Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti
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Autore: innominetuo    26/11/2022    7 recensioni
Essere medico in un reparto militare composto da potenziali martiri non dev’essere di certo una passeggiata. Meti questo lo sa bene.
Ma si sa: ci sono vocazioni e vocazioni, non sono tutte uguali.
Alcune sono un po’ più folli e disperate di altre.
Ma può andar bene… anche così.
(Questa fanfiction è scritta per puro diletto e senza scopo di lucro alcuno, nel pieno rispetto del diritto d'Autore)
N.B. La presente fan fiction è pressoché ultimata, ragion per cui le pubblicazioni saranno - salvo imprevisti di varia natura - regolari e nel fine settimana.
Genere: Azione, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Erwin Smith, Levi Ackerman, Nuovo personaggio
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Spoiler!, Tematiche delicate
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Cuori in volo'
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(This image is from a google search, no copyright infringement intended)

Già dal giorno seguente Meti tornò al suo lavoro.

Non intendeva indulgere nello stato di riposo, nonostante le accorate raccomandazioni di Hervert in tal senso. In Caserma c’era molto da fare, non solo relativamente alle visite e alle cure dei soldati, ma anche a livello burocratico: c’erano sempre certificati, resoconti e dispacci periodici da redigere.

Lavorare era da sempre importante per lei, per farla sentire utile e per ribadire, soprattutto a se stessa, di avere un suo posto nel mondo, a dispetto di qualsiasi accadimento esterno.

Persino Hanji, che era andata a trovarla grazie ad un permesso di Erwin, era rimasta perplessa nel vederla in piedi, composta e tranquilla suo solito, e con già indosso il camice candido.

«Sei ancora più testarda di me, con il lavoro! Dovresti startene a riposo!»

«Sai come si dice, no? Se vai con lo zoppo…» chiosò Meti beffarda, ironizzando sulla sua stessa disabilità. Sorrise, poi, per tranquillizzarla.

Le due donne furono felici di ritrovare parole e modi resi unici dalla loro amicizia: la guarigione di Meti dallo stato di amnesia aveva reso possibile il ripristino del loro rapporto. Le cose con Erwin, invece, stavano vivendo un particolare momento di stallo… di “non detto”.

L’uomo le aveva chiesto la sera prima di potersi fermare da lei, per passare insieme la notte: non tanto per far l’amore, dato che Meti era ancora un po’ debole e bisognosa di riposo, ma giusto per poter ripristinare quella dolce intimità che, tempo addietro, si era creata tra loro e che era stata poi interrotta dalla scomparsa di lei, cosa che li aveva tenuti separati a lungo.

Scusami… ma mi sento molto stanca e preferirei restare da sola…

Smith non aveva insistito oltre e, dopo un ultimo bacio a fior di labbra, si era congedato, chiaramente avvilito.

Adesso era necessario riprendere pian piano i passi, per potersi ritrovare. In questo senso Erwin, che di suo era sostanzialmente un uomo d’azione, era desideroso di recuperare il tempo perduto, per quanto possibile: Meti gli era mancata terribilmente, non solo durante i mesi di lontananza, ma anche a causa dell’amnesia che poi l’aveva colpita, rendendo impossibile ogni contatto diretto con lei.

Meti, al contrario dell’uomo, era invece molto combattuta sul da farsi.

I suoi sentimenti per Erwin erano sinceri e profondi, sentiva anzi di amarlo anche più di prima.

Ma doveva decidere come gestire le rivelazioni fattele dal padre: rivelazioni che gli erano costate la vita, per mano di un sicario. Solo per pura fortuna lei non aveva fatto la stessa fine. Sapeva che il suo uomo attendesse delle informazioni, dato che essenzialmente le aveva chiesto di riallacciare con suo padre proprio per poter finalmente conoscere la verità. Anche se, per il momento, più che altro per delicatezza d’animo, non le aveva chiesto nulla, nei prossimi giorni di sicuro avrebbe cercato di affrontare con lei il discorso.

Per questo motivo Meti cercava, per quanto possibile, di tenersi impegnata e di procrastinare quel momento, tenendo l’uomo un po’ a distanza.

Aveva molta, molta paura.

Più rifletteva sulla cosa, e più si convinceva che raccontare ad Erwin quanto rivelatole dal padre lo avrebbe messo automaticamente in serio pericolo di vita.

Suo padre era stato assassinato.

E, ripensando al passato, cominciò seriamente a sospettare che anche la morte di Basil non fosse stata affatto accidentale: altro che “incidente sul lavoro”! Basil era sempre stato perplesso sul conto delle Mura. La sua morte improvvisa cominciava ad esserle sempre più sospetta.

Al tempo stesso, oltre alla paura, Meti sentiva crescere dentro di sé la rabbia e il desiderio di vendicarsi: suo padre e suo marito erano morti, e adesso anche Erwin rischiava di perdere la vita, come anche lei stessa, e tutto questo per colpa di chi? Cercava di ragionarci su. Posò la penna con cui stava redigendo un rapporto statistico su malattie infettive dell’ultimo periodo in caserma e si resse le tempie con ambo le mani.

Ragiona Meti, ragiona…

Il Re era un impostore.

I veri Reali erano i Reiss, famiglia antichissima, le cui origini si perdevano nella notte dei tempi, che tenevano a mantener tutto ben nascosto, tirando le fila da dietro e mantenendo sul trono un re-fantoccio. I Giganti erano, in realtà, proiezioni di esseri umani… e le Mura stessa li contenevano.

Meti sorrise amaramente, su quest’ultimo aspetto: non ignorava di certo il fanatismo religioso di chi venerava le Mura, pregando per la loro “intercessione” in favore dell’Umanità. Re Fritz, un secolo prima, aveva condizionato a livello psi tutto il popolo delle Tre Cerchie… per fargli dimenticare tutto.

Ogni cosa era finita nell’oblio.

La gente viveva tranquilla ed ignara all’interno delle Mura, accettando di non poter accedere all’Esterno per la presenza di quei dannati mostri. Peccato che gli Athiassy ed un’altra famiglia, quella degli Ackerman, avessero la mente troppo forte per subire tale condizionamento psi.

Chissà… forse sarebbe stato utile rintracciare qualcuno degli Ackerman… magari parlare con loro della situazione e cercare un modo per venirne fuori. Anche se l’unico Ackerman di conoscenza di suo padre era un losco figuro di nome Kenny, che era stato solito dargli il tormento con visite inopportune, atte a tenerlo obbligato verso i Reiss e ad obbedir loro.

Quando Goram glielo aveva confessato, Meti si era sentita stringere il cuore: il suo povero padre aveva dovuto affrontare, per anni, delle situazioni difficili e sgradevoli. Nonostante il censo e la posizione privilegiata, egli non aveva affatto vissuto da uomo libero, ma costretto a sopportare soprusi, minacce – più o meno velate – e comportamenti persecutori.

Il punto focale, alla fin fine, erano quindi i Reiss, inutile girarci intorno.

Maledetti, magari hanno pure dei sicari che fanno il lavoro sporco per loro… chissà.

Chi aveva quindi ucciso suo padre e, chissà, forse anche suo marito, non doveva restare impunito: non sarebbe stato giusto.

Del resto, lo stesso padre di Erwin era stato assassinato perché aveva osato confidargli, da bambino, che quanto scritto nei libri di scuola fosse un’immane falsità: essendo Erwin ancora un fanciullo, aveva ingenuamente rivelato a dei compagni di scuola quanto raccontatogli dal padre. Il risultato fu una lapide bianca davanti cui si ritrovò dopo pochi giorni, orfano e solo al mondo. Erwin lo aveva raccontato a Meti una sera di tempo addietro: lei lo aveva abbracciato, stringendolo forte a sé, mentre lacrime brucianti le avevano segnato il volto. Per Erwin quella perdita dolorosa ed ingiusta, che lo aveva privato, ancora bambino, dell’affetto e della guida di suo padre, era stata la principale motivazione per cui avesse abbracciato la Causa dell’Umanità.

Nessuno avrebbe più dovuto avere paura della Verità, anche a prezzo della propria vita: questo era l’intendimento cui Erwin aveva conformato tutta la sua vita.

Ma Meti non riusciva, non ancora, a pensarla allo stesso modo, per quanto si sforzasse.

«Messaggio per la dottoressa Narses».

Un messo ufficiale di Mitras si era affacciato alla porta dello studio di Meti, interrompendo così il flusso delle sue amare riflessioni. Ringraziò e, incuriosita, aprì la busta consegnatale, tenuta chiusa da un elegante sigillo di ceralacca, il cui simbolo impresso non le era affatto nuovo.

Messasi a sedere per poter leggere, si accorse che si trattava della convocazione del Notaio Demio Valeris presso il suo studio. Era uno stimato professionista della piccola nobiltà togata molto noto nella capitale, cui il suo stesso padre si era rivolto spesso, in passato, per transazioni e rogiti. Da bambina lo aveva visto spesso ospite a casa sua.

Probabilmente sarà per la successione… pensò Meti, tristemente.

Nulla di strano o di anomalo: lei era pur sempre l’unica erede di suo padre, il Conte Athiassy.

Adesso era tutto suo: denaro, gioielli, animali, titoli, il palazzo di Mitras, le diverse proprietà fondiarie, tra cui quella di campagna ove era andata a trovarlo l’ultima volta… e dove aveva quasi trovato la morte insieme a lui.

Lacrime brucianti le affiorarono tra le ciglia. Le ricacciò indietro, con forza. Non era più il momento di piangere, ma quello di agire.

Si alzò alla ricerca di Hervert: aveva bisogno di alcuni giorni di permesso, per poter andare a Mitras. Meglio non mettere Erwin al corrente, o avrebbe fatto molte, troppe domande. Per un permesso di pochi giorni non sarebbe stato necessario rivolgersi al Comandante: Ron Hervert era il suo diretto superiore e poteva accordarle direttamente la licenza nel pieno rispetto del Regolamento.

Quanto alla sua micia, l’avrebbe affidata alle cure di Petra Ral, che durante il viaggio di ritorno dalla campagna le aveva confessato di adorare i gatti sin da piccola.

****

«Allora, come andiamo?»

Gli versò un cordiale, mentre Erwin esaminava alcuni documenti sugli ultimi maneggi della Corte Reale.

Si trattava di incartamenti secretati, che gli agenti segreti di Pixis erano riusciti a trafugare.

Erwin esaminò i documenti, la fronte aggrottata, senza toccare il calice che l’amico gli avesse offerto.

Preferiva esaminare quei documenti a mente lucida, e i liquori che tanto piacevano a Dot erano troppo forti per i suoi gusti, lui si concedeva giusto un gotto di birra, una volta ogni tanto.

Si trattava di certificazioni di conformità di presidi di manutenzione delle Mura. Risaltava chiaramente che nonostante alcuni parametri fossero poco regolari, era stato comunque concesso il placet dalle autorità preposte. Dal mucchio estrasse un resoconto di infortuni e decessi dell’ultimo ventennio da parte di soldati della Guarnigione, artigiani, fabbri e manovali.

Una data ed un nome gli saltò agli occhi: Basil Narses, ufficiale di Guarnigione e ingegnere civile.

Decesso per infortunio sul lavoro.

Notò che soprattutto in prossimità di quella data erano morte diverse persone, insieme al primo marito di Meti.

Poi i decessi erano venuti a scemare, progressivamente… in concomitanza con la maggior diffusione del culto delle Mura. Erano aumentate le omelie e le investiture di sacerdoti che officiavano quel tipo di religione; sempre più persone, poi, ne apparivano sinceramente devote.

Alla domanda di Pixis, Erwin sospirò e posò i documenti, strizzandosi gli angoli degli occhi con pollice e indice.

«Cosa vuoi che ti dica… le cose vanno come al solito. Del resto, questi documenti lo testimoniano. Le Mura sono un mistero ancora poco chiaro, anche se forse ci stiamo avvicinando alla verità… un passo alla volta»

Dot annuì, stringendo le labbra, meditativo.

«E la tua dottoressa, te lo ha detto, alla fine, cosa le ha rivelato suo padre? In fondo, è per questo che ce l’avevi mandata, no? Da suo padre il conte, intendo.»

Erwin riordinò i fogli con un gesto secco delle mani, e si addossò allo schienale, sospirando.

«Si è appena ripresa dalla sua amnesia e dopo l’ultima ricognizione è stata gravemente malata. Non ho ancora avuto modo di parlarne con lei. Adesso è a Mitras, per sistemare le sue cose con un notaio. Hervert le ha dato una breve licenza: dovrebbe essere di ritorno la prossima settimana.»

Pixis lo soppesò con lo sguardo, sorridendo tra sé e sé.

Erwin si era confidato con lui, anche se era stato molto parco di parole: però gli aveva parlato di Meti e dei suoi sentimenti per lei. Dot all’epoca se ne era rallegrato, dato che nella vita di un uomo dev’esserci spazio anche per le cose belle, e non solo per il senso del dovere: lui di certo non si era mai fatto mancare le occasioni per sentirsi vivo… un manicaretto, un po’ di musica, un buon calice di vino… una bella donna a fargli compagnia. Non aveva rinunciato a nulla, lui, neppure per la carriera militare: infatti si era felicemente sposato ed era anche diventato padre.

Un giovane uomo innamorato come Smith, d’altro canto, può anche non essere più molto lucido, né abbastanza freddo e razionale: questo Pixis lo sapeva bene. Ma riconosceva che nonostante la relazione intessuta da Erwin Smith con Meti Narses, questa si era comunque prestata alla missione segreta, riallacciando i rapporti con il conte Athiassy per farsi dare ogni informazione utile. Per molti mesi era stata data per dispersa… per poi essere ritrovata affetta da amnesia.

Ma Pixis era un uomo che sapeva essere molto paziente, ed aspettare l’evolversi degli eventi.

«Te ne parlerà… ne sei sicuro?» gli chiese, in tono piano, sedendoglisi di fronte.

«Cosa intendi dire?» gli domandò Erwin a sua volta, perplesso e pure un po’ seccato.

«Ragazzo mio… quello che intendo dire è se la dottoressa Narses vorrà dirti tutto… tutto quello che può aver saputo da suo padre.»

Nel vedere la luce incupirsi negli occhi celesti del suo interlocutore, Pixis cercò di metterci una pezza: quello non era il momento di litigare con Smith per una donna, soprattutto se questa pareva essere tanto importante per lui.

«Non mi fraintendere. Anche se ancora non conosco Meti Narses di persona, so che gode di specchiata reputazione. E sono certo che farà le cose in perfetta buona fede. Ma vedi,» si alzò e andò a dargli una pacca amichevole «le donne vedono le cose in modo diverso da noi uomini: sanno essere protettive e feroci come orse non solo per i figli, ma anche per i loro compagni di vita e i loro amici. Se dovesse comprendere che la verità appresa dal padre potrebbe essere fonte di pericolo… magari per te e per i compagni d’arme, chissà… potrebbe tacere o anche decidersi a dirti solo parte di quanto appreso. Voglio semplicemente metterti in guardia. Questa eventualità capisci bene che va contemplata.»

Erwin si irrigidì. «Forse è come dici tu. Ma ti dico una cosa: se anche fosse, Meti avrebbe le sue valide ragioni. Non dimenticare che suo padre è stato assassinato e che anche lei è stata quasi uccisa, si è salvata per puro miracolo. Io non intendo farle pressioni, di nessun genere. Verrà da me… e mi dirà quanto potrà.»

Gettò un’ultima occhiata agli incartamenti, battendo le palpebre

«Credo che per quanto riguarda le Mura, ci stiamo avvicinando da soli, alla verità. Continuiamo in questo modo e stiamo a vedere.»

Quindi, con un cenno di saluto, Smith si alzò e si congedò.

****

«Siete sicura? Questa è una decisione non da poco…»

L’anziano notaio non sapeva davvero cosa pensare. Una simile donazione avrebbe minato, e non di poco, la consistenza, del patrimonio della neo-contessa.

«Sì. Ho deciso così. Quelle persone hanno assoluto bisogno di un ambulatorio per le prime cure, che riceveranno gratuitamente. Le farò avere nei prossimi un elenco di papabili medici che saranno direttamente remunerati dalle mie rendite. In seguito, vorrei anche far costruire un ospedale e un orfanotrofio. Ho bisogno di tempo, per poter progettare tutto al meglio… teniamoci in contatto. Vi chiedo solo una cosa: anonimato assoluto. Non mi interessa che si sappia nulla di me.»

L’uomo inforcò meglio gli occhialetti d’oro sul lungo naso. Il defunto conte era una persona morigerata e tranquilla, assolutamente incapace di colpi di testa e di decisioni tanto azzardate. Ogni operazione e transazione sinora tenute con il suo apporto professionale erano state atte, semmai, ad accrescerlo, il patrimonio di famiglia. Ma l’erede di Goram Athiassy aveva idee ben differenti. Addirittura pure un ospedale e un orfanotrofio… in quel posto abbandonato da Dio. Non era la prima volta che una signora benestante facesse della beneficienza, ma essa non era quasi mai rivolta ai Sotterranei, luoghi fetidi e frequentati dalla peggior feccia dell’Umanità.

Ogni famiglia ha le sue pecore nere…, bizzarrie da ricche signore annoiate, rifletté Valeris, facendo spallucce.

«Avrei anche un’altra richiesta da farvi. Dovreste custodire una cosa per me»

Meti estrasse un plico sigillato dalla sua bisaccia di cuoio. «Vorrei che teneste questo documento.»

«Immagino che sia il vostro testamento» enunciò il notaio, prendendo in mano la busta sigillata per poi andarla a riporre in uno stipo tenuto celato dietro una parete segreta, azionata con una leva nascosta nei pesanti tendaggi. Cambiò la combinazione della serratura e la memorizzò, masticandosela tra sé e sé. Dopodiché, con assoluta flemma, andò a risiedersi di fronte alla sua ospite, che aveva osservato con curiosità tutte queste manovre del suo interlocutore.

«Non proprio. O meglio: è una sorta di… testamento morale, ecco. Come sapete, sono ufficiale medico all’Armata Ricognitiva. Questi sono tempi pericolosi, per chiunque. Non posso prevedere il futuro… ragion per cui, Vi chiedo di fare una cosa per me. Nel caso dovesse accadermi qualcosa, Vi chiedo di contattare il Capitano Levi del Corpo di Ricerca e di chiedergli di recapitare senza indugio alcuno il plico che avete appena custodito all’Ufficiale Dot Pixis della Guarnigione. Lui saprà cosa farne. Vi prego di ricordare bene quanto vi ho appena detto: è molto, molto importante. Si tratta delle mie ultime volontà… in un certo senso. Solo che riguardano molte persone, non solo la mia situazione personale. Per questo è meglio che ne rendiate partecipi anche ben due ufficiali militari, che godono della mia stima assoluta. Così è più sicuro… per tutti. Comprendete?»

«Perfettamente. Eseguirò le Vostre volontà pedissequamente.» dichiarò in tono sussiegoso. «Anche se, naturalmente, mi auguro che non sia necessario doverlo fare… mi ricordo di Vostro padre e mi ricordo di Voi, sin da bambina… spero davvero che non Vi capiti mai nulla di spiacevole…» aggiunse, in tono sommesso.

«Grazie. Bene,» al che si alzò per congedarsi, subito imitata dal compito professionista. «Nei prossimi giorni Vi farò avere le prossime disposizioni per quella donazione e per la costruzione dell’ambulatorio. I miei rispetti, Notaio.»

****


AVVISO PER I LETTORI: LA SEGUENTE SCENA, PUR NON SCONFINANDO ANCORA NEL ROSSO, E’ UN PO’ FORTE, COME DA AVVISO “TEMATICHE DELICATE” NELLA PREFAZIONE.


Qualche sera dopo…

Lo stava aspettando.

Un po’ come quando aspetti l’ineluttabile.

Seduta nel suo salottino preferito, quello in cui da ragazzina era stata solita esercitarsi nello studio dell’arpa e dell’acquerello, se ne stava immobile su una graziosa dormeuse, cercando di fissare i pensieri dentro di sé. Era stato strano, per lei, varcare di nuovo la soglia del suo palazzo di Mitras, dopo tanti anni.

La servitù incredula aveva assistito al ritorno, ormai insperato, della figlia del conte, ormai padrona assoluta di tutto.

Adesso però Meti sapeva che avrebbe ricevuto una visita, cosa che, in effetti, avvenne.

Del resto, suo padre l’aveva messa bene in guardia, giù, alla tenuta.

A guardarlo, non era neppure sgradevole, come persona. Molto alto e slanciato, un viso a tratti non spiacevole, con quel sorrisetto sottile, a mezze labbra. In un certo senso, era anche elegante, come personaggio. Se abbigliato diversamente, avrebbe pure potuto passare per un gentiluomo.

Lui, il killer.

Le ricordava, a tratti, qualcuno… ma chi? Non riusciva a focalizzare.

Eppure… quella figura, quella allure innata, assolutamente non studiata… chi le ricordava, maledizione?

Non si mosse, rimase perfettamente ferma. Tanto, non avrebbe potuto sfuggirgli in nessun modo: con quelle sue lunghe gambe, Kenny l’avrebbe raggiunta ed agguantata in pochi secondi.

«Mi stavi aspettando, bellezza?» chiosò lui, beffardo ed indolente, avanzando lentamente, senza fretta, un passo alla volta, verso di lei, con le mani in tasca, come un predatore che si pregusta l’uccisione di un animaletto indifeso.

Meti si alzò in piedi, cercando di tenere fermo lo sguardo, anche se si sentiva liquefare dalla paura.

Non devo piangere, non devo svenire, o per me sarà la fine… Si andava ripetendo questo, come un mantra.

Sapeva di dover agire d’astuzia, di dover essere elusiva e scaltra: elusività ed astuzia, del resto, erano le uniche armi a disposizione di una donna indifesa com’era lei, specialmente se di fronte a un sicario prezzolato.

«Abbiamo un conto in sospeso, noi due. So che mio padre è stato ucciso per mano tua e che ora sei qui per finire il lavoro. Ma io non lo farei, se fossi in te.» gli ribatté sforzandosi di guardarlo negli occhi.

Se intuisce che me la sto facendo sotto, è la fine, per me. Erwin… voglio stare con te, per tutto il tempo che Dio ci vorrà concedere… dammi la forza...

«Ah no? E perché non dovrei fartelo, un bel ricamino alla carotide, tesoro?» bofonchiò, fermandosi a mezza strada, piantandosi a gambe larghe e braccia incrociate, come per studiarla meglio, quella curiosa donnina…

Kenny ci si stava divertendo un mondo.

Non gli era mai capitato nulla del genere, sinora. O provavano a scappare, o cercavano di impietosirlo, o tentavano di difendersi: e questo lo facevano anche maschi belli grossi. Ma mai che una bambolina di cera come quella lì, che a malapena gli arrivava alla spalla, si fosse mai peritata di sfidarlo in quel modo.

Una contessa, eh. La spocchia dei nobili non si smentisce mai. Stiamola a sentire, almeno mi fa divertire un po’. Gli svaghi sono diventati rari, di questi tempi…


Meti, con finta noncuranza, strinse le labbra e andò allo stipo di lacca rossa, ove suo padre era solito tenere i liquori più pregiati della sua riserva personale. Kenny inarcò le sopracciglia.

Un déjà-vu, per tutte le puttane di Mitras!

Meti si versò un liquore in un delicato calice di cristallo e se lo scolò tutto d’un fiato.

«Non me ne offri? Tuo padre lo faceva…»

«No.» se ne versò ancora, guardando Kenny con malcelato disappunto. «Sai com’è. Te l’ho detto. Io so la verità. Tutta quanta. E se mi succede qualcosa, sarà tutto svelato. I tuoi preziosi Reiss saranno scoperti e trovati, perseguitati. E non credo proprio che ne saranno felici... di questo tuo pessimo servizio. Il loro cane da guardia non sarà più tanto utile… non è vero, Kenny Ackerman?» gli esplicò, con tono freddo, socchiudendo gli occhi.

Meti stava giocando il tutto per tutto. Aveva una paura folle, ma stava cercando di bluffare alla grande.

Speriamo che se la beva, o sono fottuta.

«Cosa vai blaterando?»

«Tu, piuttosto, cosa credi di fare, eh? Ti ricordo chi sono. Gli Athiassy sono dei sopravvissuti ad altre ere… ad altri mondi. Noi siamo speciali, no? Noi ricordiamo tutto, sappiamo eccome come stanno le cose. Con noi Re Fritz non ha saputo farci nulla… alla nostra memoria, intendo, con i suoi condizionamenti psi. Con la differenza che noi Athiassy abbiamo saputo dissimulare e non ci siamo mai fatti scoprire. Voi Ackerman, invece, siete stati incapaci di fingere e siete stati perseguitati, fin quando poi non avete deciso di starvene zitti e di non far ricordare più nulla alle nuove generazioni, per essere lasciati in pace. Molto furbi. Adesso ti sei messo al servizio di Uri Reiss, giusto? E per suo conto, hai eliminato mio padre ed ora pensi di finire il lavoro con me. Ma non lo farai.» gli sibilò.

Al che gli si avvicinò, sfidandolo apertamente, con l’adrenalina a mille che la rendeva folle e temeraria.

O la va, o la spacca.

O la va, o la spacca, maledetto schifoso.


«Non lo farai, essere vile e abietto.» continuò Meti, a voce bassa e calma.

Fingi, fingi che sia una recita… una di quelle che facevi durante le feste di Corte, da ragazzina, insieme ad altri rampolli che si improvvisavano attori, per divertire la buona società.

«Non lo farai, perché se oserai anche solo torcermi un capello, gli Aristi saranno messi al corrente del tuo delitto, come anche dell’assassinio di mio padre. Ho dato disposizioni precise, cosa credi? Mi sono preparata tutto per bene, persone fidate sanno già cosa fare se tu dovessi uccidermi. Qui scoppierà un tale putiferio che neppure i Reiss potranno difenderti, né nasconderti. Nessun posto sarà abbastanza sicuro per te, neppure se riuscissi a trasformarti in uno scarafaggio potrai rintanarti in qualche fottuto buco. Lo capisci, questo, o sei un essere stupido, capace solo di usare il coltello e non il cervello?»

«Stai bluffando, puttana!» in un balzo, piombò su Meti e la afferrò per le braccia, sollevandola e scuotendola come una bambola di pezza.

«No. Non sto affatto bluffando, e questo lo stai capendo, alla fine. Vattene, Kenny.» lacrime dispettose le affiorarono tra le ciglia.

La tensione nervosa e la paura stavano per prendere il sopravvento. Non era poi così forte, alla fine.

«Hai paura, eh? Adesso sì che fai la femmina… cominciamo a ragionare…» le alitò sul viso, avvicinandosi troppo.

Meti strinse le labbra, per non sputargli in faccia. Respirò forte, e altrettanto forte lo spintonò forte da sé, per poi perdere l’equilibrio e rovinare a terra. Kenny le si buttò addosso, per tenerla ferma con tutto il suo peso. Meti non riusciva a muoversi, era completamente bloccata: l’uomo le teneva serrate le gambe con le proprie, molto lunghe e forti, e con una sola mano le teneva imprigionati entrambi i polsi sopra la testa. Ci si stava divertendo un mondo, nel vedere quella donnina che cercava di dibattersi come un pesciolino impigliato nella rete.

«Lasciami subito, bruto!» gli soffiava in faccia, terrorizzata e furiosa ad un tempo.

Quell’odore.

Lo aveva già sentito… Odorava di sapone, di colonia. Sapeva di pulito, Kenny, nonostante la sua vita fosse più sporca di una cloaca. Batté le palpebre nel guardargli, da vicino, quegli occhi grigi dal taglio così particolare. Gli occhi li aveva davvero belli, una cosa non indifferente in una sagoma, come la sua, che parlava di pura malvagità.

«Non sei mica male, proprio no… anche se mi piacciono di più le bionde. Sarebbe uno spreco farti fuori subito… Non sei di primo pelo, ma meglio così. Non mi interessano le ragazzine, preferisco le donne, io. Almeno sanno dove metterle, le mani…» le sussurrò, roco.

Con la mano libera le lacerò la leggera camicia di batista, e le afferrò un seno seminudo, palpandolo con lascivia. Con la lama del coltello recise i laccetti del corsetto di seta per poterle denudare il petto. Una volta riuscito nel suo intento, bofonchiò un greve apprezzamento.

Meti era terrorizzata, completamente incapace di muoversi. Lo fissava ad occhi sbarrati, con le lacrime che le scorrevano sulle gote.

Poi però notò un particolare.

Quegli occhi allungati, felini, dalle iridi color dell’acciaio, che la osservavano con le pupille dilatate dalla lussuria… Fu come un lampo nel buio.

«Se mi tocchi lo dirò a Levi, e lui mi vendicherà! Fa a pezzi da solo Giganti di oltre cinque metri, ti ucciderebbe in un secondo!» gli sputò di getto, tutto d’un fiato.

Nell’udir quel nome, Kenny spalancò gli occhi e mollò la presa.

Meti lo spintonò lontano da sé ed arretrò per allontanarsi dal suo contatto, coprendosi il seno con le braccia.

«Ho colpito nel segno, eh? Levi è tuo parente, ci avevo visto giusto. Ma lui non è sporco come te: è un uomo d’onore.» Si rialzò, anche se a fatica. «Vattene… vattene via…» mormorò, stremata, cercando di coprirsi il petto con i lembi della camicia stracciata.

Non ce la faceva più.

Con un sorrisetto, Kenny si rimise in piedi a sua volta. Afferrato il feltro, ne scosse della polvere immaginaria e se lo calcò in capo.

«E va bene, signora contessa. Diciamo che abbiamo fatto la reciproca conoscenza e che mi sono divertito un po’… sei un gran bel bocconcino. Hai pure del fegato, te lo riconosco. E io ammiro il coraggio, quando lo vedo. Per stavolta va bene così. Ma ti sia chiara una cosa,» al che le si avvicinò di nuovo e la afferrò per il collo come se fosse un pollo da sgozzare, premendo con il pollice sulla sua giugulare «finché terrai il becco chiuso sui Reiss non ti verrò più a far visita… ma se dovessi parlare di loro con qualcuno, tornerò a trovarti, e la cosa non ti piacerà: non sarò carino come stasera. Mi sono spiegato, bambolina

Meti annuì, socchiudendo gli occhi.

Non riusciva neppure più a parlare, completamente annichilita dal calo di adrenalina, sentendo ancora quella mano micidiale tenerla al collo. Sarebbe bastata una leggera pressione e l’avrebbe uccisa senza difficoltà. Né reagì quando Kenny le catturò le labbra in un bacio umido.

Dopodiché l’uomo mollò la presa e le diede una leggera spinta, per poi allontanarsi a passo lento, mentre Meti si accasciava a terra, distrutta.
  
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