsi per un secondo.

"Dimmi che stai scherzando," mormorò con voce fioca, tastando senza guardare il pavimento alla ricerca degli occhiali.

Rammaricato e dolorante, Aziraphale scosse la testa, il sorriso sparito completamente dal suo volto.
I due si fissarono per qualche secondo, il respiro affannato dell'angelo sembrava sovrastare l'incessante frastuono.

Stranamente, non era spaventato.
Dopotutto si sarebbe semplicemente discorporato, certo il pensiero lo intristiva dato che possedeva quel corpo da quasi seimila anni, ci era piuttosto affezionato. Per non parlare poi della sua amata libreria, dei numerosi e preziosi libri che negli anni aveva collezionato.
Ma in fin dei conti, si parlava di beni materiali, frivolezze, così le avrebbe definite Gabriel e odiò trovarsi d'accordo con lui, specie con il fianco sanguinante.

Ci mise un po' ad ammettere che ciò che non voleva in alcun modo perdere, era proprio il demone spaventato che aveva di fronte. Lo rincuorò sapere che anche Crowley ci teneva a lui, quell'espressione terrorizzata di certo non era una casualità.

In seimila anni, si poteva dire che avevano passato dei bei momenti assieme, e anche momenti più spiacevoli che li avevano portati a separarsi per anni, facendo nascere della tensione nell'incontro successivo.
Proprio come quella serata.

Erano stati perseguitati in continuazione e gli dispiacque parecchio, non voleva che l'ultimo ricordo di Crowley assieme a lui prima di quel disastroso evento fosse quello di loro due nella Bentley che cercavano di mettere in chiaro il loro rapporto.

Dio che imbarazzo.
E mentre gli eventi di quella lontana sera del 1967 riaffioravano nella sua mente, sentì un mano cingergli il fianco.
Riprese coscienza del mondo che lo circondava e notò con stupore Crowley che faceva forza per sollevarlo da terra.
Non perse tempo ad aiutarlo, e una volta in piedi, portò il braccio sulla sua spalla.

"Che stai facendo?" domandò curioso e affannato, mentre il demone stringeva un pezzo di stoffa attorno alla sua vita.

Crowley lo guardò dritto negli occhi, mentre stringeva per bene il nodo.

"Non pensare che ti lascerò morire in mezzo a questo schifo," asserì, mortalmente serio e Aziraphale giurò di aver sentito il suo cuore sciogliersi.

Arrancando, si recarono verso la porta che aveva precedentemente aperto, ma un attimo prima di andarsene, lanciò un'occhiata al caos che andavano lasciandosi alle spalle. Poi si voltò verso Crowley, guardandolo negli occhi.

"Per favore."

Quel suo sussurro si disperse nell'aria, susseguito da un immediato schiocco di dita. Mai aveva sentito un suono più rassicurante.

Man mano che sentiva le forze venir sempre meno, Crowley lo trascinò in fretta e furia fuori da quella villa, affrettandosi a farlo salire in macchina. Come meta aveva la libreria di Aziraphale, che fortunatamente non distava poi molto.

Il panno bianco che aveva legato in vita diventava pian piano sempre più scuro, assorbendo il suo sangue come una spugna. Diede una rapida occhiata alla macchia scarlatta che andava espandendosi e fece una smorfia sia rammaricata e dolorante.

Alzò poi lo sguardo verso Crowley.
Concentrato, la fronte madida di sudore, spingeva l'acceleratore con tutta la forza possibile, imprecando sottovoce ogni qualvolta un pedone o un semaforo ostruivano il passaggio.
Aziraphale sorrise amaramente, il cuore che accelerava e rallentava allo stesso tempo.

Giunsero finalmente alla libreria, e in fretta e furia, Crowley lo aiutò a scendere dall'auto, porgendogli nuovamente la sua spalla come sostegno. In quel momento, provò un odio profondo per il corpo umano e la sua fragilità. Il dolore lo stava logorando.

Affannato, venne fatto sedere sulla sua amata poltrona, la chiazza rossa che continuava ad espandersi a macchia d'olio, impregnando il tessuto sempre di più. Il terrore aveva gentilmente fatto irruzione nel suo cervello, bloccando ogni suo movimento: non poteva fare altro che fissare stralunato la ferita.
Desiderò ardentemente che tutto finisse.

La sofferenza, la paura, l'ansia.
Non era abituato a tutto ciò.
Seimila anni e a malapena un graffio si era fatto, ora invece era appeso ad un filo, in una lunga dolorante attesa.

Strizzò forte gli occhi, come se servisse far avverare lo sciocco desiderio, ma una volta riaperti, la realtà gli venne sbattuta in faccia con uno schiaffo sonoro.
Notò a malincuore Crowley, che freneticamente raccattava il materiale necessario per suturare la sua ferita, l'espressione concentrata, i passi scattanti. Udì anche un paio di schiocchi di dita, e siringhe e altri utensili fecero la loro magica apparizione sul tavolo di fronte a lui. D'altronde si trovavano in una libreria, non in un pronto soccorso.

Cercò seriamente di distrarsi, di focalizzarsi su altri pensieri, soprattutto doveva rimanere vigile, ma non ebbe molto successo, assai scontato visto che perdeva sangue ogni secondo che passava. La sua mente era in subbuglio, incapace di prendere una direzione e seguirla.

Provato, si asciugò la fronte madida di sudore, il fiato corto e affaticato, l'aria calda che gli si appiccicava al viso.
Non voleva perdere quel corpo, quella vita, e soprattutto non voleva perdere Crowley. Quella piccola parte lucida del suo cervello tentò di zittirlo, invano.

C'era sicuramente la possibilità di ritrovarlo una volta ottenuto un altro corpo, ma che senso avrebbe avuto?
Non sarebbe mai stata la stessa cosa.
I loro momenti assieme sarebbero stati solo vecchi ricordi, gingilli inutili rinchiusi in una soffitta a prendere polvere.
Se fosse diventato anche lui uno di quei gingilli? Se Crowley non avesse apprezzato quella nuova versione di Aziraphale? Che ne sarebbe stato di lui?
Gettato nel dimenticatoio, ecco cosa.

Probabilmente stava delirando, aveva la testa ricolma dei pensieri più assurdi mai sentiti prima d'ora, quindi la parte razionale di sé cercò di focalizzarsi su quel micro appiglio pur di rimanere lucido. Un ulteriore tentativo vano, dato che la stanchezza mista a quelle brutte ipotesi, fece riempire i suoi occhi chiari pieni di lacrime.

Lacrime che però non ebbero mai l'opportunità di colare inesorabili sul suo viso stremato, poiché il demone interruppe quel momento delicato, parandosi di fronte a lui, le mani cariche di utensili dediti alla chirurgia.
Con i capelli legati in un codino disordinato e le maniche della camicia arrotolate fino al gomito, Crowley posò gli arnesi sul tavolino che li divideva e iniziò ad armeggiare con quello che capì essere un anestetizzante.
Aziraphale percepì un leggero sollievo dentro di sé; almeno non avrebbe provato ulteriore dolore. Non aveva una soglia molto alta, né si poteva dire il contrario per la sua pazienza.

"Dovresti toglierti la camicia."

Sentì lo sguardo serpentino del demone puntato su di sé, e per poco la sua pelle non prese fuoco. Non era avvezzo a spogliarsi di fronte ad altre persone e se all'inizio di quella serata gli avessero detto che sarebbe finito a sfilarsi la camicia di fronte a Crowley, probabilmente avrebbe riso incredulo, esilarante come suonava.
Sicuro più esilarante di una pallottola piantata nel fianco.

Fece come richiesto, sebbene con leggera fatica e con molta lentezza, la ferita che tirava dolorosamente ad ogni piccolo movimento che compiva. Una volta a petto nudo, la bocca asciutta e le guance in fiamme, osservò le mani agili di Crowley che operavano con la siringa contenente l'anestetizzante.
Venne catturato dalla maestria che andavano sfoggiando, e quando percepì le dita affusolate sfiorargli la pancia, ebbe il presentimento che se non fosse stata la pallottola ad ucciderlo, di certo sarebbe morto per quel motivo.

Per prima cosa, il demone sfilò delicatamente il tessuto pregno di sangue dal suo fianco, avvicinandosi fin troppo per dare una rapida occhiata alla situazione. Aziraphale osservò attentamente ogni sua mossa e notando la sua espressione rilassarsi, sentì una piccola fiamma di speranza accendersi dentro di sé.

"Fortunatamente," spiegò placido Crowley, " non sei stato colpito in un punto vitale, quindi la situazione non è critica."

La tensione che fino ad allora aveva attanagliato lo stomaco del povero angelo, sparì in un soffio, consentendogli di respirare.

"Quindi non morirò?"

"No naturalmente," rispose il demone, leggermente divertito da quella domanda. "Devo comunque sbrigarmi a suturarla, altrimenti rischiamo in un'infezione, grazie a Di- per fortuna non hai perso troppo sangue."

Aziraphale tirò l'ennesimo sospiro di sollievo, sentendo i nervi farsi più sciolti. Oramai non aveva più nulla da temere, la sua vita avrebbe continuato ad essere la stessa di sempre, nel suo amato corpo, all'interno della sua preziosa libreria e al fianco di Crowley.
Almeno, lo sarebbe stato in quei loro incontri casuali.
Nulla sarebbe cambiato e ciò lo rendeva piuttosto euforico, tant'è che un enorme sorriso si fece spazio sul suo volto.

Talmente preso dal gioire, si accorse solamente un secondo prima dell'ago in procinto di perforarlo, perciò preso alla sprovvista, sobbalzò appena.
Crowley gli scoccò un'occhiata leggermente seccata; si trattava pur sempre di un lavoro di precisione.
L'angelo gli rivolse un sorriso di scuse, cercando di focalizzarsi su qualcos'altro, ma inevitabilmente la sua attenzione ricadde su i polpastrelli di Crowley che delicati sfioravano il suo addome.

Era una sensazione del tutto nuova, quasi rinvigorente, ma del tutto sbagliata, inconcepibile. Quei leggeri brividi che percepiva, il cuore a mille, tutto inopportuno, tutto proibito.
E per quanto cercasse disperatamente di non pensarci, si concesse l'egoistico lusso di godersi quel tatto fine.

Vigeva un silenzio fastidioso nella stanza, soffocante a dirla tutta, cosa assai normale vista l'espressione concentrata sul viso del demone però Aziraphale non era mai stato in grado di mantenere il silenzio, specie in situazioni come quelle.

Ingoiò rumorosamente la saliva, lo sguardo puntato su un polveroso scaffale, nel mentre che l'ago si insinuava nel suo corpo.

"Dove hai imparato a medicare una ferita del genere?" chiese dunque, infrangendo quel fastidioso silenzio che si era creato.

Alla fine non è che stesse cercando di scappare da i suoi pensieri riguardanti Crowley, sebbene lo stesse chiaramente facendo, ma quella domanda che aveva posto era genuina. Sul serio, lui non ne sarebbe mai stato in grado, avrebbe ricorso prontamente ad un miracolo, rischiando grosso si, eppure avrebbe salvato la vita del demone.

Invece Crowley, inginocchiato di fronte a lui, mostrava sfacciato la sua esperienza e la sua bravura, facendo sembrare il tutto così semplice e veloce, come se stesse pelando una patata. A quanto pare, intento ad armeggiare con chissà quale arnese, non gli rispose; concentrato com'era, probabilmente non lo aveva neanche sentito.

Aziraphale allora ne approfittò per scrutarlo, osservando attentamente i suoi lineamenti, di come le sopracciglia andavano corrugandosi verso il centro, di come la bocca si piegava in una smorfia. Ne osservò il naso leggermente arricciato, gli occhi dorati fissi sul lavoro che stava eseguendo, alcuni ciuffi rossi ribelli che cadevano fuori dal codino spettinato che si era fatto in fretta e furia.

Crowley era sempre stato un essere dai lineamenti affascinanti. Ne era sempre stato attirato, soprattutto vedendo come mutavano ogni qualvolta che il demone si mostrava a lui con una nuova acconciatura. Dettaglio che aveva sempre trovato stranamente appagante.

Era ciò che rendeva Crowley, beh Crowley.
Una considerazione assai riduttiva ovviamente, poiché era più di un semplice taglio di capelli e di un viso incantevole.

Poteva essere visto come un soufflé: duro all'esterno ma morbido all'interno. Alla fine i suoi modi potevano sembrare bruschi, ma in fin dei conti agiva con premura. Proprio come in quel caso.

"Stupido angelo," borbottò apprestandosi ad estrarre il proiettile.
Fortunatamente l'anestesia aveva fatto effetto.
"Come ti è saltato in mente di fare una cosa del genere, razza di idiota."

Non capì se fosse una domanda retorica o meno, ma decise ugualmente di volergli rispondere, ora che aveva finalmente l'opportunità per farlo.
E stranamente, il coraggio.

"Toccava a me salvarti la vita, non trovi?" disse cristallino, un mezzo sorriso dipinto sul volto.

Quella risposta volò leggiadra, disperdendosi nei meandri della libreria, infrangendosi su i muri, stordendo il povero demone.
Quest'ultimo si immobilizzò per un attimo, la mano reggente la pinza sospesa a mezz'aria.

Parve non voler incontrare lo sguardo di Aziraphale; preferì fissare la ferita con fin troppo interesse, senza spiccicare una misera parola, prima di rimettersi all'opera come se nulla fosse successo.
L'angelo, oltre ad essere deluso per via di quella carente reazione, bramava il desiderio di controbattere, di sottolineare, di dare un peso a ciò che aveva detto. In fin dei conti era vero, Crowley era continuamente corso in suo aiuto nell'arco dei secoli precedenti; non che in circostanze diverse avrebbe permesso che il proiettile lo colpisse, sia ben chiaro.
Lo avrebbe rifatto ancora ed ancora, nessun ripensamento. 

Aspettò impaziente che il proiettile venne rimosso con cura, voleva evitare eventuali incidenti, un'operazione che fortunatamente richiese poco tempo e solamente un leggero fastidio all'addome, nulla di insopportabile.
L'oggetto del delitto venne depositato rumorosamente su un piatto, prima che Crowley si armasse di ago e filo.

Aziraphale colse il momento, schiarendosi per bene la gola.

"Intendevo veramente ciò che ho detto," fece presente con un dolce tono, ma non ottenne nulla. Il demone non si scompose minimamente, continuando tranquillamente ad armeggiare con ovatta e garza.

L'angelo rimase perplesso, fissandolo con espressione corrucciata.
Che fosse ancora adirato per la discussione che avevano avuto un precedenza? Eppure gli aveva porto le sue scuse più sentite, che ne necessitasse altre?
Era piuttosto confuso, per non parlare poi di quanto stordito si sentisse, quindi adattò sempre la tattica dell'insistenza.

Voleva fargli capire quanto importante fosse effettivamente per lui.

"Crowley, mi stai-"

"Ho capito!" sbottò il demone, talmente irritato da fare volare il rotolo di garza per terra. "Ho afferrato il concetto, grazie mille per averlo ribadito," continuò ulteriormente stizzito, allontanandosi da lui.

Aziraphale lo fissò sbigottito, quella reazione lo aveva preso del tutto in contropiede.

"Cosa vuoi che ti dica, mh?" lo vide massaggiarsi l'attaccatura delle sopracciglia. "Grazie per aver preso un proiettile al posto mio? Grazie per avermi spaventato a morte?"

Un ringraziamento alla fine non sarebbe guastato, ma onestamente l'idea non l'aveva minimamente sfiorato fino a quel momento. Aveva agito di buon cuore, non aveva minimamente desiderato di ottenere qualcosa in cambio.

"Non era mia intenzione spaventarti," ribatté affaticato, mentre cercava a stento di alzarsi dalla poltrona. Gli costò un enorme sforzo ma riuscì nel suo intento, avvicinandosi a Crowley.

Il quale però non sembrava minimamente intenzionato a stargli vicino, come se l'aria che aveva attorno fosse in qualche modo tossica. Fu un piccolo colpo al cuore.

"Ovviamente lo so," ringhiò tra i denti, stringendosi tra le spalle.

"Allora qual è il problema?" chiese ingenuamente l'angelo, sentendo l'urgenza di ributtarsi sulla poltrona.

"Qual è il proble- UGH!" Crowley, adirato più che mai, si passò con frenesia le mani sul volto, emettendo sbuffi e altri versi di disappunto, lasciando Aziraphale assai turbato. Si stava seriamente sforzando di comprendere ciò che il demone andava cercando disperatamente di fare presente, ma proprio non ci riusciva.

"Il problema è che non puoi fare così," disse infine, più o meno soddisfatto della risposta.

"Se parli del proiettile, sappi che lo rifarei ancora-"

"Ecco, non devi fare così! Smettila! Per l'amore del ciel-ngk!" ci fu un sospiro pesante, ricolmo di frustrazione. "Non  puoi avere queste uscite melense dopo tutto quello che è successo..."

Aziraphale, che non aveva smesso per un solo secondo di aggrottare le sopracciglia, lo fissò.

"Quello che è successo?"

"Stasera!" sbottò nuovamente Crowley. "Cosa ti aspettavi esattamente?" chiese alzando le braccia al vento con fare esasperato. "Che grazie ad un proiettile preso al posto mio, magicamente tutto quello che ci siamo detti, anzi, che tu mi hai detto, non contasse più nulla?"

La domanda rimase sospesa a mezz'aria, incompleta, senza una risposta.

"Poof! Sparito tutto, non è successo niente di niente! È questo che ti aspettavi? È ciò che credevi sarebbe avvenuto? Mi dispiace deluderti Aziraphale, ma non funziona così!"

Cadde il silenzio, di quelli soffocanti che ti avvolgono con forza, portandoti all'esasperazione. La tensione, così spessa, così presente, volteggiava nell'aria, riempiendo l'intera stanza.
Aziraphale, leggermente più lucido di prima, cercò disperatamente di mettere in ordine i pensieri e di scegliere le parole giuste, nella speranza di non angustiare ulteriormente Crowley.

Non gli era ancora bene chiaro il quadro finale, in fin dei conti era ovvio ci fosse qualcosa dietro, doveva solamente capire cosa.

"Mi sono già scusato per le cose orribili che ti ho detto, e nel caso non fosse bastato mi scuso nuovamente, essendo ancora profondamente dispiaciuto-"

"Non si tratta solo di stasera, Aziraphale."

Quell'affermazione, parve far rompere qualcosa dentro Aziraphale, e allo stesso tempo qualcos'altro scattò. Non seppe a quale delle due sensazioni ancorarsi, ritrovandosi in un mezzo confusionario.

"Ogni volta, da ormai anni, secoli, non fai altro che ripetere sempre lo stesso identico concetto! Mi dici cose come vai troppo veloce per me, e poi fai tutto il sentimentale! Io non-" un altro verso, un altro lungo, pesante sospiro esasperato.

Aziraphale rimase immobile, di stucco.
Naturalmente Crowley era ancora avvinghiato al 1967, sciocco lui che si era permesso egoisticamente di credere che ci fosse passato sopra. Quando nessuno dei due era stato in grado di farlo.
Per anni e anni aveva desiderato rimangiarsi quelle parole così sbagliate, enigmatiche, che celavano segreti, parole non dette.

"Mandi segnali contrastanti e io onestamente la forza di illudermi non la possiedo più, da tempo ormai," asserì sottolineando aspramente l'ultima parte, sebbene quell'affermazione fosse pregna di dolore e stanchezza.

Il suo cuore perse un battito, e man mano il quadro diventava sempre più evidente, ma in qualche modo il suo cervello ottuso ostruiva la vista.

Se solo avesse potuto rimangiarsi tutto, pensò tra sé, eppure il concetto era quello ed era giusto.
Lo andava ribadendo di volta in volta, non perché ci credesse effettivamente, ma perché credere fermamente nel contrario avrebbe portato a conseguenze catastrofiche.

Se solamente la realtà nella quale vivevano fosse stata completamente diversa, allora si sarebbe potuto concedere il lusso di essere onesto, di essere libero, di essere...innamorato.

Ma la realtà era ben altro che facile, e non aveva alcuna possibilità di cambiare le carte in tavola e gli si spezzava il cuore ogni volta che la sua mente ricadeva in quel turbinio di sofferenza. Comprendeva l'esasperazione di Crowley, comprendeva il suo desiderio, la sua urgenza, ma ciò che proprio non concepiva era il suo apparente menefreghismo.

"Non ho alcuna intenzione di metterti in pericolo in questo modo," asserì con determinazione, scontrandosi con le iridi dorate e stanche del demone.

Quella era la verità.
Preferiva tenerlo lontano anziché farsi sopraffare dal suo bisogno egoistico, rischiando di perderlo per sempre.

"Anche questo non fai altro che ripeterlo sempre," ribatté stizzito Crowley, le braccia incrociate strette al petto.

Non poteva essere così sciocco da non capire, sicuramente era consapevole di ciò che effettivamente li circondava, ma a quanto pare preferiva far finta che fosse tutta una mera finzione. E Aziraphale questo lo capiva a pieno, avrebbe quasi voluto essere nei suoi panni, vivere alla leggera.

"Perché purtroppo è la verità, e so che sei così cieco da non poterlo capire, ma almeno sforzati!"

Forse quella frase gli uscì più aspra di quanto avrebbe voluto e ne ebbe immediatamente conferma.

"Oh, sono io quello che deve sforzarsi di capire? Seriamente?"

Gli scoccò un'occhiataccia a dir poco fulminante. Aziraphale sospirò, sentendosi più esausto che mai.

"Si Crowley, ammetto di aver detto cose disdicevoli in passato, eppure per quanto i miei modi siano stati errati, ciò che volevo effettivamente esprimere non è sbagliato."

Cercò di optare per un approccio più pacato e coinciso, nella speranza di fargli aprire gli occhi sulla questione. Ma ahimè ciò che Aziraphale invece non comprendeva, era quanto Crowley fosse effettivamente stufo di sentirsi ripetere sempre le stesse frasi.
In fondo sapeva, ovviamente sapeva, viveva con quella consapevolezza da secoli, eppure l'angoscia quella sera aveva preso il sopravvento, inondando completamente il suo cervello.

"Giusto giusto," cominciò il demone con fare saccente. "Visto che tu sei un angelo, naturalmente sei dalla parte della ragione, dalla parte dei buoni, che sciocco che sono!" dalla sua bocca si levò una risata quasi isterica.

"Io invece, essendo un demone, un essere dannato, un angelo caduto, sono dalla parte del torto e lo sarò per sempre!"

Aziraphale sentì una fitta al cuore nel sentire Crowley che gli metteva quelle orribili parole in bocca ma in fin dei conti per anni ci aveva creduto e le aveva predicate. Se solo avesse potuto tornare indietro, se solo avesse potuto eliminare, se solo avesse potuto sistemare, se solo avesse potuto plasmare la loro realtà a piacimento.

Odiava il fatto che la sua intera esistenza si basasse su tutti quei Se.
Odiava questa cosa con tutto se stesso.

"Sai benissimo che non è assolutamente ciò che intendo," fece presente Aziraphale, sguardo ricolmo di determinazione.

"Ah, non lo è? Ne sei sicuro?" lo schernì fastidiosamente il demone, che iniziò a camminare per la libreria. "Non è ciò che mi hai ripetuto per secoli e secoli? Siamo nemici! Non possiamo aiutarci, non possiamo interagire, non possiamo respirare la stessa aria!"

Ci fu una breve pausa.

"Apparteniamo a due mondi differenti, percorriamo la stessa strada ma...io vado troppo veloce, ricordi?"

Aziraphale si sentì come se fosse diventato minuscolo, un misero moscerino di fronte ad un elefante, il senso di colpa che amaro che corrodeva il suo stomaco.
Avrebbe voluto abbracciarlo, rassicurarlo, assaggiare un po' di quel dannato egoismo, avrebbe voluto fare tante di quelle cose ma non poteva.

Si limitò a sospirare.

"Crowley, se scegliessi - te - la nostra fazione, metterei - te - la tua esistenza in grave pericolo, e se poi qualcosa di orribile accadesse - a te -, non me lo perdonerei mai, neanche tra un milione di anni," ammise con sconforto.
"E onestamente non riuscirei a vivere..."

senza di te

"Con questo enorme peso."

Per quanto la pura verità fosse stata omessa, nel complesso ciò che aveva detto esprimeva per bene il suo pensiero, nella speranza che Crowley aprisse gli occhi.

Avevano entrambi il cuore pesante, carico di sofferenza, attesa, sentimenti mai espressi. Entrambi sull'orlo di scoppiare, ma fin troppo spaventati per farlo effettivamente succedere.

"Quindi preferisci continuare a leccare i piedi al Paradiso, anziché rischiare per una giusta causa?"

Un'altra domanda ardua, fatale, che si infranse su i muri con violenza, scagliandosi sulla faccia di Aziraphale come se qualcuno gli avesse appena tirato una sberla. Sbatté le palpebre più volte, il cervello che tentava di elaborare una risposta sensata ma venne preceduto dalla sua ottusità.

"Giusta causa?"

Quella domanda invece, fu pari ad una pugnalata dritta nel cuore di Crowley, che agonizzante, si frantumò del tutto.

"Noi, Aziraphale, noi," marcò a denti stretti il demone, gli occhi ridotti a due fessure nella speranza di impedire la fuoriuscita delle lacrime. 

Non aveva bisogno di ulteriori chiarimenti in merito, ormai era talmente disconnesso dal suo cervello che non sapeva più che dire o come agire. Eppure anche lui era stanco, frastornato e soprattutto terrorizzato all'idea che qualcuno potesse scoprirli.
Non era avvezzo al cambiamento, non era avvezzo al rischio e soprattutto non era avvezzo ad una vita senza Crowley.

E come ben si sa, preferiva tenerlo lontano, poiché la sola idea di perderlo gli lacerava l'anima in mille pezzi.

"Crowley non c'è nessun noi," mormorò cercando di risultare sprezzante, ma uscì un lamento quasi angosciante che gli si mozzò in gola.

Era umanamente possibile distruggere ulteriormente il cuore di qualcuno? O assumere un'espressione più devastata di quanto già non fosse?

Evidentemente lo era, perché entrambi avevano raggiunto questo traguardo.

Aziraphale aveva iniziato a respirare ansante, il sudore freddo che colava lungo il collo, Crowley invece era stato posseduto da un leggero tremolio, sia alle mani che al labbro inferiore.
La tensione li stringeva in un caldo e opprimente abbraccio, avvenimento ormai all'ordine del giorno.

I due si fissarono.
L'azzurro che si mischiava al dorato, e viceversa.
Probabilmente si scambiarono più di mille parole, tra insulti e confessioni dolci, parole a cui mai si sarebbero potuti permettere di dare voce. Oppure navigarono l'uno negli occhi dell'altro, alla ricerca di una conferma, di una speranza ma attorno a loro il vuoto assoluto. Stettero così per un'eternità. Oppure solo per qualche secondo.

"Perché non capisci..." mormorò flebile Crowley, gli occhi vitrei, il corpo immobile come una statua.

Aziraphale si allarmò.

"Non capisco cosa?" chiese.

"Nulla, non capisci nulla di nulla Aziraphale," disse incredulo, facendosi scappare una risatina. "Forse non capirai mai, e io sono qui, come un idiota, a sperare che un qualche miracolo avvenga," continuò, il tono sempre più esasperato.

L'angelo si stizzì leggermente; non comprendere i fatti non era un'attività che lo aggradava, ma il problema si verificava quando qualcuno non era intenzionato a metterlo al corrente.
Come in quel caso.

"Se fossi più coinciso, forse e dico forse potrei capire, in modo da porre fine a questa discussione," gli fece presente, facendosi scappare un pizzico di saccenza che non giovò particolarmente.

"Non posso," rispose semplicemente, scrollando le spalle. "Se non puoi tu, non posso neanche io, no?"

Ed ecco che sorrise beffardo, gli occhi  che invece riflettevano la disfatta totale.

"Certo che puoi, in fondo siamo diversi-"

Venne interrotto per l'ennesima volta.

"Esattamente, siamo diversi, siamo gli opposti, un angelo e un demone, non siamo fatti per..."

Ci fu una breve pausa.

Non siamo fatti per stare insieme

"Per fraternizzare, o qualsiasi altro termine preferisci," lo liquidò con un gesto della mano. "Ripeto, sarebbe del tutto inutile, se non una follia pura."

"Come fai ad esserne sicuro?"

Mancava l'ultimo pezzo per completare il puzzle, Aziraphale ne era certo.

Crowley ridacchiò.

"Lo so e basta, dopo tutti questi anni," gli spiegò placidamente il demone, facendolo solamente innervosire.

Il suo essere enigmatico stava diventando fastidioso, eppure la tensione che aleggiava nella stanza celava fin troppi segreti.

"Crowley, dillo e basta, per cortesia! Non ha senso girare attorno, parla così che possa capire e sistemare qualunque cosa ci sia da sistemare."

Aziraphale lo fissò con insistenza, prima che dalle labbra di Crowley si levasse un'amara risata che riecheggiò nella stanza.

"Non c'è nulla da sistemare, è un problema irrisolvibile! Un lucchetto senza chiave! Un puzzle a cui mancano dei pezzi! Ormai è una causa contro cui ho perso anni orsono," ammise con fin troppa enfasi, volteggiando per la libreria.

L'angelo ebbe un ulteriore impulso, che represse con particolare sforzo. La curiosità ardeva dentro di sé, il tedio a fare da carburante, il dolore bruciato.

"Allora dillo, confessa, fa qualcosa di concreto!"

Crowley lo squadrò da capo a piedi, ridacchiando sotto i baffi.

"Non ci arrivi proprio eh?" lo canzonò il demone con aria saccente, le sopracciglia che svettavano all'insù.

"No che non ci arrivo!" sbottò Aziraphale. "Smettila di fare discorsi enigmatici e dimmi cos'è che non capisco!"

Calò momentaneamente il silenzio, la tensione che volteggiava indisturbata.
Fu una pausa breve, a quanto pare Crowley necessitava solamente di uno schiarimento di gola e dei suoi amatissimi occhiali con lenti scure.
Quando lo vide sospirare, capì che in quel momento lo avrebbe rivelato.

"Aziraphale, io ti a-"

Ed ecco che il primo scoppio si fece sentire, susseguito da una pioggia di colori e ulteriori esplosioni.
I fuochi d'artificio coloravano il cielo, in un tripudio di combinazioni, segnando l'inizio del nuovo anno.

Probabilmente, nelle case vicine, bambini e genitori se ne stavano con il naso all'insù, affacciati alla finestra, godendosi quella pioggia variopinta e rumorosa. Probabilmente le coppie si stavano scambiando baci e dolci promesse sotto il cielo illuminato. Probabilmente gruppi di amici stavano festeggiando a suon di musica.

Nessuno di loro però si trovava nella stessa situazione di Aziraphale e Crowley.
Secoli e secoli di continua negazione, di continua repressione, di continua sofferenza, di discussioni infinite, di  parole non dette, di sentimenti nascosti, di paura e di un amore che sembrava impossibile.
E così era.

Entrambi ne erano perfettamente consapevoli, ed entrambi gestivano questa dolorosa consapevolezza in modi completamente diversi.
Aziraphale con il dolore.
Crowley con la rabbia.

Entrambi con il silenzio.

E quando lo spettacolo pirotecnico giunse alla sua fine, le parole che Crowley aveva lasciato in sospeso parvero acquistare finalmente un senso nella mente di Aziraphale.

Oh.
Oh.

Il pezzo mancante del puzzle era finalmente stato aggiunto, dandogli finalmente un quadro completo della situazione. Pezzo che per giunta già possedeva, perché in fin dei conti non era così ottuso come credeva di essere.
Lui osservava, notava e realizzava.

E quelle parole sospese, che bramavano una fine, erano la conferma scritta che temeva di ricevere, poiché anche se avessero trovato una conclusione, non avrebbero mai trovato una risposta.
Si vergognava di tutto ciò, si struggeva per tutto ciò, ma la sua vita era composta da Se continui e ahimè il potere di renderli reali purtroppo non lo possedeva.

E quando quella bolla di silenzio parve esplodere autonomamente, Aziraphale si rivolse a Crowley.

"Stavi dicendo qualcosa?"

Crowley, precedentemente rivolto verso la finestra, girò il capo nella sua direzione, le pupille dorate avevano preso completamente il sopravvento sulla parte bianca dell'occhio.

"Nulla di importante," mormorò.

Sussurro che si infranse dolorosamente sul volto di Aziraphale, che stupidamente fece un cenno a Crowley, nella speranza che cambiasse idea, che finisse di parlare.
Un pensiero assai egoistico.
Ma oramai l'occasione era andata persa, persa per sempre.

"Dovresti riposare, si è fatto tardi" continuò poi il demone, dondolandosi.

Aziraphale annuì, le spalle gobbe per la tensione, un leggero fastidio lì dove era stato ferito. Si accomodò nuovamente sulla sua poltrona, sistemandosi quanto meglio possibile, alzando infine lo sguardo verso il demone.

"Crowley..." sussurrò flebile, fissando le lenti scure poggiate sul suo naso.

Non seppe con certezza perché lo chiamò, né tantomeno capì come mai non disse altro che il suo nome.

Il demone tenne lo sguardo puntato su di lui per qualche altro secondo, il tempo che quel sussurro, che probabilmente non avrebbe più udito per parecchi anni, si disperdesse nell'aria. Come a voler assaporare quell'ultimo saluto.

Poi aprì la porta e senza girarsi disse:

"Buona notte."

E uscì fuori, chiudendosi la porta alle spalle con un tonfo sonoro.

Aziraphale si strinse nelle spalle, l'aria parve farsi più fredda, tenendo stupidamente gli occhi puntati sulla porta.

Non staccò il suo sguardo da lì per tutta la notte, nella sciocca speranza che Crowley si rifacesse vivo.
Sebbene in cuor suo sapesse che non ci sarebbe stata nessuna possibilità.

Infine si chiese se lo avrebbe mai rivisto varcare quella soglia, magari con un dolce sorriso stampato sul volto e un'acconciatura tutta nuova.
Chissà, si chiese Aziraphale, prima che la stanchezza sopraggiunse, abbassandogli leggermente le palpebre, gli occhi ancora puntati lì dove aveva visto Crowley, forse per l'ultima volta.

E quando la mattina dopo si risvegliò, il collo intorpidito e la garza che prudeva leggermente, notò sul suo tavolino un pezzo di carta che fino ad allora non c'era mai stato.
Delicatamente lo prese e un sorriso amaro nacque sul suo volto:

"Felice anno nuovo, angelo"
- Crowley

Il grande ritorno del sottoscritto con una bellissima tristissima oneshot da 12k parole. Nuovo record, se vi interessa.
Questa oneshot giace nelle mie bozze da tre mesi e mezzo, non chiedetemi perchè, ma se vi è piaciuta magari lasciate una piccola recensione!
- shawn

 

   
 
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