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Autore: rosalielena    26/11/2022    0 recensioni
Questa è la storia di Ecletto e Biancolatte. Il primo forte e potente, glorioso sia per fama che per essere il capo del villaggio di bruti i Vibilin; l'altro soffice e candido come un tenero animaletto, principe del villaggio oltre il ponte che li separa. Uno incapace di esporre le proprie paure, l'altro alla continua ricerca dell'amore.
Ma allora cosa c'entrano gli dei?
Una storia d'amore, d'avventura e fantascienza, ne volete la prova? Vi aspetto. LGBT-
Genere: Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash
Note: AU | Avvertimenti: Triangolo | Contesto: Contesto generale/vago
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L'oscurofittobosco era la via degli smarriti e degli infedeli, dei perdenti e di chi non aveva una casa. Era risaputo che nulla era normale dentro quell'oscurità, molti narravano di un canto e una voce di donna che spingesse gli uomini ad entrarvi, di un qualcosa tanto potente e crudele da esser rintanato in un posto  spaventoso. Una strega, un mostro, il male in persona, ogni cosa senza cuore e senza animo si aggira tra quegli alberi dominata dall'oscurità e guardando la gente al di fuori dal bosco con una voglia di divorarla. Di questa misteriosa creatura che predominava su quel territorio non si aveva conoscenza, nessuno ne era mai uscito per poterne parlare, o descrivere il suo aspetto o la sua reale potenza. Le storie narrate sull'Oscurofittobosco erano sicuramente montate con il tempo dalla paura, lo sapeva bene Ecletto e qualsiasi altro individuo pensante e con un po' d'intelligenza. Ma nessuno neanche i due giovani avrebbe mai negato il terrore nel trovarsi davanti quel posto oscuro.

Fin da bambino Ecletto passava le sue giornate ad allenarsi, il padre non lo faceva di certo giocare o divertirsi, l'omone nella sua grandezza lo costringeva a tirare con l'arco e armeggiare con la spada o il bastone e nella lotta libera. I suoi unici amici erano altri giovani che come lui s'impegnavano delle stesse arti della guerra. 

Era abbastanza pessimista per la sua età e sapeva di non essere bravo in quelle cose; infatti, ogni volta diceva di dover vedere Biancolatte e stranamente nessuno si opponeva lasciandolo libero. Correva come un folle verso il ponte stretto, posto tra il villaggio di Biancolatte pieno di colori e spezie e il temutissimo villaggio di guerriglieri di Ecletto, si sedeva e aspettava il biondo arrivare con la sua scorta di giocatoli che condivideva ben volentieri con lui.  Gli piaceva stare con Biacolatte, ma anche lì s'annoiava perché continuava ad ascoltare l'amico blaterare all'infinito di quanto fosse bello e colorato il suo villaggio, nulla di sbagliato se non fosse che in confronto a quello di Ecletto era veramente una descrizione troppo bella in confronto al grigiume a cui era abituato. L'osservava da lontano dalle spalle di Biancolatte e sapeva avrebbe adorato entrarvi, avrebbe voluto toccare quelle stoffe e potersi liberare di quelle solite grige e pesanti pellicce del suo villaggio. 

Ecletto non viveva in un castello come Biancolatte nonostante fosse il figlio del capo del villaggio, non aveva neanche molti amici, molti di quei giovani che seguivano con lui le lezioni sulle armi e la lotta erano troppo bruti per lui. Non aveva neanche dei popolani che gli parlavano o l'abbracciavano ad ogni angolo, aveva tanti animali in compenso, moltissimi animali, si era fatto addobbare una piccolissima fattoria all'angolo del suo villaggio da poter raggiungere velocemente a piedi ma in estremo segreto, perché suo padre non avrebbe mai sopportato che lui passasse tutte le sue giornate lì. 

Si occupava di tutto, scavava e piantava i semi, gli piaceva la vita da contadino e gli piaceva gestire gli animali intorno. Diceva al padre di andare da Biancolatte, perchè nessuno gli diceva nulla quando ammetteva d'incontrare il biondo, ma invece sgattaiolava lungo la riva del fiume lo superava scendeva la costa arrivando fino a quella sua piccola fattoria. Adorava il rumore dell'acqua mossa e quando c'era brutto tempo non aveva paura, avrebbe preferito restarsene lì a proteggere e accudire i suoi amici animali, ma invece doveva sempre ritornarsene alla fortezza. Era tutto bellissimo, almeno lo rimase finché il suo cavallo non iniziò a star male e lui non sapendo come gestire la situazione dovette dirlo a sua madre che poi lo confesso al padre, che in men che non si dica distribuì i cavalli ai soldati, cedette gli altri animali ad alcuni commercianti e uccise il cavallo malato. 

"Non c'è più nulla da fare Ecletto, punirò la tua slealtà e menzogne nei mie confronti lasciandoti solo uno e uno solo dei tuoi teneri animali", per lui sceglierne uno era come chiedere a un genitore di scegliere chi preferisce come figlio. Non era logico né accettabile, così nel buio della notte, quella stessa sera scivolò via dal suo caldo letto, raggiunse la via per arrivare alla fattoria ma a metà strada un rumore lo sbloccò e immobilizzò. Nella notte il terrore di poter incontrare un lupo o un bestia feroce lo terrorizzò, ma dall'erba verde e alta spuntò il casco biondo del giovane Biancolatte e per Ecletto quella fu la prima volta che riconobbe veramente l'importanza di Biancolatte nella sua vita. Il piccoletto sempre più piccolo di lui, magro e colorato di vestiti soffici e delicati, avendo sentito di quella brutta storia, l'aiutò nel fare qualsiasi cosa avesse deciso di fare quella sera. Perciò  liberarono quei pochi animali che erano rimasti, così da potergli dare una possibilità di vita. Per lui era più accettabile lasciare liberi quegli animali con la possibilità di adattarsi alla natura e agli alberi e cespugli, che finire in gabbia di qualche venditore del mercato. Quella fu la vera prima volta che Ecletto riconobbe in Biancolatte, non il noioso bambino che parlava del suo noiosissimo villaggio colorato, ma l'amico fidato che ti segue nel bene e nel male.

La mattina sorse presto, ma lui era già impagliettato e vestito davanti la stanza del padre, così che una volta uscito avrebbe confessato tutto quello che aveva fatto la sera prima, senza rimorso o paura. Non sarebbe servito a nulla nasconderglielo, l'avrebbe scoperto, lui scopriva sempre tutto. Una cosa pensava di averla compresa, non doveva mentire e essere coraggioso abbastanza da dire sempre cosa si vuole. Lo schiaffo del padre, con quella sua manona enorme, quasi lo fece ricredere su quello che credeva aver compreso. Ma le congratulazioni che seguirono per il coraggio che aveva dimostrato resero fiero lui e il padre. 

Suo padre non era buono, lo comprese quella volta, gli bastò quell'accaduto per capire che suo padre era un bruto, che il suo villaggio era pieno di bruti e uomini cattivi che non avevano nulla a che fare con le buone maniere o la gentilezza tanto raccontata da Biancolatte. Comprese che doveva adattarsi per vivere, o meglio sopravvivere. Comprese che la verità non deve esser sempre detta e che a dirla non sempre si vince. Ma comprese anche che per dire la verità si deve essere forti e potenti, si deve esser temuti così che nessuno possa più schiaffeggiarlo o fargli del male.

Dopo l'accaduto iniziò a frequentare le lezioni di arco con una certa costanza, non sapeva tenere una spada, continuava ad odiarle, ad odiare tutto, ma soprattutto ad odiare ogni cosa, parte di lui però iniziò ad apprezzare l'ingenuità dell'amico Biancolatte che viveva nel suo bel villaggio tutto colorato e allegro e divertente, iniziò ad apprezzare quei suoi racconti, sorrideva quando li sentiva forse s'imedesimava e si lasciava eprdere tra le facce strane del suo amico mentre le narrava. Tanto per canto suo Ecletto comprese di non poter avere quella stessa vita di Biancolatte, forse un giorno, forse fra qualche anno; perciò, persino sentir raccontare di quell'allegria lo faceva sentire leggero e sollevato come evadere dal luogo dove sarebbe dovuto tornare dopo qualche ora.

E così crescete,  erano passati degli anni, lui era adolescente e la vita dura del suo villaggio continuava a segnargli le carni come frustate. La prima volta che una freccia gli trafisse il braccio svenne, suo padre gli disse " non si può colpire il nemico senza sapere quanto male gli farà quello con cui lo stai colpendo", quelle parole gli sembrarono ragionevoli. Così l'odio nei confronti del padre iniziò ad attenuarsi e le sue parole iniziarono a prendere forma e ragione.  Aveva capito di doverne trarre insegnamento, perciò, prendeva ogni sua parola come una sfida o una saggia frase da incorporare ma a modo proprio, la verità era che aveva imparato a conoscere suo padre e a esserne quasi come lui. Ma la gente continuava a lodare suo padre, a sentirsi temuto da quell'omone e non dal figlio. 

Aveva invidia del padre, voleva esserne più furbo e forse lo era diventato. Se gli diceva che non doveva fare qualcosa, lui non la faceva o meglio per quel giorno non la faceva, se gli diceva di non andare in quel posto, lui non andava, o meglio gli faceva credere di non andare. Aveva solo imparato a non trasgredire le regole ma a fare sempre quello che voleva. Senza tradire mai se stesso. Il padre forse sapeva di quelle sue furbate, ma mai gli disse nulla. 

Così mentre i muscoli crescevano, i capelli diventavano sempre più neri e l'arco diventava un ottimo amico con cui colpire il nemico, il maestro in allenamento lo lodava sempre come primo, e tutti gli altri ragazzi iniziavano ad odiarlo perché figlio del capo, e l'unico vero amico che gli era rimasto era proprio Biancolatte, Ecletto maturava sempre più questa strana voglia di crescere e dar filo da torcere al padre. Ma c'era sempre qualcosa che non andava, era quel piccolo ghigno che vedeva tra i guerriera quando si parlava di lui come futuro re, o forse era il fatto che non riuscisse neanche a buttare giù quel compagno di lezione di nome Piki che nel fior fiore della sua forza lo sfidava sempre e gli tirava delle gomitate dritte in pancia ogni qual volta il maestro non guardasse nella loro direzione. L'odiava ma sembrava ricambiato in quel sentimento. Odiava anche il maestro perchè mentiva quando lo lodava come primo, non era vero, non lo fosse stato finché  Piki non fossse caduto per mani sue. .

L'unica persona che veramente adorava, forse addirittura quanto Biancolatte, era la madre. Lei lo coccolava come fosse sempre un bambino, le sue mani delicate gli regalavano sempre dolci carezze che sapevano di pane e biscotti che lei preparava con le sue stesse mani, perché prima di sposare il capo del villaggio lei era una dolce dama figlia di panettiere. Ad Ecletto piaceva vederla cucinare, un po' meno sentirla urlare quando il padre tornava dopo giorni o nel peggiore delle ipotesi mesi.

Quando quel fatidico giorno arrivò, nessuno, nessuno poteva esser felice quanto lo era Ecletto.

"Oggi verrai con noi oltre la valle per la caccia" ordinò il padre di Ecletto al giovane.

Lui non perse tempo a disegnarsi sul volto un sorriso ebete, era da quando quei ragazzi all'allenamento avevano parlato delle bellezze degli altri villaggi oltre la valle che lui avrebbe desiderato vederli. Gli altri giovani dicevano di aver visto enormi draghi e giganteschi animali con ali grosse e lunghe, loro li chiamavano grifoni.

Quando quel giorno superammo il nostro villaggio lasciando alle spalle, lo vidi farsi sempre più piccolo e per niente bello e colorato come quello di Biancolatte. In men che non si dica arrivammo nel villaggio di Biancolatte per superarlo, in quel momento Ecletto comprese che tutte le cose che gli erano state raccontate su quel villaggio erano vere, per quanto assurde Biancolatte non aveva mai mentito, il suo villaggio era veramente pieno di colori e di tessuti leggeri che svolazzavano sulle case decorate. Una scia di urla si aizzarono lungo la strada dove stavano passando con i nostri cavalli. Era Biancolatte che per accoglierlo aveva organizzato una parata in suo nome. Comprese che neanche l'amore che Biancolatte professava esserci nel suo villaggio era falso, dovevano amarlo tutti per fare una cosa del genere per il figlio del capo di un altro villaggio. Un villaggio di bruti, di grigio e cupo, di cattiveria e ambizione. 

Accolse molto volentieri tutti gli applausi e i doni che gli venivano ceduti da quella gente, persino i soldati che accompagnando lui e suo padre per la caccia ne rimasero sconvolti erano molto propensi ad accettare anche loro i doni offerti. Era un giorno di gioia. Il padre di Biancolatte insieme alla moglie con il mezzo il giovane biondo, alzarono una mano in segno di rispetto e il padre di Ecletto  di tutto rispetto calò il capo come cenno di saluto. 

Biancolatte era dentro Ecletto, con il suo sorriso e i suoi occhi così fissati sul corvino. E lui che giacevo nella gioia, ma dovevo comportarsi da giusto erede del padre bruto. Accennò un solo mezzo sorriso, cercando di tranquillizzarlo e ringraziarlo. Già i guerrieri del padre non avevano rispetto di lui, cos'altro avrebbe dovuto fare per dimostrare riconoscenza a Biancolatte senza farsi ancora disprezzare dagli altri uomini? 

Ben presto superarono il villaggio, arrivarono alla valle e superando anche quella, con sprint arrivarono in breve tempo in un altro villaggio scoprendo che i draghi di cui parlavano i ragazzi all'allenamento erano disegni sulle pareti delle case, fatte solo per dimostrare fedeltà al capo. Non erano spaventosi, ne tanto meno ben disegnati, erano solo figure disegnate di rosso su delle mura; la vera rivelazione arrivò una volta vicino alle montagne, quando un enorme uccello tutto nero intento nel colpire una preda venne colpito dalla lancia di un popolano di quel villaggio. Nessuno sembrava aver notato quell'uomo o quella freccia o tanto meno quell'enorme uccello, era così ben nascosto che persino i soldati sembrarono sconvolti quando videro Ecletto correre verso la montagna. 

Parte di Ecletto sapeva di doversene rimanere in groppa al suo Lucefalo, ma non riuscì, come un fulmine si precipitò verso quel rapace, si arrampicò per raggiungerlo, faticò sapendo di star trasgredendo le regole del padre che continuava a urlargli contro. 

Arrivato in cima il rapace sembrava immobile.  La lama brillava mentre se ne stava trafitta sul petto di quello che era un aquila, si guardarono e parte di quegli occhi gli sembrarono familiari, buoni. O forse era la sua passione per gli animali. Con scatto veloce l'uccello si mise su due piedi iniziando a zampettare dietro le rocce, bazzicava, era una scena per cui impietosirsi, eppure Ecletto non lo era, lo seguiva. Questo si fermò davanti una roccia grossa, dove c'erano vestiti e un pugnale nella fondina. Con il becco cercò di afferrare il pugnale ma non riuscì. Era strano, ma lui di stranezze ne aveva viste parecchie quindi decise di non chiedersi nulla. Con una lentezza da paura afferrò il pugnale e facendosi forza tagliò la lancia, e nel dolore del rapace estrasse la punta, sapeva cosa fare l'aveva fatto su se stesso quando suo padre l'aveva obbligato a medicarsi. 

Il rapace si scosse e come se non fosse successo nulla l'afferrò per le spalle. Ecletto si pietrificò quando gli artigli gli perforarono la pelle, non era di certo gratitudine quella?!

Lo lasciò proprio davanti il suo Lucefalo, sotto gli occhi di suo padre e dei guerrieri, senza posare zampa accennò con la testa, non aveva alcuna ferita ne segno di lancia. Se ne andò come non fosse mai comparso. Gli uomini erano sbigottiti e mio padre senza neanche notare il sangue che sgorgava dai fori sulle spalle mi caricò sulle palle, "mio figlio graziato da l'aquila, graziato da Ganimede. Graziato da Zeus", invogliò, spingendo tutti a seguirlo in quella sua euforia. 

Ecletto non era molto euforico, non sapeva di cosa si trattasse e non gli sembrava di aver fatto chi sa che, se il rapace non gli avrebbe permesso di estrargli la lancia sarebbe morto. Si da di fatto che per la strada il padre gli regalò un uomo di rapace, che ben presto a detta del venditore si sarebbe schiuso dando vita ad un aquila. Niente di più sbagliato, quello era tutt'altro che uomo d'aquila era di falco, ma Ecletto decise di non dirlo al padre. 

Quello stesso giorno il padre si sarebbe perso, lui sarebbe rimasto solo nella sua follia, senza forza per essere il nuovo erede, senza corpo e neanche speranza di ritrovare quello che ormai si credeva morto. Con mesi di ricerca e speranza. 

SPERO TANTO CHE QUESTA OPERA VI STIA PIACENDO, MI PIACEREBBE AVERE DEI VOSTRI COMMENTI, CON AFFETTO.
  
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