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Autore: cartacciabianca    10/09/2009    4 recensioni
[Assassin’s Creed II]
Firenze. Anno 1481 d.C.
All’apice della sua giovinezza, un Ezio ventenne, spensierato e ben noto cammina per le strade della Città Sapiente. Quali nuove avventure, nuovi incontri, nuove amicizie e, perché no, nuovi amori lo attendono dietro l’angolo della prossima via? Una tranquilla passeggiata tramuta d’un tratto in un famigerato scontro con alcuni compagni di accademia, un tempo suoi rivali.

[…]-Il vostro nome, di grazia-.
-Leonardo. Leonardo da Vinci. Figlio del notaio Accattabriga da Vinci- sorride, e il volto della Madonna è ormai quasi completo.
-Un campagnolo a Firenze?- si stupisce. –Da quanto dipingete in questa bottega, messere?- chiede curioso.
-Forse da troppo- borbotta scontroso.
-La dote l’avete- commenta.
-Non siate ripetitivo- ridacchia.
-M’attrae il disegno lì- pronuncia Ezio indicando il blocco che sta sul tavolo. –Quello schizzo lì, in quel quaderno- sorride.
-Questo?- domanda scettico il garzone mostrando lo schizzo.
-Esattamente. È vostro? Che cos’è?-.
-Nulla. Per ora-.
-Sembra un uccello-.
-Lo è-.
Ezio aggrotta la fronte. -Avete detto che non era nulla- borbotta confuso.
-Non porta ancora alcun nome, quindi non è nulla. Ma l’ho rubato ad un uccello, quindi è un uccello-.
-Siete strano, sapete-.
-Di solito quelli che dicono ciò non comprano i miei dipinti-. […]

Mastro Leonardo, ventinovenne, iniziava in quegl’anni il suo percorso d’artista nella Bottega di Andrea di Cione, detto il Verrocchio. Chissà che Ezio e lui non si fossero davvero incontrati così… °-° Perché giusto pochi anni, o addirittura mesi più tardi, il Da Vinci lasciò Firenze alla volta di Milano e non fece ritorno in Toscana sino ai primi del ‘500. Perciò c’erano ben altre poche occasioni per la loro prima veduta.
La mia fantasia ha traslocato su questo nuovo ed intuibile personaggio. Con tutte quelle caratteristiche svelatoci da recensioni e diari degli sviluppatori, ho creato un possibile Ezio che mi affascina al solo pensiero. Detto ciò, spero che vi piaccia ‘sto medesimo sfornato di una mente malata come la mia! Divertitevi! ^-^
[Personaggi: Ezio Auditore da Firenze x Nuovo personaggio + Leonardo da Vinci + Altri nuovi personaggi]
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Si apre il portone in legno e ferro scuro d’una casa. Scricchiola un poco il meccano arcigno vecchio che vi è attaccato, si spalanca l’ingresso dal quale emerge e poggia una mano sullo stipite di fredda pietra. Sorride amaro il ragazzo che porge lo sguardo sulla buia via, mentre il sole alto in cielo e il canto dei piccioni sui tetti annunciano il buon giorno. Un raggio del gran sole illumina la terra fuori dal vicolo, oltre le mura strette e concise di ‘sta via scura. Si odono le voci della gente che passeggia in strada e fa folla in Piazza della Signoria, a pochi passi da questa casa.
-Dama madre!- chiama il giovane dai neri capelli e azzurri occhioni. –Venite, forza- sbuffa lui che di begli abiti è fornito. Trattasi d’una pulita e bianchissima camicia stretta da un giubbotto verde acceso, legato a dei calzoni larghi fino al ginocchio, bianchi poi si stringono aderenti e scompaiono nelle belle scarpe. Indossa anche un cappello che allunga il suo viso dai tratti marcati e adulti di chi i vent’anni li ha passati felici, tranquilli, ma forse troppo.
-Arrivo Marco, arrivo! Il vostro animo ha perduto la calma…- borbotta una donna dall’interno.
Marco rientra col corpo nell’atrio della serra abitazione, s’adocchia attorno. –No, madre! Con voi la mia anima ha perduto la pazienza. Braccia e gambe l’avete per passeggiare, ma al mio braccio necessitate tutte le volte poggiare. Mastro Andrea* m’attende!- strilla. –Farò tardi anche ‘sta volta!- grida ancora.
-Il tuo Maestro attenderà in eterno, se necessario per portare a spasso queste vecchie ossa, ragazzo!- scende le scale una vecchia, scivolando le grinzose dita sul corrimano. I passi son piccoli e stretti sui gradini, e la ampia veste sfarzosa, bella e colorata di pregiati tessuti caldi per via d’un inverno ostile ma dalle belle giornate, s’accompagna ai capelli di oro antico tenuti alti, stretti in un fermaglio che chiude con un fiore.
-È bello, caro figlio, sapere del tuo interesse per l’arte che vien’ prima di quello per tua madre!- arride lei; le rughe in viso, un po’ gobba è la parente di Marco Massoli*.
-È bello vedervi così splendente e radiosa. Il vestito d’oggi vi sta bene- sorride lui più allegro.
-Artista! Lecca meno i piedi a tua madre, e portale il soprabito dalla cucina! Scatta!- ordina lei nervosa; s’avvicina all’ingresso e Marco corre nella stanza accanto. Il suo dei suoi passi torna svelto accanto alla vecchia. Porge lei il giaccotto dalle gonfie maniche, che la dama indossa con grazia e suo d’aiuto.
Marco poco allegro allunga a lei il gomito, e la donna lo prende a braccetto tutta soddisfatta in volto. –Attendo impaziente il giorno della vostra morte- dice il giovane chiudendo la porta a chiave dietro le loro spalle.
-Son curiosa, Marco- ridacchia lei mentre s’incamminano a braccetto verso Piazza. Sbattono le ali dei piccioni che fuggono dalle grondai e dai tetti. Si avvicina il frastuono dei cavalli e delle voci dei passanti. –Son curiosa ed impaziente io di quel giorno. Non dartene pena anche tu- dice divertita.
-State certa- gonfia il petto lui –che la bara nella quale vi farò sigillare sarà a prova di fuga!- fa con voce maligna.
-Non scomodarti, ragazzo mio!- alza gli occhi azzurri al cielo che appare a strisce tra il tetto e un altro della stretta via. –Non tenterò fuga alcuna dalla fogna di bara che coi soldi guadagnati dei tuoi brutti dipinti mi regalerai…- si beffa.
-La mia, madre, è un’arte sopraffina- si vanta. –Mastro Andrea mi loda, m’incoraggia tutte le volte-.
Camminano lenti e tranquilli i due. –Certo, il Verrocchio lode e coraggio ti regala perché quelle che ricevi da chi soldi un giorno ti darà, son nulla a confronto! Un’idiota come te dove e da chi ruba la forza per coltivare un talento che non ha? Comincio a dubitare che quel cane che Mastro chiami con gli occhi non veda-.
-Se Mastro Verrocchio v’udisse, madre…- fece esasperato il giovane. –V’aizzerebbe contro tutta la bottega! Me compreso, contateci-.
-Sopra i fragili corpi di fragile gente d’arte, che ossa non si è fatta per combattere la vita vera, cammino e sputo, figlio mio, cammino e sputo…- mormora fiera e malvagia la donna.
Monna Luisa da Anchiano è una donna scorbutica, sadica, di cattive maniere; ma non sempre stata tale se non dopo la morte del marito. Marco Massoli è figlio di un padre morto ucciso da una famiglia rivale. C’è la guerra in strada di notte, quando le luci del giorno s’abbassano e la gente si nasconde in locande e taverne a bever’ vino e birra. Ma vino e birra rosso si sparge sulle mattonelle di piccole vie, che l’indomani son colme di volti spaventati e gole urlanti. Così se n’era andato Bruno Massoli, lasciando casa e unico figlio a badar alla vecchia e bruta madre. Tanti soldi per buoni vestiti, ma saprà Marco tenerseli stretti se il mestiere di garzone poco gli regala e tutto, forza, intelligenza e vigore giovanile, gli ruba?
-‘Sta mattina Mastro Andrea mi commissionerà un quadro. State pronta- sorride il giovane pieno di sé.
-Ah!- ride a crepapelle la donna. –‘Sta mattina te lo dico io cosa ti commissionerà il Verrocchio nel frattempo che pennello e tela tua se la dipinge qualcun altro! Latte per i suoi gatti e formaggio per i suoi topi ti manderà a comprare!- erompe divertita, ma cattiva come una vipera.
Può l’animo di una madre essere così velenoso nel sangue del figlio? Si domanda Marco mentre i passi loro si perdono tra quelli della gente che anima Piazza della Signoria. Capeggia la dimora dei Medici, di tante finestre e bruni mattoni che cuociono al sole. Giocano le ombre del marmo della fontana con quelle dell’acqua; si canta e si balla per la Via degli Uffizi, dove si ascolta la musica di un cristallino mandolino suonato da un fanciullo. Danzano due bimbi e se ne ricorrono venti per la piazza, e tanti genitori attenti son scrutati con riguardo dalle guardie del Magnifico.
Se ne vanno per tante strade i due parenti. Passeggiano tranquilli in ombra e luce, su mattonelle e mattoni di cunicoli bui e salutano fornai e sarti, le quali botteghe aperte di buona mattina sono sempre.
Batte ormai il sole sulla via del ritorno. Monna Luisa e il giovane Marco si allontanano dal centro di musica e voci, ripercorrendo i loro passi.
-Non passano nemmeno minuti a camminar con te, giovane!- sbotta la donna. –Perché tanta fretta?!-.
-Oltre ad essere stupida, a voi qualcun ha regolato anche l’orecchio che manca?!- domanda frustato il ragazzo. –Madre, sono in ritardo dal Verrocchio! Capite che sarò zimbello di bottega ancora una volta se tardi arrivo! Con una corsa potrei giungere alle porte in tempo! Per questo necessito io di riaccompagnarvi, subito, in dimora vostra-.
-E va bene!- lagna esasperata con voce rauca.
Giunti quasi dinnanzi al portone in legno e ferro scuro, s’ode un sussurro nell’ombra di una colonna.
-Marco Massoli moriràààà…- fa questa nuova voce, macabra e sinistra che vien dall’oscurità.
Si volta Marco ad occhi sgranati urlando per lo spavento. È la donna l’unica che resta ferma quando dal buio salta fuori come un gatto un giovane ben vestito, allegro e che ride come un pazzo per la scena appena veduta.
-Ser Ezio- sorride Luisa chinando il capo debolmente. Sulle labbra di lei è stampato un amaro sorriso di gioia nel veder dolere il cuore del figlio a quel modo: si diletta nel vederlo soffrire, ma non in modo malvagio, anzi. È ben conscia che il suo piccolo Marco è ancora un bambino, e certi atti, spera, che un giorno possano renderlo più adulto e pronto alle… sorprese.
Di fatti Marco, ancora imperterrito e tremante, ha una mano premuta sul petto e gli occhi gonfi di più. –Santissimo, perché l’hai fatto?!- domanda furente il giovane all’altro.
È in luminosa vista il viso di Ezio Auditore, che mostra i tratti solari e raggianti della migliore nobiltà. Gli occhi scuri, profondi, il sorriso sornione e divertito. Va a cingere le spalle dell’amico artista con un abbraccio. –Il solito, eh?- ridacchia.
Marco scuote la testa. –Già- borbotta lanciando un’occhiataccia alla madre che sembra altrettanto dilettata.
-Signora- s’inchina voluminoso Auditore di fronte alla dama, che arrossisce di un pelo sulle bianche guance rugose.
-Il vostro nome non eccelle nel diritto di chiamarmi in quel modo, suvvia, Ezio. Piuttosto devo ringraziarvi della scossa che spero abbia smosso in mio figlio qualcosa di umano!- ridacchia strizzando la guancia al giovane Marco.
L’artista si ritrae con uno scatto. –Madre, per favore!-.
Ezio ride ormai senza sosta. –L’amore che serbate a codesto giovincello lo vizia troppo. Ora ne è anche geloso- dice.
Sul viso di Marco s’allunga un’amara ombra. –Ora ti ci metti anche tu?- blatera.
-A cosa dobbiamo la vostra visita, carissimo?- domanda la dama. –Prego, volete accomodarvi?- chiede indicando l’interno della casa. La porta è già aperta.
-Oh, no, no, ma grazie. Ero di passaggio, ascoltavo le vostre chiacchiere farsi vicine e ho solo gradito vedere il vostro sorriso, signora- fa cordiale. La donna arrossisce di nuovo. –E credetemi se dico che- porge avanti un braccio. –Che gradirei concludere assieme a voi la vostra passeggiata, godendomi la vostra gradevole compagnia che Marco, a quanto pare, sembra al mio posto non gradire-.
Monna Luisa accetta il braccio e stringe il suo a quello del giova Ezio. –Dicendo ciò viziate me, caro Ezio- mormora soave.
-Ehi, Ezio- ridacchia Marco. –Mia madre no, capito?!- lo minaccia ridendo.
-Taci tu e corri dal Verrocchio che t’attende!- dice lui incamminandosi con la parente di Marco sottobraccio.
Marco resta fermo sulla strada alcuni istanti, fin quando ridendo e scherzando come due comari, Ezio e sua madre non scompaiono dietro l’angolo.
Ecco Marco che scappa dentro casa e afferra la sua sacca con i pochi libri di cui necessita a lezione, ed eccolo che corre per le strade di Firenze come se avesse appena rubato dei gioielli a Caterina in persona.
Raggiunta la bottega, corse di sopra e si sistemò tra gli giovani artisti che già adoperavano. Andrea di Cione, il gran Mastro di bottega, si avvicina a lui e ferma la mano di Marco prima che può posare pennello su tela. –‘Sta fermo, tu, Massoli- dice.
Egli ubbidisce. Posa i colori, i pennelli, s’alza dallo sgabello. –Sì, Maestro-.
-Oggi sarà Leonardo a concludere la tela. Da te mi aspetto gambe veloci che vadano a comprare latte e formaggio. Fammi questo favore, o il progetto mio equestre non sarà mai pronto per il Duca- pronuncia severo e un po’ accigliato.
Crolla la rigidezza delle spalle di Marco, che rammenta già le parole della madre. –Come desiderate, maestro- porge una mano, e il Verrocchio da lui dieci Fiorini.

Le vie di Firenze si fanno più silenziose nell’ora di pranzo, e la strada è calma, i piccioni sono accoccolati sui tetti.
-Quel ragazzo merita un po’ più di comprensione- dice serio Ezio. –Marco getta anima e corpo nella pittura, dovreste essere fiero dell’impegno che serba in ciò che crede giusto- aggiunge.
La dama anziana al suo fianco sospira. –Mio figlio crede male se pensa che il suo brutto talento possano portarlo lontano solo se continuerà a seguire lezioni dal Verrocchio. Andrea di Cione è dotato davvero in pittura, così come molti dei suoi discepoli, anzi, così come tutti. Ma ha sempre avuto timore nel dire a mio figlio che tutt’altro serba nello spirito a parte perseveranza, tecnica, costanza, anche… ma questi aspetti, caro Ezio…- fa una piccola pausa, si avvicinano a braccetto all’ingresso di casa. –Questi sono aspetti che non contano, se a colmare il vuoto del dono al disegno non v’è null’altro-.
-Lo so bene- ridacchia il giovane sciogliendo il suo braccio da quello di lei. –Ma serbate un po’ d’amore e comprensione, come v’ho detto. Marco da voi non vorrebbe altro- le sorride mentre lei apre la porta e muove un passo nel buio di casa.
Si volta la dama, e arride ad Auditore. –Vi ringrazio. Il passeggio di oggi regalato dalla vostra compagnia ha alleviato le mie sofferenze. Credo di aver fatto ingelosire, con la mia presenza al vostro fianco, tutte le belle fanciulle che stamani sedevano sul bordo della fontana in piazza- pronuncia vanitosa.
-Ed io, altrettanto lieto di aver fatto ingelosire i compagni di vostro marito- inclina la testa in segno di saluto e si allontana sulla strada.
-Ah, Ezio!- chiama ancora la donna.
-Sì?- si volta.
-‘Sta sera son certa che Marco farà tardi! Sareste così cordiale da assicurarvi che non torni ubriaco come l’ultima volta?-.
Ezio scoppia in una fragorosa risata. –Me ne occuperò personalmente!- dice festoso.

L’ora di pranzo trascorre spensierata per il giovane Auditore, che si avventura allungo fuori di casa e lontano dalle sue solite conoscenze, concedendosi di passeggiare solamente per le strade della sua città; cullato dalla dolce brezza invernale, accompagnato al silenzio che anima le vie di Firenze in quei tempi di giornata, quando gente buona e cattiva si arrende ai bisogni umani e cede alla tentazione di un buon piatto di pasta. Le botteghe restano aperte, ma colma di tranquillità e mutismo che rasserena e lascia in riposo una Capitale di repubblica straziata dalle fatiche di artisti, poeti, musici, banchieri, notai e molto altro. Tra le mezzogiorno e le quattro la città tace. Muti stanno gli uccelli, i bambini che riposano nelle case e le piazze son vuote del loro canto gioioso.
Solo poca gente “diversa” popola gli angoli dei muri, i piedi delle colonne e lungo le mattonelle delle strade.
Sono gli Artisti di Strada, uomini soprattutto gettati incontro alla vita con nient’altro in mano se non il proprio arnese o strumento e lì, liberamente, esprimono la loro arte.
Ezio si avvicina ad un vecchio che strimpella un buffo e piccolo mandolino, mentre al suo fianco siede un bambino con tre le dita le fragili canne di un liuto di legno intarsiato e finemente decorato. Soffia con grazia, sprigiona sottilissime note che si perdono leggiadre nelle orecchie del giovane Auditore.
Il vecchio alza gli occhi dallo spartito steso a terra e saluta con riverenze il membro di nobile famiglia che s’è fermato ad ascoltare la loro musica. Una musica dolce che accompagna il silenzio di Firenze nelle poche ore che restano alle cinque, quando le vie tornano a popolarsi.
Allunga una mano alla tasca, Auditore, ed estrae da pantalone, sotto la preziosissima veste, due Fiorini che getta nel buffo capello sistemato al suolo, vicino ai piedi scalzi del ragazzo che suona.
Scompare come non fosse mai venuto, si dilegua nell’ombra di un nuovo vicolo, giunge sulle rive dell’Arno, costeggia il porto, risale il vecchio ponte e traversa la via che è fatta di antiche botteghe taciturne. Saluta con sorrisi e sguardi sereni uomini e giovani che intenti nelle varie mansioni, s’occupano di portar fede al loro operato. Su quella strada c’è lui solo, che una volta giunto d’altro fianco del fiume, cammina allungo sulla riva di questo con le mani strette dietro la schiena.
Si guarda attorno curioso come un bambino, ma serio e riverente come un anziano che passeggia. Beandosi della serenità d’un giorno vissuto finalmente diverso da tutti gli altri; l’animo di nobile col naso in su sente sgretolarsi passo dopo passo sulla via, ma torna a riemergere quando la gente che saluta sembra riconoscerlo. Si sta beando di quel rispetto e quel timore che il popolo di Firenze ha di lui, delle sue vesti, della sua famiglia. Timore ovvio che non può essere paragonato a quello che il Magnifico e la sua di Casata seminano per vie e tombini. La famiglia Auditore è una delle tante che abita questa meraviglia di mondo; un mondo cullato dall’arte e tutti i suoi più materiali modi d’espressione.
Inspira a pieni polmoni l’aria della sua casa, l’aria della sua terra. È lieto, gioioso dinnanzi agli spettacoli di naturalezza cittadina che sta vivendo, osservando con tanta spensieratezza.
Si leva nell’aria uno stormo di piccioni che va a posarsi sul campanile d’una antica chiesetta. Spiccano le vette delle maestose basiliche simbolo di una civiltà pittorica e architettonica che ha fatto popolo da sé. Brillano di mille colori le guglie, i pennacchi, le croci… ma anche le tegole di nuove e vecchie case. Splende il sole, cantano gli artisti di strada.

Scoccate le cinque e passa del pomeriggio, Firenze torna chiassosa, movimentata, frenetica. Donne che girano con cestini colmi delle ultime spese, bambini starnazzano come anatre e scappano di qua e di là. Uno di questi inciampa poco davanti ad Ezio, che stava dirigendosi sulla via del ritorno. Il piccolo gli cade davanti, ma si rialza subito e, scoppiando in una fragorosa risata, ricomincia a correre come non fosse accaduto nulla. Appare uno stormo di ragazzini sbraitanti che lo inseguono, e quella svista fa sorridere Auditore che scuote la testa riprendendo il cammino.
Sono accese le fiaccole delle guardie e quelle per le strade. Brillano le luci degl’interni bottega mentre adagio cala il sole.
Una dozzina di passi più avanti, mentre il sole si fa arancio in cielo e la giornata lavorativa reclama il suo riposo, Ezio sente una voce alle sue spalle.
-Scusate, messere- dice una donna.
Si volta il nobile, che è costretto ad inclinare lo sguardo ben più in basso rispetto alla linea dei suoi occhi scuri.
C’è una giovanissima fanciulla, forse quindicenne che stringe per mano lo stesso monello che poco prima inciampò sullo stivale di lui. Entrambi i bambini vestono di stracci, un abbigliamento di poco conto e molto comune, oltre che sobrio. Un nobile fa caso per natura a certi dettagli.
Inarca un sopracciglio, ed Ezio così domanda: -Scuse riferite a che danno, ragazza?-.
La graziosa piccola dama sgrana gli occhi. –Voi…- mormora.
Ezio si fa ancora più dubbioso, curioso più che altro. –Ebbene?-.
-Perdonateci entrambi!- balbetta lei ad un tratto. –Non v’avevo riconosciuto! Siete Ezio, Ezio Auditore! Figlio di Giovanni!- esulta.
-Ci conosciamo?- che domanda stupida si ritrova pensare. E’ insignificante il fatto che persino gente povera non conosca la fama di una nobile famiglia di banchieri.
-No, ovvio che no- ride lei colorandosi le guance. –Comunque…- mormora intimorita. –Volevo che mio fratello si scusasse con voi, per il modo in cui vi è piombato davanti inciampandovi dinnanzi- dice seria. –Avanti, Giulio, dillo!- spinge il fratello avanti.
Giulio serra le ginocchia, china la testa e incurva le spalle. –Scusatemi…- singhiozza.
Ezio si abbassa ad osservare il viso tondo e massacrato dall’imbarazzo del bambino. –Perché siete così dura con vostro fratello? Perché costringerlo a fare ciò che non è necessario. Permettete di dirvi, ragazza, che non siete una buona sorella- ridacchia.
-Oh, bhé…- ora anche lei sembra intimorita. –Nostro padre è molto severo per quanto riguarda il rispetto che noi dobbiamo a quelli come voi, Ser Ezio…-.
Ezio accarezza scherzosamente i capelli del bambino, e parecchia gente attorno sembra confusa e sbigottita alla vista di quel gesto, tanto che un falegname nelle vicinanze smette di segare uno spesso tronco e si gira a guardare.
-Sta facendo buio- dice Ezio. –Tu e tuo fratello dovreste rientrare prima che vostra madre si metta in pensiero- arride severo, scontento dell’attenzione stranita che ha attratto su di sé.
-La mamma è morta. Nostro padre è quell’uomo- dice il bambino indicando il falegname.
La sorella gli batte un colpo in testa. –Adesso basta, Giulio! L’hai combinata grossa…- borbotta la ragazza trascinando il fanciullo con sé verso la bottega.

Comparvero le stelle: finiva il giorno e cominciava la notte, Ezio si diresse alla bottega del Verrocchio e bussò alla porta. Venne ad aprigli un giovane garzone con le mani ancora intinte di pittura e con un pennello dietro l’orecchio. –Mastro Andrea è impegnato sino a tardi, ‘sta sera. Posso riferire?- domanda cordiale portando rispetto al nome e alle vesti che egli porta.
-Veramente- arride Ezio –son qui per salutare il mio amico Marco Massoli. È ancora in bottega, il ragazzo? Avrei voluto seguir con lui la via di casa, se ancor uscito non è- dice sereno.
-Massoli? Conoscete Massoli?- si stupisce quello.
-Posso?- chiede Ezio indicando le scale.
-Oh, ma certo!- esulta. –Venite, Marco sta quasi per finire; tra poco si sarà liberato- dice il garzone facendogli strada sui gradini. –Prego, il mio maestro apprezzerà la vostra visita-.
-Ribadisco d’esser qui per Marco!- sbotta Ezio un po’ innervosito.
-Sìsì, certo, certo… MAESTRO!- chiama urlando quello lì, che non appena arrivano al secondo piano di bottega, s’appresta a tornare al suo lavoro che dev’essere concluso prima dell’indomani. C’è luce di candela il tutto lo studio. Tele incomplete messe a riposo sotto tessuti di cotone, colori abbandonati a seccarsi su tavolozze e il silenzio d’una bottega in chiusura.
Dalla chiocciola che porta al terzo piano vien giù il vecchio Andrea di Cione. –Ezio, Ezio Auditore! Il vostro viso che si volta e rivolta verso le mie tele, e le vostre suole che calpestano le tegole della mai dimora venerano questo luogo!- esulta. –A cosa devo la visita?-.
-Un mio amico, Marco Massoli. So che è qui e che studia da voi; Monna Luisa, sua madre, mi ha chiesto di assicurarmi che non si trattenga fino all’orario di festeggiamento- arride.
-Venero quella donna, ed è un bene che abbia insistito perché qualcuno legasse le mani a suo figlio!- si fa beffe il Verrocchio. –Ve lo vado a chiamare; attendete pure come casa vostra questa fosse-.
Mastro Andrea sparisce nel buio, dove il lume di candele non arriva e dove comincia uno stretto corridoio.
Ezio attende lì, in piedi nel centro d’una bella stanza che ha buoni profumi. Fuori dalle finestre brilla un cielo magnifico e stellato, pensa osservando la luna.
È buio in una piccola saletta adiacente, dove Ezio allunga lo sguardo e coglie un uomo seduto su uno sgabello. C’è un cavalletto e una tela davanti allo strano giovane, che un viso un po’ allungato e piccoli occhi attenti e curiosi ha preservato nonostante l’età. La sua mano danza lenta assieme al pennello che scivola nel buio con grazia e maestria. D’un tratto l’attenzione del nobile Auditore cade sul disegno che tanto sta tenendo allungo impegnato quest’uomo. Si avvicina un poco, entra nella stanza, s’accomoda al fianco dell’artista.
C’è un ghigno malsano stampato sul volto di costui, di questo garzone concentrato nell’opera che ridefinisce e accenta ogni qual volta il suo tocco mancino va a posarsi sul foglio.
-Messere, perché vi ostinate ad adoperarvi senza luce?- domanda curioso Auditore. –Sarebbe bene che tornaste all’opera vostra di buon mattino-.
L’uomo, senza distogliere favori al suo lavoro, risponde infastidito: -E voi, di grazia, perché date consiglio d’arte ad un garzone che vien scuoiato vivo se domani di buon mattino non consegna?-.
-Credetemi- ridacchia il ragazzo. –Se pensate che l’indomani mattina qualcuno venga a darvi noia per ricevere quella porcheria, vi sbagliate!- trattiene il grosso della risata.
Il mancino solleva il mento dal petto, raddrizza la schiena e la sua postura un po’ gobba. –Porcheria dite?- ringhia.
-Vediamo- dice curioso avvicinandosi. –Di che si tratta?-.
-Non è affar vostro. Ora tornate nella banca dalla quale venite- erompe.
-Solo un’occhiatina, ve ne prego!- ride. –Stando qui in balia della notte che avanza, la vostra opera sembra tanto importante da attirare l’attenzione d’un banchiere. Così, se il vostro acquirente rifiuta, potrei sempre farvi il favore di prendere merito della vostra arte al suo posto-.
-Non prendete in giro voi stesso- sbotta.
-Secondo voi perché un banchiere dovrebbe recarsi in una bottega di sfavillanti artisti se le sue intenzioni non sono di comprare quadri?- mormora Ezio giocoso.
-Non vi sono donne a lavorare in questa bottega, Ser Auditore- ridacchia il mancino.
Sulle labbra del giovane s’allunga un sorriso felice. –Come sapete il mio nome?-.
-Mastro Verrocchio annuncia la clientela con troppa voce, a parer mio. Marco Massoli, credetemi, non farà la sua comparsa di fronte a voi fin quando non acquisterete qualcosa- pronuncia serio.
-Il vostro nome, di grazia-.
-Leonardo. Leonardo da Vinci. Figlio del notaio Accattabriga da Vinci*- sorride, e il volto della Madonna è ormai quasi completo.
-Un campagnolo a Firenze?- si stupisce. –Da quanto dipingete in questa bottega, messere?- chiede curioso.
-Forse da troppo- borbotta scontroso.
-La dote l’avete- commenta.
-Non siate ripetitivo, e ditemi che vi cattura nella mia arte. Commissionatemi un quadro per la vostra bella reggia, e per domani potrei già essere a lavoro- si vanta con serierà.
D’un tratto il nobile Auditore scorge con occhio acutissimo un buffo disegno che appare su un taccuino posato sul tavolo accanto. È uno schizzo in penna, si nota bene, ma incuriosisce, così dice:
-M’attrae il disegno lì- pronuncia Ezio indicando il blocco che sta sul tavolo. –Quello schizzo lì, di grazia- sorride.
-Questo?- domanda scettico il garzone mostrando lo schizzo.
-Esattamente. È vostro? Che cos’è?-.
-Nulla. Per ora-.
-Sembra un uccello-.
-Lo è-.
Ezio aggrotta la fronte. -Avete detto che non era nulla- borbotta confuso.
-Non porta ancora alcun nome, quindi non è nulla. Ma l’ho rubato ad un uccello, quindi è un uccello-.
-Siete strano, sapete-.
-Di solito quelli che dicono ciò non comprano i miei dipinti-.
-Ezio, Ezio!- chiama Marco Massoli entrando in stanzino. –Ah…- si stupisce il ragazzo. –Leonardo, buona sera- saluta.
-‘Sera anche a te, Marco. Voi due vi conoscete?- chiede il Vinci.
-Son qui per lui- dice Ezio avvicinandosi al compagno. –Monna Luisa mi affidò il compito di tenere il suo giovincello lontano dalle vostre serate tra garzoni- sorride.
-EH?!- fa Massoli sconcertato.
-Allora è tempo di salutarci, Marco- ridacchia Leonardo alzandosi. –A domani- aggiunge.
-È stato un piacere, Leonardo- Ezio china un poco la testa.
Il Da Vinci s’inchina con tutto il busto -Il piacere è mio, Auditore-.  

-Leonardo Da Vinci è il favorito del Verrocchio- borbotta Marco mentre camminano in strada.
Ezio tace spensierato, il suo sguardo si perde tra le stelle e la luna in cielo. Il vento smuove alcuni lembi della sua preziosissima veste. –Come mai?- domanda in ritardo Auditore.
-Non venirlo a chiedere a me!- erompe Massoli. –Quel tipo è così strano, i suoi disegni sono così strani, quando parla diventa ancora più strano! Ho sempre provato disinteresse e diffidenza nei suoi riguardi, perché pare che il suo comportamento e la sua poca coerenza, siano ben note sia in bottega che fuori. Questo frutta poco al Verrocchio, Leonardo è più peso di me, quasi…-.
-Dici sul serio?- fa curioso.
Sconsolato, Massoli si stringe nelle spalle. –Sì, insomma… da quando è arrivato, qualche anno fa, non ha fatto altro che annebbiare la vista del Verrocchio con la sua “naturale bravura”. Poi ci si è messo anche il fattore confidenza che sembrano averci quei due. Botticelli, poi, non parliamo di come…-.
Si odono delle voci in lontananza, alle loro spalle, che starnazzano nel silenzio della notte come anatre. La via che stanno traversando è desolata, così come tutta Firenze è vuota del suo popolo e accesa delle sue luci, delle sue fiaccole, ma viva di troppe poche guardie.
-Perché ti sei fermato?- chiede Ezio stupito.
-Luigi- pronuncia Massoli flebile come un sussurro del vento che prende ad alzarsi.
-Chi?!- domanda scettico Auditore.
-Luigi Frazzò*!- pronuncia delirante Marco sgranando gli occhi. –Come puoi non ricordarti di Luigi Frazzò, Ezio?!- sbotta fermandosi.
Auditore di volta lentamente, e vede le ombre di quattro baldi della famiglia Frazzò che si avvicinano alle loro. Sono distratti, non si accorgono subito dei due fermi come statue in mezzo alla via, ma non appena Luigi Frazzò, il nobile figlio di notaio si aggiusta un po’ la vista, tutt’attorno si forma come un cerchio dei suoi cugini e altri parenti.
-Ezio…- scandisce bene Frazzò. –Ezio Auditore!- aggiunge. –Sono estasiato. E guarda un po’ chi c’è qui- fa malvagio guardando il giovane Marco, che trema come una foglia. –Massoli, mi ricordo di te! E di come all’accademia scarabocchiavi quelle brutte facce di angeli che sai fare solo tu!-.
-Adesso basta- erompe Auditore parandosi tra l’amico e il nemico.
-Oh, questa non può essere una coincidenza, non il caso, Ser Ezio!- esulta Luigi. –Dio ci ha fatti incontrare, per saldare un nostro vecchio conto… rammentate?-.
-Non ti conviene farti nemici gli Auditore!- pronuncia fiero Massoli. –Non ne uscirai vivo!-.
-Zitto!- Ezio lo spinge indietro, e Marco finisce col sedere a terra e schiena contro il muro.
-Dimmi un po’- Luigi gli cammina attorno. –Sei sempre il solito che sa prendersele facili le donne degli altri, Auditore?- domanda malvagio e irritante Frazzò.
-Cosa vuoi?- chiede Ezio di rimando.
-Mi si presenta l’occasione- ride Frazzò. –Cosa vorrei fare, secondo te?- gioisce assieme ai suoi cugini.
C’è il nobile e giovane Fabio Del Ponte alla sua sinistra. Ghigna selvaggio e stringe i pugni. Un altro membro dell’onorevole accademia è Gregorio Sassi, sulla destra, col fratello minore Sergio. Il più ricco di Fiorini di cui sembra brillare ogni centimetro del tessuto di cui sono i suoi calzoni è solo Luigi, assieme all’amico di famiglia Frazzò Aurelio Rossi.
Son tutti vecchi volti che a vederli, Ezio ricorda quanti dei suoi più naturali giorni trascorsi sui libri di una prestigiosa accademia di Firenze. La giovane gente che ora lo ricirconda gronda di rabbia, e il fatto risale a pochi anni addietro, Ezio lo sa. Gli sfugge un sorriso al ricordo della bella Giulia Monti*.
-M’era stata promessa in sposa, Ezio. S’annunciava il matrimonio in aprile!- ringhia Luigi. –Mio padre lo voleva, mia madre lo voleva, mio fratello, i miei cugini, i miei amici lo volevano! Ma tu, l’unica cosa che volevi, era portartela a letto prima che il Sacro vincolo la legasse a me!- serra la mascella, è furente.
-Penso ancora che non ti meriti, Luigi- ridacchia Ezio.
-Fate meno lo spiritoso- erompe Aurelio.
Ezio lo ignora. –Che cosa, dunque, intendete risolvere in mia presenza ‘sta magnifica sera?- allargò le braccia tranquillo.
-Me l’hai portata via, cane! Quel giorno, quando tornò da me e mi disse d’essersi concessa ad un altro, capii subito di chi stesse vaneggiando!- ruggisce Frazzò. –Poteva essere felice con me, voleva esserlo! Ma tu, e il vano amoreggiare che le hai regalato per solo una notte, ha distrutto il suo animo e annientato la sua dolcezza!- è quasi in lacrime. –Ora puoi ben immaginare che lavoro per le buie strade di questa città stia facendo…-.
-Hmm… di grazia, dove con precisione?- chiede interessato il nobile Auditore.
Si gonfiano di rabbia gli zigomi di Luigi al suo di tali parole.
-Facciamola finita!- strilla ad un tratto Gregorio. –Abbiamo dell’altro di cui occuparci. Frazzò, caro Luigi, avete buone o cattive intenzioni per ‘sta sera?- domanda nervoso.
Luigi ghigna malvagio. –Cattive- pronuncia estraendo lo spadino dal fodero regale che trascina sul fianco. –Dopo ‘sta notte, nessuno saprà chi è venuto di qua…- ridacchia e la sua ombra s’avvicina minacciosa a quella d’Ezio, che sta curvo ed indietreggia.
S’affianca a lui Marco: il Massoli è terrorizzato. –Cristo, c’ammazzano ‘sti pazzi, Ezio!- balbetta.
Anche cugini e amici di Frazzò estraggono armi di piccolo taglio. S’avvicinano come cani che sbavano sulla preda.
-E ora?!- Massoli trema tutto.
-‘Sta calmo, sto a pensare…- mormora Auditore.
-Pensa, pensa! Intanto questi ci scuoiano vivi!- indietreggiano ancora, ma c’è una parete e si stringono le spalle di Marco contro di essa, mentre Ezio sta avanti e fronteggia il nemico a mani nude.
-Vostro padre non v’ha dato un’arma per difendervi, Ser Ezio? Perché non sono sorpreso?- si prende gioco Frazzò, e con lui ride anche il fedelissimo Rossi.
Il primo che vuol dolore ad Ezio col suo spadino è Sergio il giovane de’Sassi. Porta l’arma a nord, tenta un colpo, Ezio fugge dalla lama e serra la sua sopra la mano del ragazzo. Stringe la presa, gli torce il braccio dietro la schiena e mentre Sassi geme di dolore, la sua arma cozza a terra scivolando dalle sue dita. In fine uditore lo spinge via, e il giovane Sergio si schianta alla parete opposta del vicolo.
Ora lo spadino l’ha stretto Auditore, che si stupisce lui stesso di tanta agilità e prontezza dinnanzi al pericolo. Avanza un nuovo nemici, ‘sta volta è Luigi Frazzò che tenta di pungerlo con la lama, che fa scintille con quella d’Ezio. Si odono pochi schianti e si fanno pochi gesti, che Luigi scivola a terra ed Auditore così dicendo, lo minaccia alla gola dall’alto.
-Continuo a pensare che Giulia non vi meritasse affatto- dice serio.
-Ezio, attento!- grida Massoli.
Lo attaccano alle spalle: sono Gregorio ed Aurelio. Il secondo apre un taglio sulla manica della sua camicia, che si macchia in quel punto di sangue. L’affondo del primo va a vuoto, e Auditore alza un pugno sul muso di quello, che indietreggia e finisce per terra.
Luigi s’alza in piedi e scappa via coi suoi cugini. –Un giorno la pagherai, Auditore! La pagherai cara! E anche se non sarà mia la mano che colpirà la tua faccia, sarò io ad aver pregato perché qualcun altro lo facesse!- grida correndo. –Rimpiangerai di non essere morto ‘sta sera!- aggiunge ormai lontanissimo.
Ezio getta l’arma a terra, si volta e aiuta Massoli a rialzarsi. –Andiamo- pronuncia composto mentre s’incammina, e l’amico lo segue come la sua orma.
-V’ha ferito, quel bastardo!- digrigna Marco.
Ezio si guarda il taglio sul braccio, dove il tessuto della bianca camicia ha ceduto per largo. –Non è nulla- fa una smorfia, mentre preme la mano sulla ferita e le dita si bagnano nel suo sangue.

-Marco!-.
Una ragazza si getta ad abbracciare il giovane Massoli. L’uscio di casa non è manco del tutto aperto che Lucia, la sorella minore di Marco, è in lacrime di gioia sulla spalla del fratello.
-Eravamo in pensiero la mamma ed io! Dove sei stato? E’ tardissimo!- piange e piange.
-Eh…- sospira lui. –Adesso ti racconto, ma facci entrare in casa, per piacere- dice.
La ragazza si fa da parte e indica loro la strada. Massoli ed Auditore si avviano nel soggiorno e trovano Monna Luisa a fare d’uncinetto su una vecchia sedia a dondolo. Il lume d’una candela rischiara il salotto e l’atrio di casa.
-Che monelli tutti e due- ridacchia la vecchia senza degnargli di uno sguardo. –Dov’eravate, sentiamo- domanda allegra ma pungente.
-Abbiamo incontrato Frazzò sulla via, madre- dice ansante Massoli. –Vi ricordate di Luigi e Aurelio Rossi?- chiede avvicinandosi alla donna.
-Il ragazzo che menava tutti all’accademia e si faceva tanto il gradasso?- ridacchia la Luisa. –Certo che mi ricordo. Cosa ci fa a Firenze? Ero sicura che suo padre si fosse andato a Milano da anni!- sbotta.
-Adesso non c’è tempo- aggiunge però Massoli il figlio, e con una mano indica l’amico nobile rimasto sull’ingresso del soggiorno.
-Ezio- chiama la donna alzandosi. –V’hanno ferito?- chiede preoccupata andandogli incontro.
-Non è nulla di grave, davvero- insiste lui.
-Lucia!- strilla la donna.
La figlia minore della famiglia Massoli compare dalle spalle di Ezio, che si volta stupito della sua improvvisa presenza.
Lei muove due passi avanti. –Sì, madre?- fa disponibile chinando il capo.
-Porta Ser Auditore di sopra e medicagli la ferita. Si sa poco degli stiletti avvelenati di ‘sti tempi! Marco!- grida ancora.
Il ragazzo sbuffa. –Cosa volete da me?- erompe.
-Guai a te se vengo a sapere che ti trattieni così allungo a bottega! Se quel Luigi Frazzò selvaggia per le strade, non…- e la ramanzina proseguì oltre, ma Ezio e Lucia si allontanarono dal salotto.
Auditore seguì la ragazza su per le scale sino ad una delle stanze del piano superiore. Lei, tutta un colore in viso rosato e con indosso un vestitino di tessuto grigio e porpora, gli fa gesto di accomodarsi su una poltroncina accanto al camino tenuto basso che c’è in camera.
Il giovane Auditore si spoglia della parte superiore di vesti, lasciando tutto ordinato sullo schienale della poltrona. Il taglio non è molto profondo, e percorre per largo il muscolo del braccio. Qualche goccia di sangue scivola sulla sua pelle arriva sino all’interno gomito. Siede sulla poltrona e stende l’arto in attesa della medicazione.
Nel frattempo la ragazza si appresta a prendere dai cassetti di un mobile il necessario: garza, delle forbici, alcuni impasti disinfettanti, ago e filo.
-Non penso…- si schiarisce la gola lui. –Non penso che quello sia necessario- dice alludendo all’ago.
-Oh, come volete…- mormora lei richiudendo il cassetto. Quando si volta lentamente, lo sguardo timido e sfuggente va a posarsi quasi per sbaglio sul corpo mezzo nudo del giovane, e le sue guance si colorano d’una tonalità più pastosa di rosa.
-Allora?- la esorta lui.
La ragazza scatta subito a lavoro, afferra uno sgabello e siede al fianco della poltrona, così da avere il braccio e il taglio del ragazzo proprio davanti agli occhi. Sono lenti e strazianti i minuti che trascorre nel medicare quel piccolo taglio di poco conto. Quando ha terminato di ripulire la ferita, Lucia si appresta a passare la garza tutt’attorno al braccio, tagliando e stringendo in un nodo delicato ma resistente le ultime estremità di questa.
-Ecco fatto- mormora senza neppure il coraggio di guardare negli occhi il suo paziente, che invece non ha fatto altro che ammirarla durante tutto quel tempo.
Ezio allunga la mano del braccio ferito sino al mento di lei, e glielo solleva con dolcezza, così che i loro nasi potessero quasi sfiorarsi, mentre sente il respiro silenzioso della ragazza infrangersi sulle sue labbra.
D’un tratto dei passi frettolosi si odono sul corridoio.
-Va’ a dormire, avanti!- grida Monna Luisa spronando il figlio con un bastone.
-Madre, per piacere! Posate quel… coso!- strilla Marco sfuggendo alla donna che lo insegue per tutta casa. In fine Marco andò a rifugiarsi nella sua stanza e si sentì una porta sbattere. Dopodiché Monna Luisa entrò nella stanza di Lucia ed Ezio, sorprendendoli vicini.
La donna non cambiò atteggiamento, continuando a tenere ferramente il bastone in pugno col quale si accompagnava spesso sulle scale.
A differenza, la figlia Massoli si alzò in piedi di colpo e chinò subito la testa. Ezio stette allungo seduto sulla poltrona, almeno fin quando la donna non disse:
-Per la vostra incolumità, Ser Ezio, sarei lieta di ospitarvi nella mia dimora sino all’alba. Siete libero di accettare o rifiutare come meglio credete, ovviamente- arride la dama.
-Accetto- si appresta a dire Auditore, e il suo sguardo cade su di Lucia, che in disparte nel centro de pavimento, si stringe nelle spalle.
-Perfetto. Domani verrò personalmente a testimoniare a vostro padre le gesta del Frazzò di questa sera- china la testa in cenno di saluto. –Buona notte.- Se ne va nel corridoio tutta sorrisi con chissà quali intenzioni, e sparisce nella sua stanza così come ha fatto Marco.
Lucia si appresta a raccogliere le fiale coi medicinali, il rotolo di garza e le forbici da terra. Ripone tutto nel cassetto del mobile e sta per lasciare la camera, ma Auditore la precede e, parandosi di fronte a lei, richiude lentamente la porta.
Lucia sgrana gli occhi sorpresa e indietreggia trovandosi troppo vicina al suo ospite. –Cosa…- mormora flebile, e nella sua voce si nota un accento di timore.
-Perché tanta fretta?- sussurra Ezio soave stanziandosi dall’ingresso e andandole incontro. –Avete forse un altro uomo ferito di cui occuparvi?- ride malizioso.
Lucia muove altri due passi indietro, ma ora le sue gambe toccano il materasso del letto e rischia quasi di sbilanciarsi all’indietro. –No, almeno spero…- sorride per niente convinta.
Un braccio dell’ospite le circonda la vita, e la ragazza si ritrova del tutto addossata al suo petto, e, senza sapere dove mettere le mani e cosa farne, resta immobile.
-Quanti anni avete detto di avere?- mormora Ezio avvicinando le labbra al suo collo, tenendole di poco distanti dalla sua bianchissima pelle. Inspira il suo profumo e le accarezza la schiena con lentezza, ma già due delle sue dita armeggiano con i lacci del corpetto.
Lucia solleva il mento e schiude le labbra;  un brivido la percorre la spina dorsale e all’orecchio di lui sussurra: -21…-.
Gli occhi del giovane Ezio mandano un bagliore anomalo, e il suo viso si distende in una smorfia di apprezzamento. –Perfetto- sibila con estrema malizia, e con un solo rapido gesto, la parte superiore dell’indumento di lei scivola lungo i suoi fianchi e cade a terra, sul pavimento, seguita dal resto della gonna che si affloscia pesante attorno alle caviglie della ragazza. Lucia resta immobile allungo, in balia delle carezze bollenti che il nobile lascia su di lei e con indosso della leggera e candida biancheria che sa ancora di pulito e appena lavato.
Auditore l’accompagna dolcemente stesa sul letto baciandole il collo e le spalle, godendosi la morbidezza della sua carne tra i denti che le lasciano piccoli segni sulla candida pelle. Lei inarca la schiena e preme il bacino contro quello di lui, potendo sentire tutte le sue parti divenute desiderose d’altro, di più. Con lentezza accarezza i muscoli del suo petto e scende verso il basso; gli slaccia i pantaloni nel mentre lui le solleva i lembi della canottiera e lambisce la pelle del ventre. Le carezza il fianco con una mano, riscende sino alla coscia e l’afferra sotto il ginocchio, sollevandole la gamba. Arriva a baciarle il viso, le guance, gli occhi socchiusi dal piacere e finalmente le labbra, sulle quali il giovane nobile s’avventa con foga.

Al mattino si ode il canto degli uccellini sul balcone. La luce filtra a righe dalle serrande e opaca dalle tende, arrivando poca nella stanza. Ezio è sotto le coperte attorcigliate attorno al suo corpo nudo steso in obliquo sul materasso; il volto premuto sul cuscino, una mano va ad accarezzare il vuoto al suo fianco e sente ancora calde le lenzuola. Col solito sorriso pieno di sottintesi sulle labbra, anche quando è già sveglio, non si accorge della porta che s’apre con silenzio e della donna che entra.
È Lucia: zitta zitta cammina verso le finestre, spalanca le tende e le persiane. Lui la fissa in silenzio, di nascosto ammira il corpo che di quella sera è stato suo. Entra tanta di quella luce che Ezio è costretto a socchiudere gli occhi, ma molto probabile che la ragazza non si è accorta che è sveglio, perché esce dalla stanza così come è entrata.
Sta fermo ancora per poco Auditore, il tempo di udire i passi della donna allontanarsi nel corridoio e poi giù dalle scale. Poi solleva la testa e si guarda attorno. Si accorge che i suoi vestiti sono ripiegati e ben ordinati sulla poltrona accanto al camino ormai spento; si alza e arriva nudo ad indossare i suoi abiti.
Si avvia fuori dalla stanza e scende in soggiorno, trova ad attenderlo solo Monna Luisa con la figlia, ed entrambe sono molto indaffarate in cucina. Preparano già il pranzo, nota Ezio salutando la padrona di casa con un gesto del capo.
Quando Lucia lo vede, le scappa di mano un piatto che sta lavando, e questo va in frantumi a terra in tanti pezzi di bianca porcellana.
-Lucia, che cos’hai stamani?- domanda seria la madre occupandosi delle verdure da tagliare.
La ragazza si china a raccogliere i frammenti più grossi e li getta in un cesto. –Perdonatemi madre- mormora solamente con un filo di voce. Afferra una scopa e comincia a spazzare
-Dunque- interviene la donna posando il coltello accanto al tagliere abbondante di verdure. –Attendevo il vostro risveglio, Ser. Perciò ora possiamo avviarci- dice allegra. –Lucia, prepara il pranzo a tuo fratello che di poco fa ritorno!- annuncia prendendo il suo soprabito e avviandosi fuori di casa.
Ezio saluto la giovane fanciulla con un ultimo luminoso sorriso, poi segue l’anziana dama camminandole affianco lungo la strada.
-Suppongo che Marco sia in bottega- fa lui ad un tratto.
-Ovviamente. Ma gli ho esplicitamente lasciato detto di far ritorno per l’una. I guai che passa quel moccioso non sono mai abbastanza. Fa quasi ventisette anni di qui a ‘sta parte e ancora giocherella come un bimbo co’ pennelli colori! Ma dico, non si vergogna?-.
-A quanto pare no- ridacchia Auditore.
-Ma suvvia, ridete proprio voi che avete ben altri modi di divertirvi- fa pensosa e arcigna.
Spiazzato da quelle parole, Auditore resta indietro rallentando il passo. La donna ha tanto l’aria di chi la sa lunga.





























Glossario

*Mastro Andrea: Andrea di Francesco di Cione, detto “Il Verrocchio”. (Firenze 1437 – Venezia 1488) Scultore, pittore ed orafo italiano. Fu Maestro di Leonardo da Vinci ed altri all’interno della sua bottega a Firenze. Ho letto e ripreso questo personaggio da una biografia sul Da Vinci che sto leggendo. È realmente esistito e in quegl’anni di cui narro si stava occupando di una statua equestre in bronzo.

*Marco Massoli: Questo è un personaggio di mia invenzione. Un caro amico di Ezio Auditore creato da me e cooprotagonista delle sventure che capitano ad Ezio in questa vicenda. Sua sorella e sua madre, così come suo padre, sono cari amici della famiglia Auditore. Amici inventati da moi!

*Accattabriga da Vinci: Ser Piero da Vinci. (1427 - 1504) Notaio, padre di Leonardo.

*Luigi Frazzò: Altro personaggio nato dalla mia mente malata, così come i suoi cugini e amici compagni di scorribande. Lui ed Ezio si sono conosciuti in “accademia” in quegl’anni giovani. L’idea che Auditore avesse frequentato un circolo di studiosi mi è sembrata possibile, perciò sembra che questo nobile abbia anche il diploma!

*Giulia Monti: Medesimo personaggio scaturito dalla mia fantasia. Mi spiace solo che si sia ridotta a fare la prostituta. Vi è la battuta di Ezio che domanda esattamente dove trovarla durante i suoi giri notturni. Chissà per quali subdoli scopi di corruzione userà la giovincella che sembra essere stata un tempo una sua vecchia fiamma!








Chiariti nomi e cognomi, veniamo all’annuncio della mia prima ff su AC II! Non ho saputo resistere, mi dispiace! Le idee erano troppe, e ne ho ancora a valanghe per altre one-shot! Certo l’attenzione del lettore cade su due fattori in questa micro storia: l’ipotetico primo incontro con Leonardo Da Vinci, e la serata hot con la sorella di Marco Massoli! XD Eh vabbé, dovevo tenere in qualche modo alto il numero d’ascoltatori, no? Il risultato di queste due complesse vicende, escluse a tutti questi dannatissimi spoiler che spoiler non sono perché nasce tutto dalla mia fantasia, spero sia stato di vostro gradimento! ^-^
A prestissimo, che ora mi metto all’opera per completare alcuni vecchi lavoretti!
Grazie a tutti in anticipo!
Elik.

   
 
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