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Autore: Joy    28/11/2022    1 recensioni
Lo trova.
Non lo credeva possibile e invece lo trova.

[Harringrove, Fix-it, Ambientata durante la 4° Stagione, Established relationship, Scritta per l'Advent Calendar sul gruppo Facebbok Hurt/Comfort Italia]
Genere: Hurt/Comfort | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Billy Hargrove, Steve Harrington
Note: What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Autore: Joy Inblue

Fandom: Stranger Things

Personaggi: Steve/Billy

Fix-it, Ambientata durante la 4° Stagione, Established relationship

 

Scritta per l'Advent Calendar, gruppo Facebook Hurt/Comfort Italia

 

Prompt: Rovine

 

 

Rovine

 

 

 

Lo trova.

Non lo credeva possibile e invece lo trova.

 

Nel buio e nella cenere.

Nel riverbero rossastro della materia in divenire, mentre il sangue gli macchia il fianco nero e appiccicoso. La ferita fa male, ma non gl'importa.

 

Lo trova a casa sua.

Non la sua, sua.

La sua nel sottosopra.

La gemella spaventosa.

Ha capito che doveva cercarlo lì dopo essere entrato nella casa degli Hargrove e averla trovata distrutta.

Non da Vecna.

Steve ha riconosciuto la furia cieca nei resti del letto di Neil Hargrove, ha visto l'ascia conficcata nella sua poltrona preferita, il suo lato dell'armadio fatto a pezzi.

 

Lo trova rannicchiato sul suo letto, avvolto in uno dei suoi maglioni.

Quello buono che sua madre gli fa indossare nelle rare volte in cui cenano insieme e che sembra avere cent'anni, nel tempo distorto di quella dimensione.

 

Lo trova vivo.

 

Almeno quel tanto che basta a farlo agitare nel sonno.

A muovere le labbra in mute parole.

Steve si chiede come siano i sogni se si vive in un incubo: non l'ha mai chiesto a Will.

 

Si avvicina e gli sfiora i capelli: sono opachi di polvere come quelli di una vecchia statua.

 

“Billy?” tenta.

 

Quello sobbalza prima ancora di aprire gli occhi e quasi cade dal letto nella fretta di ritrarsi.

 

“Billy, sono io. Va tutto bene” biascica.

 

E invece non va bene per niente: tutto ciò che Steve vorrebbe dire o fare viene spazzato via dal tremito che lo scuote da capo a piedi, dall'urgenza -o è speranza?- che improvvisamente gli secca la gola e aumenta il battito, dalla smania che sente nelle braccia di chiudersi attorno a lui e andarsene da lì il più velocemente possibile.

Lo ha creduto morto e sognato vivo per mesi.

Billy lo guarda atterrito e la linea rigida della sua bocca si piega verso il basso.

 

“No...” mormora.

Ha le labbra screpolate e la voce roca.

“Vattene via...”

 

E Steve sente qualcosa dentro che gli duole più della ferita al fianco, più dei polmoni che inalano aria densa e fuligginosa, qualcosa che nasce dal ruotare inquieto degli occhi di Billy attorno alla stanza, senza posarsi mai su di lui, quasi fossero in cerca di una via di fuga. Quasi avesse paura di lui.

 

“Ehi...” tenta di nuovo, e lo vede trattenere il fiato. “Sono io, Billy. Ti prego...”

 

C'è un leggero movimento nelle spalle di Billy, un lieve inclinarsi del collo e della testa, come se lo vedesse in quell'istante per la prima volta.

 

“Steve?” sussurra incredulo.

Steve per tutta risposta si siede sul letto e gli prende il volto tra le mani: “Non riesco a credere di averti trovato.”

 

Billy ha lo sguardo di uno che non riesce a credere di essere stato cercato.

 

***

 

“Mi hai trovato...” alita di nuovo.

Steve ha perso il conto delle volte che lo ha ripetuto: quasi ad ogni gradino, mentre lo aiutava a scendere le scale ingrigite che portano a piano terra.

 

“Dobbiamo andarcene alla svelta” gli rammenta, anche se Billy non sembra interessato ad assecondare la sua urgenza.

 

Steve cerca di non pensare a come ha chiuso il pugno ancorandolo alla sua felpa, quando ha accennato ad alzarsi dal letto o al modo in cui continua a voltarsi verso di lui e strusciare il viso contro la sua spalla. A come appoggia gran parte del peso al suo braccio mentre percorrono il corridoio fino alla porta d'ingresso. A come zoppica cercando di nasconderlo.

 

“Come hai fatto a capire dov'ero?” chiede d'un tratto, improvvisamente lucido.

 

Non ha una risposta logica da offrirgli.

“Ti sentivo vicino” si giustifica. “Sempre. Non sapevo se era uno scherzo della mia testa o...”

 

Billy abbassa le palpebre e la voce.

“Ero proprio qui” conferma.

 

Sotto lo stesso tetto, nello stesso letto e nello stesso momento, ma in dimensioni diverse.

È un destino talmente beffardo il loro che anche Steve vorrebbe avere un'ascia e la forza per usarla.

E invece s'immobilizza, emette un gemito che suona un po' troppo disperato e trascina Billy contro di sé.

 

“Perché non hai provato a contattarmi” chiede affondando il viso tra i suoi capelli, “sai, con le luci.”

 

Sente la mano di Billy risalire incerta la sua schiena: Steve ha affrontato la solitudine per così tanto tempo che quel calore lo commuove.

 

“Non volevo spaventarti” confessa Billy, peggiorando l'equilibrio precario delle sue lacrime.

 

Già.

Steve il fifone.

Che dorme con la luce accesa e da di matto per un black out.

 

Non fosse per il sibilo continuo di quel mondo strisciante che minaccia, ad ogni esitazione, di inchiodarli ad una parete per sempre, Steve nasconderebbe il viso nella sua spalla e crollerebbe in ginocchio con lui in un patetico e liberatorio rigurgito di scuse, e invece seppellisce la vergogna dietro un sorriso incerto e deglutisce il magone che gli blocca la gola.

“Sei proprio un cretino” mormora.

 

E c'è qualcosa di sbagliato nella rassegnazione soffice che compare sul volto di Billy.

“Non dovevi...” inizia, ma non finisce la frase.

Per Steve va bene così: non vuole sentirgli dire che non meritava di sopravvivere, anche se sa che lo pensa.

 

Il fruscio contro i muri della casa si fa più sordo, Steve si sente nelle spire di un serpente.

 

“Dobbiamo andarcene” ribadisce afferrandogli la mano.

 

Sotto le sue dita, la pelle di Billy è ruvida e coperta di cicatrici.

E solo in quel momento Steve si accorge che l'intera casa è coperta da crepe richiuse alla meglio da assi inchiodate: sono incrociate una sull'altra come se fossero state aggiunte giorno dopo giorno.

 

Billy segue il suo sguardo e non commenta: ha l'aria di uno che in mezzo alle rovine ci ha sempre vissuto, e non ha alcun senso vista la situazione in cui si trovano, ma Steve è felice che la sua casa sia stata un rifugio per lui, nel sottosopra come nel mondo reale.

 

“Se riusciamo a superare tutto quello che c'è là fuori, ci aspetta un bel tuffo, Billy” lo informa “il portale più vicino è al lago.”

 

Il guizzo che vede sulla sua guancia è il fantasma della battuta che avrebbe fatto un anno prima, Steve riesce quasi a sentirla: “Allora sei fortunato ad essere in compagnia del miglior bagnino dello stato, Campione.”

 

Ma Billy resta in silenzio, annuisce appena e si sforza di non traballare, quando Steve raggiunge il portone d'ingresso e lo apre.

 

La cenere li investe, Steve si sente il petto in fiamme.

 

Lo stridere di un uccello in lontananza invece gli gela il sangue nelle vene: risveglia il dolore per la ferita al fianco.

 

“Sei pronto?” mormora, ma Billy sta scrutando il cielo.

 

“Abbiamo meno tempo di quello che pensi...” sussurra senza guardarlo.

 

“Allora cerchiamo un'auto” propone Steve.

 

E non c'è molto altro che possano fare.

A Billy però quella speranza sembra bastare.

Anche a Steve basta.

Gli basta la mano di Billy, quella che ha distrutto e riparato, lì nel sottosopra, più di quanto abbia fatto lui nel mondo reale e che riposa nella sua, adesso che attraversano le macerie.

 

 

 

Fine.

 

  
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